Casanova dell'Alpe
La più alta frazione del comune di Bagno di Romagna (971 mt slm) posta sul crinale che divide le vallate del Bidente di Pietrapazza dal ramo del Bidene di Ridracoli.
Frazione documentata fin dal XIV secolo conosce il suo momento di massimo splendore nel corso del secolo XIX.
La popolazione era principalmente occupata nella lavorazione del legno, nello smacchio e nella fabbricazione del carbone di legna.
Nel 1850 si contavano 200 abitanti, e nel 1878 vi fu aperta un'osteria.
Nel 1944 fu teatro di scontri fra i partigiani e le truppe tedesche, in loco furono eseguite anche fucilazioni.
Nel dopoguerra sede di una scuola elementare.
Dagli anni sessanta subisce come tutta la zona circostante un progressivo abbandono che culmina nel 1980, anno in cui i residenti si azzerano.
Il piccolo borgo era formato dalla chiesa di Santa Maria del Carmine a cui è annesso ampio fabbricato e altro edificio posto di fronte. A fianco della chiesa l'edificio scolastico inaugurato nel 1960. Frazione abbandonata nel 1981, i fabbricati più antichi sono stati oggetto di recenti pregevoli ristrutturazioni, e la chiesa riconsacrata.
Così la descrive il Repetti nel 1832:'Giace sul dorso di uno sprone dell’Appennino, che scende dal giogo di Camaldoli fra i due Bidenti di Ridracoli e di Strabatenza.
La parrocchia di Casanuova di Bagno ha 157 abitanti.'
Testo di Bruno Roba (19/01/2021)
Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto appenninico spartiacque compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine; in quell’ambito si staccano due contrafforti secondari e vari crinali e controcrinali minori delimitanti le singole vallecole del bacino idrografico. In particolare, le valli del Fiume Bidente di Ridràcoli e del Fiume Bidente di Pietrapazza sono separate dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si diparte da Poggio allo Spillo (collegando Poggio della Bertesca, Croce di Romiceto, i Monti Moricciona, La Rocca, Marino, Pezzoli, Poggio Busca e Monte Carnovaletto) per concludersi con il promontorio della Rondinaia digradando a valle di Isola costretto dalla confluenza del Fiume Bidentino o Torrente Bidente di Fiumicino nel Fiume Bidente. La Rondinaia è nota per il castello con la sua torre «[…] baluardo di antica potenza, elevato fin dai tempi romani alla difesa contro le orde barbariche che dal nord d’Europa scendevano a depredare le belle contrade d’Italia.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 274).
L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio. Già nel paleolitico (tra un milione e centomila anni fa) garantiva un’ampia rete di percorsi naturali che permetteva ai primi frequentatori di muoversi e di orientarsi con sicurezza senza richiedere opere artificiali. Nell’eneolitico (che perdura fino al 1900-1800 a.C.) i ritrovamenti di armi di offesa (accette, punte di freccia, martelli, asce) attestano una frequentazione a scopo di caccia o di conflitto tra popolazioni di agricoltori già insediati (tra i siti, Campigna, con ritrovamenti isolati di epoca umbro-etrusca, Rio Salso e S. Paolo in Alpe, anche con ritrovamenti di sepolture). In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae, l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, come per l’intero Appennino, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur mantenendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate ma p. es., nel Settecento, chi voleva salire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami che venivano così descritti: per il Corniolo «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi in modo che appena vi può passare un pedone […]», per Ridràcoli «[…] composto di viottoli appena praticabili […]» e per S. Paolo in Alpe «[…] largo in modo che appena si può passarvi […].» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, citato da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna Toscana e il Casentino nei tempi granducali. Assetto paesistico-agrario, viabilità e contrabbando, in: G.L. Corradi e N. Graziani - a cura di, 1997, p. 82, cit.). Tale descrizione era del tutto generalizzabile: «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi - a cura di, 1992, p. 32, cit.). Nel XIX secolo il panorama certamente non migliorò: «Cavalcando […] vidi […]. La foresta dell’Opera sulla pendice precipitosa verso Romagna era manto a molte pieghe dell’Appennino, al lembo di quel manto apparivano le coste nude del monte […]. Sugli spigoli acuti delle propaggini del monte si vedevano miseri paeselli con le chiese: San Paolo in Alpe, Casanuova, Pietrapazza, Strabatenza; impercettibili sentieri conducevano a quelli, e lì dissero le guide i pericoli del verno, la gente caduta e persa nelle nevi, […] i morti posti sui tetti per non poterli portare al cimitero, e nelle foreste i legatori del legname sepolti nelle capanne […]» (Leopoldo II di Lorena, Le memorie, 1824-1859, citato da: G.L. Corradi, O. Bandini, “Fin che lo sguardo consenta di spaziare”. Scelta di testi dal XIV al XIX secolo, in: G.L. Corradi - a cura di, 1992, p.78, cit.). Così, se al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX. Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo di Firenze è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.). Fino alla costruzione della strada sterrata (1959-69, inizialmente con deviazione dalla S.F. del Cancellino al Paretaio, poi collegata alla S.F. Grigiole-Poggio alla Lastra) - in gran parte fortunatamente salvaguardato dal distruttivo progetto dell’ingegnere granducale Ferroni che, tra le ipotesi di “strada dei due mari” che doveva unire la Toscana e la Romagna, indicava il tracciato montano Moggiona-Eremo di Camaldoli-Passo della Crocina-Casanova in Alpe-Santa Sofia (essendo ritenuto idrogeologicamente valido) - il crinale che dal Passo della Crocina si svolge fino alla Rondinaia (in parte anticamente detto Strada che dal Sacroeremo va a Romiceto) nelle varie epoche (fino alla demanializzazione delle foreste) era frequentato dagli operatori del settore del legname, lavoratori e commercianti, incrociando altri itinerari di collegamento alle vallate laterali, in particolare nel baricentro economico-religioso di Casanova dell’Alpe. Tra essi la Mulattiera Ridràcoli-Bagno (su una pietra cantonale della chiesa sono ancora leggibili le distanze chilometriche – evidentemente non più valide - km 12,358 per Bagno e km 5,933 per Ridràcoli) che era una deviazione della Mulattiera di Ridràcoli diretta a Santa Sofia tramite Strabatenza, dove a la Bottega un tratto risaliva la valle del Trogo come Mulattiera di Casanova, e la Mulattiera di Pietrapazza, che collegava anch’essa Bagno di Romagna con Ridràcoli. Essa, seguito l’itinerario Colla di Càrpano, Rio d’Olmo, Pietrapazza, Siepe dell’Orso, da Croce di Romiceto diveniva anche Strada Maestra di S. Sofia trovando subito la Maestà di Valdora; superata la chiesa e il cimitero una deviazione aggirava in alto la gola del Fosso Rogheta (occorre immaginarsi la continuità del versante del Monte Moricciona prima del taglio della sterrata) e, come Strada che dal Pontino va alla Casanova, raggiungeva il crinale del Monte Cerviaia all’altezza della Maestà della Chiesaccia (presente nella mappa I.G.M. del 1894, dove un parziale restauro ha eliminato le tracce dell’incisione precedente 'M.M. 1919' ed è stata posta un’icona con targhetta 'MADONNA GRECA VENERATA A RAVENNA' datata agosto 2004). Presso la grande Croce di Pratalino (in legno con grande basamento lapideo monoblocco, forato al centro per la sede crucifera, che è stato posizionato accanto in occasione del restauro curato, come da targa, dall’Associazione Nazionale Alpini, GRUPPO ALTO BIDENTE “Capitano DINO BERTINI”), si imboccava la discesa verso Ridràcoli mentre la via di crinale raggiungeva Pratalino passando per luoghi detti la Chiesaccia o vestigie della Chiesa Vecchia (S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, pp. 100-106 cit.). Altre mulattiere permettevano i collegamenti con il fondovalle ed i vari insediamenti. Negli anni ’50 alle estremità delle mulattiere vennero installati i cippi stradali riportanti la rispettiva denominazione, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli. A seguito dell’infrastrutturazione viaria del XX secolo venne realizzata una carrareccia che dal Podere Romiceto raggiungeva Valdora (come ad agevolare il suo coincidente abbandono), riutilizzando parti della via proveniente da Romiceto e dell’antica Strada che va alla Casanova, e che da qui pure discendeva nel fondovalle seguendo in dx idrografica il Fosso dei Bruciaticci fino al guado del Fosso Rogheta presso Il Castelluccio, quindi risaliva nell’area degli insediamenti probabilmente fino a Il Casone, forse nell’ambito dei programmi regionali dell’ex A.R.F. di contrasto all’abbandono del patrimonio edilizio nel Demanio forestale.
Casanova dell’Alpe era il podere che, con maggiore rilievo, si estendeva nella valle del Fosso Rogheta che, riunificandosi con il Fosso di Romiceto, dà origine al Fosso del Molino, braccio lacustre di cui si compone il Lago di Ridràcoli (insieme ai Fossi delle Macine, poi di Campo alla Sega, degli Altari, della Lama, e all’asta torrentizia costituita dalla sequenza dei Fossi del Ciriegiolone, dell’Aiaccia e del Molinuzzo). Gli altri appoderamenti che si insediarono nei versanti favorevolmente esposti della Valle del Rogheta, tutti diruti o scomparsi, furono Il Casone (posto al margine del bacino idrografico direttamente scolante nel Fosso del Molino), Casina o La Casina e Cà di Rombolo (così trascritti nel Catasto Toscano del 1826) o Romolo, appartenenti a privati, documentati per la prima volta nel 1765/66 grazie ai registri delle imposizioni fiscali del Capitanato di Bagno. Ricadeva nella Valle di Romiceto il Molino di Carpanone o del Carpanone, che serviva la zona di Casanova dell’Alpe, di cui è noto il mugnaio che lo conduceva nel 1816 ed un contratto di acquisto del 1819 (S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, p.177, cit.): ancora rappresentato nella Carta d’Italia dell’I.G.M. del 1894 era già allo stato di rudere in base alla mappa del 1937. Altri luoghi e/o poderi sono documentati tra i possedimenti già di proprietà dell’Opera del Duomo di Firenze in Romagna (i beni sottratti ai conti Guidi dalla Repubblica fiorentina vennero “assegnati in perpetuo” all’Opera di S. Maria del Fiore). L’Opera, avendo preso possesso delle selve “di Casentino e di Romagna” dove desiderava evitare nuovi insediamenti, aveva constatato che, sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove, si manifestavano numerosi disboscamenti e roncamenti non autorizzati. Dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. La citazioni più antiche relative alla Valle del Rogheta, ripresa da detto elenco, risalgono agli anni 1545-47 e riguardano Pratalino e Valdora: «[...] dei livelli che l’Opera teneva in Romagna […] se ne dà ampio conto qui di seguito […] 1545 […] – Una presa di terra cerretata detta le Mandriacce