Ammannatoia
in sponda sinistra del lago di Ridracoli
Testo di Bruno Roba (6/11/2019 - Agg. 23/10/2023) - Il Fosso delle Macine ha origine da Poggio della Serra e costituisce il tratto montano del Fosso di Campo alla Sega che ha esatta origine dalla confluenza del suo tratto montano con il Fosso di Sasso Fratino (a volte detto anch'esso Fosso delle Macine), con la sua ramificazione generata da quell’anfiteatro, tra cui il Fosso dell’Acqua Fredda o dell’Asticciola. «I torrenti principali che attraversano la Riserva sono (da Ovest a Est): Sottobacino Bidente di Ridracoli – Fosso delle Macine, che costituisce la porzione alta del F.di Campo alla Sega […] Fosso di Sasso Fratino, affluente di destra del F. d. Macine – Fosso di Campo alla Sega, derivato dalla confluenza del F. d. Macine e del F. d. Sasso Fratino […]» (A. Bottacci, 2009, p. 23, cit.). Altri affluenti provenienti dalla Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino sono il Fosso dei Praticini o dei Fraticini, posto prima della confluenza del Fosso di Sasso Fratino, e il Fosso dei Preti, delimitato in dx idrografica dalla Costa di Poggio Piano, braccio orientale dello specifico anfiteatro di Sasso Fratino che, distaccatasi dallo spartiacque appenninico ed in continuità con la dorsale della Seghettina, chiude a SE il bacino idrografico. Mentre il Fosso dei Botriali confluisce nel Fosso di Campo alla Sega sul limite del suo braccio lacustre, gli altri affluenti in sx idrografica, ovvero il Fosso della Busca, già della Basca, e il Fosso dell’Asino, ormai si gettano direttamente nel lago. La dorsale della Seghettina separa la valle del Fosso di Campo alla Sega da quella del Fosso degli Altari.
Per l’inquadramento territoriale v. schede Valle del Bidente di Ridràcoli e Fosso di Campo alla Sega.
La minore acclività di tratti del versante sx della valle, alcontrario di quella della Riserva, dei Fossi delle Macine e di Campo alla Sega, al contrario di quella della Riserva, ha consentito il diffondersi di insediamenti ed appoderamenti dediti al pascolo e al taglio del bosco, infatti il ricorrente toponimo ricorda la principale attività svolta nell’area dai secoli addietro fino alla prima metà del XX … «Ivi il Padre Apennino non corruso ma verde, mostravasi aperto e vestito con alberi sul fianco, appiè del quale una cascata di acque da sega in sega e tra i massi rompendosi lieve lieve come velo copriva un ponticello …» (P. Ferroni, Autobiografia, 1825, in: G.L. Corradi, O. Bandini, “Per quanto la veduta consenta di spaziare”. Scelta di testi dal XIV al XIX secolo, in: G.L. Corradi, O. Bandini, 1992, p.78, cit.). Gli insediamenti superstiti sono alcuni fabbricati del nucleo de La Seghettina e, fino a pochi decenni addietro, Campominacci, già Campo Minacci, Campo di Minaccio e Campo Ominacci, che giunse ad essere recuperato ed indicato come rifugio nella prima cartografia del Parco delle Foreste Casentinesi, oggi ormai abbandonato al destino di rudere, come peraltro l'Ammannatoia ed i Botriali, già Butriali. Di Pratovecchio e Poggio a Pratovecchio (posti sul crinale di Poggio della Gallona ma il primo appartenente al sistema vallivo del Fosso del Molinuzzo) e di Campo alla Sega rimangono poche pietre. Vari capanni (di alcuni rimangono resti poco consistenti) si trovavano sia sulla sella del contrafforte posta a monte dell’origine del Fosso delle Macine, l’ex rifugio di Pian del Pero, sia presso il suo corso (uno a metà circa di probabile uso forestale, uno verso il termine, forse un’antica macina, peraltro posta in un sito nel XIX secolo noto come La Macine), sia presso Campominacci e Campo alla Sega.
La prima cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto Toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), consente di conoscere il tracciato della viabilità antica che raggiungeva Ridràcoli. Attraversato il Bidente di Corniolo presso Isola, con il Ponte dell'Isola, sul luogo del ponte odierno, essa si manteneva in sx idrografica risalendo subito a mezzacosta fino a raggiungere Biserno, per quindi ridiscendere nel fondovalle del borgo, dove si concludeva con un lungo rettilineo al cui termine si trovava Il Ponte di Ridràcoli. Tale viabilità, anonima nelle mappe citate, verrà poi denominata Strada Comunale Ridràcoli-Biserno e Strada Comunale Isola-Biserno; solo in occasione dei lavori di costruzione dell’invaso quest’ultima verrà ristrutturata e ampliata diventando parte della S.P. n.112.
