Lavacchio di mezzo
toponimo inserito e descritto nel percorso:
lungo la VALLE DEL FOSSO DI LAVACCHIO - pubblicato su www.gianlucacarboni.it
foto del 2012 inviate e qui riprodotte su segnalazione dell'autore
Testo inserito da Bruno Roba (28/08/17).
Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, la Valle del Fiume Bidente delle Celle riguarda il ramo occidentale del Bidente delimitata: ad Ovest, da un tratto del contrafforte principale dal Monte Falco fino al Monte dell’Avòrgnolo da cui si stacca la dorsale di Pian dell’Olmo, che separa la Valle del Fosso della Fontaccia dalla Val di Noce, disegnando quell’arco di rilievi che costringe il fiume a confluire con il Bidente di Campigna a Lago così contribuendo a generare poco più in là, sotto il borgo omonimo, il Fiume Bidente di Corniolo; ad Est, dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che sempre staccandosi dal gruppo del M. Falco si dirige verso Poggio Palaio, quindi con il crinale di Corniolino termina a Lago.
Come glia altri vicini, il bacino idrografico del Bidente delle Celle mostra una morfologia nettamente differenziata: se per il versante a ridosso delle maggiori quote dello spartiacque appenninico conseguono fortissime pendenze modellate dall’erosione con formazione di canaloni fortemente accidentati, anche il versante orientale appare frastagliato mentre i versanti occidentali o prevalentemente esposti a meridione mostrano pendii più dolci a prato-pascolo, spesso su terrazzi orografici, che si alternano a tratti intensamente deformati e brecciati. In particolare, il corrispondente tratto di contrafforte principale evidenzia pressoché tutti gli aspetti elencati, inoltre la cresta non discende con regolarità assoluta tendendo anzi a rialzarsi tra il M. Ritoio e il M. Guffone (questo aspetto si ripete con notevole parallelismo in tutti i contrafforti in coincidenza con i nodi montani ed è significante tettonicamente, ovvero nella disposizione delle rocce e loro modalità di corrugamento e assestamento). Dal Monte Ritoio (che “indica la retta via”), nodo montano dell’assetto tettonico insieme al Guffone, la linea di cresta inizia a descrivere planimetricamente una serpentina da cui si distaccano due imponenti dorsali, orientate di 45° rispetto all’asse N/S ed imperniate sul Monte Cavallo (c.d. vuoi per la lunga schiena montana sormontata dall’evidente sella, completa di “pomo” e “paletta”, vuoi per i cavaglioni, mucchi, di covoni, in passato ivi disseminati), una delle quali compenetra l’intera vallata. Il tratto di serpentina successivo allo snodo “equino” costituisce la testata dell’amplissima Valle del Fosso di Lavacchio e da vista zenitale pare inoltre delimitare la metà di un grandioso anfiteatro perfettamente semicircolare, simmetricamente suddiviso dall’asse NE/SO imperniato sul Monte dell’Avòrgnolo, con l’altra metà delimitata dalla citata dorsale di Pian dell’Olmo: se tale visione di questo versante verdeggiante di prati-pascoli evoca un’immensa cavea teatrale greco-romana, il versante opposto imperniato sul M. Cavallo, rettilineo e stretto, allora corrisponde ottimamente alla funzione di spazio scenico, quale naturalistico fondale erto ed impervio, con l’alveo del Fosso di Lavacchio, sgorgante dalla piega tra il M. Cavallo e il contrafforte, con funzione di proscenio.
