Passo dei Mandrioli
Ardita strada progettata dall'ing. Alcide Boschi, che varca 'l'Alpe' al passo dei Mandrioli (mt. 1173) e costruita negli anni 1870-1882. Importante collegamento con il Casentino, ha di fatto sostituito l'antico passo Serra (mulattiera-sentiero tutt'oggi percorribile) che varcava 'Alpe' poco più a Est.
Lungo il percorso è possibile ammirare ampi panorami sull'alta valle del Savio e sui contrafforti dell'Alpe di Serra.
Interessante sotto l' aspetto geologico il tratto detto 'delle scalacce', dove la strada costeggia alte pareti di roccia Marnoso-arenacea, tagliate 'a gradoni'.
Testo di Bruno Roba (27/10/2020).
Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto dello Spartiacque Appenninico compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine. In quell’ambito da Poggio Scali e da Poggio allo Spillo si staccano due contrafforti secondari e vari crinali e controcrinali minori delimitanti le singole vallecole del bacino idrografico, mentre dagli altri rilievi si staccano ulteriori dorsali che, con evidenza panoramica, caratterizzano il versante settentrionale. Le Ripe di Poggio Scali si aprono prima precipitando ripidissime a disegnare per il contrafforte la sella di Pian del Pero, quindi dirigendosi verso Levante ad abbracciare l’anfiteatro di Sasso Fratino insieme alla dorsale che si stacca da Poggio Porcareccio. Quindi lo Spartiacque Appenninico mostra, specie nella parte a ridosso delle maggiori quote della c.d. bastionata di Campigna-Mandrioli, fortissime pendenze modellate dall’erosione con formazione di profondi fossi e canaloni fortemente accidentati, talvolta con roccia affiorante, come le Ripe di Pian Tombesi, le Ripe della Porta, le Ripe di Scali e il Canale o Canalone del Pentolino, oltre che dal distacco dello spessore detritico superficiale, con conseguente crollo dei banchi arenacei e lacerazione della copertura forestale, come la Frana Vecchia, 1950, e la Frana Nuova, 1983-1993, sempre attiva, di Sasso Fratino. Superata l’emergenza del Monte Penna e la barriera del contrafforte secondario della Bertesca, che si stacca dai picchi multipli di Poggio allo Spillo sfrangiandosi con grande varietà morfologica, il doppio rilievo di Poggio Rovino mostra quindi tutta la sua evidenza, sia con il canalone fortemente accidentato del fosso omonimo che presenta quella vasta area adiacente di roccia affiorante con ulteriore crollo dei banchi arenacei (cui probabilmente deve il caratteristico oronimo), sia con la lunga dorsale che si proietta nella profondità valliva del Bidente di Pietrapazza dividendo i Fossi del Rovino e delle Ranocchie. Segue l’altrettanto caratteristico picco acuminato di Monte Cucco che mostra una morfologia piramidale asimmetrica per la tipica giacitura stratigrafica dell’ambiente marnoso-arenaceo, dove la faccia e i due spigoli settentrionali corrispondono al versante a reggipoggio perfettamente integrato con lo Spartiacque, mentre verso meridione la pendice montana a franapoggio si prolunga fino a Badia Prataglia. Il toponimo è considerato relitto linguistico dal latino cuccum, cucuzzolo, ma si pensa anche ad un‘origine onomatopeica dal latino cuculus, latino medievale cuccus, cuculo, romagnolo kòk (A. Polloni, cit.). Al rialzarsi dei rilievi si alternano andamenti più lineari interrotti dalle selle dei Passi Porcareccio, La Scossa o Sodo alle Calle, Giogo Seccheta, Prato alla Penna, Crocina, dei Cerrini, di Massella e dei Lupatti. Chiude la testata la Cima del Termine, rilievo anticamente detto Terminone (dal contratto di vendita del 1857 delle tenute forestali dell’Opera al Granduca di Lorena :«vendono […] la tenuta forestale denominata “dell’Opera” composta, confinata e accesa sulle Tavole catastali delle dette Comunità come qui si descrive: Una vastissima possessione la quale percorrendo il crine dell’Appennino per circa 14 miglia dal cosiddetto Terminone […]» - A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 163, cit.) dove appunto “terminava” l’estensione della Selva di Casentino overo di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli donata (assegnata in perpetuo) tra 1380 e il 1442 dalla Repubblica Fiorentina all’Opera del Duomo di Firenze. Il rilievo all’epoca era anche detto Le Rivolte di Bagno, infatti qui l’asse morfologico si “rivolge” bruscamente (data la morfologia