Camaldoli
Testo di Bruno Roba (9/04/2020).
Camaldoli WGS84 43° 47’ 37” N / 11° 49’ 13” E - Quota 820 - Eremo di Camaldoli WGS84 43° 48’ 39” N / 11° 49’ 0” E - Quota 1100
L’assetto morfologico del tratto di Spartiacque Appenninico compreso tra il Passo del Muraglione e il Passo dei Mandrioli che culmina ad Ovest, con il gruppo del Monte Falterona e, ad Est, con Cima del Termine corre su altitudini minime poco inferiori ai m. 1300 e massime fino ai m. 1500-1658, con abbassamenti in corrispondenza dei valichi e rialzamenti in coincidenza con i nodi montani da cui si distaccano contrafforti e dorsali (questo aspetto si ripete con notevole parallelismo in tutti i contrafforti ed è significante tettonicamente, ovvero nella disposizione delle rocce e loro modalità di corrugamento e assestamento). Tale tratto esteso circa 18 km costituisce lo spartiacque tra gli affluenti dell’Arno nel versante toscano e le valli del Bidente in quello romagnolo. La linea di crinale coincide con l’accavallamento tettonico di due formazioni geologiche che insieme caratterizzano i due versanti appenninici in base al tipo di rocce, alla loro giacitura e alla disposizione rispetto ai versanti medesimi. La Formazione delle Arenarie del Monte Falterona, o Macigno del Mugello, costituisce i rilevi maggiori e si estende dalla montagna dalla quale prende il nome fino a tutto il versante toscano, ammantato da densi boschi che mascherano per lunghi tratti il substrato roccioso. Nel versante romagnolo il paesaggio è invece dominato dalla Formazione Marnoso-Arenacea, con i caratteristici affioramenti a gradoni. Entrambe le formazioni si sono deposte in ambiente marino durante l’orogenesi appenninica a partire da 27 milioni di anni fa, mentre agivano le forze compressive che, incuneando una dietro l’altra enormi scaglie tettoniche, hanno lentamente “costruito” l’Appennino, determinando una morfologia nettamente differenziata dovuta alla diversa giacitura e profondità degli ambienti geologici, con i versanti meno acclivi (stratigraficamente disposti a “franapoggio”, parallelamente al pendio) rivestiti da boschi compatti, mentre quelli più acclivi (strati immersi a “reggipoggio”, perpendicolarmente al pendio) spesso denudati ed evidenzianti la stratigrafia o rivestiti da bosco rado o rimboschimenti, fino al versante esposto a settentrione della bastionata Campigna-Mandrioli, dove conseguono fortissime pendenze modellate dall’erosione con formazione di canaloni fortemente accidentati, distacco detritico e lacerazioni della copertura forestale. A tale asprezza morfologica si contrappone il potente risalto di ampi tratti della giogana appenninica, caratterizzati dalla generale morbidità dei crinali dovuta alla lentezza dell’alterazione delle grandiose banconate arenacee, la cui superficie coincide, appunto, con quella della stratificazione.
L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio: «[…] in antico i movimenti delle popolazioni non avvenivano “lungo le valli dei fiumi, […] bensì lungo i crinali, e […] una unità territoriale non poteva essere una valle (se non nelle Alpi) bensì un sistema montuoso o collinare. […] erano unità territoriali il Pratomagno da un lato e l’Appennino dall’altro. È del tutto probabile che in epoca pre-etrusca esistessero due popolazioni diverse, una sul Pratomagno e i suoi contrafforti e un’altra sull’Appennino e i suoi contrafforti, e che queste si confrontassero sulle sponde opposte dell’Arno […].» (G. Caselli, 2009, p. 50, cit.). Già nel paleolitico (tra un milione e centomila anni fa) garantiva un’ampia rete di percorsi naturali che permetteva ai primi frequentatori di muoversi e di orientarsi con sicurezza senza richiedere opere artificiali. In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur permanendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate. Così, se al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX. Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.).
Lungo lo spartiacque geografico corre un tracciato viario che non solo fu il principale percorso di crinale del territorio tosco-romagnolo ma, considerato nell’intero sviluppo fino a Poggio Tre Vescovi, fu anche il più naturale collegamento di tutta la penisola. In corrispondenza delle maggiori asperità si allontana dallo Spartiacque posizionandosi su uno dei due versanti, più spesso quello toscano esposto più favorevolmente a Sud, ma sostanzialmente si sposta per ragioni orografiche. Il tratto centrale è noto come la Giogana, in passato Via Sopra la Giogana o semplicemente Giogo o gran giogo: «Indi la valle, come ‘l dì fu spento,/da Pratomagno al gran giogo coperse/di nebbia; e ‘l ciel di sopra fece intento» (Purgatorio, V, 116). Più recentemente venne descritto il «[…] giogo di Camaldoli, al di là del quale cessa la Comunità di Pratovecchio e sottentra dirimpetto a grecale quella transappenninica di Premilcore.» (E. Repetti, Dizionario geografico fisico e storico della Toscana, 1881-1883). Strada vicinale della Giogana è la denominazione catastale che ancora conserva, con l’aggiunta o della Bordonaia o dei Legni per i tratti a ciò specificamente dedicati sui rispettivi versanti. Sicuramente frequentata già in era paleolitica e dai primi gruppi preitalici durante le loro migrazioni, in epoca romana, pur avendo perso la viabilità di crinale una funzione portante, era percorsa o attraversata anche da vie militari attestato da reperti. Il tracciato è rimasto in funzione fino alla prima metà del secolo scorso come importante via di comunicazione su grandi distanze ma, in considerazione anche dell’elevata altitudine e della scarsità di sorgenti, non ha mai registrato la presenza di insediamenti, salvo alcuni più recenti e specializzati con finalità turistiche. Già da epoche storiche boscaioli che trasportavano legname a dorso di mulo o conduttori di grossi traini di legname vi transitavano per raggiungere i passi montani; fino al XIX secolo fu inoltre interessato dalla