Se l’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio, in epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Percorrendo oggi gli antichi itinerari, gli insediamenti di interesse storico-architettonico o di pregio storico-culturale e testimoniale, esistenti, abbandonati o scomparsi (quindi i loro siti) che si trovano collocati lungo i crinali insediativi sono prevalentemente di carattere religioso o difensivo o sono piccoli centri posti all’incrocio di percorsi di collegamento trasversale; gli insediamenti di derivazione poderale sono invece ancora raggiunti da una fitta e mai modificata ramificazione di percorsi, mulattiere, semplici sentieri (anche rimasti localmente in uso fin’oltre metà del XX secolo, come p.es. testimoniano i cippi stradali installati negli anni ’50 all’inizio di molte mulattiere, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli; alcune strade forestali verranno realizzate solo un ventennio dopo). Diversamente dalle aree collaterali, non si riscontrano nelle valli bidentine fabbricati anteriori al Quattrocento che non fossero in origine rocche, castelli o chiese, riutilizzati a scopo abitativo o rustico, o reimpieganti i materiali derivanti da quelli ed evidenzianti i superstiti conci decorati. Nell’architettura rurale persistono inoltre caratteri di derivazione toscana derivanti da abili artigiani. L’integrità tipologica dei fabbricati è stata peraltro compromessa dai frequenti terremoti che hanno sconvolto l’area fino al primo ventennio del XX secolo, ma anche dalle demolizioni volontarie o dal dissesto del territorio, così che se è più facile trovare fronti di camini decorati col giglio fiorentino o stemmi nobiliari e stipiti o architravi reimpiegati e riferibili al Cinque-Seicento, difficilmente sussistono edifici rurali anteriori al Seicento, mentre sono relativamente conservati i robusti ruderi delle principali rocche riferibili al Due-Trecento, con murature a sacco saldamente cementate, come quella di Corniolino. Gli edifici religiosi, infine, se assoggettati a restauri o totale ricostruzione eseguiti anche fino alla metà e oltre del XX secolo, hanno subito discutibili trasformazioni principalmente riferibili alla tradizione romanica o ad improbabili richiami neogotici.
In questo contesto storico-geografico, a differenza della parte più profonda della Valle delle Celle che, da sempre considerata periferica e difficilmente raggiungibile, è stata maggiormente segnata dall’abbandono, questa valle, stagionalmente è ancora utilizzata da allevamenti di bestiame allo stato brado e conserva i resti o la memoria di 6 insediamenti che ne popolavano il versante esposto a meridione fino a ridosso del crinale: Lavacchio di Sopra, di Mezzo e di Sotto, Campo di Fuori, Capria o Caprìa (di Sopra) e Capria di Sotto. Di interesse storico-architettonico o di pregio storico-culturale e testimoniale ancorché abbandonati e diruti, accanto alle abitazioni tre di essi mostrano la dotazione di grandi e ancora cospicuamente alimentati lavatoi, da cui la toponomastica locale, peraltro piuttosto diffusa tra l’altro (Cà di Lavacchio) nella Valle del Sìllaro (laddove finisce la Romagna), trovando conferma nel Chartularium Imolense del 1194 (lavathura a latere Sileri - A. Polloni) con evidente riferimento a simili pratiche svolte accanto al corso d’acqua, la cui citazione è utile a riguardo se integrata dalla seguente sequenza terminologica, ancora dal latino medievale: «[…] lavachium < *lavatulum (< lavare) “resto di lavatura” […]» (A. Polloni, 1966-2004, p. 162, cit.). La seguente citazione porta però a diversa ipotesi: «Nel 1777 il dott. Francesco Antonio e Pellegrino Antonio […] posseggono “alla Vacchia una casa rovinata, con un capanno, con stalle sotto”» (C. Bignami, a cura di, 1995, p. 24 cit.), ovvero alla sequenza toponomastica alla Vacchia > a la vacchia > a Lavacchio, ovvero luogo frequentato da vacche. Il sistema insediativo vede una sostanziale ed ovvia aderenza rispetto all’unico asse infrastrutturale della mulattiera che, con rade diramazioni, data la profonda incisione dell’asta idrografica principale, risale a mezza costa parallelamente ad essa e a debita distanza, spesso sfruttando le gradonate naturali degli emergenti banchi marnoso-arenacei, scendendo ad attraversarne l’alveo solo in prossimità dell’origine grazie ai sopraggiunti minimi dislivelli spondali, così collegandosi, in alto, con la viabilità più antica riguardante l’intera valle delle Celle, cioè la Via Flaminia Minor, un ramo della quale si dirigeva verso Forlì e Ravenna transitando dal crinale del contrafforte principale, in basso, con un suo ramo a mezza costa attraversante le Ripe Toscane (le cui stratificazioni rocciose formano gradonate ancora oggi funzionali alla percorrenza), che veniva raggiunta, rapidamente e ripidamente, presso Caprìa di Sotto o, meno faticosamente, dirigendosi a Est dell’odierna Lago, così andando a ritrovare l’antica Stratam magistram, la strada maestra romagnola o Via Romagnola che, proveniente da Galeata (l’antica Mevaniola), attraversava il Bidente tramite il Ponte di Fiordilino per risalire sul crinale del Corniolino, con alternative di mezzacosta o fondovalle verso Campigna.
