Campominacci
in passato rifugio incostudito aperto solo su prenotazione, ormai abbandonato
Testo di Bruno Roba (20/06/17 - Agg. 23/10/2023) - Il Fosso delle Macine ha origine da Poggio della Serra e costituisce il tratto montano del Fosso di Campo alla Sega che ha esatta origine dalla confluenza del suo tratto montano con il Fosso di Sasso Fratino (a volte detto anch'esso Fosso delle Macine), con la sua ramificazione generata da quell’anfiteatro, tra cui il Fosso dell’Acqua Fredda o dell’Asticciola. «I torrenti principali che attraversano la Riserva sono (da Ovest a Est): Sottobacino Bidente di Ridracoli – Fosso delle Macine, che costituisce la porzione alta del F.di Campo alla Sega […] Fosso di Sasso Fratino, affluente di destra del F. d. Macine – Fosso di Campo alla Sega, derivato dalla confluenza del F. d. Macine e del F. d. Sasso Fratino […]» (A. Bottacci, 2009, p. 23, cit.). Altri affluenti provenienti dalla Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino sono il Fosso dei Praticini o dei Fraticini, posto prima della confluenza del Fosso di Sasso Fratino, e il Fosso dei Preti, delimitato in dx idrografica dalla Costa di Poggio Piano, braccio orientale dello specifico anfiteatro di Sasso Fratino che, distaccatasi dallo spartiacque appenninico ed in continuità con la dorsale della Seghettina, chiude a SE il bacino idrografico. Mentre il Fosso dei Botriali confluisce nel Fosso di Campo alla Sega sul limite del suo braccio lacustre, gli altri affluenti in sx idrografica, ovvero il Fosso della Busca, già della Basca, e il Fosso dell’Asino, ormai si gettano direttamente nel lago. La dorsale della Seghettina separa la valle del Fosso di Campo alla Sega da quella del Fosso degli Altari.
Per l’inquadramento territoriale v. schede Valle del Bidente di Ridràcoli e Fosso di Campo alla Sega.
La minore acclività di tratti del versante sx della valle, alcontrario di quella della Riserva, dei Fossi delle Macine e di Campo alla Sega, al contrario di quella della Riserva, ha consentito il diffondersi di insediamenti ed appoderamenti dediti al pascolo e al taglio del bosco, infatti il ricorrente toponimo ricorda la principale attività svolta nell’area dai secoli addietro fino alla prima metà del XX … «Ivi il Padre Apennino non corruso ma verde, mostravasi aperto e vestito con alberi sul fianco, appiè del quale una cascata di acque da sega in sega e tra i massi rompendosi lieve lieve come velo copriva un ponticello …» (P. Ferroni, Autobiografia, 1825, in: G.L. Corradi, O. Bandini, “Per quanto la veduta consenta di spaziare”. Scelta di testi dal XIV al XIX secolo, in: G.L. Corradi, O. Bandini, 1992, p.78, cit.). Gli insediamenti superstiti sono alcuni fabbricati del nucleo de La Seghettina e, fino a pochi decenni addietro, Campominacci che giunse ad essere recuperato ed indicato come rifugio nella prima cartografia del Parco delle Foreste Casentinesi, oggi ormai abbandonato al destino di rudere, come peraltro l'Ammannatoia, anche detto Mannatoia o Manatoia o Menatoja, ed i Botriali, già Butriali. Di Pratovecchio e Poggio a Pratovecchio (posti sul crinale di Poggio della Gallona ma il primo appartenente al sistema vallivo del Fosso del Molinuzzo) e di Campo alla Sega rimangono poche pietre. Vari capanni (di alcuni rimangono resti poco consistenti) si trovavano sia sulla sella del contrafforte posta a monte dell’origine del Fosso delle Macine, l’ex rifugio di Pian del Pero, sia presso il suo corso (uno a metà circa di probabile uso forestale, uno verso il termine, forse un’antica macina, peraltro posta in un sito nel XIX secolo noto come La Macine), sia presso Campominacci e Campo alla Sega.
La prima cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto Toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), consente di conoscere il tracciato della viabilità antica che raggiungeva Ridràcoli. Attraversato il Bidente di Corniolo presso Isola, con il Ponte dell'Isola, sul luogo del ponte odierno, essa si manteneva in sx idrografica risalendo subito a mezzacosta fino a raggiungere Biserno, per quindi ridiscendere nel fondovalle del borgo, dove si concludeva con un lungo rettilineo al cui termine si trovava Il Ponte di Ridràcoli. Tale viabilità, anonima nelle mappe citate, verrà poi denominata Strada Comunale Ridràcoli-Biserno e Strada Comunale Isola-Biserno; solo in occasione dei lavori di costruzione dell’invaso quest’ultima verrà ristrutturata e ampliata diventando parte della S.P. n.112.