transumanza, pratica talmente diffusa da dover essere regolamentata da parte delle amministrazioni demaniali, secondo regole rimaste invariate dal medioevo alla liberalizzazione dell’ultimo scorcio del XVIII secolo, stabilendo gli itinerari e istituendo le dogane, a fini di controllo e fiscali: «Nell’entrare in Maremma vi erano altre dogane dette Calle: a queste bisognava presentarsi, far contare il bestiame e pigliar le polizze.» (Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, 1774, cit. da: P. Marcaccini, L. Calzolai, La pastorizia transumante, in N. Graziani 2001, p.114, cit.), inoltre «[…] i pascoli maremmani di “dogana” erano aperti e chiusi, ufficialmente, […] il giorno 29 settembre […] l’apertura e 8 maggio la chiusura.» (M. Massaini, 2015, p. 73, cit.). Il bestiame, spesso affidato in soccida a pastori specializzati, in modo minore dalle alte valli del Bidente e del Savio ma soprattutto dalla montagna di Camaldoli, affluiva nel fondovalle dell’Arno per proseguire per Siena e la Maremma, le pasture Maretime. «Ma non mancava naturalmente bestiame vaccino liberamente pascolante sulle più alte pendici. Conosciamo, per questo aspetto, non soltanto quello di proprietà dei montanari, ma anche le vacche di certi proprietari ecclesiastici come il monastero di Camaldoli […]. E sappiamo, più in generale, che lungo tutta la giogaia, sull’uno e sull’altro versante, tanto i privati che quanto i signori feudali avevano greggi numerose […]» (G. Cherubini, L’area del Parco tra Medioevo e prima età moderna, in: G.L. Corradi, 1992, p.20, cit.). Praticamente la foresta era diventata, con grave danno, una grande stalla all’aperto (G. Chiari, 2010, cit.), d'altronde, da sempre, «[…] quel settore dell’Appennino che ha al suo centro la valle del Casentino, e che si estende a tutto il Montefeltro e il Mugello, […] corrisponde con precisione all’area dei pascoli estivi di quell’economia basata sulla transumanza che dà un senso economico e culturale al territorio geografico dell’Etruria storica.» (G. Caselli, 2009, p. 22, cit.).
La Giogana attraversa o lambisce anche gli antichi possedimenti dell’Opera del Duomo di Firenze, che si estendevano da Poggio Corsoio a Cima del Termine, confinando (con dispute) ad Ovest con i possedimenti dello Spedale di S. Maria Nuova di Firenze e ad Est con quelli del Monastero di Camaldoli. Da una relazione del 1677 conservata nell’Archivio dell’Opera del Duomo: «La mattina di giovedì […] arrivati nella Calla di Giogo tirammo per quella Giogana per riconoscere i nostri confini; nel tempo in cui andavamo vedendo le nostra grandissime campagne d’abeti chiamate sotto diversi vocaboli […] e sempre camminammo per quella strada che da una parte per quanto acqua pende in Casentino verso mezzogiorno resta la faggeta di S.A.R. e per quanto acqua pende in Romagna verso tramontana restano le nostre mentovate abetie.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 322, cit.).
Il Passo della Calla «[…] è il varco più basso dell’Appennino, per cui passa la mulattiera che da Stia conduce nella vicina Romagna. Da questo punto, sempre in direzione di levante, […] passando da Prato Bertone, dove ha principio la gran foresta di abeti, si giunge dopo breve tempo all’Eremo di Camaldoli. […] sul pendio meridionale della montagna, in mezzo a grandi macchie di faggi e di abeti ove regna solitudine profonda e silenzio non disturbato che dal rumore delle acque correnti, dal gracchiare degli uccelli di rapina, e dal soffio dei venti che agitano ed affaticano la foresta. Le nevi vi cadono altissime, e vi hanno lunga stazione, fanno rigido il verno, e grata per freschissime ombre l’estate. […] L’edifizio dell’Eremo […] ha innanzi a sé un bellissimo prato ov’è la porta d’ingresso.» (C. Beni, 1881, pp. 56-58, cit.). Prima di arrivare all’Eremo, una breve digressione dal Passo del Porcareccio nel versante toscano lungo una delle Vie dei legni (Sent. 78 CAI, anche antica mulattiera frequentata da pastori e viandanti sulla direttrice Stia-Poggio Scali) consente di osservare un poco frequente cippo confinario, elegantemente inciso con lo stemma camaldolese raffigurante due colombe che si abbeverano ad un solo calice, espressione della comunione di vita comunitaria ed eremitica coniugata dalla congregazione camaldolese che, architettonicamente, si realizza nella compresenza nella stessa struttura, sia dell’eremo che del monastero. Segue il sito di Prato al Soglio, come già accennato oggetto di particolare contenzioso tra confinanti, come da documenti del 1663 e 1667: «[…] arrivati a Prato al Soglio si vidde senza difficultà che, secondo che dicono tutti, che quanto acqua pende sia dell’Opera io posso dire “de visu” che il detto prato è tutto della Opera perché l’acqua cala verso le macchie dell’Opera tutta […] // […] E passando avanti nell’istesso modo che il nostro confino camminava con la faggeta del nostro Ser.mo Padrone continuava i sopra citati Padri di Camaldoli nel qual luogo avemmo campo di riconoscere un Prato chiamato al Soglio per il quale di tutti i tempi ci sono state dispute a chi veramente esso appartenga perciò per detto dai nostri conduttori essendo da altra parte bene informati che in luogo ancora che l’acqua pende in Romagna là è la nostra tenuta con ciò Camaldoli di questo ne è sempre stato in possesso […] // […] si giunse al Prato al Soglio dove fu detto da alcuni conduttori che detto prato è stato accresciuto dai Padri di Camaldoli in pregiudizio dell’Opera il che è cosa di poco momento et anticamente posseduto da loro vi si fece poca riflessione.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 313, 322, 329, cit.). La soia è un «Elemento toponomastico comunissimo in terra tosco-romagnola[…]» (A. Polloni, 1966-2004, p. 297, cit.), dal latino solium, i, con il significato di posta di stalla o soglio o abbeveratoio, anche naturale, per animali al pascolo (G. Caselli, cit.) a riconfermare il tipo di utilizzo, nel passato, di ampie aree della Giogana.
