Il Castelluccio
Il Ronco - Già con la gestione da parte dell’Opera del Duomo di Firenze del vasto feudo forestale che si estendeva soprattutto nelle valli del Bidente giungendo fino a ridosso del nucleo di Ridràcoli (gestione che si protrarrà per oltre quatto secoli a partire dal XIV), contemporaneamente ai tagli del bosco iniziò l’antropizzazione per la messa a coltura dei terreni forestali da parte della popolazione romagnola attraverso il caratteristico “ronco”. Ovvero, tagliato a raso un pezzo di bosco si metteva a coltura il relativo terreno, inizialmente costruendo anche delle capanne che, in seguito, divennero vere e proprie case coloniche. Con l’incremento della popolazione e, a partire dal XVIII sec., con la politica liberista del governo lorenese, ma anche fino al XX, avvenne una progressiva risalita delle coltivazioni, a spese del bosco, in località anche impervie e ad altitudini sempre maggiori e la foresta si restrinse fino a ridursi alle testate delle valli del Bidente. La mancanza di opere efficaci di sistemazione idraulica, agraria e forestale su terreni spesso derivanti da strutture geomorfologiche instabili determinò un processo di depauperamento produttivo oltre forte erosione delle acque superficiali fino all’asportazione dei soprassuoli mettendo a nudo la viva roccia (cfr.: M.Padula, a cura di, Le foreste di Campigna-Lama nell’Appennino tosco-romagnolo, Regione Emilia Romagna 1988; L. Rombai, M. Pinzani, Profilo della Romagna toscana: aspetti di geografia fisica e umana, in: N. Graziani (a cura di), Romagna toscana. Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001).
Testo di Bruno Roba (05/2016 – Agg. 18/01/2021)
Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto appenninico spartiacque compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine; in quell’ambito si staccano due contrafforti secondari e vari crinali e controcrinali minori delimitanti le singole vallecole del bacino idrografico.
In particolare, la Valle del Fiume Bidente di Ridràcoli riguarda quel ramo intermedio del Bidente delimitato, ad Ovest, dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si distacca da Poggio Scali e che subito precipita ripidissimo disegnando la sella di Pian del Pero, serpeggiante evidenzia una sequenza di rilievi (i Poggi della Serra e Capannina, l’Altopiano di S.Paolo in Alpe, Poggio Squilla, Ronco dei Preti e Poggio Collina, per terminare con Poggio Castellina) fino a digradare presso il ponte sul Fiume Bidente di Corniolo a monte di Isola, costretto dalla confluenza del Fiume Bidente di Ridràcoli. Ad Est la valle è delimitata dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si diparte da Poggio allo Spillo (collegando Poggio della Bertesca, Croce di Romiceto, i Monti Moricciona, La Rocca, Marino, Pezzoli e Carnovaletto) per concludersi con il promontorio della Rondinaia digradando a valle di Isola costretto dalla confluenza del Fiume Bidentino o Torrente Bidente di Fiumicino nel Fiume Bidente. La Rondinaia è nota per il castello con la sua torre «[…] baluardo di antica potenza, elevato fin dai tempi romani alla difesa contro le orde barbariche che dal nord d’Europa scendevano a depredare le belle contrade d’Italia.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 274).