Vari itinerari trasversali collegavano le vallate adiacenti, principalmente dipartendosi dal baricentro militare-residenziale del Castello di Ridràcoli (nel 1216 è documentato come Castrum Ridiracoli un villaggio fortificato che, secondo la Descriptio Romandiole del 1371, raggiungeva appena 6 focularia) e dai nuclei economico e religioso del ponte e della chiesa (una villam Ridraculi cum omnibus ecclesiis è documentata già dal 1213), dialetticamente separati in base alla morfologia del luogo, determinata dalla fitta sequenza delle anse fluviali. Dal Castello partiva la Strada che dal Castello di Ridracoli conduce alla Chiesa della Casanova, risalente la Valle dei Tagli ed imperniata su Casanova dell’Alpe (su una pietra cantonale della chiesa sono ancora leggibili le distanze chilometriche – evidentemente non più valide - km 12,358 per Bagno e km 5,933 per Ridràcoli); costituiva parte della successiva Mulattiera Ridràcoli-Bagno. Dal Ponte di Ridràcoli partiva la Strada che da Ridracoli va al Poggio alla Lastra, che, superata la chiesa, risaliva la Valle del Corneta, parte della successiva e rinomata Mulattiera di Ridràcoli diretta a Santa Sofia tramite Strabatenza. Entrambe le mulattiere incrociavano sul crinale la Strada Maestra di S. Sofia o Strada che dalla Casanova va a Santa Sofia, la prima presso il Monte Moricciona, la seconda sul Passo della Colla, posto sulla Colla del Monte interposta tra i Monti Marino e La Rocca. Molto note e ancora riportate come tali nella cartografia moderna, negli anni ’50 alle estremità delle mulattiere vennero installati dei cippi stradali riportanti la rispettiva denominazione, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli; rimasero localmente in uso fin’oltre metà del XX secolo, infatti le odierne strade forestali verranno realizzate solo un ventennio dopo.
Dai piedi del centro religioso si staccava un percorso che giungeva fino alle pendici della Seghettina … «[…] praticabile solamente nella bella stagione, quando le acque del fiume erano scarse, e si snodava lungo il corso del Bidente che veniva attraversato ben 33 volte […]» (C. Bignami, 1995, p. 90, cit.). Dalla via castellana si staccava la strada comunale, sempre percorribile, che risaliva il Bidente per un lungo tratto correndo accanto all’alveo fluviale, per la parte fino alla diga oggi sostituito dalla viabilità di servizio, per il resto ormai sommerso. La via scavalcava il Fosso dei Tagli, presso lo sbocco nel Bidente, forse sul luogo oggi occupato dall’asfalto stradale, con il Ponte dei Tagli. Subito dopo la mulattiera passava sotto un arco del Mulino di Sopra costeggiandone il bottaccio. Con la costruzione della diga e con il riempimento dell’invaso, è scomparso pressoché l’intero tracciato viario e sono scomparsi mulini, insediamenti (le Celluzze – che spesso riemerge, la Forca, Lagacciolo, Verghereto), ponti e guadi che, come sopracitato, attraversavano 33 volte il Fiume della Lama o Obbediente (come era anticamente classificato), come il Ponte a Ripicchione (documentato da una mappa del 1637 allegata ad una relazione del 1710 del provveditore dell’Opera del Duomo di Firenze riproduzioni della mappa si trovano in A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, l’originale a colori, in A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.) e il Ponte alla Forca. La mulattiera, dopo il Ponte a Ripicchione abbandonava l’argine fluviale risalendo progressivamente il versante e, sorpassata la Fonte dei Bisernini, raggiungeva Lagacciolo; un bivio divideva il tratto che da Case di Sopra risaliva fino al Monte Cerviaia dalla prosecuzione della via che ridiscendeva fino a La Forca e al suo mulino, prima attraversando il fosso detto Il Fossone con una palancola lignea, in un’area ormai sommersa. La viabilità lungo il Bidente terminava con l'attraversamento tramite il Ponte alla Forca o della Seghettina, risalente al 1843. Oltrepassato il ponte con un lungo tragitto si poteva risalire fino a S. Paolo in Alpe oppure si imboccava l’importante e sopracitata Strada che dalla Seghettina va a Stia valicante il Passo Sodo alle Calle o La Scossa. Dal questa via si staccava pure un itinerario (detto anche Via dei Fedeli) che scendeva ad attraversare il Fosso degli Altari per poi