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Pietrapazza

inserita da Appenninoromagnolo.it
Tipo : frazione
Altezza mt. : 613
Coordinate WGS84: 43 50' 23" N , 11 53' 55" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

frazione disabitata sul ramo del Bidente di Pietrapazza, raggiungibile in auto da Santa Sofia oppure per mulattiera, in parte distrutta da pista forestale, da Bagno di Romagna
In loco chiesa con annesso ampio locale un tempo utilizzato come pluriclasse.
Un piccolo sentiero che parte dal piazzale della chiesa conduce al vecchio cimitero, e all'antico ponte sul fiume Bidente.


Toponimo presente nell'itinerario Sentieri 209-(201)-(00)-(207)-205: sui crinali a sud di PIETRAPAZZA di www.gianlucacarboni.it

Anticamente denominata 'Prete Pazzo', piccola località ai margini della foresta. La chiesa dedicata a Sant'Eufemia è stata ricostruita nel 1938.
Diversi poderi circostanti facevano parte della frazione che nell'antichità contava oltre 200 abitanti, completamente abbandonata negli anni '70.
Così la descrive il Repetti:'Risiede in mezzo alle macchie di faggi sul rovescio orientale dell'Appennino di Prataglia, che la Toscana dalla Romagna divide, lungo la ripa destra del Bidente di Strabatenza, nell'antica Comunità del Poggio alla Lastra,ora di Bagno.'

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Testo di Bruno Roba (20/04/2024) - Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto di Spartiacque Appenninico compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine; in quell’ambito si staccano due contrafforti secondari e vari crinali e controcrinali minori delimitanti le singole vallecole del bacino idrografico.

La valle del Fiume Bidente di Pietrapazza riguarda il ramo più orientale del Bidente delimitato: ad Ovest, da un primo tratto del contrafforte secondario che, distaccatosi da Poggio allo Spillo, va a concludersi con il Raggio della Rondinaia; ad Est da un primo tratto del contrafforte principale che si stacca da Cima del Termine diretto verso Cesena. La sua testata si sviluppa tra il Passo della Crocina e la vetta minore di Cima del Termine, estendendosi, ad Ovest, al tratto del contrafforte secondario compreso tra Poggio allo Spillo e Poggio della Bertesca, ad Est, al tratto del contrafforte principale, le Rivolte, compreso tra Cima del Termine ed il Crinale Raggio del Finocchio; quest’ultimo, staccandosi presso la sella di Prato ai Grilli, posta prima del Poggiaccio, converge quindi verso l’Eremo Nuovo. Completa la delimitazione del sistema vallivo l’ulteriore convergenza delle dorsali che si diramano dagli opposti contrafforti. Da un versante si staccano dai Monti Moricciona e La Rocca, dall’altro versante proviene quella, rilevante, che deriva dal Monte Castelluccio e si dirige verso il Monte Casaccia terminando con il Monte Riccio (dove, strategicamente collocato, il Castrum montis Riccioli, almeno già dal 1321 sorvegliava ogni transito - ne restano vaghe tracce: «Anche sopra la via che va a Strabatenza, presso la località detta Ca’ di Veroli, ove dimora tuttora un ramo della famiglia Bardi, lassù rifugiatasi, fra i monti più alti, ai tempi delle famose contese medioevali, vedonsi i muri imponenti di un vecchio maniero, e quel luogo dicesi Montericcio» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 279). Qui, presso la confluenza dei Fossi di Strabatenza e Trappisa nel Bidente, a ridosso di Pian del Ponte, la Valle di Pietrapazza si restringe quasi a chiudersi creando una discontinuità con quella di Strabatenza, così rendendo possibile una specifica identità geo-morfologica. A valle dell’improvvidamente demolito ma mai idealmente rimosso villaggio di Strabatenza, pur senza soluzione di continuità morfologica, si modifica l’idronimo e il Bidente di Pietrapazza diviene di Strabatenza laddove confluisce il Fosso delle Cannetole, che ha origine dalla piega tra i Monti La Rocca e Marino.

In base alla cartografia moderna, sia della Regione Emilia-Romagna sia della Regione Toscana, tra le ramificazioni che incidono lo Spartiacque, l’origine del Bidente di Pietrapazza viene indentificata nella sella, compresa tra il Monte Cucco e il Passo dei Lupatti, che anticamente era detta Passo di Massella (toponimo quest’ultimo oggi scomparso o desueto, probabile omaggio all’ispettore statale Massella che contribuì al miglioramento della viabilità forestale anche con l’apertura del passo, e riportato unicamente nella Carta d’Italia dell’I.G.M. di primo impianto in scala 1:50.000, per l’area datata 1893-94), laddove il sent. 60 CAI si innesta sul sentiero 00 di crinale. Nel XIX secolo, secondo la Carta Geometrica della Regia Foresta Casentinese (1850 - conservata presso il Nàrodni Archiv Praha), il fiume (detto anche qui fosso) aveva origine più a valle, ovvero solo dopo l’immissione del Fosso della Bocca, mentre il breve tratto a monte fino alla confluenza tra il Fosso delle Capanne (oggi del Rovino) e il Fosso della Buca Prati (oggi dei Segoni) era detto Fosso del Pian del Miglio (Pian del Miglio era il pianoro adiacente).

Ai passi e alle incisioni dello Spartiacque Appenninico corrispondono i rami degli affluenti più montani del Bidente. Dal contrafforte principale hanno origine i principali affluenti appartenenti alla dx idrografica bidentina, tra cui il Fosso di Rio d'Olmo o Ridolmo e delle Graticce. Dal contrafforte secondario hanno origine gli affluenti appartenenti alla sx idrografica, tra cui i Fossi Fondo Rignone e di Cà dei Maestri. Detti fossi, compreso il fiume, confluiscono verso l’area centrale di Pietrapazza, interponendosi tra impervie dorsali che, con i loro sproni finali, determinano la formazione di pronunciate anse e circonvoluzioni profondamente scavate dallo scorrere delle acque. In dx idrografica, la dorsale proveniente dal Monte Càrpano, sul contrafforte principale, presto si biforca a racchiudere la valle del Fosso delle Graticce, e, mentre il suo ramo meridionale la divide da quella del Rio D’Olmo puntando su Pietrapazza, interponendosi tra impervie dorsali che, con i loro sproni finali, determinano la formazione di pronunciati meandri profondamente scavti dallo scorrere delle acque dal ramo settentrionale (detto Crinale delle Graticce) si stacca una diramazione che termina con il picco piramidale dalla consueta morfologia verticaleggiante a reggipoggio del versante settentrionale progressivamente tendente alle minori pendenze a franapoggio degli altri versanti, sul quale (sommità e pendici) sorgeva e sorge il centro religioso, picco separato dalla dorsale da una sella artificialmente ampliata dalla strada forestale ed attorniato da un ampio meandro del Bidente. In questo ambito la morfogenesi del Fosso di Rio d’Olmo ha determinato la colossale “marmitta dei giganti” per l’azione erosiva esercitata sugli sproni terminali marnoso-arenacei della dorsale nota per il suo affilato Crinale del Finocchio, dove il Graticce sbocca terminando il suo corso e si evidenzia il forte spessore dello Strato Contessa. In sx idrografica, dal modesto rilievo posto dietro Siepe dell’Orso, forse anticamente detto Monte Valprandola, si staccano due dorsali: una meridionale anticamente detta Raggio di Valprandola nella la parte alta e Raggio di Rignone nel tratto inferiore, sviluppata fino al Bidente subito a monte di Pietrapazza, l’altra settentrionale, anticamente detta Raggio della Balza, comprende il Monte Roncacci da cui si genera la cresta che ospita l’insediamento di Cà dei Maestri e punta sul Bidente, dove incontra l’opposto Crinale delle Graticce, chiudendo l’area di Pietrapazza.