Il bacino idrografico del Fiume Bidente di Ridràcoli, di ampiezza molto superiore rispetto alle valli collaterali e che vede il lago occupare una posizione baricentrica con l’asta principale fluvio/lacustre f.so Lama/invaso/fiume posizionata su un asse mediano Nord-Sud, mostra una morfologia molto differenziata rispetto al suo baricentro. L’area sorgentifera, con la realizzazione dell’invaso artificiale, si differenzia nettamente tra quella che lo alimenta e quella a valle della diga che alimenta direttamente il fiume. A monte del lago il reticolo idrografico confluisce in cinque corsi d’acqua principali che costituiscono i corrispondenti bracci lacustri di cui si compone il lago. Essi sono il Fosso delle Macine, poi di Campo alla Sega, il Fosso degli Altari e il Fosso della Lama, quindi l’asta torrentizia costituita dalla sequenza dei Fossi del Ciriegiolone, dell’Aiaccia e del Molinuzzo. Infine il Fosso del Molino che, pure raccogliendo il reticolo idrografico generato dal contrafforte secondario distaccatosi da Poggio allo Spillo, tuttavia è piuttosto breve anche in relazione all’ampiezza del suo alveo ed è totalmente di fondovalle, infatti il suo sviluppo di circa 2 km vedeva un dislivello di soli 76 m tra la sua origine, dovuta alla confluenza tra il Fosso Rogheta e il Fosso di Romiceto, e il suo antico termine pre-lacustre (confluenza con il Fosso della Lama e conseguente origine del Bidente). Il fosso diviene braccio lacustre in loc. Comignolo, quando compie una doppia ansa a “~”. Orograficamente tratto terminale del Fosso di Romiceto, probabilmente l’assegnazione dell’idronimo (già comparente nel Catasto Toscano del 1826-34) fu conseguente alla costruzione del Molino di Carpanone, di cui non si conosce la datazione ma, pare risalga ad inizio ‘800.
Nei versanti del bacino idrografico favorevolmente esposti si resero possibili alcuni appoderamenti. Il podere di maggiore rilievo si estendeva nella Valle del Rogheta e faceva capo a Casanova dell’Alpe, posto sul crinale e unico insediamento ancora oggi frequentato; le prime notizie risalgono al XIV secolo grazie ai rapporti della Descriptio provinciae Romandiole, quando corrispondeva «[…] all’antico Castronuovo dei Conti di Valbona il quale nel 1371 conteneva 6 focolari. Ora la parrocchia di Santa Maria del Carmine di Casanova, diocesi di Borgo San Sepolcro, conta 157 abitanti.» (E. Rosetti, 1894, p. 170, cit.). Gli altri erano Il Castelluccio, Cà di Rombolo, La Casina, Pratalino, Valdora e Il Casone tutti diruti o scomparsi, l’ultimo posto al margine del bacino idrografico direttamente scolante nel Fosso del Molino. I vari luoghi sono documentati, tra i possedimenti già di proprietà dell’Opera del Duomo di Firenze in Romagna (i beni sottratti ai conti Guidi dalla Repubblica fiorentina vennero “assegnati in perpetuo” all’Opera di S. Maria del Fiore), nell’inventario eseguito dopo che l’Opera aveva constatato che, sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi che altrove, si manifestavano numerosi disboscamenti (roncamenti) non autorizzati; pertanto, anche al fine di evitare nuovi insediamenti, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. La citazioni più antiche relative a quest’area, ripresa da detto elenco, risalgono agli anni 1545-47 e riguardano Pratalino e Valdora: «[...] dei livelli che l’Opera teneva in Romagna […] se ne dà ampio conto qui di seguito […] 1545 […] – Una presa di terra cerretata detta le Mandriacce e Romiceto confina con i beni censuati di Valbona dell’Opera e scende giù fino alla testa del raggio di Valdora e sono some 19 e 1 staio - Una presa di terra in Valdora in luogo detto alla Pozzaccia […] 1547 […] – Una presa di terra lavorativa e roncata con casa posta al Pratalino di some 15 […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 150, cit.). Successivamente sono documentati il Podere la Casa Nuova e il Podere del Castelluccio, appartenenti all’Opera, che dal 1605 al 1637 sono concessi in affitto, così da un accurato elenco relativo al 1637: «1637 – Nota dei capi dei beni che l’opera è solita tenere allivellati in Romagna e Casentino e sono notati col medesimo ordine col quale fu di essi fatta menzione nella visita generale che ne fu fatta l’anno 1631: […] 40) Felcetino e Fossette terre tenute da redi di Antonio di Santino detto il Cordovano. L’anno 1636 il Felcetino fu distinto e separato dalle Fossette perché quello fu unito al Podere del Castelluccio e queste furono unite al podere della Palestrina […] 42) Castelluccio, podere tenuto da redi Riccardo Lollini. 