Superato Prato Bertone si trova il passo del Gioghetto (Gioghicciolo negli antichi documenti camaldolesi) che è raggiunto da un percorso sia di esbosco che di transumanza proveniente da La Lama che, attraversato il sito dell’Eremo, scendeva a Camaldoli tramite la c.d. via Corta dirigendosi attraverso la valle dell’Archiano fino a Soci. Tale itinerario costituisce un tratto di un’antica Via Romana: «L’antichità di questa via è ricordata in due carte del Regesto Camaldolese. Nella prima, del 1027, viene citata discendente dalla giogaia delle Alpi tra la Toscana e la Romagna, passando per la foresta dell’Eremo di Camaldoli […]. Nel secondo documento del 1047, che conferma tutti i beni agli eremiti di Camaldoli da parte del Vescovo Teodaldo, viene citata come via “Romana”. L’atto stabiliva i confini sul crinale di un grosso appezzamento di terra. Questo andava dal fosso chiamato Tellito, cioè quello di Camaldoli, fino alla via citata come “Romana” e il giogo che divideva la Romagna dalla Toscana.» (G. Innocenti Ghiaccini, 2018, p. 29, cit.). «Un tracciato romano molto razionale è riconoscibile anche nel bacino dell’Archiano, per Partina, Camaldoli e la valle del Bidente, anche perché documenti dei secoli XI e XIV menzionano una “Via Romana” sul crinale a monte di Camaldoli, che sarebbe alquanto difficile spiegare nel senso di Via Bizantina, o di via che conduce a Roma.» (A. Fatucchi, La viabilità storica, in: AA. VV., 1995, p. 27, cit.). Come accennato, secondo la tradizione storico-religiosa, la Giogana veniva valicata dalla Via dei fedeli di S. Romualdo tramite il Gioghetto, come ribadiscono alcuni Autori. P.L. della Bordella: «[…] per salire all’Eremo (Campo Amabile), i pellegrini romagnoli, S. Ambrogio di Milano e Leopoldo II Granduca di Toscana, percorrevano la via dei fedeli di San Romualdo che da Santa Sofia, per Ridracoli, la Seghettina e la Lama, sale al Gioghetto per ridiscendere al sottostante Eremo.» (2004, p. 190, cit.); F. Pasetto: «[…] ricordiamo, in particolare, il Gioghetto, attraverso il quale il ravennate san Romualdo scese a Campo Amabile […]» (2008, p. 207, cit.). Il tratto finale di tale strada, di cui si ritrovano consistenti resti, è documentato dalla cartografia storica: nella Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinese del 1850 conservata presso il Nàrodni Archiv Praha (Archivio Nazionale di Praga: Archivio Asburgo Lorena di Toscana), l’antica via risaliva con una fitta sequenza di strettissimi tornanti che toccavano La Cava dei Frati verso l’odierno Gioghetto (v. scheda). La Carta d’Italia di primo impianto dell’I.G.M. documenta la via con diverso rilievo: in quella in scala 1:50.000 del 1893-94 appare come tracciato di rilievo, mentre in quella successiva e maggiormente dettagliata, in scala 1:25.000 del 1937, appare declassata ma compare anche il tracciato della moderna S.F. degli Acuti, come pure appare realizzata la strada provinciale che transita dal Passo dei Fangacci.
Uno schizzo planimetrico della metà del XVIII secolo, conservato nell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze e relativo ad aree controverse tra l’Opera e i Monaci di Camaldoli (riportato in: A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 31, cit.), ed i seguenti documenti contengono interessanti informazioni riguardo il tracciato viario. Da una relazione del 1652: «è la Lama in un piano a cui verso il Giogo sovrasta un altissimo monte che si dice la Penna con una spiaggia che si dice i Beventi luoghi tutti coperti per lo più di faggi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 269, cit.). Dalla descrizione dei confini di cui al Contratto livellario del 1818 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli: «[…] ventiseiesimo, […] Proseguendo sempre verso levante per il crine l’Opera tiene in proprio le acque che scorrono in Romagna […] seguitando per i vocaboli d’alture del Prato di Bertone e sopra l’Eremo, si giunge al luogo detto Fonte al Sasso e percorrendo sempre l’appennino continuano a confinare i Reverendi Monaci di Camaldoli con i vocaboli di alture di Prato agli Aceri, ed altura sopra i Prati alla Penna e della Duchessa fino al Gioghetto, da questo scendendo alla fonte dei Beventi, o fonte del Gioghetto, s’incontra un termine nella strada che conduce in Romagna e seguitando la direzione di questo si sale ad un braccio dell’Appennino ove con altro termine confinano i Comunisti di Serravalle; ventisettesimo, da questo punto ossia termine i Reverendi Monaci di Camaldoli seguitando il crine dei Beventi, di Monte Cucco, dei Segoni, seguitando l’istesso crine fino alle Rivolte […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 465-466, cit.). Da essi, oltre all’utilizzo del termine Via Bordonaia, che è attribuito ad un tratto viario tra Prato alla Penna e il Passo dei Fangacci, si trae una rappresentazione dei luoghi diversa da quella odierna: evidentemente assente il tracciato della moderna S.P. dell’Eremo, si nota che l’area di Prato alla Penna pare estendersi per alcune centinaia di metri verso Ovest, quindi più ampia dell’attuale, andando ad occupare anche l’ampio pianoro di crinale oggi ricoperto da una fitta faggeta mentre, verso Est, si rappresenta un descrittivo toponimo Beventi e, aspetto piuttosto interessante, si ritrova il “vocabolo” Gioghetto che (perfettamente corrispondendo alla citata descrizione confinaria) pare posizionato presso l’odierno bivio sentieristico per Poggio Tre Confini (v. Scheda, che effettivamente è un punto di valico, presso il quale si trovano antichi cippi confinari con stemma camaldolese, luogo sovrastante la Fonte dei Fangacci, ivi denominata fonte del Gioghetto o dei Beventi). I Beventi, come dice il documento, erano noti (già allora) per essere ricoperti da una estesa faggeta che si estendeva lungo il crinale oltre il versante meridionale del M. Penna (la Ripa della Penna). Ricordando comunque che sia il toponimo Giogo sia i diminutivi Gioghetto, Giogarello, Gioghicciolo erano piuttosto diffusi, i documenti citati collocano quindi il Gioghetto nei pressi dell’odierno Passo dei Fangacci: ciò costituirebbe ipotesi per una diversa localizzazione di un luogo della tradizione storica camaldolese.