L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio da parte di gruppi nomadi di pastori-raccoglitori-cacciatori Liguri (Apuani, Frinati, Mugelli, Clausentini) giunti sino a qui dalla Provenza passando le Alpi e seguendo nei loro spostamenti la dorsale appenninica, per poi arrestarsi in Casentino e nell’alta Val Bidente, come avvalorato dal ritrovamento in Campigna nella prima metà del XIX secolo, attestato dall’archivio archeologico Gamurrini e dalle memorie del Siemoni, di una sepoltura attribuibile al III millennio a.C. ed appartenente forse ad un capo tribù o un pastore-guerriero ligure corredata da una lancia con impugnatura carbonizzata e punta in selce disposta sulla destra dello scheletro, mentre i resti evidenziano che la mano sinistra stringeva un corno di capriolo. Anche le frequentazioni etrusche si sarebbero spinte fin qui come attesterebbe il ritrovamento casuale da parte del Siemoni di una statuetta in bronzo di VII-VI secolo a.C. con elmo e cimiero, probabile raffigurazione di divinità guerriera, riportato in una celebre Guida«[…] è degno di particolare menzione […] il ritrovamento (Campigna c.s.) di una statuetta di bronzo rappresentante un guerriero con elmo a grande cresta, oggetto preziosissimo perché sta a indicare qual fosse l’armatura particolare nella regione Casentinese […]» (C. Beni, 1881, rist. anast. 1998, pp. 11-12, cit.). Non è nota la collocazione dei reperti citati. In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Sotto il dominio dei Bizantini e degli Ostrogoti sorgono torri di altura per arrestare l’avanzata dei Longobardi in direzione Ravenna nell’alta Valle d’Arno, con scarso successo. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitalesDopo la morte di Carlo Magno si insediarono signorotti di origine longobarda e franca spesso apparentati con aristocratici bizantini, come nel caso dei Conti Guidi. Il loro coinvolgimento nelle lotte tra Guelfi e Ghibellini e il conseguente contrasto con la Repubblica di Firenze comportò la loro caduta e l’ascesa della dominazione fiorentina con l’espansione della Romagna toscana. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate. In questo periodo si verifica una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur mantenendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Comunque, nel Settecento, chi voleva risalire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami che venivano così descritti: per Ridràcoli «[…] composto di viottoli appena praticabili […]» per S. Paolo in Alpe «[…] largo in modo che appena si può passarvi […].» e per il Corniolo «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi in modo che appena vi può passare un pedone […]» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, citato da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna Toscana e il Casentino nei tempi granducali. Assetto paesistico-agrario, viabilità e contrabbando, in: G.L. Corradi e N. Graziani - a cura di, 1997, p. 82, cit.). Inoltre, «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, 1992, p. 32, cit.). Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo di Firenze è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.). Così, se al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e i primi decenni del XX: «La nuova strada S. Sofia – Stia, bellamente pianeggiando sotto il Corniolo, attraversa il Bidente che viene dalle Celle e poi inizia l’ascesa del monte verso Campigna poco più su dal luogo donde si diparte, a sinistra, la mulattiera che mena a S. Paolo in Alpe ove, fino al secolo XVI, era un eremo agostiniano.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 270).

La prima cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), da integrare per la classificazione storica del Bidente con la Carta Geometrica della Regia Foresta Casentinese (1850 – scala 1:20.000), consente di conoscere, tra l’altro, il tracciato della viabilità antica che riguardava la Valle di Pietrapazza, ricordando che se per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX, il crinale che dal Passo della Crocina si svolge fino alla Rondinaia in gran parte venne fortunatamente salvaguardato dal distruttivo progetto dell’ingegnere granducale Ferroni che, tra le ipotesi di “strada dei due mari” che doveva unire la Toscana e la Romagna, indicava il tracciato montano Moggiona-Eremo di Camaldoli-Passo della Crocina-Casanova in Alpe-Santa Sofia (essendo ritenuto idrogeologicamente valido). Tra le strade storiche sono da annoverare le c.d. vie dei legni, o Strade dette dei legni per il trasporto dei medesimi (così riportate nella Carta Geometrica) utilizzate per il trasporto del legname fino al Porto di Badia a Poppiena a Pratovecchio, attraverso i valichi appenninici tosco-romagnoli. Tra le vie dei legni individuate all’inizio del XX secolo dal Direttore generale delle Foreste, al Ministero di Agricoltura, A. Sansone, nella relazione sullo stato delle foreste demaniali (cit.) si cita la strada che da Bagno di Romagna, per Pietrapazza e Eremo Nuovo, conduceva a Baia Prataglia.

