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Rifugio Pian del Pero

inserita da Bruno Roba
Tipo : rifugio
Altezza mt. : 1118
Coordinate WGS84: 43 51' 16" N , 11 47' 23" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

a 250 metri da Poggio della Serra, ma già all'interno della riserva naturale di Sassofratino - NB in questa riserva è VIETATO L'ACCESSO

Testo di Bruno Roba (22/10/2018 - Agg. 2/11/2024) - Il Fosso delle Macine ha origine da Poggio della Serra e costituisce il tratto montano del Fosso di Campo alla Sega che ha esatta origine dalla confluenza del suo tratto montano con il Fosso di Sasso Fratino (a volte detto anch'esso Fosso delle Macine), con la sua ramificazione generata da quell’anfiteatro, tra cui il Fosso dell’Acqua Fredda o dell’Asticciola«I torrenti principali che attraversano la Riserva sono (da Ovest a Est): Sottobacino Bidente di Ridracoli – Fosso delle Macine, che costituisce la porzione alta del F.di Campo alla Sega […] Fosso di Sasso Fratino, affluente di destra del F. d. Macine – Fosso di Campo alla Sega, derivato dalla confluenza del F. d. Macine e del F. d. Sasso Fratino […]» (A. Bottacci, 2009, p. 23, cit.). Altri affluenti provenienti dalla Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino sono il Fosso dei Praticini o dei Fraticini, posto prima della confluenza del Fosso di Sasso Fratino, e il Fosso dei Preti, delimitato in dx idrografica dalla Costa di Poggio Piano, braccio orientale dello specifico anfiteatro di Sasso Fratino che, distaccatasi dallo spartiacque appenninico ed in continuità con la dorsale della Seghettina, chiude a SE il bacino idrografico. Mentre il Fosso dei Botriali confluisce nel Fosso di Campo alla Sega sul limite del suo braccio lacustre, gli altri affluenti in sx idrografica, ovvero il Fosso della Busca, già della Basca, e il Fosso dell’Asino, ormai si gettano direttamente nel lago. La dorsale della Seghettina separa la valle del Fosso di Campo alla Sega da quella del Fosso degli Altari.

Per l’inquadramento territoriale v. schede Valle del Bidente di Ridràcoli e Fosso di Campo alla Sega.

La minore acclività di tratti del versante sx della valle, alcontrario di quella della Riserva, dei Fossi delle Macine e di Campo alla Sega, al contrario di quella della Riserva, ha consentito il diffondersi di insediamenti ed appoderamenti dediti al pascolo e al taglio del bosco, infatti il ricorrente toponimo ricorda la principale attività svolta nell’area dai secoli addietro fino alla prima metà del XX … «Ivi il Padre Apennino non corruso ma verde, mostravasi aperto e vestito con alberi sul fianco, appiè del quale una cascata di acque da sega in sega e tra i massi rompendosi lieve lieve come velo copriva un ponticello …» (P. Ferroni, Autobiografia, 1825, in: G.L. Corradi, O. Bandini, “Per quanto la veduta consenta di spaziare”. Scelta di testi dal XIV al XIX secolo, in: G.L. Corradi, O. Bandini, 1992, p.78, cit.). Gli insediamenti superstiti sono alcuni fabbricati del nucleo de La Seghettina e, fino a pochi decenni addietro, Campominacci, già Campo MinacciCampo di Minaccio e Campo Ominacci, che giunse ad essere recuperato ed indicato come rifugio nella prima cartografia del Parco delle Foreste Casentinesi, oggi ormai abbandonato al destino di rudere, come peraltro l'Ammannatoia ed i Botriali, già Butriali. Di Pratovecchio  e Poggio a Pratovecchio (posti sul crinale di Poggio della Gallona ma il primo appartenente al sistema vallivo del Fosso del Molinuzzo) e di Campo alla Sega rimangono poche pietre. Vari capanni (di alcuni rimangono resti poco consistenti) si trovavano sia sulla sella del contrafforte posta a monte dell’origine del Fosso delle Macine, l’ex rifugio di Pian del Pero, sia presso il suo corso (uno a metà circa di probabile uso forestale, uno verso il termine, forse un’antica macina, peraltro posta in un sito nel XIX secolo noto come La Macine), sia presso Campominacci Campo alla Sega.