Vari itinerari trasversali collegavano le vallate adiacenti, principalmente dipartendosi dal baricentro militare-residenziale del Castello di Ridràcoli (nel 1216 è documentato come Castrum Ridiracoli un villaggio fortificato che, secondo la Descriptio Romandiole del 1371, raggiungeva appena 6 focularia) e dai nuclei economico e religioso del ponte e della chiesa (una villam Ridraculi cum omnibus ecclesiis è documentata già dal 1213), dialetticamente separati in base alla morfologia del luogo, determinata dalla fitta sequenza delle anse fluviali. Dal Castello partiva la Strada che dal Castello di Ridracoli conduce alla Chiesa della Casanova, risalente la Valle dei Tagli ed imperniata su Casanova dell’Alpe (su una pietra cantonale della chiesa sono ancora leggibili le distanze chilometriche – evidentemente non più valide - km 12,358 per Bagno e km 5,933 per Ridràcoli); costituiva parte della successiva Mulattiera Ridràcoli-Bagno. Dal Ponte di Ridràcoli partiva la Strada che da Ridracoli va al Poggio alla Lastra, che, superata la chiesa, risaliva la Valle del Corneta, parte della successiva e rinomata Mulattiera di Ridràcoli diretta a Santa Sofia tramite Strabatenza. Entrambe le mulattiere incrociavano sul crinale la Strada Maestra di S. Sofia o Strada che dalla Casanova va a Santa Sofia, la prima presso il Monte Moricciona, la seconda sul Passo della Colla, posto sulla Colla del Monte interposta tra i Monti Marino e La Rocca. Molto note e ancora riportate come tali nella cartografia moderna, negli anni ’50 alle estremità delle mulattiere vennero installati dei cippi stradali riportanti la rispettiva denominazione, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli; rimasero localmente in uso fin’oltre metà del XX secolo, infatti le odierne strade forestali verranno realizzate solo un ventennio dopo.
Dai piedi del centro religioso si staccava un percorso che giungeva fino alle pendici della Seghettina … «[…] praticabile solamente nella bella stagione, quando le acque del fiume erano scarse, e si snodava lungo il corso del Bidente che veniva attraversato ben 33 volte […]» (C. Bignami, 1995, p. 90, cit.). Dalla via castellana si staccava la strada comunale, sempre percorribile, che risaliva il Bidente per un lungo tratto correndo accanto all’alveo fluviale, per la parte fino alla diga oggi sostituito dalla viabilità di servizio, per il resto ormai sommerso. La via scavalcava il Fosso dei Tagli, presso lo sbocco nel Bidente, forse sul luogo oggi occupato dall’asfalto stradale, con il Ponte dei Tagli. Subito dopo la mulattiera passava sotto un arco del Mulino di Sopra costeggiandone il bottaccio. Con la costruzione della diga e con il riempimento dell’invaso, è scomparso pressoché l’intero tracciato viario e sono scomparsi mulini, insediamenti (le Celluzze – che spesso riemerge, la Forca, Lagacciolo, Verghereto), ponti e guadi che, come sopracitato, attraversavano 33 volte il Fiume della Lama o Obbediente (come era anticamente classificato), come il Ponte a Ripicchione (documentato da una mappa del 1637 allegata ad una relazione del 1710 del provveditore dell’Opera del Duomo di Firenze riproduzioni della mappa si trovano in A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, l’originale a colori, in A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.) e il Ponte alla Forca. La mulattiera, dopo il Ponte a Ripicchione abbandonava l’argine fluviale risalendo progressivamente il versante e, sorpassata la Fonte dei Bisernini, raggiungeva Lagacciolo; un bivio divideva il tratto che da Case di Sopra risaliva fino al Monte Cerviaia dalla prosecuzione della via che ridiscendeva fino a La Forca e al suo mulino, prima attraversando il fosso detto Il Fossone con una palancola lignea, in un’area ormai sommersa. La viabilità lungo il Bidente terminava con l'attraversamento tramite il Ponte alla Forca o della Seghettina, risalente al 1843. Oltrepassato il ponte con un lungo tragitto si poteva risalire fino a S. Paolo in Alpe oppure si imboccava l’importante e sopracitata Strada che dalla Seghettina va a Stia valicante il Passo Sodo alle Calle o La Scossa. Dal questa via si staccava pure un itinerario (detto anche Via dei Fedeli) che scendeva ad attraversare il Fosso degli Altari per poi seguire il Fosso della Lama penetrando nella sua valle fino a valicare il crinale con il passo del Gioghetto, diretto all’Eremo di Camaldoli. Alla seconda metà del secolo scorso risalgono il Ponte alla Sega, ampio ponte ligneo carrabile che consente alla S.F. Lama-S. Paolo in Alpe-Corniolo di attraversare il Fosso di Campo alla Sega e il Ponte alla Macchia, un robusto ponticello ligneo con spalle in pietra che viene utilizzato anche come carrabile da piccoli mezzi agricoli per collegare la Seghettina con la strada predetta tramite la strada forestale diretta all’Ammannatoia. La valle del Fosso di Campo alla Sega era inoltre interessata da alcune c.d. vie dei legni, utilizzate per il trasporto del legame tagliato dai boschi di prelievo fino al Porto di Badia a Poppiena a Pratovecchio, attraverso i valichi appenninici tosco-romagnoli; una di queste, che probabilmente attraversava la Riserva di Sasso Fratino, era la via che dalla Lama conduceva alla Seghettina e quindi a Pian del Pero e la Calla, individuata all’inizio del XX secolo dal Direttore generale delle Foreste, al Ministero di Agricoltura, A. Sansone nella relazione sullo stato delle foreste demaniali (cit.).