improvvisamente impervia del sito) ad angolo retto (90°), per un tratto assumendo l’orientamento N/S, con lo sviluppo del contrafforte fino alla sella di Prato ai Grilli. Parimenti lo Spartiacque disegna una brusca serpentina, sviluppando una cresta che procede verso Sud per circa 1,8 km, con i picchi maggiori di Cima del Termine e Poggio di Lombardona che superano di poco i 1280 m, con saliscendi limitati infatti mantenendo una quota non inferiore ai 1235-1250 m fino alla depressione a SE di Poggio di Lombardona, tagliata in trincea (1173 m) dal Passo dei Mandrioli, mantenendo poi tale orientamento. In questo tratto è particolarmente evidente il caratteristico profilo dei crinali romagnoli, con il versante toscano movimentato dalle propaggini che si distaccano dai picchi variamente distese ed il versante romagnolo con tratti ad acclività prossime alla verticale, aspetto ben evidenziato dalla cresta denudata di Poggio dei Mandrioli dove la frattura dell’emergente stratificazione diviene affaccio naturale e panoramico. L'ampia ed alta valle del Fiume Savio, generata da una più facile erosione fluviale su una formazione dove predomina la componente argilloso-marnosa, separa il contrafforte principale che si stacca da Cima del Termine dal massiccio del Monte Còmero e dalla “placca” del Monte Fumaiolo, mentre l’assetto geomorfologico assume nuovi aspetti. Su un versante predomina un esteso affioramento di interesse stratigrafico e paesaggistico, molto noto per la valenza paesaggistico-scenografica e, a livello stratigrafico, per la successione di strati della Marnoso Arenacea ad orientamento orizzontale, particolarmente ben esposti e costituenti il Geosito di rilevanza regionale Le Scalacce, o Gli Scalacci, e le Tavole di Mosé, ad orientamento verticale, mentre sul versante opposto le arenarie tipo macigno del Còmero e i blocchi calcarenitici del Fumaiolo emergono permeabili da un letto di argille scagliose la cui imbibizione e successiva plastificazione da un lato rende questa zona una delle idrogeologicamente più instabili di tutto l’Appennino dall’altro crea pendici dolci ed omogenee e genera ricche sorgenti come quella del Savio.
L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio: «[…] in antico i movimenti delle popolazioni non avvenivano “lungo le valli dei fiumi, […] bensì lungo i crinali, e […] una unità territoriale non poteva essere una valle (se non nelle Alpi) bensì un sistema montuoso o collinare. […] erano unità territoriali il Pratomagno da un lato e l’Appennino dall’altro. È del tutto probabile che in epoca pre-etrusca esistessero due popolazioni diverse, una sul Pratomagno e i suoi contrafforti e un’altra sull’Appennino e i suoi contrafforti, e che queste si confrontassero sulle sponde opposte dell’Arno […].» (G. Caselli, 2009, p. 50, cit.). Già nel paleolitico (tra un milione e centomila anni fa) garantiva un’ampia rete di percorsi naturali che permetteva ai primi frequentatori di muoversi e di orientarsi con sicurezza senza richiedere opere artificiali. Nell’eneolitico (che perdura fino al 1900-1800 a.C.) i ritrovamenti di armi di offesa (accette, punte di freccia, martelli, asce) attestano una frequentazione a scopo di caccia o conflitti tra popolazioni di agricoltori già insediati (tra cui Campigna, con ritrovamenti isolati di epoca umbro-etrusca, Rio Salso e S. Paolo in Alpe, anche con ritrovamenti di sepolture). In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur permanendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate ma p. es., nel Settecento, chi voleva salire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami, per il Corniolo, per Ridràcoli e per S. Paolo in Alpe che venivano così descritti: «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi che in modo che appena vi può passare un pedone […] composto di viottolo appena praticabili […] largo in modo che appena si può passarvi […].» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, cit. da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna toscana e il Casentino …., in: G.L. Corradi e N. Graziani, a cura di, 1997, p. 82, cit.); oppure «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, 1992, p. 32, cit.). Così, se al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX. Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.).