43) Cerreta, terra tenuta da redi di Lionardo Cascesi unita al Podere della Casanova […] 48) Casanova, podere tenuto da Lionardo Cascesi 49) Casanuova, terre tenute da Lionardo Cascesi unite al podere Casanuova » (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 410-411, cit.). Da un verbale del 1677 del cancelliere si apprende che: «[…] li poderi di Romagna appresso notati cioè […] il Castelluccio che tiene a linea Bellino Gressi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 329, cit.). Da una relazione del 1751 sullo stato dei poderi dell’Opera si apprende ancora: «[…] 16) Podere del CASTELLUCCIO tenuto in affitto da Benedetto Gressi. Qui è solo necessario rivedersi i tetti di casa e capanna per levare alcune gorcie che infradiciano gli strami e furono ritrovati tutti i ferramenti agli usci e finestre a differenza degli altri poderi. Fu detto dal lavoratore esservi gli appresso bestiami: Vacche 5, sopranne 2, lattonzoli 4 in tutto 11; pecore 18, agnelle per rilevare 6, capre e caprette 20 in tutto 44 […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 437, cit.). Riguardo il tipo di interesse da parte dell’Opera per questi luoghi, da una relazione del 1789 sui canoni da stabilirsi, risulta che i: «I poderi […] Castelluccio […] sono situati alle falde di vasto circondario delle selve d’abeti e sembra che sieno stati fabbricati in detti luoghi per servire di custodia e per far invigilare dai contadini di detti poderi […] non ardirei mai di far proposizione di alienarli ma […] come si rileva chiaramente dalla loro posizione servendo di cordone e custodia alle macchie medesime […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 441, 442, cit.). Nell’Archivio dell’Opera si trova la prima documentazione, non datata comunque di fine ‘700, contenente una descrizione delle case rurali dei poderi di appartenenza, relativa anche alla «[…] Casa del Podere del Castelluccio: Piano a terreno – È composto di una stalla per le capre con tramezzo di tavole per il telaio, di due stalle per le pecore, uno stabbiolo per il maiale ed un portichetto. Sopra la seconda stalla delle pecore vi è una stanza che ha l’ingresso dal portichetto il quale riesce a terreno mediante la declività del piano. Piano a palco – Si entra in una loggetta: da un lato vi è il forno dall’altro la caciaia. Di faccia si entra in una stanza soffittata con il camino. Da questa si passa in un’altra stanza a tetto e quindi in un altra la quale prende lume dal portichetto sopradescritto.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 448, cit.). Nel Contratto livellario stipulato nel 1818 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli si trova un’ulteriore descrizione del fabbricato: «Tutta questa tenuta […] è composta dai seguenti terreni cioè […] 14° Podere denominato il Castelluccio […] con casa da lavoratore composta di numero nove stanze da cielo a terra, con forno aia. Questa casa ritrovasi alquanto in cattivo stato […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 471, cit.). Sciolto d’imperio il contratto del 1818 per inadempienze nell’applicazione di un rigoroso regime forestale ai possedimenti dell’Opera, nel 1840 il Granduca fece stipulare un nuovo Contratto livellario con il Monastero di Camaldoli, da cui risulta che il podere è stato annesso a quello di Valdora: «N° 11 - Podere di Valdoria […] Altro fabbricato esiste in luogo detto Il Castelluccio già casa colonica di un poderetto di tal nome stato aggregato a questo di Valdora oggi diruto in parte e parte in cattiva condizione. Nel piano terreno è composto attualmente di una stalla per le vaccine, di un porcile, di una stalla per le pecore e di altra stalletta in stato di prossima rovina. Nel piano superiore comprende una cucina con camino ed acquaio preceduta da una loggetta con forno di una piccola stanza e di due camere, il tutto a tetto. Contigui vi sono gli avanzi di una stalla, capanna rovinata, i resedi ed un orticello cinto intorno da una siepe viva.