seguire il Fosso della Lama penetrando nella sua valle fino a valicare il crinale con il passo del Gioghetto, diretto all’Eremo di Camaldoli. Alla seconda metà del secolo scorso risalgono il Ponte alla Sega, ampio ponte ligneo carrabile che consente alla S.F. Lama-S. Paolo in Alpe-Corniolo di attraversare il Fosso di Campo alla Sega e il Ponte alla Macchia, un robusto ponticello ligneo con spalle in pietra che viene utilizzato anche come carrabile da piccoli mezzi agricoli per collegare la Seghettina con la strada predetta tramite la strada forestale diretta all’Ammannatoia. La valle del Fosso di Campo alla Sega era inoltre interessata da alcune c.d. vie dei legni, utilizzate per il trasporto del legame tagliato dai boschi di prelievo fino al Porto di Badia a Poppiena a Pratovecchio, attraverso i valichi appenninici tosco-romagnoli; una di queste, che probabilmente attraversava la Riserva di Sasso Fratino, era la via che dalla Lama conduceva alla Seghettina e quindi a Pian del Pero e la Calla, individuata all’inizio del XX secolo dal Direttore generale delle Foreste, al Ministero di Agricoltura, A. Sansone nella relazione sullo stato delle foreste demaniali (cit.).
In questo contesto storico-geografico, tra le alte valli bidentine quella di Ridràcoli è quella che meno ha subito il fenomeno dell’abbandono grazie alle caratteristiche ambientali e climatiche più favorevoli della sua parte meno elevata. Il borgo principale, posto nel baricentro sia geografico sia del sistema insediativo, è quello più noto e frequentato e la frazione di Biserno è quella più abitata, ma le parti delle vallecole laterali più profonde e difficilmente raggiungibili sono trascurate e molti fabbricati oggi sono in stato di abbandono o ridotti a rudere o scomparsi, con vari casi di ristrutturazione interrotta, ma non fanno eccezione neanche le valli meglio infrastrutturate che, se hanno evitato il completo abbandono dei poderi, hanno scarsamente contribuito al riutilizzo dei rispettivi insediamenti, in prevalenza abbandonati o, al più, riutilizzati a fini turistici.
La Valle Fosso di Campo alla Sega e sue diramazioni erano abitate fin dal XVI secolo nelle parti più remote e alcuni insediamenti sono rappresentati nella mappa del 1637. Essi erano collegati alla viabilità principale di crinale da itinerari trasversali. Le identificazioni toponomastiche e grafiche della cartografia antica e moderna (Catasto toscano, Carta d’Italia I.G.M., N.C.T. Nuovo Catasto Terreni, C.T.R. Carta Tecnica Regionale) riguardanti i fabbricati si possono schematizzare come di seguito elencato:
- L’Ammannatoja nel Catasto toscano, o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o Ammannatoia in quella moderna, o Ammannatoia nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- I Botriali nel Catasto toscano, o i Botrini nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o i Botriali nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o i Butriali in quella moderna, o Butriali nel N.C.T., o I Botriali nella C.T.R.;
- Campominacci nel Catasto toscano, nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna, o Campominacci nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- Campo alla Sega: anonimo nel Catasto toscano, o assente in tutta la restante cartografia antica e moderna; Campo alla Sega nella Carta Geometrica della Regia Foresta casentinese e adiacenze, l’anno 1850 (cfr. Regione Toscana – Progetto CASTORE, cit.);
- anonimo nel Catasto toscano, o la Seghettina nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna, o Seghettina nel N.C.T., o La Seghettina nella C.T.R.;
- La Seghettina nel Catasto toscano, o la Seghettina nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna, o Seghettina di Sotto nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- ex Rifugio di Pian del Pero: assente nel Catasto toscano, o C. Pian del Pero nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o assente nella restante cartografia antica e moderna; ex Rif. Pian del Pero in alcune edizioni di cartografia escursionistica;
- Poggio a Pratovecchio nel Catasto toscano, o Pratovecchio nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna con rappresentazione del simbolo dei ruderi, o Pratovecchio nel N.C.T. e nella C.T.R.