Alla fine del X secolo, in epoca imperiale ottoniana, la Toscana andava acquistando un ruolo essenziale quale marchesato, laddove la politica monastica fu emblematica anche da parte delle famiglie comitali e dei vescovati locali, con la fondazione di un gran numero di monasteri. «Si connotava il Casentino ormai come quelle presenze destinate ad avere una funzione essenziale nella sua storia del basso medioevo. D’altro canto la marca di Toscana era divenuta territorio importantissimo sotto l’aspetto strategico e viario, zona di raccordo fra Nord e Sud, tra Padania e Roma, con città rese vivaci dal flusso dei pellegrini, truppe e merci, e a Ravenna si tenevano concili, vi si rifugiavano papi o vi venivano eletti. Così il controllo dei percorsi Casentinesi aumentava il proprio ruolo. […] autorevolmente si inseriscono i vescovi di Arezzo […]. La fondazione di Camaldoli […] è poi fatto di estrema importanza che, sia per la personalità e le relazioni di Romualdo, mette in evidenza quanto tale iniziativa sia legata ai vertici del potere imperiale e papale.» (U. Bartolozzetti, Il Casentino, terra di confine della Toscana e nella Toscana. Un’ipotesi di contesto, in: AA. VV., 1995, pp. 45-46, cit.). Se già dalla seconda metà del IX secolo i vescovi di Arezzo si erano mostrati attentissimi a controllare quello che era allora il Passo dei Mandrioli, con la fondazione dell’Abbazia di Prataglia per merito del vescovo Elemperto, nei primi anni del secolo successivo fu il suo successore Teodaldo a mettere a disposizione di Romualdo il terreno per fondare Camaldoli «[…] che acquisì possessi tali nel Casentino da impedire a qualsiasi famiglia dell’aristocrazia di potersi costituire un dominio politicamente e patrimonialmente significativo.» (U. Bartolozzetti, Il Casentino, terra di confine della Toscana e nella Toscana. Un’ipotesi di contesto, in: AA. VV., 1995, p. 47, cit.). La tradizione leggendaria colloca nel 1012 l’incontro tra Romualdo e il conte Maldolo con la donazione del Campus Maldoli, Campo di Maldolo, o Campus amabili, Campo Amabile, da cui la contrazione Camaldoli, ma pare che l’atto di cessione fosse stato scritto posteriormente dagli stessi monaci «[…] per giustificare la proprietà del luogo, per difendersi dal vescovo Guglielmino degli Ubertini che accampava diritto di proprietà.» (M. Agostini, a cura di, 1995, p. 237, cit.). La storiografia sposta tra il 1020 e il 1024 il viaggio del monaco dalla Romagna alla Badia di Santa Trinita, sulle pendici del Pratomagno, quando (di nuovo secondo la leggenda) avrebbe incontrato il vescovo di Arezzo Teodaldo presso la posta di viaggio di Fonte bona, curata dai benedettini di Badia Prataglia, stabilendo di fondare l’Eremo, inizialmente costituito da cinque celle ed un oratorio dedicato al Salvatore Trasfigurato. Nel XVII secolo venne realizzato il muro in pietra che recinge la zona di clausura detta la Lavra o Laura. La chiesa è in stile barocco napoletano. Nel 1027, insieme ad una vasta porzione di silvae e juga intonsa (foreste vergini mai sottoposte a tagli), il vescovo donò ai monaci l’area di Fonte bona che così divenne la Foresteria e l’Ospizio a servizio del romitorio, quindi ampliato fino a divenire, nel 1080, monastero, il Monastero di Camaldoli, come venne ribattezzato il luogo nel XVI sec. «Quella casa di Villa dal Conte Maldolo offerta e donata al Santo, era posta più abbasso del Sacro Eremo, in distanza di circa mille passi geometrici, vicino al fiume che scende dalla sovrastante montagna. Fece impertanto che si ordinasse ad uso e comodo di Foresteria e di Ospizio questo casamento, e dispose che quivi fossero alloggiati e del bisognevole provveduti i Forestieri, che da ogni parte accorrevano alla visita del Santuario; cosicchè dopo aver essi esercitata quell’opera di devozione, senza recar disturbo alle mentali Orazioni, ed al pacifico meditar dei Santi Eremiti, scendevano per rifocillarsi al comodo Ospizio di Fonte Bona così forse o dall’abbondante profluvio, o dalla perfetta qualità delle acque freschissime e vive, di cui questo luogo è ricchissimo, fin d’allora denominato.» (Don Pietro Leopoldo da Vienna, eremita dell’Eremo, Notizie storiche spettanti al Sacro Eremo di Camaldoli, 1793, cit. da: D. e M. Tassini, a cura di, 2007, p. 4 cit.). «Un codice cartaceo del secolo XVII documenta per oltre un ventennio l’afflusso dei forestieri all’antico ospizio di Camaldoli. […] secondo una statistica condotta su dati dell’anno 1613 e del periodo 1641-1663, il numero globale dei forestieri raggiunse la rispettabile cifra di 151.768 con circa 20.000 cavalcature. In via normale l’afflusso annuo dei forestieri si aggirava su 6.000-7.000 unità, e qualche volta anche sulle 10.000.» (Don G.M. Cacciamani, monaco camaldolese, Camaldoli, cittadella di Dio, Ed. Paoline, Roma 1968, cit. da: D. e M. Tassini, a cura di, 2007, p. 4 cit.). L’Ospizio di Fonte Bona era uno degli hospitales della tradizione benedettina posto lungo una delle rare vie che collegarono il Casentino con la Romagna fino al 1865, con l’ammodernamento del Passo dei Mandrioli. Questa, in particolare, dalla piana di Soci risaliva la montagna in direzione del sito del futuro Eremo poi proseguendo come sopra descritto. Forse anche in seguito alle rivalità con la confinante Abbazia di Prataglia iniziò l’espansione camaldolese oltre lo Spartiacque Appenninico con la fondazione dell’Eremo Nuovo (v. scheda), presso il Bidente di Pietrapazza, e l’annessione dell’Abbazia di S. Maria in Cosmedin di Isola, sulle rive del Fiume Bidente di Corniolo. Con bolla papale del 1113 venne stabilita l’aggregazione a Camaldoli di tutti gli eremi e cenobi romualdini e nacque la Congregazione Camaldolese dell’Ordine di San Benedetto, che ebbe grande espansione in Italia ed oltre, alimentata donazioni ed acquisizioni di chiese e castelli almeno fino al sec. XVI. Nello scenario tosco-romagnolo Camaldoli divenne una potenza temporale fino alla sottoposizione alla