La prima cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto Toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), consente di conoscere il tracciato della viabilità antica che raggiungeva Ridràcoli. Attraversato il Bidente di Corniolo presso Isola, con il Ponte dell'Isola, sul luogo del ponte odierno, essa si manteneva in sx idrografica risalendo subito a mezzacosta fino a raggiungere Biserno, per quindi ridiscendere nel fondovalle del borgo, dove si concludeva con un lungo rettilineo al cui termine si trovava Il Ponte di Ridràcoli. Tale viabilità, anonima nelle mappe citate, verrà poi denominata Strada Comunale Ridràcoli-Biserno e Strada Comunale Isola-Biserno; solo in occasione dei lavori di costruzione dell’invaso quest’ultima verrà ristrutturata e ampliata diventando parte della S.P. n.112.

Vari itinerari trasversali collegavano le vallate adiacenti, principalmente dipartendosi dal baricentro militare-residenziale del Castello di Ridràcoli (nel 1216 è documentato come Castrum Ridiracoli un villaggio fortificato che, secondo la Descriptio Romandiole del 1371, raggiungeva appena 6 focularia) e dai nuclei economico e religioso del ponte e della chiesa (una villam Ridraculi cum omnibus ecclesiis è documentata già dal 1213), dialetticamente separati in base alla morfologia del luogo, determinata dalla fitta sequenza delle anse fluviali. Dal Castello partiva la Strada che dal Castello di Ridracoli conduce alla Chiesa della Casanova, risalente la Valle dei Tagli ed imperniata su Casanova dell’Alpe (su una pietra cantonale della chiesa sono ancora leggibili le distanze chilometriche – evidentemente non più valide - km 12,358 per Bagno e km 5,933 per Ridràcoli); costituiva parte della successiva Mulattiera Ridràcoli-Bagno. Dal Ponte di Ridràcoli partiva la Strada che da Ridracoli va al Poggio alla Lastra, che, superata la chiesa, risaliva la Valle del Corneta, parte della successiva e rinomata Mulattiera di Ridràcoli diretta a Santa Sofia tramite Strabatenza. Entrambe le mulattiere incrociavano sul crinale la Strada Maestra di S. Sofia o Strada che dalla Casanova va a Santa Sofia, la prima presso il Monte Moricciona, la seconda sul Passo della Colla, posto sulla Colla del Monte interposta tra i Monti Marino e La Rocca. Molto note e ancora riportate come tali nella cartografia moderna, negli anni ’50 alle estremità delle mulattiere vennero installati dei cippi stradali riportanti la rispettiva denominazione, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli; rimasero localmente in uso fin’oltre metà del XX secolo, infatti le odierne strade forestali verranno realizzate solo un ventennio dopo.