L’insediamento de L’Ammannatoia,anche detto Mannatoia o Manatoia o Menatoja, è così citato in una delle vedute prodotte dal pittore paesaggista Francesco Mazzuoli nel 1778-79 (nell’ambito degli studi condotti del matematico regio Pietro Ferroni per la progettazione della Strada di Romagna da Firenze ai porti dell’Adriatico per l’Appennino tosco-romagnolo): «Casa rurale del Podere dell’Opera ch’ha il nome di Menatoja ora sivvero Ammannatoja», (F. Mazzuoli, Veduta dell’Appennino …, 1788, BNCF, G.F. 164, in: M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, 1992, p. 50, cit.). Per trovarsi lungo quell’itinerario che collegava Santa Sofia (giungendo da Ridràcoli e il Ponte alla Forca ed attraversando il crinale della Gallona ai Botriali oltre che la valle del Ciriegiolone) con la Via di Scali tra S. Paolo in Alpe e la Giogana, Menatoja alle origini forse doveva il suo nome per il fatto che menava, conduceva, in quei luoghi.
La citazione più antica relativa a questo luogo, ripresa dall’inventario delle proprietà dell’Opera del Duomo di Firenze, risale al 1545: «[…] dei livelli che l’Opera teneva in Romagna […] se ne dà ampio conto qui di seguito […] 1545 […] – Una presa di terra alla Mannatoia che sono some 15.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 150, cit.). Un elenco è relativo al 1637: «1637 – Nota dei capi dei beni che l’opera è solita tenere allivellati in Romagna e Casentino e sono notati col medesimo ordine col quale fu di essi fatta menzione nella visita generale che ne fu fatta l’anno 1631: […] Tutti li beni infrascritti da n. 24 a n. 40 inclusine, sono in Romagna nel Capitanato di Bagno, nel Comune di Ridracoli, nel Popolo di San Martino a Ridracoli: […] 4/2°) Ronco o terra l.d. la Mannatoia o Gorgone […] 35) Mannatoia, podere tenuto da messer Carlo Fei […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 408-410, cit.). Successivamente compare documentato in una relazione del 1677: «Venerdì 24 ritornando alla visita […] si vedde da più parte del Giogo le vaste provincie […] siccome li poderi di Romagna appresso notati cioè […] la Mannatoia tiene a livello il Capitano Fei […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 329, cit.). Da una relazione del 1751 sullo stato dei poderi dell’Opera si apprende: «[…] 7) Podere della MANNATOIA tenuto in affitto da Agostino Checcacci […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 435, cit.). Nell’Archivio dell’Opera si trova una documentazione non datata, comunque di fine ‘700, contenente una descrizione delle case rurali dei poderi di appartenenza, tra cui la «[…] Casa del podere dell’Ammanatoia: Piano a terreno – Contiene la stalla delle vacche, la stalla delle capre e quella delle pecore, uno stabbiolo per il maiale con sopra il forno preceduto da una piccola loggetta. Piano a palco – Si ascende ad un piccolo verone per mezzo di una scala esterna dal quale si passa in una stanza soffittata con il camino da questa si passa ad altra stanza a tetto.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 448, cit.). In base ad un censimento del 1777 Ammannatoia contava 6 stanze e un forno. Nel 1789, da una relazione sui canoni da stabilirsi, risulta che: «I poderi […] Seghettina, Mannatoia, Butriali, Campominacci, […] sono situati alle falde di vasto circondario delle selve d’abeti e sembra che sieno stati fabbricati in detti luoghi per servire di custodia e per far invigilare dai contadini di detti poderi al fuoco, al taglio insomma alla conservazione di dette selve che hanno giustamente formato l’oggetto principale della Azienda dell’Opera e del Governo di Toscana perché somministrano tutto il miglio legname per la costruzione delle fabbriche del Granducato. […] Sono dunque di parere che […] non ardirei mai di far proposizione di alienarli ma di seguitare a tenerli per l’oggetto che sono stati fabbricati di servire di custodia alle selve come si rileva chiaramente dalla loro posizione servendo di cordone e custodia alle macchie medesime […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 441, 442, cit.). Nel Contratto livellario stipulato nel 1818 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli si trova un’ulteriore descrizione del podere: «Comunità di Bagno. Una vasta tenuta di terre […]. Tutta questa tenuta […] è composta dai seguenti terreni cioè […] 18° Podere detto dell’Ammannatoia, nel popolo di Ridracoli in detta comune, con casa da lavoratore composta di nove stanze da cielo a terra, con scala, loggetta, forno e aia. Questa casa merita di essere resarcita e per questo vi occorre la spesa di lire quattrocentoventi. Questo podere è