In questo contesto storico-geografico, tra le alte valli bidentine quella di Ridràcoli è quella che meno ha subito il fenomeno dell’abbandono grazie alle caratteristiche ambientali e climatiche più favorevoli della sua parte meno elevata. Il borgo principale, posto nel baricentro sia geografico sia del sistema insediativo, è quello più noto e frequentato e la frazione di Biserno è quella più abitata, ma le parti delle vallecole laterali più profonde e difficilmente raggiungibili sono trascurate e molti fabbricati oggi sono in stato di abbandono o ridotti a rudere o scomparsi, con vari casi di ristrutturazione interrotta, ma non fanno eccezione neanche le valli meglio infrastrutturate che, se hanno evitato il completo abbandono dei poderi, hanno scarsamente contribuito al riutilizzo dei rispettivi insediamenti, in prevalenza abbandonati o, al più, riutilizzati a fini turistici.
La Valle Fosso di Campo alla Sega e sue diramazioni erano abitate fin dal XVI secolo nelle parti più remote e alcuni insediamenti sono rappresentati nella mappa del 1637. Essi erano collegati alla viabilità principale di crinale da itinerari trasversali. Le identificazioni toponomastiche e grafiche della cartografia antica e moderna (Catasto toscano, Carta d’Italia I.G.M., N.C.T. Nuovo Catasto Terreni, C.T.R. Carta Tecnica Regionale) riguardanti i fabbricati si possono schematizzare come di seguito elencato:
- L’Ammannatoja nel Catasto toscano, o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o Ammannatoia in quella moderna, o Ammannatoia nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- I Botriali nel Catasto toscano, o i Botrini nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o i Botriali nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o i Butriali in quella moderna, o Butriali nel N.C.T., o I Botriali nella C.T.R.;
- Campominacci nel Catasto toscano, nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna, o Campominacci nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- Campo alla Sega: anonimo nel Catasto toscano, o assente in tutta la restante cartografia antica e moderna; Campo alla Sega nella Carta Geometrica della Regia Foresta casentinese e adiacenze, l’anno 1850 (cfr. Regione Toscana – Progetto CASTORE, cit.);
- anonimo nel Catasto toscano, o la Seghettina nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna, o Seghettina nel N.C.T., o La Seghettina nella C.T.R.;
- La Seghettina nel Catasto toscano, o la Seghettina nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna, o Seghettina di Sotto nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- ex Rifugio di Pian del Pero: assente nel Catasto toscano, o C. Pian del Pero nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o assente nella restante cartografia antica e moderna; ex Rif. Pian del Pero in alcune edizioni di cartografia escursionistica;
- Poggio a Pratovecchio nel Catasto toscano, o Pratovecchio nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna con rappresentazione del simbolo dei ruderi, o Pratovecchio nel N.C.T. e nella C.T.R.
Campominacci, già Campo Minacci, Campo di Minaccio e Campo Ominacci, rientrava tra i beni posseduti dall’Opera del Duomo di Firenze in Romagna e il relativo appezzamento boschivo è documentato fin dal 1545: «[…] dei livelli che l’Opera teneva in Romagna […] se ne dà ampio conto qui di seguito […] 1545 […] – Una presa di terra cerretata detta i terzi dua poderi dell’Asticciola che comincia sopra la fonte dei Botriali e sale per il raggio di Campo alla Sega che mette nel Campo di Minaccio […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 150, cit.). Un nuovo accurato elenco è relativo al 1637: «1637 – Nota dei capi dei beni che l’opera è solita tenere allivellati in Romagna e Casentino e sono notati col medesimo ordine col quale fu di essi fatta menzione nella visita generale che ne fu fatta l’anno 1631: […] 24) Campo Minacci, podere tenuto da redi di Lionardo Cascesi […] 26) Fossa Cupa, terra tenuta da redi di Lionardo Cascesi unita al podere di Campo Minacci 27) Serra, ronco o terra tenuta da redi di Lionardo Cascesi unita al podere di Campo Minacci» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 410, cit.). Dal verbale di una “visita” del 1677 scritto dal cancelliere si apprende in merito al podere: «[…] siccome li poderi di Romagna appresso notati cioè […] Campo Minacci tiene a livello i figli di Andrea Piero Ricci […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977 , p. 329, cit.). Da una relazione del 1751 sullo stato dei poderi dell’Opera si apprende:«[…] 9) Podere di CAMPO MINACCI tenuto in affitto da Agostino Checcacci. Questo è un piccolo poderetto […] molto sottoposto a venti e per ciò quella casa soffre maggior danno delle altre […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977 , p. 435, cit.). Nel 1789, da una relazione sui canoni da stabilirsi, risulta che:«I poderi […] Campominacci […] sono situati alle falde di vasto circondario delle selve d’abeti e sembra che sieno stati fabbricati in detti luoghi per servire di custodia e per far invigilare dai contadini di detti poderi […] alla conservazione […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 441, 442, cit.). Nel Contratto livellario stipulato nel 1818 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli si trova un’ulteriore descrizione dei fabbricati: «Tutta questa tenuta […] è composta dai seguenti terreni cioè […] 20° Podere denominato Campo Minacci […] con casa da lavoratore composta di numero sei stanze, forno, aia, stalletto, orto, con capanna separata dalla casa composta di quattro stanze e loggia. Tutto questo fabbricato merita pronti resarcimenti […]. Questo podere è composto dei seguenti terreni cioè […] III° una casetta denominata Campo alla Sega addetta al nominato podere composta di quattro stanze da cielo a terra. Questa fabbrica merita di essere resarcita […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 473, cit.). Dalle istruzioni per una perizia conferita nel 1832, si apprende che sono stati effettuati lavori di restauro o nuova costruzione a carico del Monastero di Camaldoli in base a concessione enfiteutica alla stalla e alla capanna del podere. (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 459, cit.). Nel Catasto toscano del 1826 è registrata una fase intermedia di sviluppo edilizio ma incompleta nella descrizione rispetto al contratto del 1818: «(71) Casa colonica e sodo. Campo Ominacci. (72) Sodo. (73) Capanna ed aia. A terreno cinque stalle, due stalletti loggia e forno. I° piano: cucina, camera, granaio e capanna. Lavoratore Fabbri Stefano.» (M. Foschi, P. Tamburini, 1979, p. 159, cit.). Sciolto d’imperio il contratto del 1818 per inadempienze nell’applicazione di un rigoroso regime forestale ai possedimenti dell’Opera, nel 1840 il Granduca fece stipulare un nuovo Contratto livellario con il Monastero di Camaldoli, così si trova un’ulteriore, ed ora estremamente precisa, descrizione del podere dei fabbricati: «N. 5 - Podere denominato Campo Minacci […] lavorato dalla famiglia colonica di Stefano Fabbri. Fabbricati colonici. La casa rusticale parte di recente costruzione comprende a terreno una stalla per le pecore superiore di alquanti scalini dal piano del suolo sterrata, una loggia che offre ingresso ad una stalla a palco fuori uso un porcile ed una stalla per le capre sterrata ed interrotta da un arco ambedue con ingresso esterno. Al piano superiore si accede dall’indicata loggia ove corrisponde la bocchetta del forno ed ha una cucina corredata del camino e acquaio la quale libera tre camere due delle quali sono formate mediante dei divisori di tavole. Tali stanze sono tutte a tetto. Separato ed inferiore a questa si trova altro fabbricato il quale comprende a terreno una stanza per diversi usi con ingresso esterno a levante ed una stalla per il bestiame vaccino di recente costruzione lastricata e munita di doppia mangiatoria di materiale. Il piano superiore ha una loggia la quale per una scala di materiale dà ingresso ad una stanza a tetto ad uso di granaio ed ha una capanna superiore alla stalla alla quale si accede dall’aia mediante alcuni scalini di materiale. Tali sono i fabbricati colonici addetti a questo podere intorno ai quali sono i resedi l’aia sterrata ed alcuni orticelli cinti da siepe con frutti, ed occorrono alcuni piccoli riattamenti quantunque molti lavori vi siano stati eseguiti di recente. Terreni. Ed i descritti fabbricati posano in mezzo ad una tenuta di terra tutta giacente in poggio ed in una costiera rivolta a mezzogiorno la quale è intersecata da più e diversi fossi che scendono nel principale detto il Fosso della Macine e più inferiormente dell’Asticciola e dalla strada che sale alla casa colonica come pure da altre stradelle vicinali e viottoli. La sua geometrica estensione è di quadrati 242 corrispondenti a staia 592 e di queste per staia 2 e mezzo prativa, staia 40 e mezzo lavorativa nuda con frutti selvatici, capitozze da frasche, per staia 2/3 circa area occupata dai fabbricati, staia 360 terre a pastura e boschive con capitozze da frasca, di carpini, cerri frassini, noccioli ed in parte seminativa a tempi nelle località meno inclinate, e per ogni resto macchia con abeti e faggi. E questa tenuta di terre oltre la generale denominazione di Campo Minacci si conosce per i seguenti vocaboli: Campo Grande, La Fossa Cupa, il Poggiolo dei Confini, Cerreta, Balza dell’Acerone, i Piani, Fosso alla Macina, Diaccetti, l’Aiaccia, i Prati, l’Aia di Canino, la Serra, la Finocchiaia. […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 513-514, cit.). Una mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna datata 1888-1913 (cfr. C. Bignami, A. Boattini, 2022, cit.), riguardante l’attribuzione delle numerazioni civiche, assegnava a Campo Minacci il n. 23.