Al Giogo, come genericamente era detta la via sullo Spartiacque Appenninico, poi Via Sopra la Giogana o semplicemente la Giogana, giungeva tramite i Passi della Bertesca e della Crocina (anticamente Crocina di Bagno e Croce di Guagno o Guagnio) l’antica Via Maestra che vien dall’Eremo, toponomastica che si ritrova in una mappa del 1637 allegata ad una relazione del 1710 del provveditore dell’Opera del Duomo di Firenze (riproduzioni della mappa si trovano in A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, a colori, in A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.) oltre che citata in un’ ulteriore relazione del 1663 :«[…] si venne per la strada del Poggio tra la Bertesca e Valdoria et il Pozzone et arrivati alla Croce di Guagnio e pigliato il Giogo tra il confino de reverendi padri di Camaldoli e l’Opera di Santa Maria del Fiore si seguitò detta giogana […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 315, cit.). Nel Catasto Toscano del 1826-34 (Comunità di Bagno, Sezione I dell’Eremo Nuovo, Foglio Secondo, Levato colla Scala da 1 a 5000 da Pasquale Baracchi, Terminato sul suolo il dì 9 Luglio 1826) detta via si trova riclassificata Strada che dal Sacro Eremo va a Romiceto (oggi sent. 207 CAI) ma, nel sec. XVII, Via Maestra che vien dall’Eremo, mentre quella che correva sul contrafforte principale da Cima del Termine era detta Strada che da Montecarpano va alla Badia a Pretaglia o, nella citata mappa del 1637, Rivolte (oggi sent. 201 CAI). Questa via probabilmente corrisponde a quella già dal 1084 documentata nel Regesto di Camaldoli come Via de Monte Acutum, come peraltro «[…] conferma un’opinione espressa nel 1935 dal Mambrini circa l’esistenza di una strada percorribile fra i boschi di quel perfetto triangolo, il Monte Acuto, costantemente rilevato nella documentazione medievale come punto di confine fra la Romània e la Tuscia […].» (C. Dolcini, Premessa, in: C. Bignami, A. Boattini, A. Rossi, a cura di, 2010, pp. 7-8, cit.). Il Mambrini fa un altro riferimento a tale strada nel trattare del Castello di Riosalso: «Il cardinale Anglico così lo descrive nel 1371: “Il castello di Riosalso è nelle Alpi in una certa valle sopra un sasso forte. Ha una rocca ed una torre fortissima ed è presso – circa un miglio – alla strada che mena in Toscana.” […] La strada qui ricordata era sul crinale del monte sopra il castello e per Nocicchio, passando a destra di Montecucco, per Badia Prataglia conduceva in Casentino. Qua e là restano gli avanzi di questa strada.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 288).
Una relazione del 1652 conservata nell’Archivio dell’Opera del Duomo è utile per ricavare informazioni su tali luoghi che, per maggiore comprensione, vengono suddivisi in otto parti: «L’ottava e ultima parte delle selve dell’Opera viene separate dalla precedente col Poggio della Bertesca e resta fra esso poggio e il Poggio delle Rivolte di Bagno ultimo termine di dette selve. Questa parte contiene le macchie della Bertesca, dei Segoni, e delle Rivolte di Bagno; e in questa già l’opera faceva fare dei legni quadri da Moggionesi ma ora sono scarsissime di abeti buoni. Ed è tale il sito e la natura di questi luoghi come ci è stato da tutti concordemente affermato e come dall’aspetto di essi, anco senza andarvi, abbiamo di lontano compreso che per le galere non sono buoni a nulla stante la gran lontananza dal porto oltre alla solita asprezza delle vie e stante che dove la natura produce più faggi che abeti, come qui si vede, non vengono mai gli abeti, per diligente coltivazione che vi si faccia, buoni per legni tondi come dicono avervi l’esperienza dimostrato.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 263-271, cit.). L’Opera, avendo costatato che, sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove, si manifestavano numerosi disboscamenti e roncamenti non autorizzati, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. Da uno di tali elenchi risulta: «1637 – Nota dei capi dei beni che l’opera è solita tenere allivellati in Romagna e Casentino e sono notati col medesimo ordine col quale fu di essi fatta menzione nella visita generale che ne fu fatta l’anno 1631: […] 65) Palestra o Rivolte, ronco tenuto da redi di Antonio detto Cordovano fu unito al podere della Buca […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 410-412, cit.). Nel Contratto livellario stipulato nel 1818 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli si trova una descrizione di quel tratto di confine: «Comunità di Bagno. Una vasta tenuta di terre nell’indicata comunità, abetata, faggiata, frascata, lavorativa, prativa, massata, trafossata come più e meglio verrà descritta in appresso sia nella qualità che nella quantità, alla quale la circonferenza confina: primo, con la Comunità di Bagno incominciando dal luogo detto le Rivolte e precisamente dal termine giurisdizionale delle Comuni di Bagno-Poppi, da questo termine calando per la scesa delle Rivolte fino al Prato ai Grilli; […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 461-463, cit.).