composto dei seguenti terreni cioè: I° un tenimento di terra lavorativa, di staia 44 coi nominativi di Campo dell’Ammannatoia e un campo detto la Fossa del Panico. II° un tenimento di terra lavorativa, sodiva prativa, pasturata, mozzico nata, frascata coi nominativi di Campo di Poltone, prati dell’Ammannatoia e pasture di staia 200 circa. III° una casetta denominata Campo alla Sega addetta al nominato podere composta di quattro stanze da cielo a terra. Questa fabbrica merita di essere resarcita […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 461, 472, 473, cit.). Dalle istruzioni per una perizia conferita nel 1832, si apprende che sono stati effettuati lavori di restauro o nuova costruzione alla casa e alla stalla a carico del Monastero di Camaldoli in base a concessione enfiteutica. (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 459, cit.). Sciolto d’imperio il contratto del 1818 per inadempienze nell’applicazione di un rigoroso regime forestale ai possedimenti dell’Opera, nel 1840 il Granduca fece stipulare un nuovo Contratto livellario con il Monastero di Camaldoli, così si trova un’ulteriore, ed ora estremamente precisa, descrizione del podere e dei fabbricati: «N. 6 - Podere dell’Ammannatoia […] lavorato dalla famiglia colonica Beoni. Casamento colonico. Si compone questo nel piano terreno di una stanza per diversi usi con ingresso a mezzogiorno la quale ne precede altra per uso di caciaia, di una stalletta per le vaccine con ingresso a ponente, stanze tutte di recente costruzione, di una stalla per le vaccine con mangiatoia, di una stalla per le capre, di altra per le pecore tutte aventi ingresso esterno ed infine di un portichetto ove corrispondono le bocchette di due forni uno dei quali ridotto quasi fuori uso è sottoposto al verone. Il piano superiore a cui si monta per una scala esterna di materiale in stato rovinoso si compone di un verone coperto di una cucina intavolata con camino ed acquaio la quale libera tre stanze ad uso di camere a tetto. Con ingresso esterno poi vi sono due capanne parimente a tetto una delle quali è preceduta da una loggia corrispondente sull’aia. Le soffitte consistono in due stanze impraticabili alle quali si monta per una scala di legno inservibile. Così componesi la casa colonica di questo podere detto l’Ammannatoia avente intorno i suoi resedi e l’aia sterrata dalla parte di tramontana bisognosa di alcuni pronti restauri consistenti nel refacimento della scala, nel riattamento del verone ed in una generale rivista delle pareti esterne, tetti ed intavolati. Terreni. Ed i terreni addetti a questo podere sono gli appresso: Un tenimento di terra tutta situata in poggio in una costiera totalmente esposta a mezzogiorno ed in gran parte scoscesa conosciuta per i vocaboli: Ammannatoia, Marzolella, Talceto, il Campo di Bertone, il Ronco dei Mochi, lo Scopeto, il Pianaccio, la Buca, il Fondello, la Spinaia dell’Ammannatoia e il Campo alla Sega intersecato dai fossi detti delle Palate, della Busca e altri minori borrattelli e fossette di scolo come pure dalla strada che da casa si dirige al Campo della Sega a podere dei Botriali e da più diverse stradelle e viottole ed in se comprensiva la descritta casa rusticale e suoi resedi. Questo ha un’estensione geometrica di quadrati 152 e dodici centesimi corrispondenti a staia 304 in circa delle quali per staia 3 e mezzo terra prativa, staia 25 terra lavorativa nuda con frutti selvatici e capitozze di carpino ed ogni restante pastura con capitozze e ceppe di faggi e frassini ed in parte seminativa ed alternativamente a riposo nelle località meno inclinate. […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 515, cit.). Una mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna, riguardante l’attribuzione delle numerazioni civiche, assegnava all’Amannatoia il n. 21, quando risultava composto da 7 vani, oltre ad un fabbricato di due vani. Dal 1895 il podere risulta alienato a privati, quindi di proprietà di varie famiglie non abitanti e coltivato da vari coloni fino al 1940 circa, quando diviene proprietà di un’azienda agricola. Con l’abbandono, tra la fine degli Anni ’50 e i '60, nell’imminenza degli espropri per la realizzazione dell’invaso e la conseguente interruzione del principale collegamento viario, viene acquisito dall’A.R.F. nell’ambito dei programmi regionali di riutilizzo del patrimonio edilizio nel Demanio forestale, che però registra un fabbricato non dimensionato, quindi ormai fatiscente.
Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alle schede toponomastiche relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.