Sul contrafforte principale da Cima del Termine probabilmente già dal 1084 è documentata nel Regesto di Camaldoli la Via de Monte Acutum, come peraltro «[…] conferma un’opinione espressa nel 1935 dal Mambrini circa l’esistenza di una strada percorribile fra i boschi di quel perfetto triangolo, il Monte Acuto, costantemente rilevato nella documentazione medievale come punto di confine fra la Romània e la Tuscia […].» (C. Dolcini, Premessa, in: C. Bignami, A.Boattini, A. Rossi, a cura di, 2010, pp. 7-8, cit.). Il Mambrini fa un altro riferimento a tale strada nel trattare del Castello di Riosalso«Il cardinale Anglico così lo descrive nel 1371: “Il castello di Riosalso è nelle Alpi in una certa valle sopra un sasso forte. Ha una rocca ed una torre fortissima ed è presso – circa un miglio – alla strada che mena in Toscana.” […] La strada qui ricordata era sul crinale del monte sopra il castello e per Nocicchio, passando a destra di Montecucco, per Badia Prataglia conduceva in Casentino. Qua e là restano gli avanzi di questa strada.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 288, cit.). Una relazione del 1652 conservata nell’Archivio dell’Opera del Duomo, che descrive la ripartizione delle aree in gestione in otto parti, è utile per ricavare un utile riferimento su tale sito: «L’ottava e ultima parte delle selve dell’Opera viene separate dalla precedente col Poggio della Bertesca e resta fra esso poggio e il Poggio delle Rivolte di Bagno ultimo termine di dette selve. » (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 263-271, cit.). In una mappa del 1637 allegata ad una relazione del 1710 del provveditore dell’Opera del Duomo di Firenze (riproduzioni della mappa si trovano in A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, a colori, in A. Bottacci, P. Ciampelli, a cura di, 2018, p. 35, cit.) si ritrova il toponimo Rivolte (oggi sent. 201 CAI), ulteriormente specificato nel Contratto livellario stipulato nel 1818 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli: «Comunità di Bagno. Una vasta tenuta di terre nell’indicata comunità, abetata, faggiata, frascata, lavorativa, prativa, massata, trafossata come più e meglio verrà descritta in appresso sia nella qualità che nella quantità, alla quale la circonferenza confina: primo, con la Comunità di Bagno incominciando dal luogo detto le Rivolte e precisamente dal termine giurisdizionale delle Comuni di Bagno-Poppi, da questo termine calando per la scesa delle Rivolte fino al Prato ai Grilli; […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 461-463, cit.). Con il Catasto toscano tale via diviene la Strada che da Montecarpano va alla Badia a Pretaglia. Al Giogo, come genericamente era detta la via sullo Spartiacque Appenninico, poi Via Sopra la Giogana o semplicemente la Giogana, si giungeva anche tramite il Passo della Crocina (anticamente Crocina di Bagno e Croce di Guagno o Guagnio) grazie all’antica Via Maestra che vien dall’Eremo, toponomastica della citata mappa del 1637 oltre che contenuta in una relazione del 1663 «[…] si venne per la strada del Poggio tra la Bertesca e Valdoria et il Pozzone et arrivati alla Croce di Guagnio e pigliato il Giogo tra il confino de reverendi padri di Camaldoli e l’Opera di Santa Maria del Fiore si seguitò detta giogana […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 315, cit.). Nel Catasto toscano detta via maestra si trova per un tratto riclassificata Strada che dal Sacro Eremo va a Romiceto (oggi sent. 207 CAI), quindi era detta Strada Maestra di S. Sofia fino Casanova dell’Alpe verso Sud, e Strada che dalla Casanova va a Santa Sofia in riferimento al tratto Nord compreso tra la Ripa di Ripastretta e il Passo del Vinco: esso interessava il Monte La Rocca e raggiungeva il Passo della Colla, aggirava i Monti Pezzoli e Marino sul versante SE e scendeva a Poggio alla Lastra divenendo di fondovalle fino a S.Sofia. Dalla via maestra, al Passo della Bertesca si staccava inoltre Strada che da Camaldoli va alla Bertesca, giungente fino all’Eremo Nuovo, oggi in parte sostituita da viabilità poderale (sent. 205 CAI); quindi la Strada che dall’Eremonuovo va a Pietrapazza si ricollegava con la Strada che da Pietrapazza va a Bagno, nel versante bagnese detta Strada detta della Lastra che va a Monte Carpano, che valicava la Colla di Càrpano incrociando la citata Strada che da Montecarpano va alla Badia a Pretaglia. Questa viabilità doveva essere ritenuta di rilievo per i collegamenti tra S. Sofia e l’interno, tanto da essere l’unica riportata nella schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia insieme alla viabilità di crinale, mancando invece un tracciato di fondovalle tra Pietrapazza e Poggio alla Lastra, questo anche significando quale fosse il limite dell’area di influenza camaldolese.  

Tra il XIX secolo e la prima metà del XX si assiste alla completa ri-organizzazione della viabilità locale e di crinale, che culminerà con la classificazione delle Mulattiere colleganti anche trasversalmente le vallate collaterali, come p.es. testimoniano i cippi stradali installati negli anni ’50 all’inizio di molte di esse, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli (alcune strade forestali verranno realizzate solo al termine del ventennio successivo).

I tracciati di fondovalle della Mulattiera de Bidente tra il principio del XIX secolo e i primi decenni del secolo seguente sostanzialmente coincidono, salvo il tratto tra i pressi di Bottega fino quasi a Cetoraia, dove viene spostata in dx idrografica, e un breve tratto a Pietrapazza. Dopo l’inizio al Ponte di Cà Morelli, sul ramo fluviale di Strabatenza, in collegamento con il tracciato della Traversa di Romagna per Bagno, correvano vicino al fiume, attraversandolo spesso tramite numerosi ponti alla ricerca della situazione orografica più favorevole. A Pian del Ponte – la Bottega, c.d. «[…] per l’appalto di generi vari e di monopolio che v’era.» (G. Marcuccini, Le valli alte del Bidente: un cammino nella memoria, in: G.L. Corradi, a cura di, 1992, p. 120, cit.), dove si trova un sistema di ponti antichi e moderni (Ponte del Faggio) e due cippi segnalano l’incrocio con la Mulattiera di Ridràcoli, iniziava il tratto intermedio Ponte Bottega-Pietrapazza e una colonnina indicava la deviazione relativa al tratto Rio Salso-S. Piero in Bagno. Il Ponte Bottega o di Strabatenza, in pietrame ad arco a tutto sesto, posto all’inizio della Mulattiera di Casanova (insieme alla Casina del Ponte, che ne osserva il transito, costituisce un interessante scorcio paesaggistico) si può considerare il primo sul Bidente di Pietrapazza. Il Ponte della Cortina al Mulino alle Cortine, in ferro ad una campata su pile in pietrame e tavolato ligneo, collegava  le due mulattiere citate all’altezza di Cetoraia, ma prima della sua costruzione solo un guado poco più a valle consentiva il transito, fino alla realizzazione del tratto di mulattiera sopra accennato, che già a valle di La Bottega manteneva la dx idrografica e da Pian del Ponte risaliva il versante fino a La Vigna, oltrepassando la deviazione per Rio Salso e giungendo a mezzacosta a Cetoraia. Successivamente i tracciati paiono coincidere e viene introdotto l’uso per cui sulle pietre cantonali delle case era incisa la distanza in km intercorrente in direzione Pietrapazza (p.es.: a Cetoraia km 0,610 fino a Campo di Sopra e qui km 1,200 fino a Cà Micheloni). Nel giungere a Pietrapazza il tracciato più antico abbandonava la sponda fluviale inerpicandosi fino alla sella dell'insediamento religioso, lasciando scarsissime tracce in un contesto di abbandono. La modernizzazione di inizio XX secolo vede aggiungersi a questo ripido tratto finale un percorso che segue le anse fluviali (ancora esistente salvo il collegamento con la rotabile) aggirando il poggetto della chiesa vecchia, in collegamento diretto con il ponte e l’altra viabilità che qui si incrociava.

