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Fosso del Molino

inserita da Appenninoromagnolo.it
Tipo : torrente
Altezza mt. : 555
Coordinate WGS84: 43 50' 48" N , 11 50' 30" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

nasce dall'unione del fosso della Rogheta e del fosso di Romiceto, dopo 1,6 Km circa si immette nel lago di Ridracoli

Testo di Bruno Roba (17/01/2021 - Agg. 27/11/2023)

Fosso del Molino - Coordinate WGS84: Origine (confluenza F.si Romiceto e Rogheta) 43° 50’ 58” N / 11° 51’ 17” E – Sbocco antico (confluenza con F.so della Lama e origine del Bidente di Ridràcoli) 43° 50’ 57” N / 11° 50’ 24” E - Sbocco attuale (Lago di Ridràcoli) 43° 50’ 46” N / 11° 50’ 30” E - Quote: Origine 614 m – Sbocco antico 538 m - Sbocco attuale 553 m - Sviluppo storico 2,1 km - Fino al principio del braccio lacustre, in loc. Comignolo, 1,75 km.

Fosso Rogheta - Coordinate WGS84Origine (Monte Moricciona) 43° 51' 44' N / 11° 51' 58' E – S.F. Grigiole-Poggio alla Lastra (presso M. Moricciona) 43° 51’ 43” N / 11° 51’ 55” E - Sbocco (Fosso del Molino) 43° 50’ 58” N / 11° 51’ 17” E - QUOTEOrigine (Monte Moricciona) 1027 m - S.F. Grigiole-Poggio alla Lastra (presso M. Moricciona) 990 m - Sbocco (Fosso del Molino) 614 m - Sviluppo 2 km.

Fosso di Romiceto - Coordinate WGS84Origine (Contrafforte secondario) 43° 49’ 53” N / 11° 52’ 26” E - Sbocco (Fosso del Molino) 43° 50’ 58” N / 11° 51’ 17” E - QuoteOrigine (Contrafforte secondario) 1140 m - Sbocco (Fosso del Molino) 614 m - Sviluppo 4,5 km.

Fosso di Ponte Camera - Coordinate WGS84Origine (Passo della Bertesca) 43° 49’ 27” N / 11° 52’ 20” E - Sbocco (Fosso di Romiceto) 43° 50’ 21” N / 11° 51’ 28” E – Ponte Camera (S.F. del Cancellino) 43° 49’ 52” N / 11° 51’ 49” E - QuoteOrigine (Passo della Bertesca) 1260 m - Ponte Camera (S.F. del Cancellino) 845 m - Sbocco (Fosso di Romiceto) 709 m - Sviluppo 2,4 km.

Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto appenninico spartiacque compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine; in quell’ambito si staccano due contrafforti secondari e vari crinali e controcrinali minori delimitanti le singole vallecole del bacino idrografico.

La Valle del Fiume Bidente di Ridràcoli riguarda quel ramo intermedio del Bidente delimitato, ad Est la valle dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si diparte da Poggio allo Spillo (collegando Poggio della BertescaCroce di Romiceto, i Monti Moricciona, La Rocca, Marino, Pezzoli e Carnovaletto) per concludersi sul promontorio della Rondinaia digradando a valle di Isola costretto dalla confluenza del Fiume Bidentino o Torrente Bidente di Fiumicino nel Fiume Bidente. Ad Ovest la valle è delimitata dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si distacca da Poggio Scali e che subito precipita ripidissimo disegnando la sella di Pian del Pero, serpeggiante evidenzia una sequenza di rilievi (i Poggi della Serra e Capannina, l’Altopiano di S.Paolo in Alpe, Poggio Squilla, Ronco dei Preti e Poggio Collina, per terminare con Poggio Castellina) fino a digradare presso il ponte sul Fiume Bidente di Corniolo a monte di Isola, costretto dalla confluenza del Fiume Bidente di Ridràcoli nel Bidente di Corniolo.

Il bacino idrografico del Fiume Bidente di Ridràcoli, di ampiezza molto superiore rispetto alle valli collaterali e che vede il lago occupare una posizione baricentrica, con l’asta fluvio/lacustre f.so Lama/invaso/fiume posizionata su un asse mediano Nord-Sud, mostra una morfologia molto differenziata rispetto al suo baricentro. L’area sorgentifera, con la realizzazione dell’invaso artificiale, si differenzia tra quella che lo alimenta e quella a valle della diga che alimenta direttamente il fiume. A monte l’area imbrifera confluisce in cinque corsi d’acqua principali che costituiscono i corrispondenti bracci lacustri di cui si compone il lago. Essi sono il Fosso delle Macine, poi di Campo alla Sega, il Fosso degli Altari e il Fosso della Lama, l’asta torrentizia costituita dalla sequenza dei Fossi del Ciriegiolone, dell’Aiaccia e del Molinuzzo, cui contribuisce la ramificazione del Fosso del Raggio Rio Fossati e infine il Fosso del Molino.

Il Fosso di Campo alla Sega, il Fosso degli Altari e il Fosso della Lama, provengono direttamente o indirettamente dallo Spartiacque Appenninico e i primi due indirettamente anche dalla Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino: «I torrenti principali che attraversano la Riserva sono (da Ovest a Est): Sottobacino Bidente di Ridracoli – Fosso delle Macine, che costituisce la porzione alta del F.di Campo alla Sega […] Fosso di Sasso Fratino, affluente di destra del F. d. Macine – Fosso di Campo alla Sega, derivato dalla confluenza del F. d. Macine e del F. d. Sasso Fratino […]» (A. Bottacci, 2009, p. 23, cit.).