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 523, cit.). Il Castelluccio, di cui sono noti i proprietari e/o abitanti fino al 1940 (cfr.: C. Bignami, 1994, cit.), divenuto negli Anni ’70 proprietà ex A.R.F., dall’elenco dei fabbricati risulta essere in uso della stessa Azienda ma, non essendo indicata alcuna caratteristica dimensionale, all’epoca della schedatura doveva essere ormai ridotto a rudere. Il Casone, La Casina e Cà di Rombolo o Romolo, appartenenti a privati, sono documentati per la prima volta nel 1765/66 grazie ai registri delle imposizioni fiscali del Capitanato di Bagno e, nel 1818, nella descrizione dei confini territoriali contenuta negli atti del Contratto livellario tra l’Opera del Duomo di Firenze e il Monastero di Camaldoli. Ricadeva nella Valle di Romiceto il Molino di Carpanone o del Carpanone, che serviva la zona di Casanova dell’Alpe, di cui è noto il mugnaio che lo conduceva nel 1816 ed un contratto di acquisto del 1819 (S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, p.177, cit.): ancora rappresentato nella Carta d’Italia dell’I.G.M. del 1894 era già allo stato di rudere in base alla mappa del 1937. Ulteriori insediamenti storici di una valle scarsamente abitata sono il Podere Romiceto (nel 1636 si dà conto per la prima volta dell’esistenza di una casa, tutt’ora utilizzata) e due fabbricati detti Capanna e La Capannella (scomparsi, erano posti lungo l’antica via che conduceva a Valdora), mentre il sempre più fatiscente fabbricato de Le Grigiole (che pare sia sorto per servizio degli operai dell’Opera del Duomo di Firenze prima e dell’A.S.F.D. poi) appare per la prima volta nella cartografia I.G.M. del 1937. Fabbricati geograficamente confinanti ma evidentemente afferenti alla stessa area già erano il Paretaio e Siepe dell’Orso, tutt’ora utilizzati, mentre de Il Poderino oggi non rimane praticamente traccia.
Riguardo il tipo di interesse per il legname di questi boschi fa fede una lunga relazione del 1652 presentata direttamente al granduca contenente una molto precisa descrizione dei luoghi e della qualità delle piante presenti a fini economici e da cui si ricava un interessante elenco dei numerosi “vocaboli” che identificano i vari siti: «La […] Valdoria si trova passando dal Comignolo nel Felcetino al dirimpetto del quale sono le Fontanacce, più alto la Canapaia, poi la Lecceta, e i Balzoni, e quella balza che propriamente si chiama Valdoria. In questi luoghi l’Opera di presente fa fare parte dei suoi legni quadri e son più abbondanti di faggi che di abeti e gli abeti sono per lo più inutili per le galere. Nella spiaggia solamente di Valdoria, verso il fondo quanto acqua pende verso il fosso del Romiceto, vi si trovano alcuni abeti buoni per legni tondi barca e alberi di trinchetto e antenne di maestra di galeazza […], perché se alcune ve n’è a grossezza d’alberi di maestra sono torti o nodosi o altrimenti infetti e fuori detto fondo non vi è legni buoni per galere perché verso la Cresta del Poggio non allungano. Di questo luogo dunque non è da far capitale […]. Però non è da pensare a farvi strade quando fussero peraltro fattibili che non sono, atteso che conviene cavar legni o per Giogo o per la Lama. Per Giogo si reputa impossibile non solo in riguardo de sassi svolte e dirupi che vi sono ma ancora perché per Giogo i buoi non vi avrebbero ne acque ne pasture e per la Lama si vede qualmente essere impossibile o più giacchè oltre alle difficoltà simili che per condurli nella Lama si incontrerebbero poi quell’altre che per cavarli dalla Lama si sono quivi accennate. Con la detta parte di Valdoria comprendesi la Macchia di Romiceto quella delle Grigiole, le coste della Penna, e di Giogo, Pian di Sambuco, e Siepe dell’Orso, e il Pianazzone. Luoghi di la di Valdoria verso levante e sopra di essa verso Giogo ma che piuttosto debbonsi chiamare faggete invece che abetie essendovi fra cento faggi dieci abeti e questi brutti.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 270-271, cit.).