A differenza di altri, Campominacci compare sempre nella cartografia antica. Già lo rappresenta la citata mappa del 1637, poi lo si individua nella c.d. Carta Topografica Austriaca del 1853 e nella, di poco, successiva (1863-95) Carta d'Italia I.G.M. di primo impianto. In base all'ulteriore cartografia ottocentesca, ovvero Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinese del 1850 (conservata presso il Nàrodni Archiv Praha e consultabile on-line grazie al Progetto CASTORE della Regione Toscana) e Catasto toscano, il fabbricato compare non distante dal Fosso del Campo alla Sega e lungo l’antica via che, correndo a mezzacosta, conduceva a Ridràcoli con la strada dell’Ammannatoia transitando prima dal fabbricato di Campo alla Sega (con diramazione verso da un lato Botriali e dall’altro verso la Seghettina, previo attraversamento del fosso sul luogo dell’odierno Ponte alla Macchia), ma della quale solo un breve tratto pare trovare corrispondenza con la situazione odierna. In quell’epoca tale viabilità, di cui si trovano ancora consistenti resti, appare di classificazione superiore rispetto a quella circostante mentre successivamente, in base alla cartografia storica I.G.M. (1937), il ruolo di collegamento principale risulta svolto dalla mulattiera Ammannatoia-Botriali-Val di Rubbiana, che ancora oggi scavalca la dorsale di Poggio della Gallona per discendere nella Valle del Fosso del Ciriegiolone e risalire verso S. Paolo in Alpe, oggi in parte riutilizzata da una pista poderale. Se gli altri tracciati sono ridotti al rango di sentiero, la cresta incisa dalla S.F. Lama-S. Paolo in Alpe all’inizio del XX secolo non risulta invece interessata da alcun tipo di percorso, probabilmente per l’impraticabilità del versante orientale di Poggio della Serra precedentemente alla sua escavazione.
Campominacci, già proprietà ex A.R.F., nell’ambito dei programmi regionali di riutilizzo del patrimonio edilizio nel Demanio forestale, per la sua particolare ubicazione a ridosso della Foresta della Lama e in particolare di fronte alla Riserva di Sasso Fratino, era stato preso in considerazione quale esempio di recupero di un fabbricato rurale da trasformarsi, per la particolare ubicazione, in base per escursioni naturalistiche, osservatorio faunistico e parte a rifugio, che giunse alla predisposizione di un progetto particolareggiato previa analisi storico-tipologica e metodologica da cui è risultato che il fabbricato è stato costruito in tre fasi che hanno visto inizialmente la realizzazione di un unico vano su due piani, con stalla al livello inferiore e l’abitazione a quello superiore, costituita da una cucina e due stanze, per una superficie coperta di circa 70 mq., sfruttante il pendio per gli accessi. Con l’incremento della 2a fase, che avviene con un ampliamento a monte al livello superiore, si ha l’aggiunta di due stalle collegate alla cucina da una loggia incassata di ingresso e disimpegno e retrostante 3a stanza, a formare un lungo ma basso edificio, mentre un forno con loggia e sottostante stalletto sporgevano dal corpo principale dei fabbrica accanto alla loggia incassata; tutti gli ambienti erano a tetto. All’atto del citato contratto del 1818 risultava presente un fabbricato separato posto più a valle incassato nel pendio costituito da una stanza ed una stalla al P.T. e altre due stanze e una loggia al P.1°: questo fabbricato e il forno sono scomparsi ma, sopra la loggia incassata, rimane traccia della copertura della loggetta esterna. Nel 1840 il fabbricato separato e scomparso risulta comprendere al livello inferiore una stalla ed un altro vano di servizio e, a quello superiore, una loggia raggiunta da una scala in pietrame da cui si accedeva ad un granaio a tetto oltre una capanna sovrastante la stalla con ingresso indipendente dall’aia mediante una scala in pietrame. Nella 3a fase (posteriore al 1840 infatti non registrata nel contratto tra l’Opera e Camaldoli) l’edificio viene interamente sopraelevato di un piano, suddiviso in 4 stanze e raggiunto da una scala inserita nella stanza retrostante la loggia incassata; al P.T. venivano eliminati i divisori in tavole di legno così creando l’ampia cucina. Se fa fede l’elegante incisione sull’architrave del camino tale intervento risale al 1843, infatti vi si legge R.S.F.F. – L.A. 1843, nella quale accanto alla sigla Fece Fare comparirebbero le iniziali del funzionario granducale committente e accanto alla data le iniziali dello scalpellino, che potrebbe trattarsi di Luciano Amadori, avo dell'omonimo conduttore registrato nel 1955. Il fabbricato risulta non essere mai stato ceduto e, negli anni ’70, risultava in uso da parte dell’A.R.F.; nello stato rilevato possedeva una superficie coperta di 168 mq ed un volume di 1176 mc suddiviso in 9 vani.
Il citato recupero del fabbricato a cura dell’A.R.F. venne realizzato entro il 1986, come infatti è documentato nelle schede del Piano Strutturale comunale, dove viene classificato di interesse storico-architettonico e registrato come centro-visita, così come nelle prime edizioni della Carta escursionistica del Parco delle Foreste Casentinesi compariva il simbolo del rifugio: purtroppo è nuovamente conseguito l’abbandono tanto che, negli anni seguenti (2012), già lo si trovava parzialmente dissestato nella parte a monte, ma già nel 2019 risultava purtroppo del tutto pericolante per un dissesto del terreno anche nella porzione a valle con il crollo totale del tetto e del solaio della cucina.
Riguardo l’aspetto toponomastico si può considerare l’evidente contrazione (Campominacci) da rapportare alle - appunto - “minacciose” definizioni che si ritrovano negli antichi “vocaboli”, che indirizza inevitabilmente a considerazioni riguardo l’aspetto poco “urbano” che dovevano possedere quanti, a quei tempi, erano avvezzi a mestieri tanto duri quali quelli dei boscaioli (Strada che da Campo Ominacci va a Stia), oppure forse riferibili (Campo di Minaccio), anche benevolmente, a un personaggio di, anche benevola, cattiva fama che vi abbia vissuto (Mino > Minaccio) tanto da costituire lascito toponomastico permanente.
Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alle schede toponomastiche relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.
N.B.: - I luoghi della Valle di Campo alla Sega si sono trovati in qualche modo coinvolti dalla storia nell’evoluzione del ciclo delle acque di Ridràcoli, note e sfruttate fin dall’antichità in tutta la Romagna. Lo stesso toponimo deriverebbe dal latino Rivus Oracolum o Oraculorum per la probabile presenza presso il torrente di un piccolo tempio pagano con sibilla oracolante, ipotesi comunque verosimile e conforme alla leggenda della Sibilla appenninica delle vicine montagne marchigiane. Già nel II secolo d.C. le problematiche legate al reperimento delle risorse idriche e soprattutto alle necessità di Ravenna e del porto di Classe portarono l’Impero Romano alla realizzazione di un imponente acquedotto che sfruttava il flumen aqueductus Bidente; tracce di esso si trovano negli scritti antichi ed essenzialmente nella toponomastica locale. Dopo un lunghissimo interregno, negli anni ’30 del XX secolo le esigenze della civiltà moderna portano ad effettuare i primi studi per localizzare una diga nell’Alto Appennino forlivese e, nei primi anni ‘60, al fine di fornire risorse idriche sufficienti alle aree di Forlì e Ravenna e alla fascia costiera romagnola, viene individuata l’area a monte di Ridràcoli come idonea per l’imbrigliamento delle acque dell’alto corso del Bidente (oltre ad altre risorse idriche tramite condotte sotterranee), con conseguente realizzazione dell’opera tra il 1975 e il 1982. Oggi, come probabilmente il lago artificiale ha alterato il microclima dell’anfiteatro della Lama, portando variazioni nell’assetto vegetazionale con un diverso equilibrio a vantaggio delle specie oceaniche (faggio) in confronto a quelle continentali, così l’ambiente circostante è stato modificato da viabilità ed opere connesse alla diga e diversi edifici, acquisiti dalla Romagna Acque-Società delle Fonti S.p.A., hanno subito modifiche e/o riutilizzi a fini turistici.
- L’Opera del Duomo di Firenze, dopo la presa in possesso delle selve “di Casentino e di Romagna”, aveva costatato che sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove si manifestavano numerosi disboscamenti (roncamenti) non autorizzati. Desiderando evitare nuovi insediamenti, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. Altri elenchi e documenti utili si sono susseguiti nei secoli seguenti, fino ai contratti enfiteutici del 1818 e del 1840 con il Monastero di Camaldoli, contenenti una precisa descrizione dei confini e delle proprietà dell’Opera.
- Le “vie dei legni” indicano i percorsi in cui il legname, tagliato nella foresta, tronchi interi o pezzato, dal XV° al XX° secolo veniva condotto prima per terra tramite traini di plurime pariglie di buoi o di cavalli, a valicare i crinali appenninici fino ai porti di Pratovecchio e Poppi sull’Arno, quindi per acqua, a Firenze e fino ai porti di Pisa e Livorno.
- La sega ad acqua venne inventata da Villard de Honnecourt nel sec. XIII e Leonardo da Vinci ne studiò il funzionamento nel 1480. A metà del ‘400 in Casentino sono documentate una sega ad acqua a Camaldoli (i monaci sono stati sempre all’avanguardia nella lavorazione del legno) e due artigiani specializzati a Papiano (M. Massaini, 2015, cit.) mentre, sul versante romagnolo «All’interno della foresta si costruirono direttamente e per concessione a terzi, nel corso del ‘500 e del ‘600, alcune seghe idrauliche per la lavorazione del legname sul posto e la sua preparazione al trasporto (sega del fosso del Bidente, sega del Ridracoli, dell’Asticciuola, del Ricopri). Tali seghe lavoravano al limite della legalità e, nonostante una rigida legislazione e una serie di regolamenti e di divieti per impedire tagli abusivi, per tutta l’età moderna hanno favorito la spogliazione della foresta da parte delle popolazioni confinanti.» (N. Graziani, 2001, p. 149, cit.). In particolare nel ‘6-‘700 l’Opera del Duomo di Firenze puntò al depezzamento del legname in dimensioni di più agevole trasporto con la costruzione di numerose seghe ad acqua in foresta, che però si ridussero ad una tra ‘700 e ‘800 a seguito del progressivo e totale disimpegno della stessa Opera, in attesa dei miglioramenti introdotti dal Siemoni.
- Il toponimo forca, dal latino classico furca, ae = forca, strada a bivio e forcelle montana (A. Polloni) era probabilmente dovuto o alla viabilità che, oltre il ponte omonimo, si biforcava con detto tracciato di crinale e con uno di fondovalle che poi risaliva verso l’Ammannatoia ed oltre, oppure alla biforcazione fluviale con il Fosso di Campo alla Sega.