Il Fosso del Molino raccoglie il reticolo scolante di un amplissimo bacino idrografico; tuttavia, è piuttosto breve anche in relazione all’ampiezza del suo alveo ed è totalmente di fondovalle. Il suo sviluppo storico di circa 2 km vedeva un dislivello di soli 76 m tra la sua origine - dovuta alla confluenza tra il Fosso Rogheta e il Fosso di Romiceto - e il suo antico termine pre-lacustre (confluenza con il Fosso della Lama e conseguente origine del Fiume Bidente). Il fosso oggi diviene braccio lacustre in loc. Comignolo, quando ampio e tranquillo serpeggia compiendo una doppia ansa. Per morfologia, appare come tratto terminale in perfetta continuità con il Fosso di Romiceto; peraltro, nella Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinese del 1850 (cit.) e nella Sez.VII-La Lama delle Bozze di mappe catastali della Foresta Casentinese e Campigna, datate 1808-1830 (cit.) il Fiume Bidente appare aver origine dalla confluenza del Fosso delle Grigiole, (oggi di Ponte Camera) con il Romiceto, ivi limitato al tratto alto. Ma a fine ‘700 si trova (v. più avanti) un Fosso di Romiceto chiamato Carpanone per essere forse in rapporto con la costruzione del Molino di Carpanone (compare nel Catasto toscano ma non se ne conosce l’esatta datazione).

Il bacino idrografico del Fosso Rogheta è delimitato a settentrione dall’anfiteatro vallivo incentrato sul Monte Moricciona, nodo montano tra il tratto del contrafforte secondario che si prolunga dal poggio di Croce di Romiceto al crinale di Casanova dell’Alpe, avendo interposta la sella con la Maestà di Valdora e la dorsale che prima raggiunge il Monte Cerviaia e termina con il Monte Palestrina. La delimitazione meridionale è costituita dalla dorsale che si stacca da Croce di Romiceto, proiettandosi verso il fondovalle del Rogheta. Quest’ultima delimita anche il Fosso dei Bruciaticci, affluente del Fosso Rogheta assieme al Fosso delle Piagge, acque aventi origine dal contrafforte, da cui infatti si staccano le maggiori diramazioni montuose.

Anticamente il fosso era detto della Rogheta (e forse anche dei Diavoli): tale declinazione del toponimo, diffuso anche nella sua variazione roveta, dal latino medievale «[…] rubetum (rubeta) = terra a rubus (rovo), prunaio […].» (A. Polloni, 1966-2004, p. 270, cit.), è significativa per una descrizione storicizzata dei luoghi. Il tratto alto del Fosso dei Bruciaticci era detto della Capannella, il Monte Cerviaia era detto Poggio al Pratalino o Monte della Chiesaccia e Croce di Romiceto era detto Poggio alla Croce.

Il bacino idrografico del Fosso di Romiceto è delimitato a settentrione dall'ulteriore tratto del contrafforte secondario compreso tra il poggio di Croce di Romiceto e Poggio della Bertesca e dalla citata dorsale che si stacca dal nodo montano di Croce di Romiceto, mentre il limite meridionale è determinato dalla dorsale di Poggio Fonte Murata, che nella piega creata con il contrafforte all’altezza del Passo della Bertesca vede l’origine del Fosso di Ponte Camera, come detto affluente del Fosso di Romiceto. I bacini dei due fossi sono separati da una diramazione del contrafforte secondario che, nel digradare, forma la sella del Le Grigiole prima di rialzarsi con il picco piramidale di Scaramuccia, omonimo e morfologicamente quasi gemello di quello posto lungo la dorsale di Poggio Fonte Murata, sull’opposto versante vallivo, e con esso collegato da un’antica pista boschiva. Questa diramazione delimita la ramificazione di origine più elevato del Fosso di Romiceto, ripetutamente attraversata dai tornanti della S.F. del Cancellino. Infossata accanto ad uno dei tornanti stradali si trova la Fonte solforosa Le Grigiole.

Nel Fosso del Molino scolano direttamente gli sproni del versante meridionale del Monte Palestrina e l'opposta vallecola del Fosso dell’Orticheto ricompresa tra le due diramazioni terminali della dorsale di Poggio Fonte Murata, una che si interrompe bruscamente con Poggio La Guardia, l’altra che si prolunga digradando presso i resti del Molino di Carpanone e la confluenza con il Fosso Rogheta. Il bacino idrografico suo proprio è pertanto piuttosto ristretto.  

L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio, in epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur mantenendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate. Nel Settecento, chi voleva risalire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami che venivano così descritti: per Ridràcoli «[…] composto di viottoli appena praticabili […]» per S. Paolo in Alpe «[…] largo in modo che appena si può passarvi […].» e per il Corniolo «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi in modo che appena vi può passare un pedone […]» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, citato da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna Toscana e il Casentino nei tempi granducali. Assetto paesistico-agrario, viabilità e contrabbando, in: G.L. Corradi e N. Graziani - a cura di, 1997, p. 82, cit.).

La prima cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), da integrare per le Valli del Molino, di Romiceto e Rogheta con la Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinese (1850 – scala 1:20.000)consente di conoscere il tracciato della viabilità antica che raggiungeva Ridràcoli. Attraversato il Bidente di Corniolo presso Isola, con il Ponte dell'Isola, sul luogo del ponte odierno, essa si manteneva in sx idrografica risalendo subito a mezzacosta fino a raggiungere Biserno, per quindi ridiscendere nel fondovalle del borgo, dove si concludeva con un lungo rettilineo al cui termine si trovava Il Ponte di Ridràcoli. Tale viabilità, anonima nelle mappe citate, verrà poi denominata Strada Comunale Ridràcoli-Biserno e Strada Comunale Isola-Biserno; solo in occasione dei lavori di costruzione dell’invaso quest’ultima verrà ristrutturata e ampliata diventando parte della S.P. n.112.