Dai piedi del centro religioso si staccava un percorso che giungeva fino alle pendici della Seghettina … «[…] praticabile solamente nella bella stagione, quando le acque del fiume erano scarse, e si snodava lungo il corso del Bidente che veniva attraversato ben 33 volte […]» (C. Bignami, 1995, p. 90, cit.). Dalla via castellana si staccava la strada comunale, sempre percorribile, che risaliva il Bidente per un lungo tratto correndo accanto all’alveo fluviale, per la parte fino alla diga oggi sostituito dalla viabilità di servizio, per il resto ormai sommerso. La via scavalcava il Fosso dei Tagli, presso lo sbocco nel Bidente, forse sul luogo oggi occupato dall’asfalto stradale, con il Ponte dei Tagli. Subito dopo la mulattiera passava sotto un arco del Mulino di Sopra costeggiandone il bottaccio. Con la costruzione della diga e con il riempimento dell’invaso, è scomparso pressoché l’intero tracciato viario e sono scomparsi mulini, insediamenti (le Celluzze – che spesso riemerge, la ForcaLagaccioloVerghereto), ponti e guadi che, come sopracitato, attraversavano 33 volte il Fiume della Lama o Obbediente (come era anticamente classificato), come il Ponte a Ripicchione (documentato da una mappa del 1637 allegata ad una relazione del 1710 del provveditore dell’Opera del Duomo di Firenze  riproduzioni della mappa si trovano in A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, l’originale a colori, in A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.) e il Ponte alla Forca. La mulattiera, dopo il Ponte a Ripicchione abbandonava l’argine fluviale risalendo progressivamente il versante e, sorpassata la Fonte dei Bisernini, raggiungeva Lagacciolo; un bivio divideva il tratto che da Case di Sopra risaliva fino al Monte Cerviaia dalla prosecuzione della via che ridiscendeva fino a La Forca e al suo mulino, prima attraversando il fosso detto Il Fossone con una palancola lignea, in un’area ormai sommersa. La viabilità lungo il Bidente terminava con l'attraversamento tramite il Ponte alla Forca o della Seghettina, risalente al 1843. Oltrepassato il ponte con un lungo tragitto si poteva risalire fino a S. Paolo in Alpe oppure si imboccava l’importante e sopracitata Strada che dalla Seghettina va a Stia valicante il Passo Sodo alle Calle o La Scossa. Dal questa via si staccava pure un itinerario (detto anche Via dei Fedeli) che scendeva ad attraversare il Fosso degli Altari per poi seguire il Fosso della Lama penetrando nella sua valle fino a valicare il crinale con il passo del Gioghetto, diretto all’Eremo di Camaldoli. Alla seconda metà del secolo scorso risalgono il Ponte alla Sega, ampio ponte ligneo carrabile che consente alla S.F. Lama-S. Paolo in Alpe-Corniolo di attraversare il Fosso di Campo alla Sega e il Ponte alla Macchia, un robusto ponticello ligneo con spalle in pietra che viene utilizzato anche come carrabile da piccoli mezzi agricoli per collegare la Seghettina con la strada predetta tramite la strada forestale diretta all’Ammannatoia. La valle del Fosso di Campo alla Sega era inoltre interessata da alcune c.d. vie dei legni, utilizzate per il trasporto del legame tagliato dai boschi di prelievo fino al Porto di Badia a Poppiena a Pratovecchio, attraverso i valichi appenninici tosco-romagnoli; una di queste, che probabilmente attraversava la Riserva di Sasso Fratino, era la via che dalla Lama conduceva alla Seghettina e quindi a Pian del Pero e la Calla, individuata all’inizio del XX secolo dal Direttore generale delle Foreste, al Ministero di Agricoltura, A. Sansone nella relazione sullo stato delle foreste demaniali (cit.). 

In questo contesto storico-geografico, tra le alte valli bidentine quella di Ridràcoli è quella che meno ha subito il fenomeno dell’abbandono grazie alle caratteristiche ambientali e climatiche più favorevoli della sua parte meno elevata. Il borgo principale, posto nel baricentro sia geografico sia del sistema insediativo, è quello più noto e frequentato e la frazione di Biserno è quella più abitata, ma le parti delle vallecole laterali più profonde e difficilmente raggiungibili sono trascurate e molti fabbricati oggi sono in stato di abbandono o ridotti a rudere o scomparsi, con vari casi di ristrutturazione interrotta, ma non fanno eccezione neanche le valli meglio infrastrutturate che, se hanno evitato il completo abbandono dei poderi, hanno scarsamente contribuito al riutilizzo dei rispettivi insediamenti, in prevalenza abbandonati o, al più, riutilizzati a fini turistici.

La Valle Fosso di Campo alla Sega e sue diramazioni erano abitate fin dal XVI secolo nelle parti più remote e alcuni insediamenti sono rappresentati nella mappa del 1637. Essi erano collegati alla viabilità principale di crinale da itinerari trasversali. Le identificazioni toponomastiche e grafiche della cartografia antica e moderna (Catasto toscano, Carta d’Italia I.G.M., N.C.T. Nuovo Catasto Terreni, C.T.R. Carta Tecnica Regionale) riguardanti i fabbricati si possono schematizzare come di seguito elencato:

- L’Ammannatoja nel Catasto toscano, o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o Ammannatoia in quella moderna, o Ammannatoia nel N.C.T. e nella C.T.R.;

I Botriali nel Catasto toscano, o i Botrini nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o i Botriali nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o i Butriali in quella moderna, o Butriali nel N.C.T., o I Botriali nella C.T.R.;

Campominacci nel Catasto toscano, nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna, o Campominacci nel N.C.T. e nella C.T.R.;

Campo alla Sega: anonimo nel Catasto toscano, o assente in tutta la restante cartografia antica e moderna; Campo alla Sega nella Carta Geometrica della Regia Foresta casentinese e adiacenze, l’anno 1850 (cfr. Regione Toscana – Progetto CASTORE, cit.);

- anonimo nel Catasto toscano, o la Seghettina nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna, o Seghettina nel N.C.T., o La Seghettina nella C.T.R.;

La Seghettina nel Catasto toscano, o la Seghettina nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna, o Seghettina di Sotto nel N.C.T. e  nella C.T.R.;

ex Rifugio di Pian del Pero: assente nel Catasto toscano, o C. Pian del Pero nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o assente nella restante cartografia antica e moderna; ex Rif. Pian del Pero in alcune edizioni di cartografia escursionistica;

Poggio a Pratovecchio nel Catasto toscano, o Pratovecchio nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna con rappresentazione del simbolo dei ruderi, o Pratovecchio nel N.C.T. e nella C.T.R.

