Prato alla Penna
Testo di Bruno Roba (14/03/2020).
Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto dello Spartiacque Appenninico compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose, strutturate a pettine, denominate dorsali o contrafforti, mentre le loro zone più elevate sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme del rilievo. L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, dal gruppo del M. Falterona e, ad Est, da Cima del Termine. Lo Spartiacque compreso tra tali vette corre su altitudini tra le più elevate dell’Appennino forlivese, minime poco inferiori ai m. 1300 e massime fino ai m. 1500-1650, con abbassamenti in corrispondenza dei valichi e rialzamenti in coincidenza con i nodi montani da cui si distaccano contrafforti e dorsali, (questo aspetto si ripete con notevole parallelismo in tutti i contrafforti ed è significante tettonicamente, ovvero nella disposizione delle rocce e loro modalità di corrugamento e assestamento). Gli alti bacini idrografici bidentini racchiusi tra tali diramazioni montuose mostrano inoltre una morfologia nettamente differenziata dovuta alla diversa giacitura e disgregabilità dell’ambiente marnoso-arenaceo, con i versanti meno acclivi (stratigraficamente disposti a “franapoggio”, parallelamente al pendio) rivestiti da boschi compatti, prati-pascoli e coltivi abbandonati mentre quelli più acclivi (strati immersi a “reggipoggio”, perpendicolarmente al pendio) spesso denudati ed evidenzianti la stratigrafia o rivestiti da bosco rado o rimboschimenti, fino al versante a ridosso delle maggiori quote dello Spartiacque Appenninico dove conseguono fortissime pendenze modellate dall’erosione con formazione di canaloni fortemente accidentati, con distacco detritico e lacerazioni della copertura forestale. A tale asprezza morfologica si contrappone il potente risalto di ampi tratti della giogana appenninica, caratterizzati dalla generale morbidità dei crinali dovuta alla lentezza dell’alterazione delle grandiose banconate arenacee, la cui superficie coincide, appunto, con quella della stratificazione.
L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio: «[…] in antico i movimenti delle popolazioni non avvenivano “lungo le valli dei fiumi, […] bensì lungo i crinali, e […] una unità territoriale non poteva essere una valle (se non nelle Alpi) bensì un sistema montuoso o collinare. […] erano unità territoriali il Pratomagno da un lato e l’Appennino dall’altro. È del tutto probabile che in epoca pre-etrusca esistessero due popolazioni diverse, una sul Pratomagno e i suoi contrafforti e un’altra sull’Appennino e i suoi contrafforti, e che queste si confrontassero sulle sponde opposte dell’Arno […].» (G. Caselli, 2009, p. 50, cit.). Già nel paleolitico (tra un milione e centomila anni fa) garantiva un’ampia rete di percorsi naturali che permetteva ai primi frequentatori di muoversi e di orientarsi con sicurezza senza richiedere opere artificiali. Nell’eneolitico (che perdura fino al 1900-1800 a.C.) i ritrovamenti di armi di offesa (accette, punte di freccia, martelli, asce) attestano una frequentazione a scopo di caccia o conflitti tra popolazioni di agricoltori già insediati (tra cui Campigna, con ritrovamenti isolati di epoca umbro-etrusca, Rio Salso e S. Paolo in Alpe, anche con ritrovamenti di sepolture). In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur permanendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate ma p. es., nel Settecento, chi voleva salire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami, per il Corniolo, per Ridràcoli e per S. Paolo in Alpe che venivano così descritti: «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi che in modo che appena vi può passare un pedone […] composto di viottolo appena praticabili […] largo in modo che appena si può passarvi […].» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, cit. da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna toscana e il Casentino ..., in: G.L. Corradi e N. Graziani, a cura di, 1997, p. 82, cit.); oppure «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, 1992, p. 32, cit.). Così, se al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX. Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.).