Vari itinerari trasversali collegavano le vallate adiacenti, principalmente dipartendosi dal baricentro militare-residenziale del Castello di Ridràcoli (nel 1216 è documentato come Castrum Ridiracoli un villaggio fortificato che, secondo la Descriptio Romandiole del 1371, raggiungeva appena 6 focularia) e dai nuclei economico e religioso del ponte e della chiesa (una villam Ridraculi cum omnibus ecclesiis è documentata già dal 1213), dialetticamente separati in base alla morfologia del luogo, determinata dalla fitta sequenza delle anse fluviali. Dal Castello partiva la Strada che dal Castello di Ridracoli conduce alla Chiesa della Casanova, risalente la Valle dei Tagli ed imperniata su Casanova dell’Alpe (su una pietra cantonale della chiesa sono ancora leggibili le distanze chilometriche – evidentemente non più valide - km 12,358 per Bagno e km 5,933 per Ridràcoli); costituiva parte della successiva Mulattiera Ridràcoli-Bagno. Dal Ponte di Ridràcoli partiva la Strada che da Ridracoli va al Poggio alla Lastra, che, superata la chiesa, risaliva la Valle del Corneta, parte della successiva e rinomata Mulattiera di Ridràcoli diretta a Santa Sofia tramite Strabatenza. Entrambe le mulattiere incrociavano sul crinale la Strada Maestra di S. Sofia o Strada che dalla Casanova va a Santa Sofia, la prima presso il Monte Moricciona, la seconda sul Passo della Colla, posto sulla Colla del Monte interposta tra i Monti Marino e La Rocca. Molto note e ancora riportate come tali nella cartografia moderna, negli anni ’50 alle estremità delle mulattiere vennero installati dei cippi stradali riportanti la rispettiva denominazione, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli; rimasero localmente in uso fin’oltre metà del XX secolo, infatti le odierne strade forestali verranno realizzate solo un ventennio dopo. Mentre dai piedi del centro religioso si staccava un percorso che giungeva fino alle pendici della Seghettina … «[…] praticabile solamente nella bella stagione, quando le acque del fiume erano scarse, e si snodava lungo il corso del Bidente che veniva attraversato ben 33 volte […]» (C. Bignami, 1995, p. 90, cit.), dalla via castellana si staccava la strada comunale, sempre percorribile, che risaliva il Bidente per un lungo tratto correndo accanto all’alveo fluviale, per la parte fino alla diga oggi sostituito dalla viabilità di servizio, per il resto ormai sommerso. La via scavalcava il Fosso dei Tagli, presso lo sbocco nel Bidente, forse sul luogo oggi occupato dall’asfalto stradale, con il Ponte dei Tagli. Subito dopo la mulattiera passava sotto un arco del Mulino di Sopra costeggiandone il bottaccio. Con la costruzione della diga e con il riempimento dell’invaso, è scomparso pressoché l’intero tracciato viario e sono scomparsi mulini, insediamenti (le Celluzze – che spesso riemerge, la ForcaLagaccioloVerghereto), ponti e guadi che, come sopracitato, attraversavano 33 volte il Fiume della Lama o Obbediente (come era anticamente classificato), come il Ponte a Ripicchione (documentato da una mappa del 1637 allegata ad una relazione del 1710 del provveditore dell’Opera del Duomo di Firenze  riproduzioni della mappa si trovano in A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, l’originale a colori, in A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.) e il Ponte alla Forca. La mulattiera, oltre il Ponte a Ripicchione abbandonava l’argine fluviale risalendo progressivamente il versante in dx idrografica e, sorpassata la Fonte dei Bisernini, raggiungeva Lagacciolo; un bivio divideva il tratto che da Case di Sopra risaliva fino al Monte Cerviaia dalla prosecuzione della via che ridiscendeva fino a La Forca e al suo mulino. La viabilità lungo il Bidente terminava con l'attraversamento tramite il Ponte alla Forca o della Seghettina. Oltrepassato il ponte con un lungo tragitto si poteva risalire fino a S. Paolo in Alpe oppure si imboccava l’importante e sopracitata Strada che dalla Seghettina va a Stia valicante il Passo Sodo alle Calle o La Scossa. Dal questa via si staccava pure un itinerario (detto anche Via dei Fedeli) che scendeva ad attraversare il Fosso degli Altari per poi seguire il Fosso della Lama penetrando nella sua valle fino a valicare il crinale con il passo del Gioghetto, diretto all’Eremo di Camaldoli. Le valli circostanti e in particolare la Valle della Lama erano inoltre interessata da alcune c.d. vie dei legni, utilizzate per il trasporto del legame tagliato dai boschi di prelievo fino al Porto di Badia a Poppiena a Pratovecchio, attraverso i valichi appenninici tosco-romagnoli, tra cui la via che dalla Lama conduceva alla Seghettina e quindi a Pian del Pero e la Calla e la via che da S. Sofia, per Ridracoli e Lama, portava a Gioghetto, Camaldoli e Poppi, alla quale il Siemoni innestò un ramo per Pratovecchio, così individuate all’inizio del XX secolo dal Direttore generale delle Foreste, al Ministero di Agricoltura, A. Sansone nella relazione sullo stato delle foreste demaniali (cit.). 

Il crinale che dal Passo della Crocina si svolge fino alla Rondinaia (in parte anticamente detto Strada che dal Sacroeremo va a Romiceto) incrociava i vari sopracitati itinerari di collegamento alle vallate laterali, in particolare nel baricentro economico-religioso di Casanova dell’Alpe, nelle varie epoche (fino alla demanializzazione delle foreste) frequentati dagli operatori del settore del legname, lavoratori e commercianti. In gran parte fortunatamente venne salvaguardato dal distruttivo progetto dell’ingegnere granducale Ferroni che, tra le ipotesi di “strada dei due mari” che doveva unire la Toscana e la Romagna, indicava il tracciato montano Moggiona-Eremo di Camaldoli-Passo della Crocina-Casanova in Alpe-Santa Sofia (essendo ritenuto idrogeologicamente valido). Così, se per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX, la costruzione della S.F. Grigiole-Casanova dell’Alpe-Poggio alla Lastra avvenne solo nella seconda metà del XX secolo (1959-69, inizialmente con deviazione dalla S.F. del Cancellino al Paretaio). Un tratto dell'antica via di crinale ancora si ritrova presso la Maestà di Valdora in corrispondenza della sella formata con il Poggio alla Croce, rilievo così noto nel XIX secolo, come da cartografia dell’epoca e dal Contratto livellario del 1840 stipulato tra l’Opera del Duomo di Firenze e il Monastero di Camaldoli,: «N° 11 - Podere di Valdoria […]. Terreni. Un vasto tenimento di terre […] conosciuto per i seguenti vocaboli: […] il Poggio alla Croce […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 522-523, cit.). La Maestà di Valdora è stata «[…] rimpilata di recente.» (S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, p. 97, cit.), mentre della  Croce di Romiceto è scomparso ogni elemento storico, compreso il basamento in pietra che solitamente reggeva una struttura lignea, sostituito da una piccola ma pessima struttura metallica, con proliferazione di targhette commemorative di aspetti non pertinenti al sito (CROCE DI ROMICETO IN MEMORIA DI PAPA GOVANNI PAOLO 2° IL GRANDE - SCOUT RAVENNA 2005 e SAN GIOVANNI PAOLO II 2014).