Un tracciato viario di antichissima frequentazione (i ritrovamenti nell'area risalgono almeno al 1900-1800 a.C.), ma che ancora percorre il contrafforte, e probabilmente era una delle vie militari romane, nell’antichità più recente era noto come Via del Giogo di Scali o Via di Scali e rientrava in un breve elenco della viabilità ritenuta di interesse nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.). La via che da S. Sofia per S. Paolo in Alpe, e Pian del Pero saliva a Poggio Scali è da annoverare tra le “vie dei legni” individuate all’inizio del XX secolo dal Direttore generale delle Foreste, al Ministero di Agricoltura, A. Sansone nella relazione sullo stato delle foreste demaniali. Oggi il tratto alto è vietato al transito in quanto interno alla Riserva di Sasso Fratino: «In pratica in un luogo come Sasso Fratino non si può, in nessun modo, entrare autonomamente e la descrizione di un itinerario al suo interno non può entrare in alcuna guida naturalistica o escursionistica.» (N. Agostini, D. Alberti, eds., 2018, p. 53, cit.). Giustamente è stato scritto: «Gli equilibri della natura sono spesso fragili e vulnerabili, così che è fondamentale ammettere e pretendere il massimo rigore. L’educazione tuttavia serve proprio ad insegnare a comportarsi bene, nel rispetto dei principi di civile convivenze e di riguardo per i valori comuni, così che, a mio vedere, non è inammissibile pensare ad un processo di educazione al rispetto della natura che coinvolga “anche” Sasso Fratino. Non ritengo deontologicamente sostenibile che un giovane, un abitante delle valli del crinale, che abbia saputo dai suoi “vecchi” della memoria e della testimonianza di questa realtà, sia automaticamente escluso dal poterla anche solo “vedere” nel corso della sua vita, a meno di non diventare uno scienziato ed intraprendere uno studio di quell’area. Non è questo il senso e la finalità della riserva, che non è “nemica” dell’uomo, e che è anzi elemento di forza e di sostanza per l’affermazione di una cultura della conservazione, per la crescita di un senso di orgoglio e di partecipazione alla tutela dei beni della collettività.» (A. Barghi, C. D’Amico, 2010, pp. 49a, 50a, cit.). Quanto affermato è probabilmente una risposta indiretta a queste considerazioni, precedenti di pochi anni che, in conclusione, informano riguardo l’abbandono del ricovero di Pian del Pero: «Di […] errati interventi […] ne vengono sempre a subire le conseguenze le foreste per prime e, di riflesso, le popolazioni indigene che di questi ambienti, per genesi, sono le reali fiduciarie. […] Si accanirono anche nel distruggere ogni traccia dei secolari insediamenti umani nell’ambito della foresta, e i più numerosi erano ai margini di essa. Furono rasi al suolo interi villaggi, e pensare che stavano là a rappresentare testimonianze preziose dell’evoluzione storico-antropica di queste inospitali vallate montane (particolarmente di quelle bidentine) al tempo in cui le famiglie dei braccianti del fondovalle furono costrette dalla fame a spingersi così in alto. Forti memorie umane, ricordi intimi e affettivi di coloro che, oggi, avrebbero potuto ricercare lì, le tracce delle loro trascorse generazioni. Furono distrutti […] al solo scopo di impedire all’uomo di potersi ricondurre alle sue radici, perché nessuno potesse più rivivervi un momento di meditazione, talvolta spinto dal desiderio di sapere e di conoscere, per impedire a tutti coloro che là ebbero i natali, la rivisitazione delle loro origini. Si può tentare