Incidendo pesantemente sull’orografia dei luoghi, alla Mulattiera del Bidente (brevi tratti si riescono ad individuare in prossimità degli insediamenti) negli anni 1965-70 si è sovrapposta quasi ovunque l’odierna strada forestale che raggiunge comodamente una Pietrapazza ormai disabitata. Qui si trova (restaurato) il piccolo Ponte delle Graticce o della Cantinaccia, alla confluenza dell’omonimo fosso nel Rio d’Olmo e prima che questo si immetta nel Bidente. Risalente al 1898 ed eseguito in pietrame presenta tipologia ad arco circolare leggermente ribassato con pavimentazione in pietra arenaria posta di taglio, prima della sua costruzione la mulattiera guadava il fosso poco più a monte inizialmente aggirando il versante sx. Il ponte costituiva snodo di collegamento con le citate Strada che da Pietrapazza va a Bagno e Strada detta della Lastra che va a Monte Carpano che, impraticabili per molti mesi dell’anno, nel 1841 vennero parzialmente abbandonate (ma da Rio d’Olmo è tuttavia ancora possibile ritrovarne lunghi tratti tra i tornanti dell’ampia strada forestale) e sostituite dai tracciati più a mezzacosta della Mulattiera Bagno-Pietrapazza-Ridracoli. Nel versante di Ridolmo se ne vedono alcuni tratti sotto la rotabile oltre al cippo stradale presso il Passo di M. Càrpano. Da Pietrapazza risaliva sostando davanti alla Maestà della Casaccia (ma da Rio d’Olmo è tuttavia ancora possibile ritrovarne lunghi tratti ormai abbandonati tra i tornanti dell’ampia strada forestale) fino a valicare la Colla di Càrpano, dove consentiva un ristoro alle Case di Monte Càrpano (anticamente M. Carpi) presso una nota, ma non documentata, Osteria«Monte Carpano […] era un notevole luogo di transito: non a caso alla fine dell’Ottocento v’era un’osteria frequentata da quel piccolo mondo di mestieri e traffici col Casentino (fattori, sensali, mercanti di bestiame) e, soprattutto, con la foresta della Lama e Camaldoli per il rifornimento di legname per madiai e bigonciai, di “cime” d’abete per i coronai.» (G. Marcuccini, Le alte valli del Bidente: un cammino nella memoria, in: G.L. Corradi, a cura di, 1992, pp. 119-120, cit.). Poco dopo il Ponte delle Graticce si distacca ancora inalterata (sent. 205 CAI) la citata Strada che dall’Eremonuovo va a Pietrapazza, attraversando il Rio d’Olmo su una passerella in legno e travatura in ferro (che sostituisce un ponte con una struttura principalmente in pietra ed un tratto in legno ancora documentata negli scorsi anni ’80). Essa risale sul Crinale Raggio del Finocchio sostando davanti alla Maestà del Raggio o della Cialdella o di Pietrapazza, poi ridiscende presso il Bidente fino l’Eremo Nuovo superandolo sul Ponte della Chiesina, ricostruito, dopo il quale diviene ampia pista poderale fino alla Bertesca e all’incrocio con la S.F. del Cancellino (collegante con il Passo dei Lupatti, aperto nel 1900 in occasione della costruzione della ferrovia Decauville del Cancellino, poi trasformata in strada forestale.

Nelle varie epoche (fino alla demanializzazione delle foreste) nel baricentro economico-religioso di Casanova dell’Alpe si incrociavano gli itinerari di collegamento con le vallate laterali, frequentati dagli operatori del settore del legname, lavoratori e commercianti. Tra essi la Mulattiera di Ridràcoli, che valicava il crinale tramite il Passo della Colla (posto nella sella tra il Monte La Rocca e il Monte Marino), che scendeva a Strabatenza e a la Bottega e la Mulattiera della Colla, che risaliva invece sul Marino da Poggio alla Lastra riunendosi a quella proveniente da Strabatenza; complessivamente le due mulattiere nel Catasto toscano costituivano la Strada che da Ridracoli va a Poggio alla LastraDa la Bottega la Mulattiera di Casanova risaliva la valle del Trogo, mentre la Mulattiera di Pietrapazza (qui incentrata) collegava Ridràcoli con Bagno di Romagna tramite la Valle del Rio d’Olmo e il Passo di Monte Càrpano, da un lato, e la Valle del Fosso Fondo Rignone e la sella Siepe dellOrso-Paretaio, dall’altro. Questo tratto, nel Catasto toscano detto Strada che da Siepe dell’orso va a Pietrapazza, attraversa il Bidente sul Ponte al cimitero di Pietrapazza (restaurato), documentato come ponte sul fiume Bidente al fosso dell’Eremo Nuovo o al Mulino detto di Cà del Conte, in muratura di pietrame ad un’arcata circolare a tutto sesto pavimentato con pietra arenaria posta di taglio, costruito nel 1895 dai Milanesi - rinomati scalpellini di Cà di Pasquino di una stirpe familiare di origine comacina localmente nota, «Vi lavorarono come muratori (lombardi, come si diceva in quel tempo) […]» D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 132, cit.) - in luogo di una struttura in legno ormai pericolante e già a fine ‘700 ridotta a «[…] una trave d’abeto coi mantingoli […]» (S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, p. 105, cit.). Oltre il ponte si trova il Mulino Milanesi o di Pian della Chiesadi Cà del Conte, così documentato per la prima volta nel 1741 in quanto eccezionalmente di proprietà dei suoi abitanti, anticipando di qualche decennio la riforma leopoldina che, alla fine del Settecento eliminò il regime di monopolio comunitativo introducendo la possibilità per i privati di costruire mulini. Intercalata alle incisioni vallive del reticolo idrografico emerge una trama di dorsali minori di vario impatto morfologico, alcune delle quali si proiettano più evidenti verso il fondovalle concentrandosi verso il sito dell’Eremo Nuovo, con pendenze mediamente ripide ma alcune non tali da impedire la percorribilità di crinale. Tra esse, nella mappa del 1637 compare il disegno approssimativo di un altro antico percorso, la Via del Rovino, direttamente collegante il fondovalle del Bidente di Pietrapazza e l’Eremo Nuovo con il Giogo: dai raffronti cartografici e morfologici essa è da collocare prevalentemente sul crinale di quella citata lunga dorsale che si distacca da Poggio Rovino, ancora oggi segnata da evidenti tracce di trascorse (o rinnovate) percorrenze. L’Eremo Nuovo era pure collegato con i poderi in dx idrografica (Poderuccio, Buca) attraversando il fiume tramite il Ponte dell’Eremo, ormai in rovina, modestamente costituito da tre travi accostate (ne resiste una) su robuste spalle in pietra, che comunque certifica una certa importanza del tracciato non servito da un semplice guado, ma il percorso, nel catasto moderno corrispondente alla S. Vic.le Campo Rosso-Eremo Nuovo, raggiungeva le Rivolte di Bagno tramite il valico di Prato ai Grilli, con discesa a Campo del Rosso. Di un ulteriore difficoltoso percorso di crinale restano tracce sulla dorsale (interessata da siti anticamente detti Poggio di Magnano, Ripabianca e Piano dei Lupatti) che si stacca dai pressi del Passo dei Lupatti e delimita il versante occidentale dal ramo iniziale del Bidente.