e Romiceto confina con i beni censuati di Valbona dell’Opera e scende giù fino alla testa del raggio di Valdora e sono some 19 e 1 staio - Una presa di terra in Valdora in luogo detto alla Pozzaccia […] 1547 […] – Una presa di terra lavorativa e roncata con casa posta al Pratalino di some 15 […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 150, cit.). Ulteriori insediamenti storici di una valle scarsamente abitata sono il Podere Romiceto (nel 1636 si dà conto per la prima volta dell’esistenza di una casa, tutt’ora utilizzata) e due fabbricati detti Capanna e La Capannella (scomparsi, erano posti lungo l’antica via che collegava Romiceto con Valdora), mentre il sempre più fatiscente fabbricato de Le Grigiole (che pare sia sorto per servizio degli operai dell’Opera del Duomo di Firenze prima e dell’A.S.F.D. poi) appare per la prima volta nella cartografia I.G.M. del 1937. Fabbricati geograficamente confinanti ma evidentemente afferenti alla stessa area già erano il Paretaio e Siepe dell’Orso, tutt’ora utilizzati, mentre de Il Poderino oggi non rimane praticamente traccia. Riguardo il tipo di interesse per il legname di questi boschi fa fede una lunga relazione del 1652 presentata direttamente al granduca contenente una molto precisa descrizione dei luoghi e della qualità delle piante presenti a fini economici e da cui si ricava un interessante elenco dei numerosi “vocaboli” che identificano i vari siti: «La […] Valdoria si trova passando dal Comignolo nel Felcetino al dirimpetto del quale sono le Fontanacce, più alto la Canapaia, poi la Lecceta, e i Balzoni, e quella balza che propriamente si chiama Valdoria. In questi luoghi l’Opera di presente fa fare parte dei suoi legni quadri e son più abbondanti di faggi che di abeti e gli abeti sono per lo più inutili per le galere. Nella spiaggia solamente di Valdoria, verso il fondo quanto acqua pende verso il fosso del Romiceto, vi si trovano alcuni abeti buoni per legni tondi barca e alberi di trinchetto e antenne di maestra di galeazza […], perché se alcune ve n’è a grossezza d’alberi di maestra sono torti o nodosi o altrimenti infetti e fuori detto fondo non vi è legni buoni per galere perché verso la Cresta del Poggio non allungano. Di questo luogo dunque non è da far capitale […]. Però non è da pensare a farvi strade quando fussero peraltro fattibili che non sono, atteso che conviene cavar legni o per Giogo o per la Lama. Per Giogo si reputa impossibile non solo in riguardo de sassi svolte e dirupi che vi sono ma ancora perché per Giogo i buoi non vi avrebbero ne acque ne pasture e per la Lama si vede qualmente essere impossibile o più giacchè oltre alle difficoltà simili che per condurli nella Lama si incontrerebbero poi quell’altre che per cavarli dalla Lama si sono quivi accennate. Con la detta parte di Valdoria comprendesi la Macchia di Romiceto quella delle Grigiole, le coste della Penna, e di Giogo, Pian di Sambuco, e Siepe dell’Orso, e il Pianazzone. Luoghi di la di Valdoria verso levante e sopra di essa verso Giogo ma che piuttosto debbonsi chiamare faggete invece che abetie essendovi fra cento faggi dieci abeti e questi brutti.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 270-271, cit.).
Le prime notizie di Casanova dell’Alpe, unico insediamento ancora oggi frequentato, risalgono al XIV secolo grazie ai rapporti della Descriptio provinciae Romandiole, quando corrispondeva «[…] all’antico Castronuovo dei Conti di Valbona il quale nel 1371 conteneva 6 focolari. Ora la parrocchia di Santa Maria del Carmine di Casanova, diocesi di Borgo San Sepolcro, conta 157 abitanti.» (E. Rosetti, 1894, p. 170, cit.). Nella Descriptio «Di seguito al castrum di Valbona vengono poi elencate tre piccole ville con una somma di focularia assolutamente trascurabile […]» (L. Mascanzoni, La Romagna toscana nell’ottica pontificia, in: N. Graziani, a cura di, 2001, p. 761, cit.) tra cui la Villa Castrinovi, così comparente nella mappa allegata al testo citato. Il toponimo richiama la sua origine nell’ambito delle pratiche riorganizzative del territorio basate sull’appoderamento spinto sempre più in quota: «Se le zone più vicine al crinale avevano un’importanza fondamentale nella vita delle comunità, […] si deve tuttavia precisare che gli abitati non si spingevano mai oltre una certa altezza. Nel 1371, […] c’erano: […] le “ville” di Strabatenza e Castelnuovo, attuale Casanova dell’Alpe, che dipendevano rispettivamente da Salvatico e Carlo di Valbona e da Francesco di Dovadola. Tuttavia l’aspetto francamente montano di molte di queste località non era determinato dalla loro altezza sul livello del mare, ma piuttosto dall’angustia e dall’opacità delle valli, dall’estensione dei prati e dei boschi, dall’incombere della montagna subito a ridosso degli abitati, dalle caratteristiche del clima.» (G. Cherubini, L’area del Parco tra Medioevo e prima età moderna, in: G.L. Corradi, a cura di, 1992, p. 18, cit.). Successive documentazioni dell’Archivio dell’Opera riguardano la concessione in affitto del Podere della Casanuova, o Casa Nuova, e del Podere del Castelluccio da parte dell’Opera, come da un accurato elenco relativo al 1637: «1637 – Nota dei capi dei beni che l’opera è solita tenere allivellati in Romagna e Casentino e sono notati col medesimo ordine col quale fu di essi fatta menzione nella visita generale che ne fu fatta l’anno 1631: […] 40) Felcetino e Fossette terre tenute da redi di Antonio di Santino detto il Cordovano. L’anno 1636 il Felcetino fu distinto e separato dalle Fossette perché quello fu unito al Podere del Castelluccio e queste furono unite al podere della Palestrina […] 42) Castelluccio, podere tenuto da redi Riccardo Lollini. 