di comprendere l’eretica necessità di eliminare il piccolo ricovero di Pian del Pero, solo considerata la sua ubicazione all’interno della R.N.I. di Sasso Fratino da difender ad ogni costo dall’antropizzazione anche temporanea, dato che, ad opera dei soliti impreparati, era divenuto meta di merende e di scampagnate domenicali. Ma Strabatenza, Pietrapazza, Vitareta, le Marsaglie, potevano essere risparmiate.» (P.L. della Bordella, 2004, pp. 77-78, cit.). Sicuramente la realizzazione della rotabile S. Paolo-Lama, che corre a 700 m e inizialmente aperta al traffico, agevolava le frequentazioni più “estemporanee”. Per la descrizione del tratto che risale da Pian del Pero con riferimento al rifugio occorre pertanto rileggere la pagina di una vecchia guida, che descrive il percorso da valle, dalla strada S. Paolo in Alpe-La Lama: «[…] quando questa devia a sinistra per scendere in direzione di Campominacci, si continua diritto sul largo sentiero in mezzo al bosco per raggiungere poco più avanti il rifugio di Pian del Pero. […]è l’unico sentiero che permette l’attraversamento dell’Oasi integrale di Sasso Fratino. Molto ripido, a forte dislivello, non è segnalato ed è del tutto sconsigliato d’inverno dato il forte innevamento che lo nasconde completamente. In caso si perda l’orientamento, dato che sia a destra che a sinistra del sentiero vi sono scarpate e rive scoscese, è consigliabile tornare indietro seguendo le proprie tracce sulla neve. Dal rifugio si scende alla sella omonima poi si inizia a salire a ridosso del costone su di un sentierino poco visibile e ricoperto di foglie, per poi deviare decisamente a destra (20 min.) e in corrispondenza di un canaletto di scolo ripiegare a sinistra a riportarsi sul costone precedente che si risale con alcuni ripidi tornanti. Si ripiega ancora a destra per un lungo tratto per poi risalire il pendio, avendo alla propria destra una scoscesa scarpata, con una serie di innumerevoli tornantini (qui compaiono frequenti segni di vernice bianca sbiadita) che riportano il sentiero, con un largo semicerchio, sul costone che unisce Pian del Pero a Poggio Scali (1 ora) da cui si può intravvedere in mezzo ai rami il Lago di Ridracoli. Qui il sentiero si ripiana un attimo per riprendere a salire in diagonale sotto il costone e portarsi rapidamente al crinale (1 ora e 20 min.) sulla strada della Giogana. (Sent. segnalato, N° 1). Si prende a destra dove in alto e completamente spoglio dagli alberi è posto il cocuzzolo di Poggio Scali (1 ora e 25 min.).» (cfr.: O. Bandini, G. Casadei. G. Merendi, 1986, pp. 129-130, cit.). L’ex­-rifugio di Pian del Pero, come ormai chiaro oggi irraggiungibile, si trova tuttavia presso il confine della Riserva, per cui la vestizione invernale del bosco ne consente uno scorcio dal versante accessibile di Poggio della Serra, senza superare il limite invalicabile. La Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), con il toponimo C. Pian del Pero (Casa Pian del Pero) accanto al simbolo di un fabbricato, certificava la presenza di un’abitazione, toponimo e fabbricato non confermati già nella successiva mappa (1937), mentre un'attuale edizione di cartografia escursionistica riporta il toponimo dell'ex rifugio accanto al simbolo dei ruderi. Infine sia esauriente la seguente nota: «All’interno della Riserva non sono presenti manufatti, ad eccezione dell’ex rifugio di Pian del Pero, attualmente inutilizzato, e di alcune strutture viarie nelle aree di ampliamento.»  (A. Bottacci, 2009, p. 24, cit.).