Nel contesto storico-morfologico finora descritto, dove la valle si restringe e si appresta ad iniziare il suo tratto più angusto, di particolare interesse è il lembo di fondovalle che strapiomba sull’ultimo meandro quasi circolare del Rio d’Olmo, un terrazzo morfologico in parte modellato artificialmente su cui si adagia Pietrapazza. Di seguito alcune interpretazioni sulla formazione del toponimo. Le prime rievocano le più diffuse: «1595 – Mons. Peruzzi l’8 agosto […] andò alla chiesa di S. Eufemia delle Graticce, detta di Prete pazzo (Pietrapazza).» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 299, cit.), «La muntâgna la è bëla da vdē. […] La montagna è bella solo a vedersi, detta un proverbio romagnolo […], mentre è brutta per chi la vive e chi la pratica, testimoniano tanti toponimi peggiorativi […] Brutta perché è povera […] Tanto povera da tenere lontani perfino i ministri della Chiesa, come narra la storia del toponimo Pietrapazza […] derivato da Prete Pazzo […]» (E. Casali, IX - Aspetti e forme della cultura folclorica nelle montagne della Romagna toscana, in: N. Graziani, a cura di, 2001, p. 405, cit.); la seguente e stringata analisi tecnica si limita a proporre una derivazione dal latino: «PIETRA PAZZA […] come l’ital. strapazzo e pazzo < [= deriva da, ndr] lat. patiens, (anche, sterile, aspra non buona).» (A. Polloni, 1966-2004, p. 235, cit.). Occorre concludere che molto spesso i toponimi si formano per tradizione popolare.

Nel 1353 fu possedimento dei nobili di Valbona che, come ultimo atto nel 1430, prima della loro scomparsa dalle vicende appenniniche, pretesero dai camaldolesi la restituzione di ogni beneficio loro concesso. Con il (temporaneo) subentro dal 1402 i Guidi di Battifolle e il successivo passaggio di tutte le selve alla Repubblica Fiorentina (che dal 1442 le attribuì al Capitanato della Val di Bagno) quindi all’Opera del Duomo di Firenze, a partire dal XVII secolo Pietrapazza acquistò importanza a svantaggio dell’Eremo Nuovo, essendo più accessibile ed essendo dotata del maggior numero di poderi della zona, ma anche per il progressivo abbandono da parte dei camaldolesi. Sicuramente le vicende storiche e le questioni confinarie e gestionali forestali condizionarono, qui come nella selva del Castagno e nella selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli, il reciproco operato e i rapporti tra i nuovi confinanti monastico-ecclesiali fino all’arrivo dei Lorena e poi dello Stato italiano.

Tra il XVI e il XVII la morfologia dei luoghi circostanti limitava l’area degli insediamenti. L’Himo Rignone o Rignone Basso riguardava l’area da Cà dei Conti, a Petrella e al Mulino Milanesi o di Cà del Conte. L’area delle Graticce, o Gradicce (forse dizione originaria riferibile alle sottili stratificazioni gradonate del crinale e dell’area) o Graticce di Sotto o Piano degli Abeti fiancheggiava principalmente la via pubblica fino al fiume, comprendendo infatti il Mulino comunitativo, detto delle Graticce (ruderi), e tre case, note con i toponimi Casone e Graticce di Sotto (di cui rimane solo la memoria archivistica) e Molino o Graticce Sopra il Mulino o Graticce vicino al Molino, oggi Cà di Pasquino (esistente). Un’altra casa pare si trovasse vicino alla confluenza del fosso nel Rio d’Olmo, quindi al Ponte delle Graticce o della Cantinaccia (forse c.d. per la prossimità con l'Osteria Pertutti, v. poi). Presso il Crinale delle Graticce, lungo la mulattiera che lo valicava diretto alla valle del Lastricheto, si trovava il Pianaccio o Pianacci o Pianelli (scarse tracce). Per tutto il Settecento vi è attiva la Compagnia del SS. Sacramento e dal 1834 quella del Rosario. Solo nel 1841 viene predisposta una anagrafe parrocchiale a cura del parroco D. Paolo Rossi. Nel 1914 nella canonica vi abitavano il parroco D. Roberto Cenni e due suoi familiari e, dal 1921 fino ai primi anni ’60, vi fu trasferita la scuola sussidiata pluriclasse per il rifiuto del maestro di recarsi o di abitare presso la sede Cà dei Conti, probabilmente essendo ritenuto il luogo troppo disagevole. (AA.VV., 1989, p.7, cit.). Sostanzialmente le attività scolastiche e religiose cessarono negli stessi anni, comunque ad oggi gli edifici sono in buone condizioni e ancora saltuariamente utilizzati.