43) Cerreta, terra tenuta da redi di Lionardo Cascesi unita al Podere della Casanova […] 48) Casanova, podere tenuto da Lionardo Cascesi 49) Casanuova, terre tenute da Lionardo Cascesi unite al podere Casanuova [...]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 410-411, cit.). Seguono documentazioni del 1677: «[…] siccome li poderi di Romagna appresso notati cioè […] Casa Nuova tiene a livello Pier Soldini […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 329, cit.), del 1737: «[…] avendo Francesco di Pasquino Giovannetti […] fatto domandare in affitto […] il podere della Casa Nuova e Chiesaccia […] posto in Romagnia comune di Ridracoli […], il che essendogli stato concesso […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 428, cit.), del 1751: «[…] 17) Podere della CASA NUOVA tenuto in affitto da Gio Batta di Antonio. Questo podere […] va di anno in anno peggiorando a motivo di non mantenere aperte le fosse per reggere l’acqua ai suoi luoghi talmente che scorrendo questa a suo piacimento cagiona notabile danno alle terre […]. Il suddetto podere della Casa Nuova continuando in questo stato si scredita talmente che non si troverà da affittarlo ma dandolo a qualche signor Cappellano […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 437, cit.). Una documentazione non datata, comunque di fine ‘700, per la prima volta contiene una descrizione delle case rurali, tra cui la «[…] Casa del podere della Casa Nuova: Piano a terreno – Vien formato da una stalla per le vacche la quale ha l’accesso per mezzo di una loggetta a cui è contigua una piccola stanza. Piano a palco – Si entra in una loggetta di faccia alla quale vi è il forno e si passa in una stanza con il camino. Questa è in soffitta alla quale si ascende per mezzo di una scala a pioli ed è suddivisa con diversi tramezzi di tavole per comodo di letti.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 447, cit.). Nel 1765/1766 il podere è dato in affitto a Alessandro Brilli e lavorante Gio. Domenico Marianini, ma anch’essi ne fanno un cattivo uso solo a pascolo e senza coltivazioni, tanto che nel 1789, quando vennero affittati al parroco della chiesa di Casanova, da una relazione sui canoni da stabilirsi, risulta che i: «I soli poderi della Casa Nuova, […] potrebbero allinearsi e vendersi […] ma sono ridotti in tal cattivo stato dai passati affittuari […] e le case e stalle e capanne si trovano in stato rovinoso perché non si hanno fatti gli annuali risarcimenti dal 1730 […] sarei di preferire nell’affitto presente dei poderi Casanuova […] […] il parroco della Chiesa della Casanuova di padronato dell’Opera per essere il primo contiguo a detta chiesa […] il parroco suddetto può ricevere in quella parte abbandonata d’altre case, dal contadino della Casanuova una qualche assistenza ai suoi bisogni e può profittare per il suo servizio della stalla e forno dei quali stabili manca la canonica di detta chiesa […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 441, 442, cit.). Nel 1818 venne stipulato un Contratto livellario tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli e in esso si trova un’ulteriore descrizione dei fabbricati: «Tutta questa tenuta […] è composta dai seguenti terreni cioè […] 13° Un podere denominato della Casa Nuova […] con casa da lavoratore composta di numero tre stanze da cielo a terra, forno e fornella, loggia d’ingresso, aia; altra fabbrica di numero sei stanze, stalla e capanna e numero quattro stanze per uso delle guardie; tutto questo fabbricato è in cattivo stato […].» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 466, 470, cit.). Sciolto d’imperio il contratto del 1818 per inadempienze nell’applicazione di un rigoroso regime forestale ai possedimenti dell’Opera, nel 1840 il Granduca fece stipulare un nuovo contratto con il Monastero di Camaldoli, così si trovano ulteriori precisazioni: «Avendo S.A.I e Reale riconosciuto l’importanza del pubblico interessa di assoggettare la foresta dell’Opera di S. Maria del Fiore ad un rigoroso regime forestale, che ne garantisca in seguito la perpetua regolare conservazione, ed avendo considerato che ciò non era altrimenti compatibile coll’osservanza e continuazione del contratto di livello stipulato fra la detta Opera e i RR. Monaci di Camaldoli, […] comandò che il contratto medesimo si dovesse, a tutti gli effetti, considerare sciolto in tronco […] i suddivisati poderi […] si compongono come appresso: […] N° 12 – Podere detto la Casa Nuova, posto nella comunità di Bagno e nel popolo di Santa Maria del Carmine alla Casa Nuova. Terreni. Questo podere si compone parimenti di un solo tenimento di terra tutto costituito in poggio intersecato dal Fosso del Diavolo e da altri borratelli e stradelle conosciuto per i vocaboli: Pian di Varotto, la Borgonata, la Casa Nuova, i Fondi, le Busche del Ghiro, la Chiesaccia, i Campi sotto Casa, la Macchia, i Pratacci e le Bruciate dei Pianelli […]. E vi confina a 1° nella parte superiore sul crine del poggio Via maestra di Santa Sofia, 2° strada che dalla Casina sale alla Casa Nuova, 3° terre addette al podere di Valdora […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 505, 524, 525, cit.). Dalla descrizione dei confini si rileva come il podere ricadesse per intero nella valle del Fosso Rogheta.