Nelle tavole storiche I.G.M. i suddetti tre eponimi (qualora l’origine toponimica locale sia da attribuire ad uno di essi anziché al fosso) compaiono consecutivamente riportati sia come C.se Lavacchio sia come –di sopra, Lavacchio di mezzo, -di sotto, dove l’anteposizione del trattino abbreviativo si accompagna all’uso del minuscolo, mentre nella moderna C.T.R. regionale sono riportati nell’ordine come Lavacchio, Lavacchio di Mezzo e Lavacchio di Sotto, con utilizzo del maiuscolo. Già proprietà ex A.R.F., nell’ambito dei programmi regionali di riutilizzo del patrimonio edilizio nel Demanio forestale vennero sottoposto ad analisi storico-tipologica e metodologica. Grazie ad essa si apprende che Lavacchio di Mezzo e di Sotto erano suddivisi rispettivamente in 11 e 6 vani abitativi.
Dall’osservazione dei ruderi e del loro intorno si nota anzitutto che mentre il fabbricato di Mezzo venne collocato in un sito più accidentato che oggi appare del tutto abbandonato, gli altri due godevano di ampi e dolci pendii pascolivi, ancora utilizzati. Lavacchio di Sopra in base alla cartografia moderna risulta composto da due fabbricati vicini, di non grandi dimensioni e probabilmente entrambi di uso stalla e fienile, salvo che la porzione più diruta non costituisse una piccola abitazione, collegati da qualche struttura di cui rimangono scarsi resti murari, appunto non in elevazione semmai come di delimitazione. Il fabbricato ancora riconoscibile, che mostra ancora gran parte di una solida struttura che si innalza fino alla gronda, con grossi conci cantonali e accurate e spesse incorniciature delle aperture, suddiviso in due livelli e coperto da tetto a capanna, è affiancato da un ampliamento più piccolo coperto dal prolungamento di una falda del tetto adiacente, quindi con altezza in gronda inferiore. Lavacchio di Mezzo, la cui planimetria irregolare denuncia una struttura diacronica, per fasi costruttive diversificate nel tempo, pur possedendo 11 vani abitativi, si presenta di fattura più modesta soprattutto nella porzione a monte, di altezza limitata, dove pare di riconoscere la porta di ingresso, mentre il corpo a valle appare suddiviso su due livelli, evidentemente abitativo il superiore. Lo stato di fatiscenza non consente di indagare le fasi costruttive o riconoscere l’uso specifico dei locali. Pare che il lavatoio-abbeveratoio a disposizione fosse quello posto poco distante su un ramo principale del fosso. Lavacchio di Sotto, dalla planimetria rettangolare e volumetria compatta con grande copertura a capanna necessariamente connessa con una struttura sincronica, sostanzialmente relativa ad un’unica fase costruttiva da terra a tetto che vide il pendio completamente sbancato e ricostituito lateralmente, ottenendo il disimpegno dei piani e la separazione della parte a valle delle stalle da quella abitativa a monte. Conseguente ad un impegnativo investimento economico, si presenta fra tutti di maggiore pregio tipologico e più comode dotazioni, come il grande lavatoio/abbeveratoio a doppia vasca, copiosamente alimentato, posizionato di lato al fabbricato a formare una zona delimitata su tre lati, con letamaia posta a valle. La suddivisione in soli 6 vani, in rapporto alle dimensioni, corrisponde alla presenza di grandi ambienti ad uso stalla e fienile nel piano seminterrato e di soffitte abitabili specie nella parte centrale del fabbricato. Anche qui lo stato di fatiscenza non consente di riconoscere l’uso specifico dei locali, salvo la suddivisione su tre livelli e il probabile locale cucina nella zona N.