L’insediamento religioso, oggi composto dalla moderna Chiesa di S. Eufemia alle Graticce detta di Pietrapazza e dalla Canonica, è ricordato già dall'inizio del Cinquecento ed è documentato dal 1595, in occasione della visita del vescovo di Sarsina. Ulteriori notizie si susseguono dal 1625 in base alle visite pastorali, quando si apprende tra l’altro che la chiesa antica dispone di almeno due altari che si fronteggiano, di cui uno non in regola pertanto da demolire, mentre non dispone di immagini sacre. Dalla visita del 1688 si apprende che la chiesa dispone di un altare maggiore e che su un muro di sostegno posto sul retro o sotto la stessa chiesa esisteva un’apertura di accesso all’Oratorio dei Mangarini, poi Gabutti, ormai in rovina pertanto da ricostruire. Dalle visite del 1691 e del 1704 si apprende che l’altare laterale, di patronato della famiglia Mencarini, prima è dedicato a S. Elisabetta poi all’Annunciazione e che il tetto in lastre di pietra ha bisogno di continua manutenzione. Interessante è il rapporto della visita del 1705 non solo in quanto riferisce di una chiesa piccola e dismessa e «[…] posta in una valletta stretta da altissimi e asprissimi monti, lambita o meglio corrosa dai fiumi e dai rivi discendenti dalla sommità delle alpi […] sita in esigua valle sopra un poggio circondato da ogni parte da rupi ed erte.» (E. Agnoletti, 1996, p.89, cit.), ma soprattutto in quanto si apprende che si tratta di una costruzione eseguita «[…] appena da 15 anni dopo che quella primitiva è stata portata via con la casa dall’impeto dell’acqua.» (E. Agnoletti, 1996, p. 191, cit.), con esplicito riferimento ad una 'chiesa primitiva” collocata in un sito che si ipotizza si trovasse di fronte al «[…] Mulino di Ca’ del Conte che in alcuni documenti è ricordato anche “Mulino di Pian della Chiesa”» (C. Bignami, A. Boattini, 2018, p. 24, cit.), in dx idrografica, come certamente risulta dagli estimi. Essendo però assente negli archivi comunali qualsivoglia documentazione relativa alla ricostruzione e alla spesa sostenuta, gli autori paiono dubitare sull’interpretazione della testimonianza. Comunque, la chiesa documentata nel 1705 insieme ad una piccolissima stanza ad uso casa parrocchiale su un poggio impervio, minacciato dalla morfogenesi dei meandri fluviali, non corrisponde all’insediamento più antico, come qui erroneamente pare ricordato: «La primitiva chiesa sorgeva sulla collinetta sovrastante. Angusta e pericolante non era capace d’accogliere tutto il popolo che v’accorreva ad ogni festività.» (G. Marcuccini, Le valli alte del Bidente: un cammino nella memoria, in: G.L. Corradi, a cura di, 1992, p. 120, cit.). Considerando la morfologia sopra accennata del poggio e che il sito di “Pian della Chiesa forse corrisponde all’area spondale semi pianeggiante posta poco oltre il ponte e il cimitero ad un livello superiore di alcuni metri rispetto all’ansa fluviale, oggi abbandonata e ricoperta da abeti ed arbusti ed almeno fino alla metà del secolo scorso attraversata dalla viabilità locale, si può supporre che la chiesa antica sia stata piuttosto interessata da uno smottamento della pendice a franapoggio provocato da un evento alluvionale, mentre appare improbabile una collocazione sotto la parete settentrionale a reggipoggio, interessata da distacchi di roccia ed infelice per l’esposizione. 

Nella chiesa settecentesca esistevano due altari, il maggiore ed uno laterale sempre dedicato a S. Elisabetta. A quell’epoca a Pietrapazza vivevano 31 famiglie e 214 persone. Nel 1720 viene precisato che l’altare maggiore è dedicato alla Madonna e S. Eufemia e che l’altro era detto Altare dell’Annunciazione ed era dedicato alla Visitazione di Maria e a S. Antonio da Padova, di patronato della famiglia Milanesi. Ora esisteva una nuova canonica, della quale non si precisa la collocazione, costruita dalla popolazione, allora 232 persone, composta da una sala, due camerette, la cucina, la cantina ed altre comodità. Nel 1761 viene descritta una chiesa lunga con ingresso sul lato destro, l’altare maggiore dedicato dalla Madonna del Rosario, battistero all’angolo sx e sacrestia decorosa sul lato sx. Sotto il pavimento vi erano sepolture recenti che dovevano essere spostate nel sagrato per ragioni igieniche. Dalle visite pastorali si apprende che a breve distanza dalla chiesa di Pietrapazza (“15 passi”) e vicino ma separato dalla nuova casa parrocchiale costruita nel 1720 (“lontano un tiro di pietra”) esisteva un Oratorio del SS. Sacramento, che veniva utilizzato quando la neve e il ghiaccio impedivano di raggiungere la chiesa: la distanza era comunque tale da consentire lo svolgimento di periodiche processioni. Dotato di un solo altare, è stato visitato l’ultima volta nel 1776; con la soppressione dell’Abbazia di S. Ellero, nel 1785, perse di interesse e oggi non si hanno altre informazioni. Le suddette descrizioni portano ad ipotizzare che sia questo oratorio che la nuova canonica si trovassero sul luogo dell’insediamento odierno. Le visite successive non registrano niente di particolare fino alla notte di Natale del 1930 «[…] quando la gente, con le fiaccole in mano, attende l’arrivo del nuovo parroco […] in chiesa , angusta e dal soffitto talmente basso, da dover tagliare i ceri dell’altare se non si voleva che appiccassero il fuoco alle travature. E ivi si pigiarono 150 persone. Don Domenico capì subito che doveva costruire una nuova chiesa, in posizione migliore. […]» (E. Agnoletti, 1996, p.193, cit.). Ormai danneggiata e fatiscente a causa del forte terremoto del 1918 (che distrusse S. Sofia e non solo), ma ancora utilizzata, venne demolita solo verso la fine del 1937 e quattro mesi dopo, per Natale, il nuovo edificio, progettato da Italo Spighi e con il fattivo contributo della popolazione e dei già citati scalpellini della famiglia Milanesi, era già ultimato «[…] a poche decine di metri dalla vecchia ma in posizione più comoda, accanto alla scuola.» (AA.VV., 1989, p.46, cit.). Nell’anno seguente venne completata con campana e arredi sacri donati dalla popolazione (nella campana sono incisi i nomi delle 18 famiglie donatrici) e consacrata a luglio. Dal confronto tra Catasto toscano, dove il toponimo Pietra Pazza compare accanto ad un nucleo composto da vari fabbricati di diverse dimensioni, e la situazioni odierna si riscontrano notevoli difformità. Il semplice capanno della vecchia chiesa, come era chiamato l’edificio posto in cima al poggetto, che si intravede in una foto del 1938 (v. AA.VV., 1989, copertina e p.2, cit.) e di cui negli scorsi anni ’80 ancora rimanevano scarsissimi resti, oggi scomparsi e/o ricoperti dalla vegetazione tranne due tratti delle mura di contenimento del piazzale, già pare totalmente difforme rispetto alla complessa planimetria antica. In una foto riguardante la costruzione della nuova chiesa (1937) risalente a quell’anno (v. AA.VV., 1989, p.47, cit.) si intravede anche un fabbricato posto ad Est della canonica, pare scomparso per una frana, nel caso staccatasi dall'allora incombente dorsale delle Graticce dopo il 1937: esso era abitato dai cinque componenti della famiglia Pertutti, tutti braccianti e, nel 1915, Felice vi aprì l’Osteria Pertutti (frequentata dagli operai diretti alla Lama ed in concorrenza con l’Osteria della Vittoria, gestita nella zona già dal 1890 da Angelo Donati). Questo fabbricato pare riconoscibile nel catasto antico, accompagnato da un probabile annesso, ma oltre ad esso compare un ulteriore fabbricato che come detto, considerata la descrizione delle visite pastorali, potrebbe essere attribuito all’Oratorio del SS. Sacramento. Riassumendo si può ipotizzare vi fossero la canonica nuovacasa Pertutti e l’oratorio, rimanendo abbastanza aleatoria la loro precisa collocazione. Della frazione fa parte anche il Cimitero, di pregio storico-architettonico, non riportato nel Catasto toscano in quanto realizzato solo a seguito delle riforme napoleoniche. Già recuperato nel 1989 dalla Cooperativa culturale “Re Medello” nell’ambito dell’iniziativa Le tracce del silenzio, che dal 1988 tendeva a sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo il grave abbandono dei nuclei rurali e di tutti quei segni lasciati dall’uomo sul territorio nel corso dei secoli, è stato ulteriormente restaurato nell’ambito del “Piano di Azione Ambientale per un futuro sostenibile 2008/10” da Regione Emilia-Romagna, Provincia FC e Parco Nazionale Foreste Casentinesi (come da targhetta ivi applicata). Non lontano dal cimitero si trova il Mulino di Pietrapazza, situato in sx idrografica del Bidente poco oltre il lato Ovest del ponte. Il fabbricato, proprietà ex A.R.F., è noto anche come Molino di Cà del Conte Milanesi, in considerazione che era nella esclusiva disponibilità degli abitanti di quell’insediamento, tra cui i Milanesi; utilizzato già nel corso dell'Ottocento solo come abitazione è stato abbandonato nel 1950.