N.B.: - I luoghi della Valle di Campo alla Sega si sono trovati in qualche modo coinvolti dalla storia nell’evoluzione del ciclo delle acque di Ridràcoli, note e sfruttate fin dall’antichità in tutta la Romagna. Lo stesso toponimo deriverebbe dal latino Rivus Oracolum o Oraculorum per la probabile presenza presso il torrente di un piccolo tempio pagano con sibilla oracolante, ipotesi comunque verosimile e conforme alla leggenda della Sibilla appenninica delle vicine montagne marchigiane. Già nel II secolo d.C. le problematiche legate al reperimento delle risorse idriche e soprattutto alle necessità di Ravenna e del porto di Classe portarono l’Impero Romano alla realizzazione di un imponente acquedotto che sfruttava il flumen aqueductus Bidente; tracce di esso si trovano negli scritti antichi ed essenzialmente nella toponomastica locale. Dopo un lunghissimo interregno, negli anni ’30 del XX secolo le esigenze della civiltà moderna portano ad effettuare i primi studi per localizzare una diga nell’Alto Appennino forlivese e, nei primi anni ‘60, al fine di fornire risorse idriche sufficienti alle aree di Forlì e Ravenna e alla fascia costiera romagnola, viene individuata l’area a monte di Ridràcoli come idonea per l’imbrigliamento delle acque dell’alto corso del Bidente (oltre ad altre risorse idriche tramite condotte sotterranee), con conseguente realizzazione dell’opera tra il 1975 e il 1982. Oggi, come probabilmente il lago artificiale ha alterato il microclima dell’anfiteatro della Lama, portando variazioni nell’assetto vegetazionale con un diverso equilibrio a vantaggio delle specie oceaniche (faggio) in confronto a quelle continentali, così l’ambiente circostante è stato modificato da viabilità ed opere connesse alla diga e diversi edifici, acquisiti dalla Romagna Acque-Società delle Fonti S.p.A., hanno subito modifiche e/o riutilizzi a fini turistici.
- L’Opera del Duomo di Firenze, dopo la presa in possesso delle selve “di Casentino e di Romagna”, aveva costatato che sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove si manifestavano numerosi disboscamenti (roncamenti) non autorizzati. Desiderando evitare nuovi insediamenti, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. Altri elenchi e documenti utili si sono susseguiti nei secoli seguenti, fino ai contratti enfiteutici del 1818 e del 1840 con il Monastero di Camaldoli, contenenti una precisa descrizione dei confini e delle proprietà dell’Opera.
- Le “vie dei legni” indicano i percorsi in cui il legname, tagliato nella foresta, tronchi interi o pezzato, dal XV° al XX° secolo veniva condotto prima per terra tramite traini di plurime pariglie di buoi o di cavalli, a valicare i crinali appenninici fino ai porti di Pratovecchio e Poppi sull’Arno, quindi per acqua, a Firenze e fino ai porti di Pisa e Livorno.
- La sega ad acqua venne inventata da Villard de Honnecourt nel sec. XIII e Leonardo da Vinci ne studiò il funzionamento nel 1480. A metà del ‘400 in Casentino sono documentate una sega ad acqua a Camaldoli (i monaci sono stati sempre all’avanguardia nella lavorazione del legno) e due artigiani specializzati a Papiano (M. Massaini, 2015, cit.) mentre, sul versante romagnolo «All’interno della foresta si costruirono direttamente e per concessione a terzi, nel corso del ‘500 e del ‘600, alcune seghe idrauliche per la lavorazione del legname sul posto e la sua preparazione al trasporto (sega del fosso del Bidente, sega del Ridracoli, dell’Asticciuola, del Ricopri). Tali seghe lavoravano al limite della legalità e, nonostante una rigida legislazione e una serie di regolamenti e di divieti per impedire tagli abusivi, per tutta l’età moderna hanno favorito la spogliazione della foresta da parte delle popolazioni confinanti.» (N. Graziani, 2001, p. 149, cit.). In particolare nel ‘6-‘700 l’Opera del Duomo di Firenze puntò al depezzamento del legname in dimensioni di più agevole trasporto con la costruzione di numerose seghe ad acqua in foresta, che però si ridussero ad una tra ‘700 e ‘800 a seguito del progressivo e totale disimpegno della stessa Opera, in attesa dei miglioramenti introdotti dal Siemoni.