In merito alla conoscenza e alla descrizione di tali luoghi ha grande importanza la «[...] raccolta manoscritta relativa alla Romagna granducale e al Casentino prodotta dai “pittori paesaggisti” Antonio Fedi e Francesco Mazzuoli – sotto la direzione del matematico Pietro Ferroni – nel 1788-89, durante i lavori di progettazione della Strada di Romagna da Firenze ai porti dell’Adriatico per l’Appennino tosco romagnolo. La Raccolta delle principali vedute degli Appennini del Mugello, Casentino e Romagna osservati dai punti più favorevoli sì dalla parte del Mare Mediterraneo, sì dall’opposta dell’Adriatico […] tipica del vedutismo pittorico di matrice rinascimentale – come dimostrano le numerose, suggestive scene di vita e le gustose figurine antropomorfe […]» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, a cura di, 1992, p. 39, cit.); in particolare, nella Veduta dell’Appennino e Monti secondari dell’Opera e Camaldoli dalla parte della Casa-Nuova in Romagna, del Mazzuoli, compresa in tale raccolta (1788, BNCF, G.F. 164 - Cfr. G.L. Corradi, a cura di, 1992, pp. 50-51, cit. e N. Graziani, 2001; p. 875, cit.), tra le cime e i valichi individuati compare tra l'altro la Cima dell’Alpe chiamata le Rivolte di Bagno e, nella Veduta degli Appennini ed altri monti adiacenti alla Terra di Bagno (1788, BNCF, G.F. 164, II/27 - Cfr. G.L. Corradi, a cura di, 1992, pp. 54-55, cit. e N. Graziani, 2001; p. 874, cit.) compare tra l’altro la Crine dell’Alpe detta Le Rivolte, la quale divide le tre valli del Savio, Archiana e della Badia a Prataglia e Valbuona, e per cui passa la Strada più breve, che da Bagno va in Casentino. Nella citata mappa del 1637 compare il disegno approssimativo di un altro antico percorso, la Via del Rovino, direttamente collegante il fondovalle del Bidente di Pietrapazza e l’Eremo Nuovo con il Giogo: dai raffronti cartografici e morfologici essa è da collocare prevalentemente sul crinale di quella citata lunga dorsale che si distacca da Poggio Rovino, ancora oggi segnata da evidenti tracce di trascorse (o rinnovate) percorrenze. La cartografia antica, ed in particolare la Carta Geometrica della Regia Foresta Casentinese (1850 - conservata presso il Nàrodni Archiv Praha), denomina detta dorsale Poggio dei Cerrini, il fondovalle presso l’Eremo Nuovo era detto Pian del Miglio così come il Fosso del Pian del Miglio corrispondeva all’adiacente tratto iniziale del Bidente, mentre il Rovino era detto Poggio degli Sgnisci. Il varco sullo Spartiacque che si affaccia sul canalone del ramo occidentale del Fosso del Rovino, a monte della frattura rocciosa, era detto Porta al Canale. Almeno fino alla fine del XIX secolo la cartografia storica (Catasto Toscano e Carta d’Italia I.G.M.) registrava che la viabilità di crinale principale si interrompeva tra il Passo della Crocina e il Passo di Massella, posto sul versante orientale del Monte Cucco (benché la citata mappa del 1637 riportasse il Giogo ininterrottamente dalle Rivolte di Cima del Termine alla Via di Giogo di Scali di Poggio Scali), mentre tale tratto era raggiunto solo da viabilità di attraversamento (N.B. Secondo il disegno grafico e le definizioni convenzionali dell’I.G.M. la viabilità di montagna consisteva in Strade a fondo naturale, senza manutenzione regolare, non sempre praticabili differenziata in Mulattiere e Sentieri, per soli pedoni, facili o difficili). La Via della fonte del prete da Badia Prataglia raggiungeva lo stesso Passo della Crocina (non comparivano tracciati corrispondenti all’odierno sent. 64) e, tramite una diramazione, risaliva anche al Passo dei Cerrini; la Via della donna morta, corrispondente al sent. 60, raggiungeva il Passo di Massella proseguendo ininterrotta sul