Il confine fra Emilia e Romagna
È sul
Sillaro, a Castel San Pietro che passa il confine
fra la Romagna propriamente detta e il bolognese. Una prova
che la divisione esiste? Eccola: Esci da Bologna lungo la
via Emilia e vai dalla parte di Modena. Entra da un contadino
e domandagli da bere. Ti da un bicchier d'acqua. Esci da
Bologna lungo la stessa via Emilia e vieni verso Imola.
Entra da un contadino e fagli la stessa domanda.
Ti da un bicchier di vino. In Romagna il vino non si chiama
vino. Si dice: e' bé, il bere
( Luigi Pasquini)
Il carattere dei Romagnoli secondo lo psichiatra G. Ferrerò (1893)
il Romagnolo
ricorda, per molti tratti del suo carattere, il cittadino del
Comune.
I Romagnoli sono voraci mangiatori
dotati di stomaci formidabili, amanti dei pranzi succulenti
e delle buone libagioni, non meno attivi nelle
funzioni amorose, come testimoniano i matrimoni spesso
celebrati in età molto giovanile e, non di rado,
per legalizzare nozze già consumate di fatto.
Il
linguaggio rozzo e triviale, modi brutali, tendenza agli
scherzi grossolani, suscettibilità traducentesi nel
frequente ricorso alla violenza muscolare, impulsività sono
tutte espressioni di una certa primitività, tanto spontanea
quanto incontrollata.
Non mancano tuttavia,
le qualità francamente positive: il coraggio
personale, la laboriosità, il vivo senso dell'ospitalità,
il carattere franco, aperto, allegro.
Amerigo di Chatelus 1321
(Rettore di Romagna e Arcivescovo di Ravenna)
"questa terra è baldanzosa e fallace all'estremo, e tanto prodiga che per i banchetti e gli inganni è poco diversa dall'Inghilterra. Ma i Romagnoli sono molto più astuti e senza dubbio molto più cauti degl'Inglesi; e fra gli altri italiani hanno per fama e di fatto il principio della scelleratezza"
Annibal Caro 1500
(traduttore, poeta, numismatico e drammaturgo)
"questi diavoli ci danno molto daffare; talvolta sono in mani di uno che darà più da fare a loro; e questa mattina ne sono impiccati due e se ne inpiccheranno degli altri"
Guicciardini
(scrittore, storico e politico italiano 1483-1540)
la definisce una provincia "molto male condizionata per le inimicizie crudeli che ci sono, ridotte in fazioni in modo che disordine o accidente che segua in qualunque angulo, di quello fa risentire e disordina tutta la provincia"
Guido Nozzoli
(scrittore, giornalista italiano 1918-2000)
Romagna - "Una terra senza confini, che non si riconosce dai boschi, dai monti, dai fiumi, dal clima, ma dalla gente e dalle sue abitudini.
Non una regione geografica, dunque, ma una regione del carattere, un'isola del sentimento. Un pianeta inventato dai suoi abitanti."
La Romagna nella Divina Commedia
Inferno canto XXVII 37 - Dante quando gli viene chiesto dal Conte Guido di Montefeltro di dargli nuove di Romagna risponde:
Romagna tua non è, e non fu mai
Senza guerra nè cuor de' suoi tiranni,
Ma palese nessuna or ven lasciai.
I signori di Romagna hanno sempre la guerra nei loro desideri; ma, al presente, non ve ne sono in atto. (Nell'aprile 1300, a Castel S. Pietro, si era giurata la completa pacificazione della Romagna.
Caveja
Cavicchio di ferro che infisso nel timone del carro agricolo impediva al giogo di scivolare all'indietro.
La Caveja dagli anel è in ferro battuto
e nella parte superiore risulta appiattita e lavorata con fregi
o simboli, adornata da grosse anelle che con il movimento tintinnano.
Da questa particolarità la denominazione caveja cantarena in
omaggio anche all'anima canterina della Romagna.