Percorrendo oggi gli antichi itinerari, gli insediamenti di interesse storico-architettonico o di pregio storico-culturale e testimoniale, esistenti, abbandonati o scomparsi (quindi i loro siti) che si trovano collocati lungo i crinali insediativi sono prevalentemente di carattere religioso o difensivo o sono piccoli centri posti all’incrocio di percorsi di collegamento trasversale. Lungo lo spartiacque geografico corre un tracciato viario che non solo fu il principale percorso di crinale del territorio tosco-romagnolo ma, considerato nell’intero sviluppo fino a Poggio Tre Vescovi, fu anche il più naturale collegamento di tutta la penisola. In corrispondenza delle maggiori asperità si allontana dallo Spartiacque posizionandosi su uno dei due versanti, più spesso quello toscano esposto più favorevolmente a Sud, ma sostanzialmente si sposta per ragioni orografiche. Il tratto compreso tra i due contrafforti principali è noto come la Giogana, in passato Via Sopra la Giogana o semplicemente Giogo o gran giogo: «Indi la valle, come ‘l dì fu spento,/da Pratomagno al gran giogo coperse/di nebbia; e ‘l ciel di sopra fece intento» (Purgatorio, V, 116). Più recentemente venne descritto il «[…] giogo di Camaldoli, al di là del quale cessa la Comunità di Pratovecchio e sottentra dirimpetto a grecale quella transappenninica di Premilcore.» (E. Repetti, Dizionario geografico fisico e storico della Toscana, 1881-1883). Strada vicinale della Giogana è la denominazione catastale che ancora conserva, con l’aggiunta o della Bordonaia o dei Legni per i tratti a ciò specificamente dedicati sui rispettivi versanti. Sicuramente frequentata già in era paleolitica e dai primi gruppi preitalici durante le loro migrazioni, in epoca romana, pur avendo perso la viabilità di crinale una funzione portante, era percorsa o attraversata anche da vie militari attestato da reperti. Il tracciato è rimasto in funzione fino alla prima metà del secolo scorso come importante via di comunicazione su grandi distanze ma, in considerazione anche dell’elevata altitudine e della scarsità di sorgenti, non ha mai registrato la presenza di insediamenti, salvo alcuni più recenti e specializzati con finalità turistiche. Già da epoche storiche boscaioli che trasportavano legname a dorso di mulo o conduttori di grossi traini di legname vi transitavano per raggiungere i passi montani; fino al XIX secolo fu inoltre interessato dalla transumanza, pratica talmente diffusa da dover essere regolamentata da parte delle amministrazioni demaniali, secondo regole rimaste invariate dal medioevo alla liberalizzazione dell’ultimo scorcio del XVIII secolo, stabilendo gli itinerari e istituendo le dogane, a fini di controllo e fiscali: «Nell’entrare in Maremma vi erano altre dogane dette Calle: a queste bisognava presentarsi, far contare il bestiame e pigliar le polizze.» (Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, 1774, cit. da: P. Marcaccini, L. Calzolai, La pastorizia transumante, in N. Graziani 2001, p.114, cit.), inoltre «[…] i pascoli maremmani di “dogana” erano aperti e chiusi, ufficialmente, […] il giorno 29 settembre […] l’apertura e 8 maggio la chiusura.» (M. Massaini, 2015, p. 73, cit.). Il bestiame, spesso affidato in soccida a pastori specializzati, in modo minore dalle alte valli del Bidente e del Savio ma soprattutto dalla montagna di Camaldoli, affluiva nel fondovalle dell’Arno per proseguire per Siena e la Maremma, le pasture Maretime. «Ma non mancava naturalmente bestiame vaccino liberamente pascolante sulle più alte pendici. Conosciamo, per questo aspetto, non soltanto quello di proprietà dei montanari, ma anche le vacche di certi proprietari ecclesiastici come il monastero di Camaldoli […]. E sappiamo, più in generale, che lungo tutta la giogaia, sull’uno e sull’altro versante, tanto i privati che quanto i signori feudali avevano greggi numerose […]» (G. Cherubini, L’area del Parco tra Medioevo e prima età moderna, in: G.L. Corradi, 1992, p.20, cit.). Praticamente la foresta era diventata, con grave danno, una grande stalla all’aperto (G. Chiari, 2010, cit.), d'altronde, da sempre, «[…] quel settore dell’Appennino che ha al suo centro la valle del Casentino, e che si estende a tutto il Montefeltro e il Mugello, […] corrisponde con precisione all’area dei pascoli estivi di quell’economia basata sulla transumanza che dà un senso economico e culturale al territorio geografico dell’Etruria storica.» (G. Caselli, 2009, p. 22, cit.).
La Giogana attraversa o lambisce anche gli antichi possedimenti dell’Opera del Duomo di Firenze, che si estendevano da Poggio Corsoio a Cima del Termine, confinando (con dispute) ad Ovest con i possedimenti dello Spedale di S. Maria Nuova di Firenze e ad Est con quelli del Monastero di Camaldoli. Da una relazione del 1677 conservata nell’Archivio dell’Opera del Duomo: «La mattina di giovedì […] arrivati nella Calla di Giogo tirammo per quella Giogana per riconoscere i nostri confini; nel tempo in cui andavamo vedendo le nostra grandissime campagne d’abeti chiamate sotto diversi vocaboli […] e sempre camminammo per quella strada che da una parte per quanto acqua pende in Casentino verso mezzogiorno resta la faggeta di S.A.R. e per quanto acqua pende in Romagna verso tramontana restano le nostre mentovate abetie.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 322, cit.).