crinale verso Cima del Termine come Via delle fontanelle: il Passo dei Lupatti fu infatti aperto nel 1900 in occasione della costruzione della ferrovia Decauville del Cancellino, poi trasformata in strada forestale, così come risulta chiaramente dal confronto tra la citata cartografia I.G.M. di impianto e quella successiva in scala 1:25.000 risalente al 1937. Considerata l’inospitalità le parti più elevate di tali luoghi videro scarsissimi insediamenti. Nel versante toscano solo la cartografia ottocentesca ricorda la presenza dei fabbricati dei poderi Prato Binesi e Mandrioli (toponomastica testimoniante le loro caratteristiche insediative, ben diverse dall’odierna copertura boschiva), mentre nel versante romagnolo Il Nocicchio, tutt’ora esistente, luogo documentato fin dal 1066 nel Regesto di Camaldoli come Nociccla, che «[…] rappresenta una delle più arcaiche testimonianze del lavoro umano nell’alpe di Bagno.» (C. Dolcini, Premessa, in: C. Bignami, A. Boattini, A. Rossi, a cura di, 2010, p. 7, cit.), era l’insediamento più elevato, abitato continuativamente almeno dal 1622. Con l’apertura del Passo dei Mandrioli (1870-1882) lungo la nuova statale vennero costruiti l’albergo-ristorante Il Raggio e l’edificio oggi noto come Casa del Pittore, in quanto abitata dal pittore macchiaiolo Giovanni Marchini, situata sul lato della strada a strapiombo sul grandioso anfiteatro roccioso delle Tavole di Mosé, gli viene attribuito come proprio anche tale toponimo. «[…] d’estate l’Appennino era un ottimo luogo di villeggiatura anche per i pittori. Tra i tanti che, come vedremo, scelsero questi monti, ricordo il forlivese, allievo di Fattori, Giovanni Marchini (1877-1946), il quale, sulla fine degli anni Trenta, comprò casa sul versante romagnolo dei Mandrioli, e di quello che affettuosamente chiamò Il mio rifugio estivo (Raggio), ci ha lasciato un piccolo olio con la sua casa, il Raggio, immersa nel bosco, dove si coglie un ultimo legame del pittore con la stagione fattoriana […]» (A. Bellandi, Dipinti e sculture nel segno di Firenze, in: N. Graziani, a cura di, 2001, p.215, cit.) L’opera Tramonto autunnale “la casa del Raggio” è del 1939. Prima abitato da una guardia comunale addetta alla vigilanza boschiva, l’edificio dopo l’acquisto fu ampliato, dotato di loggetta decorata con pitture a carattere sacro e chiusa da un cancello noto come “la soglia della pace”. Sulla facciata si trova un’iscrizione tratta dalla Vita di Benvenuto Cellini, che conosceva quei luoghi, mentre di lato un’altra iscrizione recita “Rifugio alpestre del pittore Giovanni Marchini di Forlì”. Marchini, “l’ultimo dei Macchiaioli”, fu un pittore che si distinse in Romagna e non solo insieme a Tommaso della Volpe, Roberto Sella, Antonello Moroni e Ettore Bocchini. A Forlì fondò il Cenacolo Artistico e, nel 1922, gli Amici dell’Arte di Cesena vi organizzarono la I Mostra d’Arte relativa al Novecento Italiano (M. Pasquali, La pittura del primo Novecento in Emilia Romagna (1900-1945), in: C. Pirovano, a cura di, 1991, p. 378, cit.). È stato ricordato a Bagno di Romagna, dove nel Palazzo del Capitano, nel 2008, si è tenuta la mostra Un pittore in Appennino, Giovanni Marchini, La strada dei Mandrioli e il suo paesaggio, e a Forlì, Palazzo Romagnoli, nel 2016, con la mostra Giovanni Marchini. Dal Vero alla Macchia. Il Raggio è un fabbricato in stile Novecento, la ex cantoniera del Raggio, anche frequentata osteria (poi ristorante, da alcuni anni inutilizzato e nel 2016 in vendita), che lo stesso pittore frequentava per villeggiatura e ritrasse in un’altra sua opera, L’albergo del Raggio, del 1936 e che espone una targa del 1908 in memoria di Alcide Boschi, l’ingegnere che costruì la strada dei Mandrioli.