Per approfondimenti v. schede Valle del Bidente di Pietrapazza, Fiume Bidente di Pietrapazza e/o relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.

N.B.: - Dopo la confisca del vasto feudo forestale da parte della Repubblica di Firenze a danno dei conti Guidi, l’alpe del Corniolo, la selva del Castagno e la selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli tra il 1380 e il 1442 furono donate (il termine contenuto in atti è “assegnato in perpetuo”; A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 15-16, cit.) all’Opera del Duomo di Firenze in Romagna che, per oltre quattro secoli si riservò il prelievo del legname da costruzione e per le forniture degli arsenali di Pisa e Livorno, di quelli della Francia meridionale oltre che per l’ordine dei Cavalieri di Malta. Dopo la presa in possesso l’Opera aveva costatato che sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove si manifestavano numerosi disboscamenti (roncamenti) non autorizzati. Desiderando evitare nuovi insediamenti, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. Altri elenchi e documenti utili si sono susseguiti nei secoli seguenti, fino ai contratti enfiteutici del 1818 e del 1840 con il Monastero di Camaldoli, contenenti una precisa descrizione dei confini e delle proprietà dell’Opera.

- Informazioni preziose riguardo luoghi e fabbricati si hanno grazie ai rapporti delle visite pastorali o apostoliche. La visita, che veniva effettuata dal vescovo o suo rappresentante, era una prassi della Chiesa antica e medievale riportata in auge dal Concilio di Trento che ne stabilì la cadenza annuale o biennale, che tuttavia fu raramente rispettata. La definizione di apostolica può essere impropria in quanto derivante dalla peculiarità di sede papale della diocesi di Roma, alla cui organizzazione era predisposta una specifica Congregazione della visita apostolica. Scopo della visita pastorale è quello di ispezione e di rilievo di eventuali abusi. I verbali delle visite, cui era chiamata a partecipare anche la popolazione e che avvenivano secondo specifiche modalità di preparazione e svolgimento che prevedevano l'esame dei luoghi sacri, degli oggetti e degli arredi destinati al culto (vasi, arredi, reliquie, altari), sono conservati negli archivi diocesani; da essi derivano documentate informazioni spesso fondamentali per conoscere l’esistenza nell’antichità degli edifici sacri, per assegnare una datazione certa alle diverse fasi delle loro strutture oltre che per averne una descrizione a volte abbastanza accurata.

- L’Appennino romagnolo era caratterizzato fino a metà del XX secolo (superata in qualche caso per un paio di decenni) da una capillare e diffusa presenza di mulini ad acqua, secondo un sistema socio-economico legato ai mulini e, da secoli, radicato nel territorio del Capitanato della Val di Bagno. Intorno al Cinquecento ognuno dei 12 comuni del Capitanato disponeva di almeno un mulino comunitativo la cui conduzione veniva annualmente sottoposta a gara pubblica a favore del migliore offerente. Nell’alta valle del Bidente di Pietrapazza il Comune di Poggio alla Lastra possedeva tre mulini, il Mulino di Pontevecchio, il Mulino delle Cortine e il Mulino delle Graticce; a quell’epoca nell’area si registrano assegnazioni per 230 bolognini. La manutenzione poteva essere a carico del comune o del mugnaio. Alla fine del Settecento l’attività riformatrice leopoldina eliminò il regime di monopolio comunitativo introducendo la possibilità per i privati di costruire altri mulini in concorrenza produttiva, cui seguì un progressivo disinteresse comunale con riduzione dell’affitto annuale dei mulini pubblici fino alla loro privatizzazione. Nell’Ottocento, con la diffusione dell’agricoltura fino alle più profonde aree di montagna, vi fu ovunque una notevole proliferazione di opifici tanto che, ai primi decenni del Novecento, si potevano contare undici mulini dislocati lungo il Bidente di Pietrapazza e i suoi affluenti. Dagli anni ’30, la crisi del sistema socio-economico agro-forestale ebbe come conseguenza l’esodo dai poderi e il progressivo abbandono dell’attività molitoria e delle relative costruzioni.

- Le “vie dei legni” indicano i percorsi in cui il legname, tagliato nella foresta, tronchi interi o pezzato, dal XV° al XIX° secolo veniva condotto prima per terra tramite traini di plurime pariglie di buoi o di cavalli, a valicare i crinali appenninici fino ai porti di Pratovecchio e Poppi sull’Arno, quindi fluitato per acqua, a Firenze e fino ai porti di Pisa e Livorno. Per approfondimenti, v. M. Ducci, G. Maggi, B. Roba, 2024, cit.

RIFERIMENTI   

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M. Foschi, P. Tamburini, (a cura di), Il patrimonio edilizio nel Demanio forestale. Analisi e criteri per il programma di recupero, Regione Emilia-Romagna A.R.F., Bologna 1979;

A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;

M. Gasperi, Boschi e vallate dell’Appennino Romagnolo, Il Ponte Vecchio, Cesena 2006;

N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001;

D. Mambrini, Galeata nella storia e nell’arte, Tipografia Stefano Vestrucci e Figlio, Bagno di Romagna, 1935 – XIII;

A. Polloni, Toponomastica Romagnola, Olschki, Firenze 1966, rist. 2004;

A. Sansone, Relazione sulla Azienda del Demanio Forestale di Stato – 1° luglio 1910/30 luglio 1914, Roma 1915;

P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anast. Castrocaro Terme 1989;

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Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze

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URL www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.