Da molti riconosciuta come "simbolo" della Romagna.
Carr (il carro)
Il carro agricolo Romagnolo ha quattro
grandi ruote, è dipinto
con fiori, le figure di S.
Antonio patrono degli animali, San Giorgio San Giorgio che
uccide il drago e in alcune località del Forlivese con l'immagine
della Madonna del fuoco.
Sul timone del carro è infissa la caveja (vedi sopra)
Nelle zone centrali e meridionali, il carro è diverso,
meno massiccio, con sole due ruote, fornito di fiancate a
spalliera.
E' carador o carradore è un artigiano che costruiva e riparava i carri ed in genere tutti gli attrezzi agricoli.
E' Mazapégul
(personaggio fantastico)
detto anche
Mazapégur, Mazzapedar, Mazapigur
Spiritello o folletto
che si aggira nei boschi Romagnoli.
E' alto più o meno come uno gnomo,
ha la faccia simpatica e furba e si caratterizza dal tipico
copricapo rosso.
Spiritello maligno che si diverte a far dispetti ai contadini
nelle stalle e, secondo la tradizione si innamora
facilmente delle giovani donne che ogni notte visita nelle
loro stanze posandosi loro sul petto per rendergli il sonno
affannoso.
L'unico modo per fermarlo è quello
di rubargli il berrettino rosso che è solito lasciare
sul pozzo.
In questo giorno il prete si recava a benedire le stalle portando un pane biscotto.
A questa giornata erano inoltre legati questi detti:
Per S. Antogne un'ora bona - riferito alla durata del giorno che continua a crescere
S. Antogne da la berba bienca sun la j ha us la fa; o sun la fà poc u j aménca - riferito alla neve (se non l'ha la fa, e se non la fa poco ci manca)
La Zvulera - notte fra il 24 e il 25 gennaio
Nella notte fra il 24 e il 25 gennaio era usanza esporre in luogo riparato ed esposto verso il tramonto 12 mezze cipolle scavate nel mezzo ed indicando in ciasuna di esse un mese dell'anno.
All'indomani mattina si osservavano le cipolle e vi si leggevano le previsioni del tempo, quelle aciutte indicavano un mese con tempo buono, quelle umide o ripiene di acqua di contro indicavano mesi piovosi o comunque tempo umido e incerto.
I giorni della merla 29-30-31 gennaio
Sono i giorni considerati
più freddi
dell'anno.
Secondo una leggenda romagnola una volta la merla aveva
le piume bianche e durante il mese di gennaio stava
nel suo nido senza mai uscire per paura del freddo.
Verso la fine del mese vedendo apparire il sole
uscì dal
nido credendo che fosse arrivata la primavera.
Gennaio allora, per farle dispetto, mandò negli ultimi tre giorni
del mese un freddo tanto intenso che la merla per non morire dovette introdursi
in un camino fumante.
La merla si salvò, ma le sue piume da bianche divennero nere per
il fumo del camino e rimasero di quel colore per sempre.
Uno dei giorni che veniva osservato per prevedere la fine dell'inverno, un detto molto noto recita:
Per la
candelora
o ch'u piov, o ch'u neva
da l'invern sem fora,
ma s'un piov
quaranta dé dl'invern avem ancora.
Per la Candelora se piove o
nevica
dall'inverno siamo fuori
ma se non piove
abbiamo ancora quaranta giorni di inverno
La durata residua dell'inverno varia, secondo le località, da un mese fino a quaranta giorni circa.
Lom a Mèrz (lume a marzo) 26-27-28 febbraio e 1-2-3 marzo
Molte sono le località dove
si tramanda questa usanza che ha origini Celtiche.
Per le campagne, sulle colline, ma anche in molte piazze
cittadine verso sera
si accendono fuochi propiziatori per fare lume alla primavera in arrivo.
In alcune località gli ultimi tre giorni di febbraio sono anche conosciuti
come "i dè dla canucéra".