Il Passo dei Mandrioli, detto all’epoca anche di Prataglia o di Badia Prataglia (E. Rosetti, 1894, p. 545, cit.), fu una realizzazione ex-novo in un tratto particolarmente impervio del versante romagnolo, infatti la cartografia antica non documenta percorsi di valico in tale sito, mentre un sentiero risaliva da Badia Prataglia transitando nei pressi del podere Mandrioli per raggiungere la viabilità di crinale. L’impraticabilità originaria del sito rende pure inimmaginabile una sentieristica boschiva. In epoca romana la Via Sarsinate lungo la Valle del Savio, superata Bagno di Romagna in direzione del Casentino e di Arezzo, valicava l’Appennino tramite il Passo di Serra, distante in linea d’aria circa 3 km. «Ancora all’inizio dell’800 […] la viabilità della Romagna toscana […] era costituita per lo più dai numerosi percorsi di costa situati lungo le pendici dei crinali secondari subappenninici e dai sentieri di attraversamento congiungenti una vallata all’altra.» (S. Squarzanti, Le vie di comunicazione, in: N. Graziani, a cura di, 2001, p. 88, cit.). Con l’avvento di Leopoldo II, venne intensificato l’ammodernamento della rete stradale tanto che a metà dell’800 la Romagna toscana risultava attraversata da una rete di strade rotabili piuttosto ampia e gerarchizzata, peraltro restando perdurante l’isolamento del settore più orientale, con le due valli del Bidente e del Savio. Nel 1870, con la direzione dell’ingegner Boschi, vennero avviati i lavori per «[…] la magnifica strada postale, che monta a zig-zac sull’Appennino centrale per attraversarlo al Passo di Prataglia o dei Mandrioli e discendere quindi nel Casentino.» (E. Rosetti, 1894, p. 128, cit.); «Firenze che non aveva in passato e pare non abbia ancora nessuna voglia di comunicare coll’Emilia, faceva di tutto per isolare i suoi possedimenti romagnoli da questa; quindi tutte le strade della Romagna Toscana, costrutte a grandi spese ed al rovescio delle indicazioni della natura, mirano a questo oggetto. […] Così tutta l’alta ed importante vallata del Ronco […] non può comunicare con Firenze, se non traversando più volte i contrafforti dell’Appennino per passare […] a Bagno di Romagna sulla strada del Savio, onde poi recarsi alla lontanissima Firenze. Valicando l’Appennino centrale al Passo di Prataglia ed alla Consuma. Altro che secolo del vapore per questi poveri paesi!» (E. Rosetti, 1894, pp. 795, 796, cit.). L’opera venne terminata nel 1880 con il completamento degli ultimi 5 km da Badia Prataglia. «Quanto ancora al principio del Novecento la viabilità costituisse un problema lo dimostra però, a suo modo, una foto Brogi scattata poco dopo che l’ingegnere Alcide Boschi (1830-1892) aveva aperto, dopo un cantiere durato ben dieci anni (1870-1880), il passo dei Mandrioli: vi è raffigurata una corriera proprio all’imbocco del passo. Le corriere sono cambiate, la strada è oggi asfaltata e non più ghiaiosa, ma il taglio nel profilo del crinale è rimasto pressoché lo stesso, e chi ha la consuetudine con questo e altri passi dell’Appennino, sa bene che quando c’è neve è difficile transitarvi anche ai giorni nostri.» (A. Bellandi, Dipinti e sculture nel segno di Firenze, in: N. Graziani, a cura di, 2001, p.215, cit.). (N.B.: la foto del 1932 Automezzo al passo dei Mandrioli in zona le 'Scalacce' fa parte della Collezione Archivi Alinari - archivio Brogi, Firenze, cit.). Altre fotografie e cartoline storiche sono visibili sul Link www.alpeappennina.it.
N.B.:
- Il termine radium, come sostantivo, era utilizzato nei documenti storici per descrivere crinali costituenti elementi morfologici evidenti del territorio, lineari (come quello di luce), allorquando erano parte di un itinerario (che consentiva collegamenti più diretti e rapidi tra luoghi altrimenti raggiungibili tramite lunghi tragitti) e/o costituenti confine di un’area e/o di una proprietà. Per rilevanza o consuetudine a volte il termine diviene esso stesso toponimo o ne fa parte (Il Raggio, Raggio del Finocchio, Maestà del Raggio, Raggio alle Secche, Raggio dei Picchi, Raggio Grosso, Raggio Lungo, Raggio Mozzo, Fosso del Raggio, Raggio di Sopra, etc.). In questo caso, pur traendo origine da toponomastica diffusa e presente in zona, l’attribuzione pare l’idealizzazione da parte dei nuovi frequentatori delle singolarità di un luogo accidentato ed impervio, finora irraggiungibile, dove le caratteristiche dell’irraggiamento solare possono contribuire, come hanno contribuito, anche all’ispirazione artistica.