Percorso/distanze :

da Santa Sofia raggiungere Poggio alla Lastra, poi proseguire su strada che ben presto diventa sterrata fino a Pietrapazza - distanza da Santa Sofia 17,5 Km

foto/descrizione :

foto del 1980


pietrapazza
foto del 2007


pietrapazza
ponte sul fiume Bidente nei pressi di Pietrapazza


pietrapazza
foto del 2009 inviata da www.gianlucacarboni.it


pietrapazza
foto del 2009 inviata da Walter Donati


pietrapazza
pietrapazza
pietrapazza
foto del 2010


pietrapazza
foto del Giugno 2012 dopo i lavori di risistemazione inviata da Andrea Becherini e qui riprodotta su consenso dell'autore

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Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.

00a1 – 00a2 - 00a3 - Dalla S.F. del Cancellino, panoramica e vedute ravvicinate delle convergenze morfologiche sul fondovalle di Pietrapazza (17/09/12).

00b1/00b5 – Dall’affilato Crinale del Finocchio e dalla mulattiera che risale a Casanova dell’Alpe, scorci di Pietrapazza (18/10/11 – 3/10/12 - 19/04/18).

00c1/00c5 – Dal Crinale delle Graticce a monte di Pianaccio, panoramica e vedute che evidenziano la perfetta morfologia piramidale del picco di Pietrapazza, dove sorgeva la chiesa settecentesca, con particolari del probabile “Pian della Chiesa” e della chiesa moderna (23/03/22).

00d1 – 00d2 – 00d3 - Dal crinale che da Pietrapazza risale verso Le Graticce, pressi Cà di Mengaglia, vedute verso Pietrapazza e il picco piramidale che la sovrasta, dove si nota bene lo spiazzo di sommità dove sorgeva la chiesa settecentesca (19/04/18).

00d4/00d7 – Dall’antica mulattiera che dal mulino conduceva a Cà de’ Conti, vedute del poggio di Pietrapazza, che per effetto prospettico pare posto al termine dell’affilato Crinale del Finocchio, con scorcio del probabile “Pian della Chiesa”, attorniato dall’ansa del Bidente (25/03/24).

00d8 – Dalla rotabile, scorcio del poggio di Pietrapazza e del Bidente (25/03/24).

00e1 – Schema cartografico del bacino idrografico del Bidente riferibile all’area del nucleo di Pietrapazza. È segnalato il sito della chiesa primitiva ipotizzato da C. Bignami e A. Boattini.

00e2 - Schema cartografico da mappa del XIX sec. che, nella sua essenzialità, riguardo la viabilità principale evidenziava esclusivamente i tracciati viari di crinale che da S.Sofia raggiungevano lo Spartiacque Appenninico, il tracciato di fondovalle S.Sofia-Poggio alla Lastra che poi si riconnetteva al tracciato di crinale ed il tracciato trasversale che collegava i Passi della Bertesca e di Monte Càrpano transitando da Pietrapazza. La toponomastica riprende, anche nella grafica, quella originale; integrazioni in neretto a fini orientativi.

00e3 - 00e4 – 00e5 - Schemi cartografici della bassa valle del Bidente all’inizio del XIX secolo, con segnalazione del percorso fino a Pietrapazza, e nella prima metà del XX secolo, antecedente alla realizzazione della S.F. Poggio alla Lastra-Pietrapazza, con particolare dell’area circostante il nucleo religioso.

00e6 – Confronto tra la planimetria catastale di inizio XIX secolo e situazione odierna con individuazione degli edifici. È segnalato il sito della chiesa primitiva ipotizzato da C. Bignami e A. Boattini.

00f1/00f6 – Vedute del tracciato superstite della mulattiera che giungeva a Pietrapazza, come da catasto ottocentesco, dall'interruzione settentrionale per apparente frana al ripido arrivo sulla sella posteriormente alla chiesa (25/03/24). 

00f7/00f12 – Vedute del tracciato superstite della mulattiera documentata dalla cartografia I.G.M. del 1937 che aggirava il poggio di Pietrapazza seguendo il corso del fiume e transitando sotto il versante a reggipoggio (25/03/24).

00f13/00f20 – Vedute del probabile sito di “Pian della Chiesa” dove si ipotizza sorgesse la chiesa primitiva (25/03/24).

00g1/00g4 – Vedute dello spiazzo dove sorgeva la chiesa settecentesca in cima al poggio, regolarizzato e sorretto da muri di contenimento, con elaborazione pittorica tipo olio da particolare di foto del 1938 (25/03/24).

00h1 – 00h2 – 00h3 – Una rampa costruita integrando l’inclinazione naturale della stratificazione arenacea emergente con un bordo in grossi blocchi lapidei ed un riempimento, elementi questi asportati dal dilavamento o volontariamente, consentiva la difficoltosa risalita sul poggio fino alla chiesa vecchia (18/10/11 - 9/05/13 – 12/07/16).

00i1/00i21 – Vedute della chiesa nuova e della canonica (18/10/11 - 9/05/13 – 12/07/16 - 19/04/18).

00i22- Elaborazione pittorica tipo olio da particolare di foto del 1937 del fabbricato posto oltre la canonica e noto come “osteria di Felice Pertutti”.

00i23 – 00i24 – 00i25 – Scorci della fonte di Pietrapazza e di una finissima incisione su pietra posta accanto: MORIZIN L'ULTME PRETPAZIN (9/05/13).

00i26 – Scorcio del sito della sella che collegava il poggio di Pietrapazza con il versante del Crinale delle Graticce, un tempo percorso da mulattiere ed oggi tagliato dalla rotabile (26/08/16).

00l1/00l27 – Il Cimitero di Pietrapazza, restaurato tra il 2008 e il 2010 (18/10/11 - 9/05/13 – 1/09/16 – 25/03/24).

00m1/00m6 – 00n1/00n15 – Il Ponte di Pietrapazza e il Bidente, con elaborazione pittorica del rilievo del vecchio ponte e progetto del nuovo e scorcio del mulino (18/10/11 - 9/05/13 – 12/07/16 – 25/03/24).

00o1/00o10 – Il Ponte delle Graticce, con elaborazione pittorica tipo olio da foto risalente agli anni ’70 del secolo scorso, con i lavori in corso per l’apertura della rotabile risalente nella valle del Rio d’Olmo (3/10/12 – 12/07/16).

00p1/00p5 - Le anse del Rio d’Olmo sotto Pietrapazza prima dello sbocco del Bidente (18/10/11).

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