Repubblica di Firenze ed alla confisca del confinante vasto feudo forestale a danno dei conti Guidi, quando l’alpe del Corniolo, allora chiamata anche selva del Castagno, e la selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli, tra il 1380 e il 1442 furono donate (il termine contenuto in atti è “assegnato in perpetuo”; A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 15-16, cit.) all’Opera del Duomo di Firenze che, per oltre quattro secoli si riservò il prelievo del legname da costruzione e per le forniture degli arsenali di Pisa e Livorno, di quelli della Francia meridionale oltre che per l’ordine dei Cavalieri di Malta. Comunque il Monastero di Camaldoli mantenne proprietà, esenzioni e privilegi fino all’esproprio napoleonico (1807-1816) e la demanializzazione statale del 1866. Se nei primi secoli i tagli nelle Foreste Sacre furono limitati alle necessità monastiche, costruzione di edifici sacri ed opere di carità, gli interventi più sostanziali riguardarono la sostituzione dell’abete bianco alla foresta mista originaria per ragioni spirituali, infatti, nella simbologia camaldolese, «[…] l’abete è simbolo di altezza in meditazione e sapienza, e le cupe abetine sono cattedrali arboree sostenute da possenti colonne di tronchi che congiungono la terra al cielo.» (M. Vianelli, 1996, p. 123, cit.). «E la corona, che cinge l’Eremo, la quale si stenda sempre cinquanta braccia almeno, sia sempre inviolabilmente conservata, di maniera, che ne per licenza di Capitolo, ne per altra, se ne possa mai tagliare alcun Albero, se già non fusse in tutto seccho.» (Dom Paolo Giustiniani, Eremiticae Vitae Regula a Beato Romualdo Camaldulensibus, pp. 22-23, Camaldoli, 1520). Purtroppo recentemente, per il timore di stroncamenti ai danni dell’Eremo derivanti dai fortissimi ed improvvisi eventi meteorologici degli ultimi anni, alcuni Abeti bianchi secolari (età media 190 anni) sono stati tagliati. Nel XVI secolo venne ampliata la segheria ad acqua esistente accanto al monastero già dal 1458 e la gestione delle foreste divenne prettamente commerciale, comunque con rari e limitati tagli a raso. Il legname veniva fluitato tramite il porto dei monaci posto alla confluenza del Torrente Sova nell’Arno in loc. Il Porto di Ponte a Poppi. Per lo stato di abbandono e malgoverno in cui, dopo secoli di sfruttamento, versavano le foreste dell’Opera, l’amministrazione lorenese del Granducato di Toscana stabilì di cedere anch’esse in enfiteusi ai camaldolesi al fine della loro conservazione e miglioramento, benché senza successo, così nel 1838 tali foreste tornarono alle Reali Possessioni e nel 1840 venne fatto un ulteriore contratto limitato ai beni non forestali. Nel 1866, il passaggio al Demanio Reale delle proprietà religiose riunificò le aree forestali.
Nel 2013, per il millenario dell’Eremo, il portone di ingresso è stato sostituito con una particolare opera artistica di C. Parmiggiani, la Porta Speciosa o Porta Bella, fusione in bronzo ricca di significati simbolici riferiti alla vita eremitica.
L’antica ripida mulattiera (rimangono alcuni tratti del selciato) che collegava il Monastero con l’Eremo (in una stampa del XVIII secolo appariva sbarrata da un portale adiacente il complesso monastico), come risulta dal confronto tra il Catasto Toscano del 1826 e la Carta d’Italia I.G.M. di primo impianto (1893-94) già nel corso dell’Ottocento venne rettificata al fine del trascinamento del legname, fino al completamento documentato da una foto del 1922, quando venne soprannominata la Corta. All’inizio della salita si rasenta la Cappella della Madonna la Neve o della Neve, probabilmente antecedente al 1456, che, rimasta semisepolta a seguito dell’ammodernamento stradale con costruzione del nuovo ponte risalente al 1915, nel 2012 è stata restaurata con reinserimento ambientale. A pochi metri si trova il ponte in pietra sul Fosso di Camaldoli, risalente al 1456, restaurato nel 1984, sostitutivo di un più antico ponte in legno, che illumina riguardo il livello e l’ampiezza del tracciato viario antico. Superata una croce sorretta da un grosso masso si trova l’unico tratto superstite dell’antico selciato che, nel superare con una moderna passerella in legno un fossatello affluente del Fosso di Camaldoli, rivela i resti di un’ulteriore ponticello in pietra. Il tracciato antico si perde nel raggiungere la Fonte del Vigoroso, recentemente trasformata nell’ambito del Programma LIFE e del progetto WetFlyAmphibia (conservazione di anfibi e farfalle di aree umide e loro habitat nel Parco delle Foreste Casentinesi), con realizzazione di una vasca abbeveratoio per anfibi. Le specie interessate dal progetto sono l’Ululone dal ventre giallo (Bombina variegata), la Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina tergiditata) e il Tritone crestato (Triturus carnifex). Spostandosi sulla carreggiata fino ad uno stretto tornante si trova un’area prativa adiacente al Fosso di Camaldoli dove si trova la secca Fonte Curvone; poco oltre un ponticello ligneo (attualmente sbarrato) consente (consentiva) di percorrere un tratto suggestivo del versante in dx idrografica con resti di selciato di una pista boschiva. Altri scarsissimi resti di selciato della via antica si trovano presso la Cappella di S. Romualdo, datata in chiave d’arco 1583. Seguendo la strada si rasenta la Fonte di Maurizio, posta accanto al Fosso della Bruciata, affluente del Fosso di Camaldoli, anch’essa recentemente restaurata e ammodernata nell’ambito del Programma LIFE e del progetto WetFlyAmphibia. Abbrevia il tratto stradale la traccia consistente del percorso antico, che a monte attraversa il nastro asfaltato presso le Tre Croci, luogo noto per essere il limite invalicabile da parte delle donne. Peraltro pare che la prima sosta a Camaldoli da parte di una donna sia avvenuta nel 1841 da parte di Frances Trollope, scrittrice di viaggi e madre del romanziere inglese Anthony, per cui la foresteria camaldolese