-I toponimi Giogo, Giogana e diminutivi, derivano dal latino jugum, i, = giogo, giogaia, “giogana” di monti, con una radice indoeuropea ed il significato di “congiungimento” o “collegamento”, sia di luoghi sia di coppie di buoi tra loro quindi al carro.
Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alle schede toponomastiche relative ad acque, rilievi o insediamenti citati.
RIFERIMENTI
AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;
Archivi Alinari-archivio Brogi, Firenze;
G. Caselli, Il Casentino da Ama a Zenna, Accademia dell’Iris - Barbès Editore, Firenze 2009;
G.L. Corradi (a cura di), Il Parco del Crinale tra Romagna e Toscana, Alinari, Firenze 1992;
A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;
N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Firenze, Le Lettere 2001;
C. Pirovano (a cura di), La Pittura in Italia, Il Novecento/1 1900-1945, Electa, Milano 1991;
O. Piraccini, LA STRADA DI MARCHINI, Presentazione della mostra Giovanni Marchini. Dal Vero alla Macchia, Forlì, Palazzo Romagnoli, 18/12/2016;
A. Polloni, Toponomastica Romagnola, Olschki, Firenze 1966, rist. 2004;
G.L. Corradi e N. Graziani (a cura di), Il bosco e lo schioppo. Vicende di una terra di confine tra Romagna e Toscana, Le Lettere, Firenze 1997;
E. Rosetti, La Romagna. Geografia e Storia, Hoepli, Milano 1894;
P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, 1961, rist. anastatica Castrocaro Terme 1989;
Comune di Bagno di Romagna, PSC 2004, Insediamenti ed edifici del territorio rurale, 2004, Schede n.751-752;
Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze
Foreste Casentinesi, Campigna – Camaldoli – Chiusi della Verna, Carta dei sentieri, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2012
Link http://www.cultura.comune.forli.fc.it/upload/cultura/gestionedocumentale/Presentazione%20Mostra%20Marchini_784_5072.pdf;
Link https://www.alinari.it/it/dettaglio/BGA-F-021103-0000?search=e95d99bb8041ebd09f2f0002bb3d1bd3&searchPos=184.
Link www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.
Il Passo dei Mandrioli si trova al km 200+100 circa della S.P. dei Mandrioli, da Bagno di Romagna proseguendo verso Badia Prataglia.
Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.
Nota – Per visualizzare le foto nel loro formato originale salvarle sul proprio computer, oppure se il browser lo consente tasto destro sulla foto e Apri immagine in un’altra scheda.
00a1/00a4 - Dal Monte Piano, al centro dell’ampia veduta dello Spartiacque Appenninico pare ergersi particolarmente il complesso montano di Cima del Termine ma la prospettiva occulta gran parte del breve tratto di Spartiacque che si sviluppa fino al Passo dei Mandrioli, la cui incisione appare con evidenza (1/01/12).
00b1/00b6 – Dal Monte Càrpano, l’asse visivo è similare al precedente ma le vedute sono gratificate dalla minore distanza (3/10/11 – 27/11/11 – 1/01/12).
00c1 – Schema cartografico dello scarto dello Spartiacque compreso tra i Passi dei Cerrini e dei Mandrioli dove l’infittimento delle curve di livello corrisponde alla acclività prossime alla verticale del versante orientale; sono evidenziati i siti degli scomparsi insediamenti alto-montani di Prato Binesi e Mandrioli e l’area denudata di Poggio dei Mandrioli.
00c2 – Mappa schematica da cartografia antica che documenta lo stato dei luoghi appartenenti alla Regia Foresta Casentinese nel 1850; non risultano preesistenze viarie sul sito del passo dei Mandrioli.
00c3 – 00c4 – Mappe schematiche di fine XIX secolo e del quarto decennio del XX da cui risulta già realizzata la strada e il Passo dei Mandrioli e la successiva evoluzione con l’avvenuta trasformazione della S.F. del Cancellino in luogo della ferrovia Decauville Cancellino-Lama, che aprì il Passo dei Lupatti.