Il Passo della Calla «[…] è il varco più basso dell’Appennino, per cui passa la mulattiera che da Stia conduce nella vicina Romagna. Da questo punto, sempre in direzione di levante, passato il Pian delle Carbonaie, e Pian Tombesi, la montagna comincia a farsi imponente per maestose piantate di faggio, grandi scogliere, e profondi burroni. Non lungi è il Piano della Malanotte, che offre dei punti di vista ove il ridente e l’orrido si alternano vagamente, e si uniscono per formare i più bei quadri della natura. […] Ma giunti dopo pochi passi al Canal del Pentolino, un nuovo spettacolo si presenta allo sguardo: un profondo abisso, alla cui estremità rumoreggia un torrente, rupi sospese, precipizi fiancheggiati da folte macchie, e questo selvaggio orrore temperato dalle più pittoresche creazioni della natura! Io credo che nelle nostre montagne non possano desiderarsi luoghi più belli. Proseguendo oltre, si giunge in breve al più elevato vertice di questa parte dell’Appennino, detto Poggio Scali […] dove pure si gode lo spettacolo di una bella e svariata prospettiva. Passato il Poggio Scali, si […] scende in un vasto anfiteatro nel cui centro è una sorgente di acqua freddissima e pura, conosciuta sotto il nome di fonte Porcareccia, finchè giunta la via all’altezza di Giogo Seccheta, si biforca nuovamente, e passando a sinistra presso una capanna sbocca in un amenissimo prato tutto fiancheggiato da folte macchie, detto Prato al Soglio, ricordano l’alpestre natura della Svizzera, […] passando da Prato Bertone, dove ha principio la gran foresta di abeti, si giunge dopo breve tempo all’Eremo di Camaldoli […].» (C. Beni, 1881, p. 56, 57, cit.). Il termine calla anticamente aveva il semplice significato di varco, come concordano due autori, P.L. della Bordella: «[…] ”Calla, id est stretta via”, “calles”, in latino significa propriamente viottoli stretti fatti dal callo … de’ piè degli animali, onde dichiamo ‘calle’ … […]» (C. Landino, Purg. IV, 22, cit. da: P.L. della Bordella, 2004, p. 208, cit.), G. Caselli: «[…] sono certo che deriva dal teutonico KALLA, un apposito passaggio in una siepe dove si contano le pecore per far pagare la dogana. […] ovvero: luogo dove si “chiamano” (kall), o contano le bestie che vanno o vengono dai pascoli.» (G. Caselli, 2009, pp. 144, 193, cit.). L’uso del termine venne “istituzionalizzato” con gli statuti comunali e statali quattro-cinquecenteschi: infatti, prima dell’abolizione della dogana dei Paschi e la liberalizzazione della transumanza (1778) una serie di “passi” o “calle” di dogana, assoggettati ai vincoli del regime mediceo-granducali, vennero disposti a raggiera a sud dell’arco montano e sullo stesso, lungo percorsi transitanti; «[…] sicuramente dal varco della Calla, il cui significativo toponimo indica – come quello del Sodo alle Calle, presso l’altro punto di valico del Giogo Seccheta – un evidente tracciato di transumanza lungo una direttrice in cui venivano in parte a coincidere vie dei pastori, “vie dei legni” e vie di altro uso pubblico (“via da Stia per Campigna e S. Sofia”).» (L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna Toscana e il Casentino nei tempi granducali. Assetto paesistico-agrario, viabilità e contrabbando, in: G.L. Corradi e N. Graziani, 1997, p. 51, cit.). Ripreso lo spartiacque verso oriente si raggiunge il Passo del Porcareccio - «Giunsamo […] in un luogo chiamato il Porcareccio luogo ripieno di una quantità di faggi con pochi abeti, ci venne rappresentato da uno dei nostri che quivi si potrebbe fare una numerosissima e ricchissima piantata di abeti per i nostri discendenti cosa che non avemmo difficoltà di riconoscerla per tale mentre si osservò un gran buon terreno in una amena valle situata in mezzo agli orri di montagna […]. tirammo avanti […] e veddamo dove confina la faggeta di S.A.S. con i Padri di Camaldoli che è un luogo che si chiama il Giogo Seccheta.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 322, cit.). Una breve digressione (750 m, dislivello 30 m) dal Passo del Porcareccio nel versante toscano lungo una delle Vie dei legni (Sent. 78 CAI, anche antica mulattiera frequentata da pastori e viandanti sulla direttrice Stia-Poggio Scali) consente di osservare un poco frequente cippo confinario, elegantemente inciso con lo stemma camaldolese raffigurante due colombe che si abbeverano ad un solo calice, espressione della comunione di vita comunitaria ed eremitica coniugata dalla congregazione camaldolese che, architettonicamente, si realizza nella compresenza nella stessa struttura, sia dell’eremo che del monastero.