non risultava attrezzata (D. e M. Tassini, a cura di, 2007, cit.). Accanto alle croci si trovano tre Abeti bianchi di oltre 200 anni, alti oltre 40 m. Prima di arrivare all’Eremo si trova il Laghetto Traversari, realizzato a metà del XV secolo quale allevamento ittico degli eremiti. A lato del parcheggio, sotto strada, si trova la Fonte di Bista, anch’essa recentemente restaurata e ammodernata nell’ambito del Programma LIFE e del progetto WetFlyAmphibia. Risalendo la S.P. dell’Eremo oltre la sbarra si trova il bivio della pista forestale corrispondente all’antica Strada della Duchessa, sent. 70 CAI, che raggiunge il Rifugio Cotozzo, che sorge sul luogo di C. Cotozzo, dopo aver rasentato la precaria Fonte della Duchessa. A valle di Camaldoli, presso il parcheggio, il sent. 68A CAI, che si mantiene alto in dx idrografica del Fosso di Camaldoli, percorre in parte il tracciato dell’antica strada che giungeva dalla piana casentinese, nel Catasto Toscano detta Via del prato al tiglio, di cui si trova un consistente tratto di massicciata in rilevato. Detto sentiero consente di raggiungere il vivaio di Cerreta, caratterizzato da un viale di Abeti di Douglas e Cedri dell’Atlante piantati nel 1911 e la Maestà della Cerreta, che ormai mantiene poco delle sue antiche origini a seguito delle varie ristrutturazioni o pesanti restauri sostitutivi subiti nel corso del tempo, l’ultimo del 2011, situata al bivio della S.P. di Camaldoli presso una vasta area di sosta. Da qui risalendo la S.P. dell’Eremo si trova la Fonte della Bruna, risalente nello stato attuale al 1982 e il Casotto di Braga, rifugio forse ricavato da una cappella dismessa risalente al 1905.
Riguardo l’aspetto arboreo dell’area di Camaldoli, oltre ai patriarchi già segnalati è da ricordare a Metaleto il Castagno Miraglia, cosiddetto dalla fine dell’800 in onore di Elena Miraglia, moglie dell’allora direttore del Ministero dell’agricoltura, che soleva passeggiare alla sua ombra. Età stimata 450 anni. Di fronte al parcheggio di Camaldoli, sopra strada, si trova il Cedro del Monastero, Cedrus atlantica, specie presumibilmente introdotta intorno al 1861.
Il Fosso di Camaldoli è originato a Prato al Fiume, subito a monte del Ponte omonimo, dalla plurima confluenza dei Fossi della Bernardina, dell’Abetiola e del Fulmine. Superata l’area prativa il fosso si incassa e risulta difficile da seguire, ma un tratto di tale corso si riesce a seguire grazie ad una vecchia pista in parte selciata che si imbocca presso la Fonte Curvone. Nell’area tra detta fonte e la Fonte del Vigoroso si immettono in sx idrografica i maggiori affluenti, noti grazie alla cartografia antica: i Fossi della Fonte al sasso, della penna, della bruciata, di belvedere, della duchessa di beventi e dei ladri (trascritti al minuscolo per rispettare l’ortografia originale). A valle di Camaldoli si immettono, in dx idrografica, il Fiumicello, oggi Fosso dei Casini, i Fossi di Metaleto e di Cerreta; in sx, si immette il Fosso del Ghiaccione. Il Fosso di Camaldoli si immette infine nel Torrente Archiano a Ponte Biforco, sotto Serravalle, non prima di aver ricevuto i contributi dei Fossi di Vallimarri e delle Barbarine. Lo sviluppo è di circa 6,7 km di cui circa 4 km a valle di Camaldoli. La cartografia antica, poco a valle del monastero, segnalava il Molino della Rena o C. Molino d’Arena, oggi scomparso, mentre resiste ancora il fabbricato della Centrale elettrica, a forza idraulica, probabilmente di fine Ottocento/inizio Novecento.
N.B. - I toponimi Giogo, Giogana e diminutivi, derivano dal latino jugum, i, = giogo, giogaia, “giogana” di monti, con una radice indoeuropea ed il significato di “congiungimento” o “collegamento”, sia di luoghi sia di coppie di buoi tra loro quindi al carro.
- La sega ad acqua venne inventata da Villard de Honnecourt nel sec. XIII e Leonardo da Vinci ne studiò il funzionamento nel 1480. Già a metà del ‘400 in Casentino sono documentati una sega ad acqua a Camaldoli (i monaci sono stati sempre all’avanguardia nella lavorazione del legno) e due artigiani specializzati a Papiano (M. Massaini, 2015, cit.)
RIFERIMENTI
AA. VV., Il Casentino, Octavo Franco Cantini Editore – Comunità Montana del Casentino, Firenze – Ponte a Poppi 1995;
M. Agostini, a cura di, Guida alla scoperta dei luoghi del Casentino, Octavo Franco Cantini Editore – Comunità Montana del Casentino, Firenze – Ponte a Poppi 1995;
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G. Caselli, Il Casentino da Ama a Zenna, Accademia dell’Iris - Barbès Editore, Firenze 2009;
E. Ceccarelli, Giganti di legno e foglie. Guida alla scoperta degli alberi monumentali del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, ComunicAzione, Forlì 2014;
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G. Innocenti Ghiaccini, Le Vie Romee nella storia del Casentino. Gli spedali e le chiese per i pellegrini, FRUSKA, Bibbiena 2018;
N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Firenze, Le Lettere 2001;
M. Massaini, Alto Casentino, Papiano e Urbech, la Storia, i Fatti, la Gente, AGC Edizioni, Pratovecchio Stia 2015;
G. Mura, Spassaparola, Rubrica de la Repubblica, Anno 45, n.18, 22/01/2020, GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.;
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D. e M. Tassini, a cura di, Ospiti e ospitalità a Camaldoli. Piccola storia illustrata della Foresteria e degli Alberghi di Camaldoli, Albergo Camaldoli, Camaldoli 2007;
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Link www.collegiumscriptorium.it;
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Comune di Poppi (AR)
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001a/001e – Dal sent. 68-A CAI tra Camaldoli e Cerreta, che corre alto sul fosso a valle di Camaldoli, una delle rare vedute panoramiche sulla valle di Camaldoli e i rilievi orientali, tra cui emerge il poggio detto il Cotozzino, dove si trova il Rifugio Cotozzo (27/12/11).