- Il toponimo forca, dal latino classico furca, ae = forca, strada a bivio e forcelle montana (A. Polloni) era probabilmente dovuto o alla viabilità che, oltre il ponte omonimo, si biforcava con detto tracciato di crinale e con uno di fondovalle che poi risaliva verso l’Ammannatoia ed oltre, oppure alla biforcazione fluviale con il Fosso di Campo alla Sega.
- Negli scorsi anni ’70, a seguito del trasferimento delle funzioni amministrative alla Regione Emilia-Romagna, gli edifici compresi nelle aree del Demanio forestale, spesso in stato precario e/o di abbandono, tra cui Butriali, Campominacci, Manatoia e Seghettina, divennero proprietà dell’ex Azienda Regionale delle Foreste (A.R.F.); secondo una tendenza che riguardò anche altre regioni, seguì un ampio lavoro di studio e catalogazione finalizzato al recupero ed al riutilizzo per invertire la tendenza all’abbandono, senza successo tranne il parziale riutilizzo della Seghettina. Con successive acquisizioni il patrimonio edilizio del demanio forlivese raggiunse un totale di 492 fabbricati, di cui 356 nel Complesso Forestale Corniolo e 173 nelle Alte Valli del Bidente. Circa 1/3 del totale sono stati analizzati e schedati, di cui 30 nelle Alte Valli del Bidente. Il materiale è stato oggetto di pubblicazione specifica.
- In base alle note tecniche dell’I.G.M. se in luogo dell’anteposta l’abbreviazione “C.”, che presumibilmente compare quando si è manifestata l’esigenza di precisare la funzione abitativa, viene preferito il troncamento “Ca” deve essere scritto senza accento: se ne deduce che se compare con l’accento significa che è entrato nella consuetudine quindi nella formazione integrale del toponimo.
RIFERIMENTI
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A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;
M. Gasperi, Boschi e vallate dell’Appennino Romagnolo, Il Ponte Vecchio, Cesena 2006;
N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001;
M. Massaini, Alto Casentino, Papiano e Urbech, la Storia, i Fatti, la Gente, AGC Edizioni, Pratovecchio Stia 2015;
A. Polloni, Toponomastica Romagnola, Olschki, Firenze 1966, rist. 2004;
Sansone A., Relazione sulla Azienda del Demanio Forestale di Stato – 1° luglio 1910/30 luglio 1914, Roma 1915;
P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anast. Castrocaro Terme 1989;
Comune di Bagno di Romagna, PSC 2004, Insediamenti ed edifici del territorio rurale, 2004, Scheda n.173;
Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze;
Parco nazionale delle foreste casentinesi. Carta dei sentieri 1:25.000, N.20, Monti editore, 2019;
Regione Toscana – Progetto CASTORE – CAtasti STorici REgionali;
URL http://www502.regione.toscana.it/searcherlite/cartografia_storica_regionale_scheda_dettaglio.jsp?imgid=11479;
URL http://www.igmi.org/pdf/abbreviazioni.pdf;
URL www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.
per pista forestale che dalla zona di San Paolo in Alpe conduce alla Lama, seguendo deviazione a sinistra in località ponte alla sega
Testo di Bruno Roba - Per raggiungere l’Ammannatoia, si percorre la rotabile S.Vic.le Corniolino-S. Paolo in Alpe, deviazione dalla S.P. 4 del Bidente (bivio per S.Agostino al km 35+100) circa 6 km, che conduce alla strada forestale S.Paolo in Alpe-La Lama. Da qui l’itinerario più breve è il seguente: sbarra-Campominacci-crinale della Gallona-quadrivio-Botriali-SF dell’Ammannatoia-Ammannatoia, dove l’unico tratto “avventuroso” ma breve (si trova nella cartografia escursionistica) è la mulattiera in sx idrografica del Fosso dei Botriali, comunque senza particolari difficoltà. Totale km 6.
foto del 2013 inviate da Andrea Becherini e qui riprodotte con il consenso dall'autore
La casa con quello che resta della scala e della loggia
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Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.
Nota – Per visualizzare le foto nel loro formato originale salvarle sul proprio computer, oppure se il browser lo consente tasto destro sulla foto e Apri immagine in un’altra scheda.
001a/001e – Dalla vetta Monte Penna, vedute con indice fotografico sulla alta Valle di Ridràcoli con particolari del sito dell’Ammannatoia (si nota anche la Seghettina); evidenziata dal debole innevamento si nota la viabilità (7/02/11 – 17/10/13 – 13/01/16).