Per approfondimenti si rimanda alla scheda toponomastica Valle del Bidente di Campigna e/o relative a monti e insediamenti citati.

N.B.: - L’Opera del Duomo di Firenze, dopo la presa in possesso delle selve “di Casentino e di Romagna”, aveva costatato che sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove si manifestavano numerosi disboscamenti (roncamenti) non autorizzati. Desiderando evitare nuovi insediamenti, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. Altri elenchi e documenti utili si sono susseguiti nei secoli seguenti, fino ai contratti enfiteutici del 1818 e del 1840 con il Monastero di Camaldoli, contenenti una precisa descrizione dei confini e delle proprietà dell’Opera.

- Le “vie dei legni” indicano i percorsi in cui il legname, tagliato nella foresta, tronchi interi o pezzato, dal XV° al XX° secolo veniva condotto prima per terra tramite traini di plurime pariglie di buoi o di cavalli, a valicare i crinali appenninici fino ai porti di Pratovecchio e Poppi sull’Arno, quindi per acqua, a Firenze e fino ai porti di Pisa e Livorno. 

- La sega ad acqua venne inventata da Villard de Honnecourt nel sec. XIII e Leonardo da Vinci ne studiò il funzionamento nel 1480. A metà del ‘400 in Casentino sono documentate una sega ad acqua a Camaldoli (i monaci sono stati sempre all’avanguardia nella lavorazione del legno) e due artigiani specializzati a Papiano (M. Massaini, 2015, cit.) mentre, sul versante romagnolo «All’interno della foresta si costruirono direttamente e per concessione a terzi, nel corso del ‘500 e del ‘600, alcune seghe idrauliche per la lavorazione del legname sul posto e la sua preparazione al trasporto (sega del fosso del Bidente, sega del Ridracoli, dell’Asticciuola, del Ricopri). Tali seghe lavoravano al limite della legalità e, nonostante una rigida legislazione e una serie di regolamenti e di divieti per impedire tagli abusivi, per tutta l’età moderna hanno favorito la spogliazione della foresta da parte delle popolazioni confinanti.» (N. Graziani, 2001, p. 149, cit.). In particolare nel ‘6-‘700 l’Opera del Duomo di Firenze puntò al depezzamento del legname in dimensioni di più agevole trasporto con la costruzione di numerose seghe ad acqua in foresta, che però si ridussero ad una tra ‘700 e ‘800 a seguito del progressivo e totale disimpegno della stessa Opera, in attesa dei miglioramenti introdotti dal Siemoni.

- Il toponimo forca, dal latino classico furca, ae = forca, strada a bivio e forcelle montana (A. Polloni) era probabilmente dovuto o alla viabilità che, oltre il ponte omonimo, si biforcava con detto tracciato di crinale e con uno di fondovalle che poi risaliva verso l’Ammannatoia ed oltre, oppure alla biforcazione fluviale con il Fosso di Campo alla Sega.

- Negli scorsi anni ’70, a seguito del trasferimento delle funzioni amministrative alla Regione Emilia-Romagna, gli edifici compresi nelle aree del Demanio forestale, spesso in stato precario e/o di abbandono, tra cui Butriali, Campominacci, Manatoia e Seghettina, divennero proprietà dell’ex Azienda Regionale delle Foreste (A.R.F.); secondo una tendenza che riguardò anche altre regioni, seguì un ampio lavoro di studio e catalogazione finalizzato al recupero ed al riutilizzo per invertire la tendenza all’abbandono, senza successo tranne il parziale riutilizzo della Seghettina. Con successive acquisizioni il patrimonio edilizio del demanio forlivese raggiunse un totale di 492 fabbricati, di cui 356 nel Complesso Forestale Corniolo e 173 nelle Alte Valli del Bidente. Circa 1/3 del totale sono stati analizzati e schedati, di cui 30 nelle Alte Valli del Bidente. Il materiale è stato oggetto di pubblicazione specifica.

- In base alle note tecniche dell’I.G.M. se in luogo dell’anteposta l’abbreviazione “C.”, che presumibilmente compare quando si è manifestata l’esigenza di precisare la funzione abitativa, viene preferito il troncamento “Ca” deve essere scritto senza accento: se ne deduce che se compare con l’accento significa che è entrato nella consuetudine quindi nella formazione integrale del toponimo.

RIFERIMENTI   

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N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001;

M. Massaini, Alto Casentino, Papiano e Urbech, la Storia, i Fatti, la Gente, AGC Edizioni, Pratovecchio Stia 2015;

A. Polloni, Toponomastica Romagnola, Olschki, Firenze 1966, rist. 2004;

Sansone A., Relazione sulla Azienda del Demanio Forestale di Stato – 1° luglio 1910/30 luglio 1914, Roma 1915;

P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anast. Castrocaro Terme 1989;

Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze;

Parco nazionale delle foreste casentinesi. Carta dei sentieri 1:25.000, N.20, Monti editore, 2019;

Regione Toscana – Progetto CASTORE – CAtasti STorici REgionali;

URL http://www502.regione.toscana.it/searcherlite/cartografia_storica_regionale_scheda_dettaglio.jsp?imgid=11479;

URL http://www.igmi.org/pdf/abbreviazioni.pdf;

URL www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.