001f/001l – Da Poggio Muschioso, spostandosi dal sent. 74-A CAI, uno dei rari scorci sull’Eremo (2/12/14 – 12/02/15).
001m – 001n – 001o – Elaborazione e particolari da una stampa del XVIII secolo esposta nel pannello informativo dell’area di sosta di Cerreta (l’originale è conservato a Camaldoli). Tra l’altro si nota bene l’antico tracciato viario che risaliva all’Eremo chiuso a valle da un portale ed affiancato nel suo percorso dalle cappelle della Madonna della Neve e di S. Romualdo, oltre che dalle Tre Croci che segnavano il limite insuperabile dalle donne.
001p - Schema da una pianta del 1830 dove, con l’approssimazione della scala 1:200.000, è evidenziata la rete viaria nel contesto dei rilievi appenninici tosco-romagnoli. Da notare che la via che dall’Eremo oltrepassava il crinale tosco-romagnolo si dirigeva verso Est ed al Passo dei Fangacci si biforcava dirigendosi verso il Passo della Crocina e il crinale della Bertesca. La toponomastica riprende quella originale.
001q – Schema ruotato da cartografia moderna dell’area camaldolese.
001r – 001s – 001t - Schemi dalle mappe del 1893-94, in scala 1:50.000, e del 1937 in scala 1:25.000, da cui si rileva l’evoluzione infrastrutturale dell’area a cavallo dello Spartiacque Appenninico con raffronto dei particolari del sito circostante il Gioghetto, anonimo nelle mappe originali da cui è ripresa la toponomastica, costituente crocevia dove appare evidente anche il tortuoso tratto che risale dalla Lama che, secondo la tradizione, dovrebbe coincidere con la Via dei fedeli di S. Romualdo.
001u – Schema da due mappe del 1837-50 che, tra l’altro, rappresenta il tratto finale della tortuosa strada che dalla Lama si inerpicava al passo del Gioghetto attraversando la ramificazione del Fosso della Lama, allora detto Alla Fonte Grattugia. Secondo la tradizione storico-religiosa, tale strada, unica rappresentata, dovrebbe coincidere con la Via dei fedeli di S. Romualdo. La toponomastica riprende quella originale.
001v - 001z - Schemi da uno schizzo planimetrico di alcune zone controverse fra l’Opera del Duomo di Firenze ed il Monastero di Camaldoli poste sul crinale appenninico fra Poggio Scali e Badia Prataglia, risalente a circa la metà del XVIII secolo, conservato nell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze (cfr.: A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 31, cit.) e confronto tra tracciato viario e toponomastica nelle diverse epoche dove, tra l’altro, si nota che il Gioghetto è posto sul tratto di crinale tra Prato alla Penna e Beventi, oggi corrispondente al sito del Passo dei Fangacci, aspetto di interesse storico-religioso in quanto vi sarebbe transitato il fondatore dell’Eremo.
002a/002d – Schema generale ruotato e schemi parziali di insediamenti, infrastrutture e idrografia ripresi dal Catasto Toscano del 1826-34. Da notare che qui compare sia la viabilità dall’Eremo verso Nord per il Gioghetto sia quella verso Est per il Passo dei Fangacci. La toponomastica riprende quella originale.
002e/002h – Camaldoli; le ultime vedute sono riprese dal tracciato dell’antica via che proveniva da valle (27/12/11).
002i/002z – Vedute dell’Eremo e particolari (28/12/10 – 2/02/11 – 25/02/11 - 9/03/11 – 17/01/12 - 15/03/13).
003a/003o – L’area delle celle (21/03/11 - 2/02/11 – 21/03/11 - 17/01/12 – 1/12/13).
003p – 003q – L’abetina secolare attorno all’Eremo (24/03/11 – 1/04/11).
004/004r - Nel 2013, per il millenario dell’Eremo, il portone di ingresso è stato sostituito con una particolare opera artistica di C. Parmiggiani, la Porta Speciosa o Porta Bella, fusione in bronzo ricca di significati simbolici riferiti alla vita eremitica. Il battente di sx porta lo scheletro di un albero, il cranio di un caprone ed un teschio, simboli che richiamano la morte, ma il gufo rappresentante il monaco solitario che veglia sul mondo e la pietra funeraria incisa con brano del Liber Eremiticae Regula del Priore Rodolfo (XII sec.), sintesi della vita eremitica, tendono alla speranza. L’albero vivo ma in aspetto invernale del battente di dx si richiama alla spogliazione della vita solitaria; il passero solitario rivolto verso la campana rappresenta l’eremita rivolto verso il simbolo dell’eremitismo; l’uovo ai piedi dell’albero è simbolo di vita. I riquadri della parte posteriore della porta rappresentano un libro aperto dove, in calce alle pagine, è riportata suddivisa una frase del Liber Eremiticae Regula, da leggere di seguito nell’ordine delle foto, che appunto costituisce la regola principale del vivere eremitico (1/12/13).
004s/004z – Presso il parcheggio dell’Eremo si trova la Fonte della Bista, prima e dopo la trasformazione nell’ambito del Programma LIFE e del progetto WetFlyAmphibia (15/03/13 – 6/02/20).
005a – 005b – 005c – All’inizio della Corta che risale all’eremo si trova il ponte in pietra sul Fosso di Camaldoli, risalente al 1456, restaurato nel 1984, sostitutivo di un più antico ponte in legno, che informa riguardo il livello e l’ampiezza del tracciato viario antico (29/06/11 – 9/02/20 – 13/02/20).