Oltrepassata Casanova dell’Alpe, dove sul limite del sagrato, di fronte alla chiesa, si trovava una croce in ferro battuto (documentata dalla Carta d’Italia I.G.M. del 1937), l’antico tracciato viario aggirava in alto la gola del Fosso Rogheta (occorre immaginarsi la continuità del versante del Monte Moricciona prima del taglio della sterrata) e, come Strada che dal Pontino va alla Casanova, raggiungeva il crinale del Monte Cerviaia all’altezza della Maestà della Chiesaccia (presente nella mappa I.G.M. del 1894, dove un parziale restauro ha eliminato le tracce dell’incisione precedente M.M. 1919 (cfr. S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, cit.). Il restauro ha visto l’inserimento di una facciatina di mattoni rifiniti in modo da simulare un bugnato liscio che, benché ben riconoscibile e differenziato dal pilastrino (di fattura precedente), non pare conservare alcuna memoria dello stato originario della nicchia; inoltre è stata posta un’icona con targhetta MADONNA GRECA VENERATA A RAVENNA datata agosto 2004, cosi dimenticando l'antico toponimo. Presso la grande Croce di Pratalino (in legno con grande basamento lapideo monoblocco, forato al centro per la sede crucifera, che è stato posizionato accanto in occasione dell'ottimo restauro filologico curato, come da targa, dall’Associazione Nazionale Alpini, GRUPPO ALTO BIDENTE “Capitano DINO BERTINI”), si imboccava la discesa verso Ridràcoli mentre la via di crinale raggiungeva Pratalino passando per luoghi detti la Chiesaccia o vestigie della Chiesa Vecchia (S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, pp. 100-106 cit.). Altre mulattiere permettevano i collegamenti con il fondovalle ed i vari insediamenti. A seguito dell’infrastrutturazione viaria del XX secolo venne realizzata una carrareccia che dal Podere Romiceto raggiungeva Valdora (come ad agevolare il suo contemporaneo abbandono), riutilizzando parte dell’antica Strada che va alla Casanova, e da qui discendeva nel fondovalle seguendo in dx idrografica il Fosso dei Bruciaticci fino al guado del Fosso Rogheta presso Il Castelluccio, quindi risaliva nell’area degli insediamenti probabilmente fino a Il Casone, forse nell’ambito dei programmi regionali dell’A.R.F. (Anni ’70) di contrasto all’abbandono del patrimonio edilizio nel Demanio forestale.

Questi luoghi rientravano tra i beni posseduti dall’Opera del Duomo di Firenze in Romagna e sono documentato fin dal 1545 in appositi elenchi«[...] dei livelli che l’Opera teneva in Romagna […] se ne dà ampio conto qui di seguito […] 1545 […] – Una presa di terra cerretata detta le Mandriacce e Romiceto confina con i beni censuati di Valbona dell’Opera e scende giù fino alla testa del raggio di Valdora e sono some 19 e 1 staio […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 150, cit.).

Premesso che è già significativo il toponimo del sito, dal latino «rumicetum = “terra a rovi” (rombici), dal lat. rumex –icis, romice lapazio […].» (A. Polloni, 1966-2004, p. 265, cit.), a dimostrare il tipo di interesse per il legname di questi boschi fa fede una lunga relazione del 1652 presentata direttamente al granduca contenente una molto precisa descrizione a fini economici delle aree e della qualità delle piante presenti, interessante  anche per i numerosi “vocaboli” che identificano i vari siti: «La […] Valdoria si trova passando dal Comignolo nel Felcetino al dirimpetto del quale sono le Fontanacce, più alto la Canapaia, poi la Lecceta, e i Balzoni, e quella balza che propriamente si chiama Valdoria. In questi luoghi l’Opera di presente fa fare parte dei suoi legni quadri e son più abbondanti di faggi che di abeti e gli abeti sono per lo più inutili per le galere. Nella spiaggia solamente di Valdoria, verso il fondo quanto acqua pende verso il fosso del Romiceto, vi si trovano alcuni abeti buoni per legni tondi barca e alberi di trinchetto e antenne di maestra di galeazza […], perché se alcune ve n’è a grossezza d’alberi di maestra sono torti o nodosi o altrimenti infetti e fuori detto fondo non vi è legni buoni per galere perché verso la Cresta del Poggio non allungano. Di questo luogo dunque non è da far capitale […]. Però non è da pensare a farvi strade quando fussero peraltro fattibili che non sono, atteso che conviene cavar legni o per Giogo o per la Lama. Per Giogo si reputa impossibile non solo in riguardo de sassi svolte e dirupi che vi sono ma ancora perché per Giogo i buoi non vi avrebbero ne acque ne pasture e per la Lama si vede qualmente essere impossibile o più giacchè oltre alle difficoltà simili che per condurli nella Lama si incontrerebbero poi quell’altre che per cavarli dalla Lama si sono quivi accennate. Con la detta parte di Valdoria comprendesi la Macchia di Romiceto quella delle Grigiole, le coste della Penna, e di Giogo, Pian di Sambuco, e Siepe dell’Orso, e il Pianazzone. Luoghi di la di Valdoria verso levante e sopra di essa verso Giogo ma che piuttosto debbonsi chiamare faggete invece che abetie essendovi fra cento faggi dieci abeti e questi brutti.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 270-271, cit.).