00d1 – 00d2 – 00d3 – Il Passo dei Mandrioli (3/04/11 - 12/07/16).
00d4/00d8 – Particolari del taglio realizzato per l’apertura ex-novo del passo in un tratto particolarmente impervio del versante romagnolo, infatti la cartografia antica non documenta percorsi di attraversamento, mentre un sentiero risaliva da Badia Prataglia transitando nei pressi del podere Mandrioli. Il tratto di selciato delle vedute dovrebbe essere un accomodamento conseguente all’apertura del passo quale collegamento alla preesistente viabilità di crinale (3/04/11).
00d9 – 00d10 – 00d11 – Icona sacra installata dall’A.S.C.I. di Faenza nel 1955 (12/07/16 - 7/04/11).
00d12 – G. Marchini, Mandrioli. Verso il passo, 1936, dalla mostra: Giovanni Marchini. Dal Vero alla Macchia, Forlì, Palazzo Romagnoli, 18/12/16.
00e1 – 00e2 – 00e3 – L’ex locanda Il Raggio: “16 LUGLIO 1908 – NATO AD AREZZO IL 22 SETTEMBRE 1839 MORTO IL16 LUGLIO 1892 L’ING. ALCIDE BOSCHI COSTRUIVA MONUMENTO IMPERITURO DELLA SUA SAPIENZA ARTISTICA QUESTA STRADA DEI MANDRIOLI. UN NUCLEO DI AMMIRATORI Q.M.P.” (12/07/16).
00e4 – 00e5 – 00e6 - G. Marchini, L’albergo del Raggio, 1936, e Il belvedere al Raggio, 1940, collez. Marchini, dalla mostra: Giovanni Marchini. Dal Vero alla Macchia, Forlì, Palazzo Romagnoli, 18/12/16.
00f1/00f6 – La Casa del Pittore (12/07/16).
00f7 - 00f8 – 00f9 – Particolari delle lapidi: “IN QUESTA CASA SOGGIORNO’ DIPINSE SOGNO’ NELLA SERENITA’ DEI DOMESTICI AFFETTI IL PITTORE FORLIVESE GIOVANNI MARCHINI – L’ALTO SPIRITO ACCESO DALLA FRANCESCANA POESIA DI QUESTI MONTI QUI CONTINUA IL SUO SOGNO PER SEMPRE – 3 DICEMBRE 1877 18 FEBBRAIO 1946” – “… DOPO LA SMISURATA MIA FATICA … ME N’ANDRO’ A VALLOBROSA DI POI A CAMALDOLI E ALL’EREMO … INSINO A BAGNO – NEL NOME DI DIO MI PARTI’ DI FIRENZE SEMPRE CANTANDO SALMI IN ONORE E GLORIA DI DIO … E IL VIAGGIO E IL PAESE DOVE IO NON ERO MAI PIU’ STATO MI PARVE TANTO BELLO CHE NE RESTAI MERAVIGLIATO E CONTENTO – DALLA VITA DI BENVENUTO CELLINI” (12/07/16).
00f10 – 00f11 – 00f12 – Affresco interno e particolari; foto tratte dalla scheda (cit.) del P.S. del Comune di Bagno di Romagna.
00g1/00g4 - Marchini Giovanni, carta/ acquerello, sec. XX (1929 - 1940), Raffigurazioni della casa dell'artista al Passo dei Mandrioli. Pinacoteca Civica 'Melozzo degli Ambrogi' Corso della Repubblica, 72, Forlì (FC) ©Samira, per la gestione del Catalogo del patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna e del Portale PatER.
00h1 – G. Marchini, Il mio rifugio. Mandrioli, 1930, collez. Marchini, dalla mostra: Giovanni Marchini. Dal Vero alla Macchia, Forlì, Palazzo Romagnoli, 18/12/16.
00h2 – G. Marchini con una delle versioni de I carbonai, 1930, ripreso nei boschi dei Mandrioli, dalla mostra: Giovanni Marchini. Dal Vero alla Macchia, Forlì, Palazzo Romagnoli, 18/12/16.
00i1 – Elaborazione pittorica della foto del 1932 Automezzo al passo dei Mandrioli in zona le 'Scalacce', Collezione Archivi Alinari - archivio Brogi, Firenze, cit.