005d/005l – La Cappella Madonna la Neve o della Neve è stata ottimamente restaurata nel 2012 sia nel ritrovamento dell’originale piano di campagna sia nel rispetto delle strutture e delle decorazioni interne. In ultimo particolare di una foto del 1922, esposta nella bacheca illustrativa della cappella e relativa al momento dei lavori di ampliamento stradale, da cui si comprende come la cappella si trovasse a ridosso di uno sprone montano, quindi probabilmente la strada passasse sul lato opposto rispetto all’odierno (29/06/11 – 12/03/13 - 9/02/20).
005m/005s - Superata una croce sorretta da grossi massi si trova l’unico tratto superstite dell’antico selciato viario che, nel superare con una moderna passerella in legno un fossatello affluente del Fosso di Camaldoli, rivela i resti di un’ulteriore ponticello in pietra (9/02/20).
006a/006h – Al termine del tratto superstite dell’antico selciato viario si trova la Fonte del Vigoroso, prima e dopo la trasformazione nell’ambito del Programma LIFE e del progetto WetFlyAmphibia (12/03/13 – 9/02/20).
006i – 006l - Adiacente ad uno stretto tornante stradale si trova un’area prativa lambita dal Fosso di Camaldoli dove si trova la secca Fonte Curvone, poco oltre un ponticello ligneo (attualmente sbarrato) consente (consentiva) di percorrere un tratto suggestivo del versante in dx idrografica del Fosso di Camaldoli con resti di selciato di una pista boschiva (9/02/20).
006m/006u – La Cappella di S. Romualdo si trova tra i resti di un tratto dell’antico selciato e il Fosso della Bruciata, affluente del Fosso di Camaldoli; in chiave d’arco, lo stemma camaldolese raffigura due colombe che si abbeverano ad un solo calice, espressione della comunione di vita comunitaria ed eremitica coniugata alla congregazione camaldolese che, architettonicamente, si realizza nella compresenza nella stessa struttura, sia dell’eremo che del monastero; sotto lo stemma è incisa la data 1583 (12/03/13 – 9/02/20).
007a/007h – Oltre una passerella lignea sul Fosso della Bruciata si trova la Fonte di Maurizio, prima e dopo la trasformazione nell’ambito del Programma LIFE e del progetto WetFlyAmphibia (12/03/13 – 9/02/20).
007i – 007l – Le Tre Croci segnalano il confine non superabile dalle donne, a lato il tracciato della vecchia via (12/03/13 – 9/02/20).
007m/007t – Il Laghetto Traversari (12/03/13 – 9/02/20).
008a/008e – La confluenza dei Fossi della Bernardina e dell’Abetiola dà origine al Fosso di Camaldoli (16/01/14 - 6/02/14).
008f – 008g – Subito a monte del Ponte di Prato al Fiume si aggiunge il Fosso del Fulmine, completando l’origine del Fosso di Camaldoli (16/01/14).
008h – 008i – 008l – Il Fosso di Camaldoli a Prato al Fiume (a valle del ponte) e poco più oltre, prima che si infossi scomparendo alla vista dalla S.P. dell’Eremo (15/03/13 – 29/03/13).
008m/008v – Un tratto impervio del Fosso di Camaldoli, con caratteristici trovanti rocciosi coperti di bianchi licheni, si può seguire grazie ad un’antica pista forestale che si imbocca presso la Fonte Curvone (13/02/20).
009a/009h - La pista forestale, con resti di selciato, si abbassa fino ad attraversare il Fosso di Camaldoli tramite una passerella lignea, però sbarrata. Qui lungo le sponde si notano accumuli di massi forse relativi ad antichi argini (13/02/20).
009i – 009l – 009m – Il ponte stradale copre la confluenza del Fosso della Bruciata nel Fosso di Camaldoli (13/02/20).
009n – 009o – Giungendo a Camaldoli, nella sistemazione odierna, il fosso si allarga e rallenta di vigore (9/02/20).
009p – 009q – Poco a valle di Camaldoli, dal sent. 68 A CAI per Cerreta, che si mantiene alto in dx idrografica, si nota il fabbricato della Centrale elettrica, a forza idraulica, probabilmente di fine Ottocento/inizio Novecento (27/12/11).
009r – 009s – 009t - Il sent. 68A CAI percorre in parte il tracciato dell’antica strada che giungeva dalla piana casentinese, nel Catasto Toscano del 1826 detta Via del prato al tiglio, di cui si trova un consistente tratto di massicciata in rilevato (27/12/11).
010a/010f – A Cerreta un viale di Abeti di Douglas e Cedri dell’Atlante piantati nel 1911 costeggia alto il vivaio fino ad un’ampia area di sosta. In questa amena località i monaci avrebbero voluto ricostruire il convento distrutto da un incendio il 18 gennaio 1203, forse perché probabilmente aveva strutture prevalentemente lignee, ma il vescovo di Arezzo, proprietario dell’area si oppose. Il vivaio, insieme a quello di Metaleto, forniva ogni anno da 3.000 a 30.000 piantine di abete per le piantate di mantenimento della foresta (29/05/11 - 27/12/11).
010g/010m - La Maestà della Cerreta ormai mantiene poco delle sue antiche origini a seguito delle varie ristrutturazioni o pesanti restauri sostitutivi subiti nel corso del tempo, l’ultimo del 2011 (29/05/11 - 9/02/20).
010n/010s – Il Casotto di Braga, lungo la SP dell’Eremo, è un rifugio forse ricavato da una cappella dismessa risalente al 1905 (15/03/13 - 9/02/20).
010t – 010u – 010v – La Fonte della Bruna, come risistemata nel 1982, si trova lungo la SP. Dell’Eremo; il gatto inciso è il logo dell’allora Amm.re ASFD Padula (12/03/13 - 9/02/20).
011a/011f - Dall’antica Strada della Duchessa, sent. 70 CAI, si rasenta la Fonte della Duchessa che presenta un abbeveratoio in legno ormai precario (20/02/20).
011g/011p – La Strada della Duchessa, sent. 70 CAI, raggiunge il Rifugio Cotozzo (Coordinate WGS84 43° 47’ 34” N / 11° 49’ 56” E), che sorge sul luogo dell’antico Cotozzo, poi C. Cotozzo, infatti pare costruzione del tutto eterogenea, datata 1975, con fonte del 2008 (23/06/14 - 20/02/20).