In merito alla conoscenza e alla descrizione dei luoghi ha inoltre grande importanza la «[…] raccolta manoscritta relativa alla Romagna granducale e al Casentino prodotta dia “pittori paesaggisti” Antonio Fedi e Francesco Mazzuoli – sotto la direzione del matematico Pietro Ferroni – nel 1788-89, durante i lavori di progettazione della Strada di Romagna da Firenze ai porti dell’Adriatico per l’Appennino tosco romagnolo. La Raccolta delle principali vedute degli Appennini del Mugello, Casentino e Romagna osservati dai punti più favorevoli sì dalla parte del Mare Mediterraneo, sì dall’opposta dell’Adriatico […] tipica del vedutismo pittorico di matrice rinascimentale – come dimostrano le numerose, suggestive scene di vita e le gustose figurine antropomorfe […]» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, a cura di, 1992, p. 39, cit.); in particolare, nella Veduta dell’Appennino e Monti secondari dell’Opera e Camaldoli dalla parte della Casa-Nuova in Romagna, del Mazzuoli, compresa in tale raccolta (1788, BNCF, G.F. 164 - Cfr. G.L. Corradi, a cura di, 1992, pp. 50-51, cit. e N. Graziani, 2001; p. 875, cit.), tra i siti individuati compare tra l’altro il già accennato Fosso di Romiceto chiamato Carpanone, che sbocca dipoi nella Lama e, tra i rarissimi insediamenti antropici, è rappresentata la Canonica e Chiesa Parrocchiale della Chiesa-Nuova dell’Opera di S. Maria del Fiore, sotto il titolo della SS. Vergine del Carmine.

Nei versanti del bacino idrografico favorevolmente esposti si resero possibili alcuni appoderamenti. Il podere di maggiore rilievo si trovava nella Valle del Rogheta e faceva capo a Casanova dell’Alpe, unico insediamento ancora frequentato; le prime notizie risalgono al XIV secolo grazie ai rapporti della Descriptio provinciae Romandiole, quando corrispondeva «[…] all’antico Castronuovo dei Conti di Valbona il quale nel 1371 conteneva 6 focolari. Ora la parrocchia di Santa Maria del Carmine di Casanova, diocesi di Borgo San Sepolcro, conta 157 abitanti.» (E. Rosetti, 1894, p. 170, cit.).

Anche le prime notizie relative a Valdiorta derivano dalla stessa fonte: «1371 - Selvatico e Carlo, fratelli e figli del fu Leuzzino vendono il 30 gennaio in Strabatenzoli una pezza di terra nella stessa corte in un luogo detto Valdiorta (c’è ora Valdora in parrocchia di Casanova) per lire 6 […]. Il contratto fu stipulato nella rocca di Valbona.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, pp. 297-298). Altre antiche citazioni relative alla stessa valle risalgono al 1547, sono riprese dai documenti dell'Opera del Duomo e riguardano Pratalino«[…] dei livelli che l’Opera teneva in Romagna […] se ne dà ampio conto qui di seguito […] 1547 […] – Una presa di terra lavorativa e roncata con casa posta al Pratalino di some 15 […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 150, cit.). Pratalino, sebbene situato nel crinale della sella tra i Monti Cerviaia e Palestrina, al termine della S. Vic.le del Pratolino e lungo la Strada che dal Pontino va alla Casanova, nel Catasto toscano è però mappato nella sezione di Ridràcoli e ricade sul limite del bacino idrografico del fosso Il Fossone, oggi immissario lacustre. Successivamente sono documentati il Podere la Casa Nuova e il Podere del Castelluccio, appartenenti all’Opera, che dal 1605 al 1637 sono concessi in affitto, così come da un accurato elenco relativo al 1637: «1637 – Nota dei capi dei beni che l’opera è solita tenere allivellati in Romagna e Casentino e sono notati col medesimo ordine col quale fu di essi fatta menzione nella visita generale che ne fu fatta l’anno 1631: […] 40) Felcetino e Fossette terre tenute da redi di Antonio di Santino detto il Cordovano. L’anno 1636 il Felcetino fu distinto e separato dalle Fossette perché quello fu unito al Podere del Castelluccio e queste furono unite al podere della Palestrina […] 42) Castelluccio, podere tenuto da redi Riccardo Lollini. 43) Cerreta, terra tenuta da redi di Lionardo Cascesi unita al Podere della Casanova […] 48) Casanova, podere tenuto da Lionardo Cascesi 49) Casanuova, terre tenute da Lionardo Cascesi unite al podere Casanuova [...]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 411, cit.). Il Casone, La Casina e Cà di Rombolo o Romolo, appartenenti a privati e tutti diruti o scomparsi, sono documentati per la prima volta nel 1765/66 grazie ai registri delle imposizioni fiscali del Capitanato di Bagno e, nel 1818, nella descrizione dei confini territoriali contenuta negli atti del Contratto livellario tra l’Opera del Duomo di Firenze e il Monastero di Camaldoli. Gli unici insediamenti storici delle valli del Fosso di Romiceto e del suo affluente Fosso di Ponte Camera o delle Grigiole sono il Podere Romiceto (nel 1636 si dà conto per la prima volta dell’esistenza di una casa, tutt’ora utilizzata) e due fabbricati detti Capanna La Capannella (scomparsi, erano posti lungo l’antica via che conduceva a Valdora) e il Molino di Carpanone. Il sempre più fatiscente fabbricato de Le Grigiole, che pare sia sorto per servizio degli operai dell’Opera del Duomo di Firenze prima e dell’A.S.F.D. poi, appare però per la prima volta nella cartografia I.G.M. del 1937. La cartografia moderna e il PSC comunale ancora documentano, nei pressi, una Maestà (delle Grigiole), in effetti scomparsa. Fabbricati appartenenti alla Valle del Trogo ma evidentemente afferenti alla stessa area erano il Paretaio, tutt'ora utilizzato, e Il Poderino, di cui oggi non rimane traccia.