Riguardo la chiesa le prime documentazioni risalgono al 1685-95 quando, nel luogo di quella odierna, viene eretto l’Oratorio di S. Antonio da Padova che, in occasione della visita apostolica del 1720 risulta disporre di un dipinto, forse proveniente da Firenze, rappresentante la Madonna del Monte Carmelo, S. Antonio da Padova e S. Teresa. A tale data risulta che nei pressi era stata costruita una casetta per il prete che giungeva saltuariamente. Previo adeguamento strutturale, nel 1784 diviene la Chiesa di S. Maria del Carmine che, in occasione della visita pastorale del 1786 risulta disporre di una campana del 1221 di provenienza non nota. Nel 1818 la canonica, nel frattempo ampliata, giunge a contare nove stanze, la descrizione si trova nel già citato Contratto livellario di tale anno: «Chiesa e Canonica della casa Nuova, Prioria. Questa Chiesa di proprietà dell’Opera di S. Maria del Fiore alla quale spetta il mantenimento viene compresa nel livello. Oltre la chiesa, composta di una sola navata, vi è la canonica formata di numero nove stanze da cielo a terra con un sottoscala. Tanto alla chiesa che alla canonica vi occorrono dei risarcimenti e segnalatamente di intonacare tutte le mura esterne […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 470, cit.). Il già citato nuovo contratto del 1840 il Granduca escluse definitivamente la parte edificata del podere da ogni cessione in affitto: «N° 12 - Podere detto la Casa Nuova […]. Terreni. Si dichiara che la casa colonica di corredo al detto Podere della Casa Nuova e gli altri due fabbricati uno ad essa contiguo e l’altro separato e quasi a contatto della canonica della Chiesa di Santa Maria del Carmine alla Casa Nuova, restano unitamente ai loro resedi e allo spazio compresi fra questi fabbricati e la canonica e fabbrica della Chiesa predetta, esclusi dal presente livello e rimangono riuniti alla tenuta forestale dell’Opera di Santa Maria del Fiore […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 524-525, cit.). Nel 1842 la chiesa viene nuovamente ampliata ma la tessitura muraria non evidenzia interruzioni della ricucitura; in tale data risulta disporre di una campana che recava incisa data e nome del fusore: A.D. MCCCCXIII DOMINUS GUASPAR DE GALEATA ME FECIT. Nel 1883 avvenne un ulteriore ampliamento. Un inserto marmoreo in facciata specifica: 1899 OPA 1695 ovvero, evidentemente installato nella data più recente sebbene realizzato in stile sei-settecentesco, ricorda la data di edificazione del sopracitato primo oratorio. Dalla dettagliata descrizione della visita apostolica del 1901 si apprende che all’interno misurava m 13,00x4,60x3,85 di altezza, che dal retro dell’altare si accedeva ad una sacrestia con due piccole finestre, quindi alla canonica, dotata di due ingressi, uno di accesso a rimessa, stalla e cantina, l’altro alle scale per il P.1° con andito, cucina, dispensa, sala, stanza per la servitù e stanza del prete. I terremoti del 1818-19 danneggiarono tutti i fabbricati; la chiesa venne restaurata solo nel 1932 mentre la canonica era in cattivo stato ed un piccolo fabbricato stava per rovinare. Il campanile sarebbe stato costruito nel 1915, come da epigrafe in marmo: COSTRUITO DAI FRATELLI PAOLO E FRANCESCO MILANESI 1915, ma l’apposizione dovrebbe essere successiva così come la datazione pare incongrua (peraltro la pietra di colmo reca la datazione 2001). «La chiesa, […] fu sempre una Parrocchia poverissima e malagevole che metteva a dura prova la fede e i nervi dei preti della Diocesi di Sansepolcro: spediti tra questi monti, condividevano totalmente la solitudine, le fatiche e i disagi del loro popolo […]. Qui […] esperienza e saggezza consigliava loro di dividere il tempo tra l’uffizio e l’orto, tra la cura delle anime e la doppietta o il tresette.» (G. Marcuccini, Le valli alte del Bidente: un cammino nella memoria, in: G.L. Corradi, a cura di, 1992, p. 121, cit.). Dal confronto tra i documenti del 1789, del 1818 e del 1840 (dove vengono descritte prima “le case e stalle e capanne” e un “forno” poi, più precisamente, una casa colonica e altri due fabbricati, uno contiguo alla casa e l’altro separato e contiguo alla canonica della chiesa, infine il numero delle stanze e il loro uso, da dividersi tra i due fabbricati sotto strada), il Catasto Toscano del 1826, le diverse fotografie degli scorsi anni ‘40 e la situazione odierna, risultano consistenti modifiche: la casa colonica principale del podere pare forse ampliata e il fabbricato “ad essa contiguo”, pare ricostruito e traslato in parziale aderenza come annesso-fienile; l’altro fabbricato “separato e quasi a contatto della canonica della Chiesa” non è riconoscibile nell’odierno annesso posto lungo strada a lato della canonica e probabilmente solo planimetricamente corrisponde al fabbricato a torretta su due livelli, sporgente ad ingombrare la via, che si nota in alcune foto d’epoca (nel 1932 pericolante, evidentemente è stato ridimensionato). Nel catasto antico ovviamente non compare l’ampliamento della chiesa (risalente al 1842), avvenuto sia anteriormente, spostando la facciata in avanti (ben evidenziato dalle mappe), sia sul