Secondo la tradizione si credeva che in questi giorni vi fosse un'ora sconosciuta
a tutti in cui ogni cosa riusciva male.
Nelle campagne in questi giorni i contadini se ne stavano senza far
nulla per paura che andasse loro a male il futuro raccolto.
La sera precedente (il18) in tutta la campagna si accendono fuochi, si spara e si fanno botti.
Per le donne ingraziarsi il Santo vuol dire allontanare il pericolo di avere un seno piccolo, di esse si dice che
il falegname San Giuseppe vi è passato con la pialla, di conseguenza "la fugaraza grosa la fa cres al teti"
Il ritorno del cuculo (aprile)
L'inizio della buona stagione era annunciato dal canto del Cuculo (uccello migratore che sverna in Africa) , che doveva arrivare entro l'8 del mese, in caso contrario la stagione non prometteva niente di buono.
Se l'ot d'avril un sé sentì canté e
choc
o ch l'é mort o ch l'é cot.
Se l'otto di aprile non si è sentito cantare il cucolo, o che è morto o che è cotto.
Inoltre se al primo canto del cuculo non si aveva almeno una moneta in tasca, l'annata si preannunciava carica di ristrettezze economiche.
(Santa Cros) In questa giornata era uso mettere nei campi di grano e nelle vigne una croce in canna sulla quale veniva legato un ramoscello di ulivo, per scongiurare il pericolo della grandine.
Sempre in questa giornata si dava inizio alla tosatura delle pecore (Per Senta Crosa, pigra tosa)
Secondo una credenza probabilmente di origine Celtica, la notte di San Giovanni è possibile vedere negli incroci delle stradine di campagna le streghe che si recano al grande Sabba annuale.
La notte che precede il 24 giugno si crede che avvengano meraviglie e prodigi ed è detta "la notte delle streghe".
Secondo una credenza popolare l'acqua del mare il 10 di agosto possiede una miseriosa e miracolosa virtù di guarire tutti i mali, mediante sette bagni.
Molte famiglie rurali in passato raggiungevano l'Adriatico in questo giorno ritenendo che un bagno fatto il 10 agosto valga per quaranta e preservi dai malanni per tutto l'anno.
(E.Bissi 1932 usanze di Romagna)
In questa giornata si concludeva l'annata agricola, si chiudevano definitivamente i contratti e aveva inizio il periodo invernale.
San Martino è però ricordato anche quale protettore dei mariti traditi (San Meaten dj bech), a S. Arcangelo di Romagna si celebra tuttora l'antica Fiera dei Becchi, famosa in tutta la Romagna.
Questo giorno nella credenza popolare
era ritenuto importante per le previsioni del tempo nelle
successive settimane dell'inverno.
Se pioveva o nevicava, si diceva che avrebbe continuato così per
settimane, e viceversa se c’era il sole.
Par Sènta Bibìena iè quarenta dè e una stmèna
Dimenticando la riforma Gregoriana del calendario che ha
portato il solstizio invernale al 22 dicembre, in tutta
la Romagna si continua a dire:
Sénta Luzìa
l’è e dè piò curt ch’us sia
S. Lucia è il giorno più corto che ci sia.
Inoltre la credenza popolare riteneva che nella notte di
Santa Lucia gli animali
acquistassero la momentanea facoltà di parlare.
La volpe
La volp la n'ha gnit da imparê,
mo la coda la s'fa taiê
La volpe non ha nulla da imparare,
ma la coda si fa tagliare.
Detto popolare a monito di chi crede di essere più furbo degli altri.
Tradizione molto radicata
specialmente nei paesi di collina e montagna, la notte dell'Epifania
e il 6 gennaio gruppi di uomini e donne travestiti da Befana
(i Befanotti) passano di casa in casa cantando stornelli in
rima di origine Natalizia o satirici sulla vita dei paesi.
Il padrone di casa è solito offrire loro vino ciambella e dolci.