Il Casone è l’unico insediamento posto al margine del bacino idrografico direttamente scolante nel Fosso del Molino.

In questo contesto storico-geografico, tra le alte valli bidentine quella di Ridràcoli è quella che meno ha subito il fenomeno dell’abbandono grazie alle caratteristiche ambientali e climatiche più favorevoli della sua parte meno elevata. Il borgo principale, posto nel baricentro sia geografico sia del sistema insediativo, è quello più noto e frequentato e la frazione di Biserno è quella più abitata, ma le parti delle vallecole laterali più profonde e difficilmente raggiungibili sono trascurate e molti fabbricati oggi sono in stato di abbandono o ridotti a rudere o scomparsi, con vari casi di ristrutturazione interrotta, ma non fanno eccezione neanche le valli meglio infrastrutturate che, se hanno evitato il completo abbandono dei poderi, hanno scarsamente contribuito al riutilizzo dei rispettivi insediamenti, in prevalenza abbandonati o, al più, riutilizzati a fini turistici.

Le identificazioni toponomastiche e grafiche della cartografia antica e moderna (Catasto toscano, Carta d’Italia I.G.M., N.C.T. Nuovo Catasto Terreni, C.T.R. Carta Tecnica Regionale) riguardanti i fabbricati della Valle del Fosso Rogheta si possono schematizzare come di seguito elencato:

- La Casanova nel Catasto toscano, o Casanova nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 ), o Casanuova dell'Alpe nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o Casanova dell'Alpe in quella moderna, o Casanova dell'Alpe nel N.C.T. e nella C.T.R.;

Valdoria nel Catasto toscano, o Valdora nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o simbolo dei ruderi anonimo in quella moderna (ma l'area adiacente è detta VALDORA), o Valdora nel N.C.T., o assente nella C.T.R.;

- Il Castelluccio nel Catasto toscano, o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o il Castelluccio in quella moderna, con simbolo dei ruderi, e nel N.C.T., o Il Castelluccio nella C.T.R.;

Cà di Rombolo nel Catasto toscano e nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 ), o assente Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937) e in quella moderna, o anonimo nel N.C.T., o assente nella C.T.R.;

La Casina nel Catasto toscano e nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 ), o assente Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937) e in quella moderna, o anonimo nel N.C.T., o assente nella C.T.R.

Le identificazioni toponomastiche e grafiche della cartografia antica e moderna (Catasto toscano, Carta d’Italia I.G.M., N.C.T. Nuovo Catasto Terreni, C.T.R. Carta Tecnica Regionale, Carta Geometrica della Regia Foresta casentinese e adiacenze, l’anno 1850) riguardanti i fabbricati della Valle del Fosso di Romiceto si possono schematizzare come di seguito elencato:

- Romiceto nel Catasto toscano, o Pod.e Romiceto nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o Pod.e Romiceto in quella moderna, o Romiceto nel N.C.T., o Podere Romiceto nella C.T.R.;

- Molino del Carpanone nel Catasto toscano, o M.o Carpanone nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o M.o di Carpanone (dir.) nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o Molino di Carpinone in quella moderna con simbolo dei ruderi, o Molino di Carpanone nel N.C.T. e nella C.T.R.;

- La Capannella nella Carta Geometrica, o assente nella restante cartografia antica e moderna;

- Capanna nella Carta Geometrica, o assente nella restante cartografia antica e moderna;

- Le Grigiole: assente nel Catasto toscano e nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o le Grigiole nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937) e in quella moderna, Le Grigiole nel N.C.T. e nella C.T.R.

Le identificazioni toponomastiche e grafiche della cartografia antica e moderna (Catasto toscano, Carta d’Italia I.G.M., N.C.T. Nuovo Catasto Terreni, C.T.R. Carta Tecnica Regionale) riguardanti i fabbricati della Valle del Fosso del Molino si possono schematizzare come di seguito elencato:

- Il Casone nel Catasto toscano, o il Casone nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), in quella moderna (un fabbricato affiancato dal simbolo dei ruderi) e nel N.C.T., o Il Casone nella C.T.R.

Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alla scheda toponomastica Valle del Bidente di Ridràcoli e/o relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.

N.B.: - Informazioni preziose riguardo luoghi e fabbricati si hanno grazie alla Descriptio provinciae Romandiole, rapporto geografico-statistico-censuario redatto dal legato pontificio cardinale Anglic de Grimoard (fratello di Urbano V) per l’area della Romandiola durante il periodo della Cattività avignonese (trasferimento del papato da Roma ad Avignone, 1305-1377). Se la descrizione dei luoghi ivi contenuta è approssimativa dal punto di vista geografico, è invece minuziosa riguardo i tributi cui era soggetta la popolazione. In tale documento si trova, tra l’altro, la classificazione degli insediamenti in ordine di importanza, tra cui i castra e le villae, distinti soprattutto in base alla presenza o meno di opere difensive, che vengono presi in considerazione solo se presenti i focularia, ovvero soggetti con capacità contributiva (di solito nuclei familiari non definiti per numero di componenti; ad aliquota fissa, il tributo della fumantaria era indipendente dal reddito e dai possedimenti). In particolare, nelle vallate del Montone, del Rabbi e del Bidente furono costituiti i Vicariati rurali delle Fiumane.

- Dopo la confisca del vasto feudo forestale da parte della Repubblica di Firenze a danno dei conti Guidi, l’alpe del Corniolo, la selva del Castagno e la selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli tra il 1380 e il 1442 furono donate (il termine contenuto in atti è “assegnato in perpetuo”; A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 15-16, cit.) all’Opera del Duomo di Firenze in Romagna che, per oltre quattro secoli si riservò il prelievo del legname da costruzione e per le forniture degli arsenali di Pisa e Livorno, di quelli della Francia meridionale oltre che per l’ordine dei Cavalieri di Malta. Dopo la presa in possesso l’Opera aveva costatato che sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove si manifestavano numerosi disboscamenti (roncamenti) non autorizzati. Desiderando evitare nuovi insediamenti, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. Altri elenchi e documenti utili si sono susseguiti nei secoli seguenti, fino ai contratti enfiteutici del 1818 e del 1840 con il Monastero di Camaldoli, contenenti una precisa descrizione dei confini e delle proprietà dell’Opera.