001f/001i - Dalle pendici meridionali del Monte Palestrina, vedute verso lo spartiacque appenninico con l’incisione delle valli dei Fossi delle Macine e di Campo alla Sega e della dorsale che da Poggio della Serra dopo il poggio di Campominacci devia verso Poggio della Gallona a sua volta incisa dai Fossi dei Botriali e della Busca, i quali delimitano il costone che ospita l’insediamento dell’Ammannatoia (16/10/16).
001l/001o – Dalla dorsale che, giungendo dalla Costa Poggio Piano, superata la rotabile prosegue verso la Seghettina, sviluppandosi pressoché parallela alla dorsale di Poggio della Gallona sul versante opposto del Fosso Campo alla Sega, vedute frontali del costone dove sorge l’Ammannatoia (17/11/11).
001n – Schema da cartografia moderna della vallata dei Fossi delle Macine e di Campo alla Sega e loro affluenti, con gli insediamenti esistenti o scomparsi in evidenza.
001o – 001p - Mappa schematica dedotta da cartografia storica di inizio XX sec. evidenziante reticolo idrografico, infrastrutture e insediamenti, oltre che la superficie del futuro invaso, con particolare evidenziante il sito del Ponte alla Forca; la toponomastica riprende anche nella scrittura quella originale.
001q - Particolare della mappa del 1637 della ramificazione del Fosso di Campo alla Sega, anonima salvo i tratti montani dei Fossi della Motta e dell’Asticciola e di un Fondo alla Macine; compaiono Campo Minacci, Butriali, Mannatoia, Poggio Pratovecchio e Seghettina, oltre il Ponte a Ripicchione, posto subito a valle della confluenza del Fossato del Ciregiolo (oggi Fosso del Molinuzzo) nel fiume, quindi proprio nel luogo dove oggi sorge la diga (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, a colori, A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.).
001r – 001s - 001t - Mappe schematiche dedotte da cartografia storica di inizio e di metà del XIX sec. evidenziante reticolo idrografico, infrastrutture e insediamenti; la seconda riporta anche il toponimo del fabbricato di Campo alla Sega, comparente anonimo nella prima. La toponomastica riprende anche nella scrittura quella originale. Infine confronto schematico tra cartografia antica e moderna da cui si rilevano le modifiche planimetriche e alla viabilità intercorse nel secolo frapposto.
002a/002d – Per raggiungere la Seghettina più rapidamente, dopo Campominacci si percorre il sentiero sul crinale della Gallona fino al quadrivio (nelle vedute), quindi si scende ai Botriali: vedute della mulattiera e ruderi (18/12/16).
002e – 002f – 002g – Vedute del Fosso dei Botriali, affiancato dalla mulattiera, e del Fosso Campo alla Sega, affiancato dalla rotabile (24/04/13 - 30/09/19).
002h – 002i – 002l - La mulattiera dei Botriali raggiunge la SF dell’Ammannatoia dove aggira l’altro ramo del Fosso dei Botriali che scenda da Poggio della Gallona, da qui si raggiunge rapidamente il fabbricato (24/04/13 - 30/09/19).
002m/002u – I ruderi dell’Ammannatoia qualche anno addietro, tra cui si evidenzia la loggia con probabile forno a fianco dell'ingresso (24/04/13).
002v – 002z – Resti di selciato prossimi al fabbricato e della scala di ingresso (24/04/13).
003a – 003b – Particolare simbolico presso l’ingresso della casa (24/04/13).
003c/003m – Particolari dei ruderi (24/04/13).
003n – 003o – Vedute dell’antica mulattiera che scendeva ad attraversare il Fosso di Campo alla Sega verso il Ponte alla Forca e Ridracoli, oggi interrotta dall’invaso (24/04/13).
003p – Panorama dall’Ammannatoia verso la dorsale della Seghettina, sul versante opposto del fosso (24/04/13).
003q – Elaborazione di particolare della veduta del pittore paesaggista Francesco Mazzuoli che, tra l’altro, riporta la didascalia: «Casa rurale del Podere dell’Opera ch’ha il nome di Menatoja ora sivvero Ammannatoja», (F. Mazzuoli, Veduta dell’Appennino …, 1788, BNCF, G.F. 164, in: M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, 1992, p. 50, cit.), dove si vedono rappresentati il Fosso di Campo alla Sega con il fondale di Sasso Fratino (si riconosce il delta del suo anfiteatro idrografico), il fabbricato dell’Ammannatoia e, più in alto, la «Casa Colonica del Podere dell’Opera chiamato Butrioli», mentre il gregge con i pastori dovrebbe trovarsi sulla dorsale della Seghettina.