retro realizzando l’aderenza con la canonica (che sempre da una foto del 1940 pare evidenziata dall’esistenza di una leggera differenza di quota della gronda del tetto). A Casanuova aprirono due osterie che si rifornivano di vino da Badia Prataglia, lo Spaccio di Vino di Paolo Milanesi aprì nel 1878 nella Casa di Guardia (localizzata nell’edificio sotto strada ancora esistente), sostituito nel 1891 dal Ristorante Alpi di Dina o Giustina Tacconi, conseguentemente l’osteria si trasferì alle Fiurle; nel 1915 aprì l’Osteria di Simone Rossi. Dal 1940, cessata la guardiania, nell’edificio vi abitarono alcune famiglie fino all’abbandono nel 1970 (altre notizie in: C. Bignami, 1994, cit.) ma, entro 20-25 anni l’edificio verrà attentamente ristrutturato per uso residenziale saltuario. Nel 1956 fu costruita la nuova scuola rurale, prima operante nella canonica «[…] la buia stanzetta che accoglieva – si fa per dire – la scuola elementare di Casanova dell’Alpe. […] nel 1957, […]» (M. Bartolini, Ricordi di un maestro, in A. Bignami, 1994, p. 61, cit.) e, tra il '59 e il '69, quando il borghetto ormai era disabitato, con la scuola in chiusura (1968). Il cimitero (non è nota la datazione, ma ovviamente è conseguente alla riforma napoleonica del 1804), è stato restaurato e conserva alcune pregevoli lapidi storiche.
In merito alla conoscenza e alla descrizione dei luoghi ha grande importanza la «[…] raccolta manoscritta relativa alla Romagna granducale e al Casentino prodotta dia “pittori paesaggisti” Antonio Fedi e Francesco Mazzuoli – sotto la direzione del matematico Pietro Ferroni – nel 1788-89, durante i lavori di progettazione della Strada di Romagna da Firenze ai porti dell’Adriatico per l’Appennino tosco romagnolo. La Raccolta delle principali vedute degli Appennini del Mugello, Casentino e Romagna osservati dai punti più favorevoli sì dalla parte del Mare Mediterraneo, sì dall’opposta dell’Adriatico […] tipica del vedutismo pittorico di matrice rinascimentale – come dimostrano le numerose, suggestive scene di vita e le gustose figurine antropomorfe […]» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, a cura di, 1992, p. 39, cit.); in particolare, nella Veduta dell’Appennino e Monti secondari dell’Opera e Camaldoli dalla parte della Casa-Nuova in Romagna, del Mazzuoli, compresa in tale raccolta (1788, BNCF, G.F. 164 - Cfr. G.L. Corradi, a cura di, 1992, pp. 50-51, cit. e N. Graziani, 2001; p. 875, cit.), tra i rarissimi insediamenti umani rappresentati compare la Canonica e Chiesa Parrocchiale della Chiesa-Nuova dell’Opera di S. Maria del Fiore, sotto il titolo della SS. Vergine del Carmine.
Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alla scheda toponomastica Valle del Bidente di Ridràcoli e/o relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.
N.B.: - Informazioni preziose riguardo luoghi e fabbricati si hanno grazie ai rapporti della Descriptio provinciae Romandiole e delle visite pastorali o apostoliche. La Descriptio è un rapporto geografico-statistico-censuario redatto dal legato pontificio cardinale Anglic de Grimoard (fratello di Urbano V) per l’area della Romandiola durante il periodo della Cattività avignonese (trasferimento del papato da Roma ad Avignone, 1305-1377). Se la descrizione dei luoghi ivi contenuta è approssimativa dal punto di vista geografico, è invece minuziosa riguardo i tributi cui era soggetta la popolazione. In tale documento si trova, tra l’altro, la classificazione degli insediamenti in ordine di importanza, tra cui i castra e le villae, distinti soprattutto in base alla presenza o meno di opere difensive, che vengono presi in considerazione solo se presenti i focularia, ovvero soggetti con capacità contributiva (di solito nuclei familiari non definiti per numero di componenti; ad aliquota fissa, il tributo della fumantaria era indipendente dal reddito e dai possedimenti). In particolare, nelle vallate del Montone, del Rabbi e del Bidente furono costituiti i Vicariati rurali delle Fiumane. La visita apostolica o pastorale, che veniva effettuata dal vescovo o suo rappresentante, era una prassi della Chiesa antica e medievale riportata in auge dal Concilio di Trento che ne stabilì la cadenza annuale o biennale, che tuttavia fu raramente rispettata. La definizione di apostolica può essere impropria in quanto derivante dalla peculiarità di sede papale della diocesi di Roma, alla cui organizzazione era predisposta una specifica Congregazione della visita apostolica. Scopo della visita pastorale è quello di ispezione e di rilievo di eventuali abusi. I verbali delle visite, cui era chiamata a partecipare anche la popolazione e che avvenivano secondo specifiche modalità di preparazione e svolgimento che prevedevano l'esame dei luoghi sacri, degli oggetti e degli arredi destinati al culto (vasi, arredi, reliquie, altari), sono conservati negli archivi diocesani; da essi derivano documentate informazioni spesso fondamentali per conoscere l’esistenza nell’antichità degli edifici sacri, per assegnare una datazione certa alle diverse fasi delle loro strutture oltre che per averne una descrizione a volte abbastanza accurata.