Fino alla costruzione della strada sterrata (1959-69, inizialmente con deviazione dalla S.F. del Cancellino al Paretaio, poi collegata alla S.F. Grigiole-Poggio alla Lastra) - in gran parte fortunatamente salvaguardato dal distruttivo progetto dell’ingegnere granducale Ferroni che, tra le ipotesi di “strada dei due mari” che doveva unire la Toscana e la Romagna, indicava il tracciato montano Moggiona-Eremo di Camaldoli-Passo della Crocina-Casanova in Alpe-Santa Sofia (essendo ritenuto idrogeologicamente valido) - il crinale che dal Passo della Crocina si svolge fino alla Rondinaia (in parte anticamente detto Strada che dal Sacroeremo va a Romiceto) nelle varie epoche (fino alla demanializzazione delle foreste) era frequentato dagli operatori del settore del legname, lavoratori e commercianti, incrociando altri itinerari di collegamento alle vallate laterali, in particolare nel baricentro economico-religioso di Casanova dell’Alpe. Tra essi la Mulattiera Ridràcoli-Bagno (su una pietra cantonale della chiesa sono ancora leggibili le distanze chilometriche – evidentemente non più valide - km 12,358 per Bagno e km 5,933 per Ridràcoli) che era una deviazione della Mulattiera di Ridràcoli diretta a Santa Sofia tramite Strabatenza, dove a la Bottega un tratto risaliva la valle del Trogo, e la Mulattiera di Pietrapazza, che collegava anch’essa Bagno di Romagna con Ridràcoli. Essa, seguito l’itinerario Colla di Càrpano, Rio d’Olmo, Pietrapazza, Siepe dell’Orso, da Croce di Romiceto diveniva anche Strada Maestra di S. Sofia trovando subito la Maestà di Valdora; superata la chiesa e il cimitero una deviazione aggirava in alto la gola del Fosso Rogheta (occorre immaginarsi la continuità del versante del Monte Moricciona prima del taglio della sterrata) e, come Strada che dal Pontino va alla Casanova, raggiungeva il crinale del Monte Cerviaia all’altezza della Maestà della Chiesaccia (presente nella mappa I.G.M. del 1894, dove un parziale restauro ha eliminato le tracce dell’incisione precedente M.M. 1919 ed è stata posta un’icona con targhetta MADONNA GRECA VENERATA A RAVENNA datata agosto 2004). Presso la grande Croce di Pratalino (in legno con grande basamento lapideo monoblocco, forato al centro per la sede crucifera, che è stato posizionato accanto in occasione del restauro curato, come da targa, dall’Associazione Nazionale Alpini, GRUPPO ALTO BIDENTE “Capitano DINO BERTINI”), si imboccava la discesa verso Ridràcoli mentre la via di crinale raggiungeva Pratalino passando per luoghi detti la Chiesaccia o vestigie della Chiesa Vecchia (S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, pp. 100-106 cit.). Altre mulattiere permettevano i collegamenti con il fondovalle ed i vari insediamenti. A seguito dell’infrastrutturazione viaria del XX secolo venne realizzata una carrareccia che dal Podere Romiceto raggiungeva Valdora (come ad agevolare il suo coincidente abbandono), riutilizzando parte dell’antica Strada che va alla Casanova, e da qui discendeva nel fondovalle seguendo in dx idrografica il Fosso dei Bruciaticci fino al guado del Fosso Rogheta presso Il Castelluccio, quindi risaliva nell’area degli insediamenti probabilmente fino a Il Casone, forse nell’ambito dei programmi regionali dell’ex A.R.F. di contrasto all’abbandono del patrimonio edilizio nel Demanio forestale.
Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alla scheda toponomastica Valle del Bidente di Ridràcoli e/o relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.
N.B.: - Informazioni preziose riguardo luoghi e fabbricati si hanno grazie alla Descriptio provinciae Romandiole, rapporto geografico-statistico-censuario redatto dal legato pontificio cardinale Anglic de Grimoard (fratello di Urbano V) per l’area della Romandiola durante il periodo della Cattività avignonese (trasferimento del papato da Roma ad Avignone, 1305-1377). Se la descrizione dei luoghi ivi contenuta è approssimativa dal punto di vista geografico, è invece minuziosa riguardo i tributi cui era soggetta la popolazione. In tale documento si trova, tra l’altro, la classificazione degli insediamenti in ordine di importanza, tra cui i castra e le villae, distinti soprattutto in base alla presenza o meno di opere difensive, che vengono presi in considerazione solo se presenti i focularia, ovvero soggetti con capacità contributiva (di solito nuclei familiari non definiti per numero di componenti; ad aliquota fissa, il tributo della fumantaria era indipendente dal reddito e dai possedimenti). In particolare, nelle vallate del Montone, del Rabbi e del Bidente furono costituiti i Vicariati rurali delle Fiumane.
- Negli scorsi Anni ’70, a seguito del trasferimento delle funzioni amministrative alla Regione Emilia-Romagna, gli edifici compresi nelle aree del Demanio forestale, spesso in stato precario e/o di abbandono, tra cui Il Castelluccio, Il Casone, Podere Romiceto, Pratalino e Valdora, divennero proprietà dell’ex Azienda Regionale delle Foreste (A.R.F.); secondo una tendenza che riguardò anche altre regioni, seguì un ampio lavoro di studio e catalogazione finalizzato al recupero ed al riutilizzo per invertire la tendenza all’abbandono, senza successo tranne il totale riutilizzo di Podere Romiceto. Con successive acquisizioni il patrimonio edilizio del demanio forlivese raggiunse un totale di 492 fabbricati, di cui 356 nel Complesso Forestale Corniolo e 173 nelle Alte Valli del Bidente. Circa 1/3 del totale sono stati analizzati e schedati, di cui 30 nelle Alte Valli del Bidente. Il materiale è stato oggetto di pubblicazione specifica.
RIFERIMENTI
AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;
C. Bignami (a cura di), Il popolo di Casanova dell’Alpe, Nuova Grafica, Santa Sofia 1994;
S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, I sentieri dei passi perduti. Territorio e mulattiere tra alta Val Savio e alta Val Bidente nel Comune di Bagno di Romagna. Storia e Guida, Coop. Culturale “Re Medello”, C.M. dell’Appennino Cesenate, S. Piero in Bagno 1987;
G.L. Corradi (a cura di), Il Parco del Crinale tra Romagna e Toscana, Alinari, Firenze 1992;
M. Foschi, P. Tamburini, (a cura di), Il patrimonio edilizio nel Demanio forestale. Analisi e criteri per il programma di recupero, Regione Emilia-Romagna A.R.F., Bologna 1979;
A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;
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N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001;
D. Mambrini, Galeata nella storia e nell’arte, Tipografia Stefano Vestrucci e Figlio, Bagno di Romagna, 1935 – XIII;
E. Rosetti, La Romagna. Geografia e Storia, Hoepli, Milano 1894;
P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anast. Castrocaro Terme 1989;
Piano Strutturale del Comune di Bagno di Romagna, Insediamenti ed edifici del territorio rurale, 2004, Scheda n.231;
Bagno di Romagna, Carta dei sentieri, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2008;
Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze
Link www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.