- Le “vie dei legni” indicano i percorsi in cui il legname, tagliato nella foresta, tronchi interi o pezzato, dal XV° al XIX° secolo veniva condotto prima per terra tramite traini di plurime pariglie di buoi o di cavalli, a valicare i crinali appenninici fino ai porti di Pratovecchio e Poppi sull’Arno, quindi per acqua, a Firenze e fino ai porti di Pisa e Livorno.

- Negli scorsi anni ’70, a seguito del trasferimento delle funzioni amministrative alla Regione Emilia-Romagna, gli edifici compresi nelle aree del Demanio forestale, spesso in stato precario e/o di abbandono, tra cui Il Castelluccio, Il Casone, Podere Romiceto, Pratalino e Valdora, divennero proprietà dell’ex Azienda Regionale delle Foreste (A.R.F.); secondo una tendenza che riguardò anche altre regioni, seguì un ampio lavoro di studio e catalogazione finalizzato al recupero ed al riutilizzo per invertire la tendenza all’abbandono, senza successo tranne il totale riutilizzo di Podere Romiceto. Con successive acquisizioni il patrimonio edilizio del demanio forlivese raggiunse un totale di 492 fabbricati, di cui 356 nel Complesso Forestale Corniolo e 173 nelle Alte Valli del Bidente. Circa 1/3 del totale sono stati analizzati e schedati, di cui 30 nelle Alte Valli del Bidente. Il materiale è stato oggetto di pubblicazione specifica.

- L'Appennino romagnolo era caratterizzato fino a metà del XX secolo (superata in qualche caso per un paio di decenni) da una capillare e diffusa presenza di mulini ad acqua, secondo un sistema socio-economico legato ai mulini e, da secoli, radicato nel territorio del Capitanato della Val di Bagno. Intorno al Cinquecento ognuno dei 12 comuni del Capitanato (Bagno, Careste, Castel Benedetto, Facciano, Montegranelli, Poggio alla Lastra, Ridràcoli, Riopetroso, Rondinaia, San Piero, Selvapiana, Valbona) disponeva di almeno un mulino comunitativo la cui conduzione veniva annualmente sottoposta a gara pubblica a favore del migliore offerente; a quell’epoca nell’area si registrano assegnazioni per 230 bolognini. La manutenzione poteva essere a carico del comune o del mugnaio. Alla fine del Settecento l’attività riformatrice leopoldina eliminò il regime di monopolio comunitativo introducendo la possibilità per i privati di costruire altri mulini in concorrenza produttiva, cui seguì un progressivo disinteresse comunale con riduzione dell’affitto annuale dei mulini pubblici fino alla loro privatizzazione. Nell’Ottocento, con la diffusione dell’agricoltura fino alle più profonde aree di montagna, vi fu ovunque una notevole proliferazione di opifici tanto che, ai primi decenni del Novecento, si potevano contare 8 mulini dislocati nella valle del Bidente di Ridràcoli. Dagli anni ’30, la crisi del sistema socio-economico agro-forestale ebbe come conseguenza l’esodo dai poderi e il progressivo abbandono dell’attività molitoria e delle relative costruzioni. Gli Opifici a forza idraulica (def. I.G.M.) posti sul Bidente di Ridràcoli o i suoi affluenti oggi noti sono: il Molino di Sotto o di Ridràcoli o del comune, il Molino di Sopra o della Teresona o dei Tagli, il Molino di Biserno, il Molino della Forca, il Molino della Sega, il Molino di Spugna, il Molinuzzo o Mulinuzzo, posto sull’omonimo fosso, il Molino di Carpanone o del Carpanone o di Carpinone, posto sul Fosso di Romiceto presso la confluenza con il Fosso del Molino.

- Nel passato anche recente l’ambiente montano veniva visto soprattutto nelle sue asperità e difficoltà ed avvertito come ostile non solo riguardo gli aspetti climatici o l’instabilità dei suoli ma anche per le potenze maligne che si riteneva si nascondessero nei luoghi più reconditi. Dovendoci vivere si operava per la santificazione del territorio con atteggiamenti devozionali nell’utilizzo delle immagini sacre che oltre che espressioni di fiducia esprimevano anche un bisogno di protezione con una componente esorcizzante. Così lungo i percorsi sorgevano manufatti (variamente classificabili a seconda della tipologia costruttiva come pilastrini, edicole, croci, tabernacoli, capitelli, cellette, maestà) la cui realizzazione, oltre che costituire punti di riferimento scandendo i tempi di percorrenza (p.es., recitando un numero prestabilito di “rosari”), rispondeva non solo all’esigenza di ricordare al passante la presenza protettiva e costante della divinità ma svolgeva anche una funzione apotropaica. Spesso recanti epigrafi con preghiere, sollecitazioni o riferimenti ad avvenimenti accaduti, oggi hanno un valore legato al loro significato documentario. Se la costruzione di manufatti di significato religioso a fianco dei sentieri affonda le radici nell’antichità, il culto sacrale della montagna e delle sue acque è stato sempre presente in tutte le società pastorali. A partire dalla fine del XIII secolo grandi croci furono erette su vari valichi alpini, ma molte tradizioni rituali giunte fino a noi si possono ritenere derivate dai culti longobardi (ben insediati anche in diverse aree appenniniche tosco-romagnole e già dai secoli VII e VIII ormai aderenti al cattolicesimo), tra cui i festeggiamenti sulle sommità delle alture e degli stessi luoghi degli antichi riti pagani, con probabile apposizione di croci, senza dimenticare gli allineamenti delle enigmatiche statue-stele conficcate nel terreno, risalenti all’Età del Rame (Eneolitico), rappresentanti immagini di entità protettrici o personaggi reali, poste con vario significato lungo grandi valli di collegamento ed in zone montane in corrispondenza di importanti vie di comunicazione preistoriche tra varie zone asiatiche, europee, l’arco alpino e, in particolare, le tipiche delle aree cerimoniali della Lunigiana, come l’allineamento che si immagina esistesse quasi 5000 anni fa, sulla sella del Monte Galletto e che non inaspettatamente ha recentemente restituito (marzo 2021) un reperto significativo (le statue-stele della Lunigiana spesso rappresentavano donne scolpite con il fine di “consolare” e “sedurre” i morti affinché non tornassero nel mondo dei vivi: la sessualità e la caccia erano infatti i due temi preponderanti dell’arte preistorica). Numerose croci di vetta furono posizionate in seguito su molte montagne delle regioni cattoliche tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del XX, in particolare in concomitanza degli Anni Santi del 1900 e del 1950. A volte la presenza di una croce su un rilievo ne ha determinato il toponimo. La proliferazione di croci di vetta continua ancora oggi.