Percorso/distanze :

Testo di Bruno Roba - Oltre che da remoto, la sella di Pian del Pero è parzialmente osservabile dal confine della Riserva di Sasso Fratino che attraversa Poggio della Serra, raggiungibile dalla strada forestale S.Paolo in Alpe-La Lama (bivio per S.Agostino al km 35+100 dalla S.P. 4 del Bidente, quindi seguire la rotabile S.Vic.le Corniolino-S. Paolo in Alpe per circa 6 km. Dalla sbarra 1,5 km circa, secondo il punto di osservazione. Dal confine della Riserva, quando la faggeta è spoglia, si riesce anche a scorgere il rifugio.

foto/descrizione :

Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.

001a – 001b – 001c – Il Monte Penna è uno dei siti agevolmente raggiungibili per usufruire di vedute da remoto che consentano di distinguere bene il caratteristico profilo a corda molle della sella di Pian del Pero, che collega Poggio Scali a Poggio della Serra, sede dell’ex Rifugio (7/02/11 - 17/10/13 – 13/01/16).

 

001d – 001e –Dal Monte Piano, che consente un’ampia panoramica da oriente dell’intero spartiacque appenninico, è facile individuare la sella di Pian del Pero che si stacca dalle fratturate Ripe di Scali e si conclude con Poggio della Serra. Sul crinale in p.p. dell’ultima foto si vede Casanova dell’Alpe (1/01/12).

 

001f/001i – Il Canale del Pentolino incide lo spartiacque appenninico fino al crinale aprendo un varco panoramico che consente la vista dall’alto della sella di Pian del Pero, contestualizzandola nell’ambito del contrafforte secondario ma, ovviamente, i resti del’ex Rifugio sono invisibili ed immersi nella faggeta (2/09/11 – 8/06/13 - 15/05/14 – 11/12/14).

 

001l/001p – Percorrendo la  S.F. S. Paolo in Alpe-La Lama si hanno vari scorci del primo tratto del contrafforte tra Poggio Scali e Poggio della Serra, collegati dalla sella di Pian del Pero (31/03/12 - 18/12/16).

 

001q - Schema da cartografia moderna della vallata dei Fossi delle Macine e di Campo alla Sega e loro affluenti, con gli insediamenti esistenti o scomparsi in evidenza.

001r - Schema da cartografia della prima metà del ‘900, prima della realizzazione della viabilità moderna.

001s - 001t - Mappe schematiche dedotte da cartografia storica di inizio e di metà del XIX sec. evidenziante reticolo idrografico, infrastrutture e insediamenti La toponomastica riprende anche nella scrittura quella originale. Infine confronto schematico tra cartografia antica e moderna da cui si rilevano le modifiche planimetriche e alla viabilità intercorse nel secolo frapposto.

002a/002f – Il tratto di rotabile che attraversa il sito di Poggio/Faggio alla Fringuella, in ultimo visto dal principio del sentiero per Poggio della Serra/Pian del Pero, con Poggio Capannina sullo sfondo (31/0312 – 16/11/16).

 

002g/002o – Il sentiero per Pian del Pero, con scorcio di Poggio della Serra e vedute panoramiche verso Ridràcoli, S. Paolo in Alpe e la valle del Fosso di Ricopri (16/11/16).

 

003a/003f – L’insuperabilità del confine della Riserva di Sasso Fratino consente solamente degli scorci della sella di Pian del Pero mentre è possibile raggiungere la sommità di Poggio della Serra (16/11/16).

 

003g/003m – Portandosi sul confine della Riserva (v. cartelli nelle prime due foto, a sx e a dx) e tirando al massimo la “zoomata”, si riescono ad intravedere i resti del rifugio (16/11/16).

 

004a/004d – Pian del Pero in occasione di un sopralluogo tecnico su “vie dei legni” e “termini di pietra”: la sella era percorsa dalla Via di Scali ed era attraversata dalla pista proveniente da Sasso Fratino (5c) e proseguente per Ricopri e Campigna tramite Ballatoio (5d) (30/09/24).

004e/004m – I cippi (termini di pietra) che delimitano la Riserva corrispondono ai limiti della Regia Foresta Casentinese di epoca granducale (17/03/23 – 30/09/24).

004n/004q – Il rifugio come si presentava al momento del sopralluogo tecnico (30/09/24).

005a – 005b – Riproduzioni pittoriche tipo olio del rifugio quando ancora era utilizzato da foto anni ‘70, ovvero risalenti ai tempi degli itinerari descritti nella Guida Verde di Bandini-Casadei-Merendi.

 

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