Per approfondimenti si rimanda alle schede toponomastiche Valle del Bidente delle Celle e/o relative a monti e insediamenti citati. Per completa documentazione fotografica e cartografica sulla Valle di Lavacchio v. scheda toponomastica Fosso di Lavacchio.
N.B. - Negli scorsi anni ’70, seguito del trasferimento delle funzioni amministrative alla Regione Emilia-Romagna, gli edifici compresi nelle aree del Demanio forestale, spesso in stato precario e/o di abbandono, divennero proprietà dell’ex Azienda Regionale delle Foreste (A.R.F.); secondo una tendenza che riguardò anche altre regioni, seguì un ampio lavoro di studio e catalogazione finalizzato al recupero ed al riutilizzo per invertire la tendenza all’abbandono, per i fabbricati di Lavacchio, compresi nell’elenco ma esclusi dalla schedatura, senza successo. Con successive acquisizioni il patrimonio edilizio del demanio forlivese raggiunse un totale di 492 fabbricati, di cui 356 nel Complesso Forestale Corniolo e 173 nelle Alte Valli del Bidente. Circa 1/3 del totale sono stati analizzati e schedati, di cui 30 nelle Alte Valli del Bidente. Il materiale è stato oggetto della citata pubblicazione specifica.
RIFERIMENTI
AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;
C. Bignami (a cura di), Il popolo di Ridracoli, NUOVA GRAFICA snc, Santa Sofia 1995;
G.L. Corradi (a cura di), Il Parco del Crinale tra Romagna e Toscana, Alinari, Firenze 1992;
M. Foschi, P. Tamburini, (a cura di), Il patrimonio edilizio nel Demanio forestale. Analisi e criteri per il programma di recupero, Regione Emilia-Romagna A.R.F., Bologna 1979;
M. Gasperi, Boschi e vallate dell’Appennino Romagnolo, Il Ponte Vecchio, Cesena 2006;
N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001;
A. Polloni, Toponomastica Romagnola, Olschki, Firenze 1966, rist. 2004;
P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anast. Castrocaro Terme 1989;
Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze
Carta dei sentieri Alpe di S. Benedetto, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2014;
Link https://servizimoka.regione.emilia-romagna.it/appFlex/sentieriweb.html.
per sentiero non segnato, a 500 metri direzione sud dal sentiero CAI 301 (sentiero degli Alpini) fra Monte Ritoio e Monte dell'Avorgnolo
Testo di Bruno Roba
Dalla S.P. 4 del Bidente, giunti a Corniolo si devia sulla rotabile ripidissima ma ben tenuta che risale la Val Bonella raggiungendo il Passo della Braccina, sul contrafforte principale che divide le Valli di Corniolo e di Fiumicello. Dall’area di sosta, superata la sbarra si imbocca la ripida pista, riservata per uso agricolo e forestale, ripercorsa dal Sentiero degli Alpini 301 CAI che, dai 961 m del passo, dopo circa 1 km spiana intorno ai 1140 m che poi mantiene transitando dopo circa 300 m accanto alla vetta (lato S) del Monte dell’Avòrgnolo. Da qui procedendo verso il Monte Cavallo, mentre la valle è ampiamente e quasi interamente visibile dall’alto nel suo sviluppo e da distanza ravvicinata, è abbastanza agevole raggiungere Lavacchio di Mezzo, pur con scarse tracce di sentiero, essendo visibili i suoi resti già dal crinale, a 800 m da esso con dislivello di 70 m, oltre che a circa 2,6 km dal Passo della Braccina. è inoltre raggiungibile abbastanza agevolmente dal fondovalle, nonostante il dislivello superi i 500 m, grazie alla sentieristica non del tutto abbandonata, riportata in alcune edizioni di cartografia dedicata, sostando presso Lago; da qui si raggiunge Lavacchio di Mezzo in circa 3,5 o 4,5 km a seconda che si utilizzi la rotabile fino a Cà dell’Orso o che si cerchino tracce della scorciatoia che, dalla rotabile lungo il Bidente delle Celle, seguendo il Fosso della Fontaccia risale verso Cà di Belletta.
Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.
Nota – Per visualizzare le foto nel loro formato originale salvarle sul proprio computer, oppure se il browser lo consente tasto destro sulla foto e Apri immagine in un’altra scheda.
Per completa documentazione fotografica e cartografica v. scheda toponomastica Fosso di Lavacchio.
001a/001d – Dal Crinale del Corniolino (pressi Castellaccio) si ha una delle viste panoramiche più interessanti della Valle del Lavacchio, da cui si possono distinguere i suoi insediamenti, fino ad evidenziare la collocazione di Lavacchio di Mezzo al limite tra l’area prativa e gli scoscendimenti più impraticabili (30/11/16).
001e/001h – La mulattiera che risale la dorsale di M. Cavallo trova un tratto intermedio di cresta in erosione e priva di vegetazione che consente un ampia vista panoramica sulla Valle di Lavacchio con scorci che evidenziano particolarità quali il tratto del Fosso di Lavacchio che scorre già incisivo tra i due insediamenti di Mezzo e di Sotto (12/12/16).
001i/ 001o - Il Sentiero degli Alpini si affaccia sul ripido versante della dorsale del M. Cavallo, fondale scenico di cui approfittano i resti di Lavacchio di Mezzo per mimetizzarsi: indovinare dove si trovano nelle 5 seguenti foto (23/11/16 – 26/11/16 – 21/03/17).
001p/001t – I ruderi di Lavacchio di Mezzo: viste ravvicinate dal Sentiero degli Alpini (soluzione del quesito precedente) (23/11/16 – 26/11/16 – 21/03/17).
002a/002g – Procedendo da Lavacchio di Sopra verso Lavacchio di Mezzo, vari scorci rendono conto della sua marginalità insediativa (26/11/16).
002h/002q – Dal pendio sovrastante, lo scorcio panoramico proietta Lavacchio di Mezzo verso il fondovalle, trovando l’allineamento con Lavacchio di Sotto e Campo di Fuori. La vista dall’alto delle strutture principali consente di individuare la suddivisione nei vari corpi di fabbrica mentre alcune ammorsature murarie denunciano gli ampliamenti (23/11/16).
003a – Schema particolareggiato di mappa moderna, con sentieristica corrispondente alla traccia della vecchia mulattiera che risaliva l’intera Valle di Lavacchio e planimetria dell’insediamento.
003b/003i – Il fabbricato sfrutta il ripido pendio per disimpegnare i due livelli, con ingresso al piano superiore, abitativo, lato monte (23/11/16 – 26/11/16).
003l – 003m – 003n – La probabile zona di ingresso, che nella risega poteva essere dotata di loggia (23/11/16 – 26/11/16).
003o/003s – Viste laterali evidenzianti l’inserimento nel pendio, con i locali seminterrati accessibili dal lato valle ed inspessimenti murari di consolidamento (23/11/16 – 26/11/16).
004a/004d – A breve distanza un abbeveratoio/lavatoio copiosamente alimentato dal Fosso di Lavacchio provvedeva alle necessità idriche (23/11/16 – 26/11/16).