- Negli scorsi anni ’70, a seguito del trasferimento delle funzioni amministrative alla Regione Emilia-Romagna, gli edifici compresi nelle aree del Demanio forestale, spesso in stato precario e/o di abbandono, tra cui Butriali, Campominacci, Manatoia e Seghettina, divennero proprietà dell’ex Azienda Regionale delle Foreste (A.R.F.); secondo una tendenza che riguardò anche altre regioni, seguì un ampio lavoro di studio e catalogazione finalizzato al recupero ed al riutilizzo per invertire la tendenza all’abbandono, senza successo tranne il parziale riutilizzo della Seghettina. Con successive acquisizioni il patrimonio edilizio del demanio forlivese raggiunse un totale di 492 fabbricati, di cui 356 nel Complesso Forestale Corniolo e 173 nelle Alte Valli del Bidente. Circa 1/3 del totale sono stati analizzati e schedati, di cui 30 nelle Alte Valli del Bidente. Il materiale è stato oggetto di pubblicazione specifica.
- In base alle note tecniche dell’I.G.M. se in luogo dell’anteposta l’abbreviazione “C.”, che presumibilmente compare quando si è manifestata l’esigenza di precisare la funzione abitativa, viene preferito il troncamento “Ca” deve essere scritto senza accento: se ne deduce che se compare con l’accento significa che è entrato nella consuetudine quindi nella formazione integrale del toponimo.
RIFERIMENTI
AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;
C. Bignami, A. Boattini, La gente di Ridràcoli, Monti editore, Cesena 2022;
C. Bignami (a cura di), Il popolo di Ridracoli, Nuova Grafica, Santa Sofia 1995;
A. Bottacci, La Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, 1959-2009, 50 anni di conservazione della biodiversità, Corpo Forestale dello Stato, Ufficio territoriale per la Biodiversità di Pratovecchio, Pratovecchio, 2009;
G.L. Corradi (a cura di), Il Parco del Crinale tra Romagna e Toscana, Alinari, Firenze 1992;
G.L. Corradi e N. Graziani (a cura di), Il bosco e lo schioppo. Vicende di una terra di confine tra Romagna e Toscana, Le Lettere, Firenze 1997;
M. Foschi, P. Tamburini, (a cura di), Il patrimonio edilizio nel Demanio forestale. Analisi e criteri per il programma di recupero, Regione Emilia-Romagna A.R.F., Bologna 1979;
A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;
M. Gasperi, Boschi e vallate dell’Appennino Romagnolo, Il Ponte Vecchio, Cesena 2006;
N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001;
M. Massaini, Alto Casentino, Papiano e Urbech, la Storia, i Fatti, la Gente, AGC Edizioni, Pratovecchio Stia 2015;
A. Polloni, Toponomastica Romagnola, Olschki, Firenze 1966, rist. 2004;
Sansone A., Relazione sulla Azienda del Demanio Forestale di Stato – 1° luglio 1910/30 luglio 1914, Roma 1915;
P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anast. Castrocaro Terme 1989;
Comune di Bagno di Romagna, PSC 2004, Insediamenti ed edifici del territorio rurale, 2004, Scheda n.177;
Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze;
Parco nazionale delle foreste casentinesi. Carta dei sentieri 1:25.000, N.20, Monti editore, 2019;
Regione Toscana – Progetto CASTORE – CAtasti STorici REgionali;
URL http://www502.regione.toscana.it/searcherlite/cartografia_storica_regionale_scheda_dettaglio.jsp?imgid=11479;
URL http://www.igmi.org/pdf/abbreviazioni.pdf;
URL www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.
raggiungibile per sterrata - dalla provinciale di fondovalle del Bidente, direzione Santa Sofia - passo Calla, pocodopo la frazione Lago prendere sterrata sulla destra da seguire per circa 6 Km - proseguire poi a piedi (strada chiusa da sbarra) per altri 4 Km circa.
Testo di Bruno Roba - Campominacci si raggiunge principalmente utilizzando la rotabile S.F. S. Paolo in Alpe-La Lama, chiusa da una sbarra presso S. Paolo, percorrendone circa 3,9 km quando, poco dopo uno strettissimo tornante, si trova un’ampia pista sotto strada (asportato il segnavia segnaletico), utilizzata anche per raggiungere il crinale di Poggio della Gallona, che in 100 m conduce a Campominacci. Il tracciato è riportato nella cartografia sentieristica.
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Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.
001a/001e – L’ampia vista panoramica dal Monte Penna consente di contestualizzare la dorsale che ospita Campominacci nell’alta Valle del Bidente di Ridràcoli agevolmente individuando il fabbricato grazie alla vestizione arborea invernale che evidenzia la sempreverde abetina che lo circonda (7/02/11 – 17/10/13 - 13/01/16).
001f/001i – Dal confine della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino sulla Giogana presso Poggio Scali, tra la folta vegetazione si apre un ridotto scorcio che, sempre grazie alla sempreverde abetina che lo circonda, consente di individuare in sito di Campominacci (presso lo stretto tornante stradale), mentre il fabbricato rimane occultato alla vista (5/02/11 – 10/02/11).
001j/001n – Se dal sito di Palestrina si fronteggia il versante della parte centrale dello spartiacque appenninico che ospita la Riserva di Sasso Fratino mentre la dorsale che si distacca da Poggio della Serra si nota appena sulla dx, portandosi sotto Pratalino, sul sentiero 235 CAI tra il Monte Cerviaia e il Monte Palestrina (che si nota in 1° p. sulla sx), la stessa dorsale appare nell’intero sviluppo insieme alla profonda incisone del Fosso delle Macine, che poi diviene di Campo alla Sega, fosso che si riesce a seguire fino al tratto finale ormai parte dell’invaso lacustre, come si nota dalle sponde prive di vegetazione. Se si riesce ad individuare l’Ammannatoia, Campominacci rimane mimetizzato tra le pieghe del rilievo, peraltro mancando le utili differenze cromatiche stagionali (16/10/16).