- Negli scorsi Anni ’70, a seguito del trasferimento delle funzioni amministrative alla Regione Emilia-Romagna, gli edifici compresi nelle aree del Demanio forestale, spesso in stato precario e/o di abbandono, tra cui Il Castelluccio, Il Casone, Podere Romiceto, Pratalino e Valdora, divennero proprietà dell’ex Azienda Regionale delle Foreste (A.R.F.); secondo una tendenza che riguardò anche altre regioni, seguì un ampio lavoro di studio e catalogazione finalizzato al recupero ed al riutilizzo per invertire la tendenza all’abbandono, senza successo tranne il totale riutilizzo di Podere Romiceto. Con successive acquisizioni il patrimonio edilizio del demanio forlivese raggiunse un totale di 492 fabbricati, di cui 356 nel Complesso Forestale Corniolo e 173 nelle Alte Valli del Bidente. Circa 1/3 del totale sono stati analizzati e schedati, di cui 30 nelle Alte Valli del Bidente. Il materiale è stato oggetto di pubblicazione specifica.
RIFERIMENTI
AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;
AA. VV., Il luogo e la continuità. I percorsi, i nuclei, le case sparse nella Vallata del Bidente, C.C.I.A.A., Amm. Prov. Forlì, E.P.T. Forlì, Forlì 1984;
E. Agnoletti, Viaggio per le valli bidentine, Tipografia Poggiali, Rufina 1996;
C. Bignami (a cura di), Il popolo di Casanova dell’Alpe, Nuova Grafica, Santa Sofia 1994;
S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, I sentieri dei passi perduti. Territorio e mulattiere tra alta Val Savio e alta Val Bidente nel Comune di Bagno di Romagna. Storia e Guida, Coop. Culturale “Re Medello”, C.M. dell’Appennino Cesenate, S. Piero in Bagno 1987;
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G.L. Corradi e N. Graziani (a cura di), Il bosco e lo schioppo. Vicende di una terra di confine tra Romagna e Toscana, Le Lettere, Firenze 1997;
M. Foschi, P. Tamburini, (a cura di), Il patrimonio edilizio nel Demanio forestale. Analisi e criteri per il programma di recupero, Regione Emilia-Romagna A.R.F., Bologna 1979;
A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;
M. Gasperi, Boschi e vallate dell’Appennino Romagnolo, Il Ponte Vecchio, Cesena 2006;
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D. Mambrini, Galeata nella storia e nell’arte, Tipografia Stefano Vestrucci e Figlio, Bagno di Romagna, 1935 – XIII;
E. Rosetti, La Romagna. Geografia e Storia, Hoepli, Milano 1894;
P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anast. Castrocaro Terme 1989;
Piano Strutturale del Comune di Bagno di Romagna, Insediamenti ed edifici del territorio rurale, 2004, Schede n.229-875;
Bagno di Romagna, Carta dei sentieri, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2008;
Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze
Link www.fc.camcom.it;
Link www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.
Dalla Provinciale del Carnaio, strada per poggio alla Lastra, a ponte del Faggio girare a destra, superare Strabatenza proseguendo in salita fino a raggiungere un bivio (prendere a sinistra) proseguire poi sempre diritto fino al passo del Vinco.
Oppure dall'abitato di Ridracoli per sterrata che in 6,3 Km in salita raggiunge il passo del Vinco (mt 926) - al passo prendere a destra e proseguire per circa 2 Km su crinale.

foto del 2006
foto del 2020
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Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.
Nota – Per visualizzare le foto nel loro formato originale salvarle sul proprio computer, oppure se il browser lo consente tasto destro sulla foto e Apri immagine in un’altra scheda.
00a1/00a8 – Dal Monte Piano, sul contrafforte principale che si stacca da Cima del Termine, panoramica del pressoché intero contrafforte secondario da Poggio allo Spillo fino a Monte Pezzoli, con vedute ravvicinate del sito di Casanova dell’Alpe con il fondale dello Spartiacque Appenninico (1/10/12).
00a9 – 00a10 – 00a11 – Dal Monte Castelluccio, risalendo il contrafforte principale, panoramica del tratto del contrafforte secondario da Poggio della Bertesca e Monte La Rocca, con vedute su Casanova dell’Alpe (27/11/11 – 1/10/12).
00a12/00a15 – Dal Poggiaccio, risalendo ulteriormente il contrafforte principale, panoramica del tratto del contrafforte secondario da Poggio della Bertesca e Monte Marino, con vedute su Casanova dell’Alpe (si nota la scuola) (3/10/11).
00b1/00b5 - Dal Monte Penna, panoramica sulla valle del Bidente di Ridràcoli con vedute ravvicinate sulla valle del Fosso Rogheta, con un tratto del contrafforte secondario con il sito di Casanova dell’Alpe, oltre il quale l’effetto prospettico fa emergere il complesso dei Monti Marino e La Rocca apparentemente morfologicamente autonomi (7/02/11 - 26/01/12).