per sentiero non segnato che si stacca dal CAI 239 (sponda destra del lago di Ridracoli) nei pressi di Monte Palestrina
Testo di Bruno Roba
Il Castelluccio è raggiungibile dalla S.F. Grigiole-Poggio alla Lastra oltrepassando la sbarra alle pendici del Monte Moricciona e, dalla pista che raggiunge Pratalino, scendendo ripidamente sul sentiero 235 CAI fino al Casone, km 2 dislivello 190 m; da qui occorre seguire l’antica via sulla dx della facciata del Casone (bolli rossi, per esperti) fino al pendio prativo ed eroso quindi discendere verso il Castelluccio, dal Casone 600 m ulteriore dislivello 60 m.
Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.
Nota – Per visualizzare le foto nel loro formato originale salvarle sul proprio computer, oppure se il browser lo consente tasto destro sulla foto e Apri immagine in un’altra scheda.
00a1/00a4 – Dal Monte Penna, panoramica sulla valle del Bidente di Ridràcoli con vedute ravvicinate sulla valle del Fosso Rogheta, versante tra i Monti Cerviaia e Palestrina e sul Castelluccio, che emerge oltre Poggio Fonte Murata (26/01/12 – 13/01/16).
00a5 – 00a6 - 00a7 – Dai pressi di Poggio allo Spillo, panoramiche sulla valle del Fosso Rogheta, con indice fotografico degli insediamenti del versante Est (2/07/20 – 10/05/21).
00b1/00b6 - Da Poggio Fonte Murata, scorcio del versante vallivo del Rogheta compreso tra i Monti Palestrina e Cerviaia, segnato dalle aree disboscate degli appoderamenti e conseguenti fenomeni erosivi arginati dagli impianti restaurativi di conifere (19/06/20 – 31/03/21).
00c1/00c4 - Dal Monte Moricciona e dalla pista che raggiunge Pratalino ed oltre verso il M. Palestrina (sentiero 235 CAI), panoramiche sulla valle del Fosso Rogheta e vedute ravvicinate sulle aree degli appoderamenti, in particolare sul sito del Castelluccio (4/07/17 – 28/08/18).
00c5 – 00c6 – 00c7 – Dalla mulattiera che dal Casone conduceva a Cà di Rombolo, vedute delle aree in erosione conseguenti agli appoderamenti (6/11/15).
00d1 - Schema cartografico del bacino idrografico del Fosso Rogheta.
00d2 – Schema da mappa catastale della prima metà dell’Ottocento evidenziante il sistema insediativo-infrastrutturale ed idrografico, con utilizzo della toponomastica originale, integrata a fini orientativi con i principali rilievi (identificati da utilizzo di grassetto nero). Particolare di mappa del Castelluccio, dove si vede la capanna adiacente alla strada, del tutto scomparsa.
00d3 – 00d4 – Schemi molto differenti per scala di rappresentazione: la prima da mappa di fine Ottocento immediatamente precedente la costruzione della ferrovia Decauville destinata all’esbosco del legname, la seconda della prima metà del Novecento, dove compare già realizzata la Strada del Cancellino in sostituzione della ferrovia. La toponomastica riprende quella originale.
00e1/00e7 – Vedute dell’area degli appoderamenti nei pressi del Castelluccio
00e8 - L’area poderale a valle del Castelluccio (6/11/15).
00e9/00e12 – Tratto della mulattiera che, proveniente dal Molino di Carpanone, guadato il Fosso Rogheta raggiungeva il Castelluccio per proseguire verso gli altri insediamenti (7/08/20).
00e13/00e23 – Ruderi del fabbricato principale; della capanna comparente nel catasto ottocentesco e posizionata accanto alla via non rimane traccia (6/11/15 – 7/08/20).