001o – 001p – 001q - Dalla dorsale che dalla Costa Poggio Piano, superata la rotabile, prosegue verso la Seghettina, sviluppandosi parallela alla dorsale di Poggio della Gallona, si può avere una vista ravvicinata e quasi in asse della ramificazione delle valli dei Fossi delle Macine/Campo alla Sega e dei Botriali, mentre subito sotto la sua cresta il foliage autunnale evidenzia l’abetina di Campominacci (17/11/11).
001r - 001s - 001t – Dal Belvedere Bocab sulla S.F. Lama-S. Paolo in Alpe e dai suoi pressi mentre la vista della valle del Fosso delle Macine/Campo della Sega è opposta alle precedenti ancora gli abeti consentono di localizzare il sito di Campominacci (5/05/17).
001u – Schema da cartografia moderna della vallata dei Fossi delle Macine e di Campo alla Sega e loro affluenti, con gli insediamenti esistenti o scomparsi in evidenza.
001v – 001w - Mappa schematica dedotta da cartografia storica di inizio XX sec. evidenziante reticolo idrografico, infrastrutture e insediamenti, oltre che la superficie del futuro invaso, con particolare evidenziante il sito del Ponte alla Forca; la toponomastica riprende anche nella scrittura quella originale.
001x1 – 001x2 - 001x3 - Mappe schematiche dedotte da cartografia storica di inizio e di metà del XIX sec. evidenziante reticolo idrografico, infrastrutture e insediamenti; la seconda riporta anche il toponimo del fabbricato di Campo alla Sega, comparente anonimo nella prima. La toponomastica riprende anche nella scrittura quella originale. Infine confronto schematico tra cartografia antica e moderna da cui si rilevano le modifiche planimetriche e alla viabilità intercorse nel secolo frapposto.
001y - Particolare della mappa del 1637 della ramificazione del Fosso di Campo alla Sega, anonima salvo i tratti montani dei Fossi della Motta e dell’Asticciola e di un Fondo alla Macine; compaiono Campo Minacci, Butriali, Mannatoia, Poggio Pratovecchio e Seghettina, oltre il Ponte a Ripicchione, posto subito a valle della confluenza del Fossato del Ciregiolo (oggi Fosso del Molinuzzo) nel fiume, quindi proprio nel luogo dove oggi sorge la diga (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, a colori, A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.).
002a – 002b – 002c – L’innesto sulla S.F. S. Paolo in Alpe-La Lama e la pista verso Campominacci. Il segnavia è stato rimosso (18/08/12 – 18/12/16).
002d/002z – Viste esterne di Campominacci. Mentre alcune mostrano ancora l’apparenza di un fabbricato perfettamente ristrutturato, altre e soprattutto quelle più recenti evidenziano (specie penultima) il prossimo e definitivo collasso che, oltre che produrre un nuovo rudere, trasformerà in inutile dispendio di fondi pubblici l’impegno economico della ristrutturazione (31/03/12 – 15/06/12 - 18/12/16 – 5/05/17 - 30/09/19).
003a/003e – La grande cucina solo con la sopraelevazione della terza fase costruttiva verrà liberata dalle tramezzature lignee che suddividevano il locale organizzando due stanze sul lato opposto al camino, come dimostra l’acquaio incassato nella finestra più distante. L’abbandono ormai compromette definitivamente anche l’utilizzo estemporaneo dell’ex rifugio (15/06/12 - 30/09/19).
003f/003n – Gli ambienti uso stalla della 2a fase costruttiva, poi sopraelevati con la 3a, già ristrutturati negli scorsi Anni ’80 con finalità turistiche, completamente dissestati a causa dell’abbandono (31/03/12 – 5/05/17).
003o/003s – La stalla seminterrata relativa alla 1a fase costruttiva è il locale che si trova nelle condizioni statiche migliori dopo gli interventi di consolidamento e ristrutturazione degli scorsi Anni ’80, quando pare sia stato eliminato un pilastro centrale documentato dall'A.R.F. (31/03/12 – 15/06/12).
003t – Schema tipologico delle piante e della sezione del fabbricato con differenziazione in base alle principali fasi di accrescimento e indicazione della destinazione d’uso dei locali, ad eccezione di quanto previsto con il progetto di ristrutturazione e probabilmente raramente concretizzato nel riuso.
004a/004e – L’area esterna al fabbricato con resti dell’aia e di una probabile letamaia, mentre il cumulo della 4a foto per posizione potrebbe nascondere i resti del grande annesso documentato nell’Ottocento ma ancora rappresentato nel catasto moderno (5/05/17).
004f – 004g - 004h - Tutto il versante, prima dell’abbandono, doveva essere spoglio ed occupato da ampie aree a prato-pascolo; così, appena sotto Campominacci, capita di trovare ancora un abbeveratoio (5/05/17).