- In base alle note tecniche dell’I.G.M. se in luogo dell’anteposta l’abbreviazione “C.”, che presumibilmente compare quando si è manifestata l’esigenza di precisare la funzione abitativa, viene preferito il troncamento “Ca” deve essere scritto senza accento: se ne deduce che se compare con l’accento significa che è entrato nella consuetudine quindi nella formazione integrale del toponimo.

RIFERIMENTI    

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URL http://www.igmi.org/pdf/abbreviazioni.pdf;

URL www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.

Percorso/distanze :

Testo di Bruno Roba - Il Fosso del Molino presso il suo termine in loc. Comignolo è facilmente visibile dal sent. 235 CAI, che lo affianca e poi lo attraversa tramite moderno ponticello ligneo, a circa 1 km dalla S.F. del Cancellino e a circa 2,8 km da La Lama. Il suo inizio è raggiungibile tramite la sentieristica (a bolli rossi, per esperti) che conduce al Molino di Carpanone.

foto/descrizione :

Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.

00A – Ubicazione della Valle del Fosso del Molino, dei suoi confluenti Rogheta e di Romiceto e rispettivi affluenti dei Bruciaticci, delle Piagge e di Ponte Camera, nell’ambito dei bacini idrografici dell’Alta Valle del Bidente.

00a1 – 00a2 – Dalla sommità del Monte Cerviaia si ha la veduta più elevata verso il sistema di dorsali che delimitano la valle del Fosso di Romiceto, che costituisce la parte orientale del bacino idrografico del Fosso del Molino. L’indice fotografico agevola nel riconoscimento dei luoghi; è evidenziata la traccia della S.F. del Cancellino; la croce segnala il sito di Croce Fabbri, dove si stacca il sentiero di crinale per il Molino di Carpanone (28/08/18).

00a3/00a6 – Dal crinaletto che risale il Monte Palestrina si intravede il sito di fondovalle dove il Fosso di Romiceto e il Fosso Rogheta si riuniscono diventando il Fosso del Molino; nel sito confluisce pure il Fosso dei Bruciaticci, affluente del Rogheta proveniente dalla sella di Maestà di Valdora: è facile indicare poco a monte il sito del Molino di Carpanone. Di seguito vedute del tratto terminale della dorsale di Poggio Fonte Murata che si biforca aprendo la vallecola dell’Orticheto verso il Fosso del Molino, mentre una diramazione termina con Poggio La Guardia e l’altra prosegue verso l’origine del Molino (28/08/18).

00a7 – Dal Casone, vedute del versante opposto e del fondovalle dove convergono i Fossi Rogheta, dei Bruciaticci e Romiceto dando origine al Fosso del Molino (6/11/15).

00b1 – 00b2 – Dal Monte Penna, panoramica sulla valle del Bidente di Ridràcoli con veduta ravvicinata sulla valle del Fosso Rogheta, che costituisce la parte settentrionale del bacino idrografico del Fosso del Molino (26/01/12).

00b3 - 00b4 – 00b5 – Da Poggio Fonte Murata e dal crinale che lo precede (allineamento simile a quello dal Monte Penna ma da quota ben inferiore), vedute verso il versante del Monte Palestrina scolante nel Fosso del Molino (19/06/20).

00b6/00b10 – Dal crinaletto che da Croce Fabbri (sulla S.F. del Cancellino) conduce al Molino di Carpanone, vedute della Valle del Molino e del sovrastante versante del Monte Palestrina; in ultimo è evidenziata la traccia del sentiero 235 CAI che sale al Casone e al M. Cerviaia (5/05/15).

00b11/00b14 – Vedute dal sentiero 235 CAI che risale sul versante del Monte Palestrina che affianca il Fosso del Molino (6/11/15).

00c1 - Schema cartografico del bacino idrografico del Fosso del Molino evidenziante le aree sommerse dal bacino lacustre.

00c2 – Schema da mappa catastale della prima metà dell’Ottocento evidenziante il sistema insediativo-infrastrutturale ed idrografico, con utilizzo della toponomastica originale, integrata a fini orientativi con i principali rilievi (differenziati con utilizzo di grassetto nero).

00d1/00d5 – Vedute della confluenza del Fosso di Romiceto con il Fosso Rogheta e l’inizio del Fosso del Mulino (5/05/15).

00e1/00e5 – Vedute dell’ultimo tratto del Fosso Rogheta (7/08/20).

00f1/00f5 – Vedute dell’ultimo tratto del Fosso di Romiceto dalla cascata e dai meandri presso il Molino di Carpanone (23/10/15).

00g1/00g5 – Il Fosso del Molino oggi termina in loc. Comignolo con un doppio meandro a “~” dopo aver sottopassato una moderna passerella lignea (8/09/11 – 24/09/19)

00g6/00g9 – Il periodo di secca consente di esplorare i meandri dell’antico tratto terminale del Fosso del Molino, oggi braccio lacustre, e di osservare un tratto della pendice del Monte Palestrina, caratterizzata dalle notevoli deformazioni tettoniche delle stratificazioni marnoso-arenacee, in conseguenza delle forti spinte cui sono state sottoposte le rocce, evidenziate da inclinazioni opposte e divergenti (24/09/19).

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