00c1 – 00c2 – 00c3 – Da Poggio allo Spillo, sul crinale dello Spartiacque (con asse visuale spostato di 1,3 km rispetto al M. Penna), panoramica del tratto del contrafforte secondario che si snoda tra Croce di Romiceto e i Monti Moricciona, La Rocca, Marino e Pezzoli, con veduta ravvicinata di Casanova dell’Alpe (10/05/21).
00d1/00d4 – Da S. Paolo in Alpe, vedute del versante occidentale del contrafforte secondario parzialmente occultato dal crinale (evidenziato) che collega i Monti Cerviaia e Palestrina; dietro la vetta del Cerviaia si trova Casanova dell’Alpe (24/10/18).
00d5 – Da Ronco dei Preti, panoramica dell’intero tratto terminale del contrafforte secondario che va a digradare con il Monte Carnovaletto e il Poggio della Rondinaia (in lontananza si vede S. Sofia) (24/10/18).
00d6 – 00d7 – Dalla collinetta de Il Poggiolo, scorcio verso Casanova dell’Alpe (si vede la ex-scuola) (27/07/20).
00e1/00e4 - Dalla pista che raggiunge Pratalino ed oltre verso il M. Palestrina (sentiero 235 CAI), panoramiche sulla valle del Fosso Rogheta e un breve tratto di contrafforte secondario tra il Monte Moriccione e il sito di Casanova dell’Alpe (19/07/16 – 16/10/16 – 4/07/17).
00e5 - 00e6 – Dai pressi di Casanova dell’Alpe, vedute verso la testata valliva del Rogheta tra Casanova e il Monte Moricciona (7/08/20).
00e7 – 00e8 – Dai pressi di Pratalino, vedute del sito di Casanova dell’Alpe (19/07/16).
00e9 – Elaborazione da foto d’epoca (Anni ’80) dove si nota lo stato del sito di Casanova al termine di una lunga epoca di disboscamenti.
00f1 – Elaborazione da mappa ottocentesca evidenziante la morfologia del contrafforte secondario che ospita Casanova nell’ambito dei contrafforti che si distaccano dallo Spartiacque Appenninico.
00f2 - Schema cartografico del bacino idrografico del Fosso Rogheta.
00f3 - Schema da mappa dei primi decenni dell’Ottocento evidenziante il sistema insediativo-infrastrutturale ed idrografico, con utilizzo della toponomastica originale, integrata a fini orientativi con i principali rilievi (identificati da utilizzo di grassetto nero), da cui si rileva la viabilità convergente su Casanova dell’Alpe.
00f4 – 00f5 – Schemi molto differenti per scala di rappresentazione: la prima da mappa di fine Ottocento, immediatamente precedente la costruzione della ferrovia Decauville destinata all’esbosco del legname, la seconda della prima metà del Novecento, dove compare già realizzata la Strada del Cancellino in sostituzione della ferrovia e la simbologia (4 puntini) dei fabbricati ridotti a rudere. La toponomastica riprende quella originale.
00g1/00g9 – Casanova dell’Alpe, vedute del nucleo religioso con la canonica e particolari vari; si intravede la scuola moderna (27/06/12 - 27/09/16).
00g10 – 00g11 – Particolari del cantonale della chiesa dove ancora si legge la distanza da Bagno di Romagna tramite la mulattiera Ridràcoli-Bagno (km 12,358): Maestà di Valdora-Siepe dell’Orso, Pietrapazza, Rio d’Olmo, Passo di Monte Càrpano (27/09/16).
00g12 – Interno della chiesa (elaborazione da foto d’epoca).
00h1 – Planimetria schematica di confronto tra catasto antico e situazione odierna.
00h2 – 00h3 – La parete esterna della chiesa e la gronda del tetto, ben restaurate, non evidenziano particolari utili ad identificare gli ampliamenti (5/10/16).
00h4 – Elaborazione di particolare di foto d’epoca (Anni ’40) da cui si rileva la piccola differenza di gronda del tetto che evidenzia l’ampliamento posteriore, oggi eliminata, ed il fabbricato a torretta sul fondo della strada, oggi notevolmente modificato.
00h5 – L’antico fabbricato colonico, anche Casa di guardia, oggi accorpato all’ex fienile e ristrutturato (27/06/12 – 27/09/16).
00h6 – L’annesso che sorge sul sito del vecchio fabbricato a torretta, di cui sopra detto (27/09/16).
00i1/00i10 – Il cimitero di Casanova, perfettamente restaurato con recupero delle antiche lapidi (27/06/12).
00l1/00l4 – Il cippo stradale e abbeveratoio della Mulattiera di Casanova, oggi sentiero 211 CAI che, tramite le Fiurle, il Trogo e il Molino delle Cortine, scende nel fondovalle del Bidente di Pietrapazza al Ponte Bottega (27/09/16).
00l5 – 00l6 – Il cippo stradale della Mulattiera di Pietrapazza, già Via Maestra di S. Sofia che, tramite Maestà di Valdora e Siepe dell’Orso, raggiungeva Pietrapazza per proseguire nel fondovalle.
00l7 - Elaborazione di particolare di foto d’epoca (Anni ’40) dove si nota l’effettiva consistenza della Via Maestra di S. Sofia che, in luogo della moderna strada forestale, da Casanova risaliva il crinale sul versante occidentale verso Maestà di Valdora e Croce di Romiceto.