Segue il Passo Sodo alle Calle o La Scossa, dove pare sia stata rinvenuta qualche moneta del III secolo a.C. ed armi e Carlo Siemoni avrebbe trovato resti evidenti della massicciata romana (ma quel tipo di vie d’altura romane pare fossero in sterrato). Questo passo ha da sempre costituito un crocevia per numerosi itinerari che si sono modificati o aggiunti nel tempo, tanto che oggi si possono contare nel numero di sette. Oltre a quello principale della Giogana vi convergeva, forse indirettamente, quella via della Seghettina di cui al sopracitato atto di acquisto leopoldino del 1857 che, evidentemente, riguarda la Strada che dalla Seghettina va a Stia così documentata dal Catasto toscano del 1826-34 (nel Catasto moderno ancora testimoniata come S. Vic.le Seghettina-Ridracoli nonostante l’invaso): essa iniziava dal Ponte alla Forca, o della Seghettina, che attraversava il c.d. Torrente Bidente (prima che divenisse lago). Presso la Seghettina vi era un bivio per cui il tracciato di crinale proseguiva sulla Costa Poggio Piano con la Strada del Crine del Poggio (poi divenuta S. Vic.le Pian del Pero-Seghettina) e giungeva fino a La Scossa attraversando la Posticcia di Matteino (se ne ritrova un lungo tratto tra il guado del Fosso della Fonte del Porcareccio e il passo), mentre la Strada che dalla Seghettina va a Stia prima discendeva verso il Fosso degli Altari guadandolo al suo inizio costituito dalla confluenza tra il Fosso della Bucaccia e il Fosso delle Segarine, quindi seguiva quest’ultimo fino alla sua area sorgentifera del Bagnatoio da cui riguadagnava il crinale per dirigersi verso lo Spartiacque Appenninico, sia in direzione della Scossa sia in direzione del passo del Gioghetto, tramite le antiche strade bordonaie. Ulteriore viabilità storica, convergente sul passo, vede una Strada che da Campo Ominacci va a Stia (poi S. Vic.le La Scossa-Campominacci), che attraversava l’anfiteatro di Sasso Fratino incrociando a Quota 900 la S. Vic.le Pian del Pero-Seghettina, mentre il vallone dove si trovano il Bagnatoio e Pian delle Malinotti, che si sviluppa dalla Posticcia verso SE parallelamente allo Spartiacque, è percorso dalla Strada delle Pulci, poi S. Vic.le Stia-La Lama, così soprannominata dagli addetti al traino del legname, vuoi per la noiosità del lungo tragitto in salita (dal detto “fare le pulci”), vuoi per le ricorrenti molestie inflitte da tali parassiti, infestanti un luogo allora pascolivo. In particolare, la Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinese del 1850 (conservata presso il Nàrodni Archiv Praha), dove tra l’altro compare il Prato di Matteino (già Posticcia), informa su un unico tracciato stradale (ancora esistente) prossimo al fondo del vallone, tra Pian delle Malinotti e Sodo alla Calla, ancora oggi percorribile, che pare conforme alla “vecchia strada bordonaia de legni quadri” (anch’essa poi S. Vic le Stia-La Lama), di cui al documento del 1652 di seguito riportato, mentre la Strada delle Pulci, tracciato più ripido, diretto ed in quota, che ancora presenta resti dell’antica massicciata, pare da individuare in quella di cui, nello stesso documento, si auspica che “se ne facesse una nuova più alta tirandoli appiè del Porcareccio”: «Alla quinta parte si passa per il Piano delle Malenotti e questa si nomina col vocabolo degli Aguti e dell’Abetuccia. Ell’è una valletta non molto grande dove son molti faggi mescolati con pochi abeti e questi corti e nodosi: perciò la giudichiamo luogo da non ne fare capitale per legni tondi per la piccolezza del luogo e per la mala qualità degli abeti. Egli è ben vero che quando ve ne fussero ne caverebbero con non molta fatica per essere vicini al Giogo e massime se abbandonando la vecchia strada bordonaia de legni quadri se ne facesse una nuova più alta tirandoli appiè del Porcareccio.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 269, cit.). L’estratto tratta di una suddivisione delle selve dell’Opera del Duomo in 8 parti omogenee, tra cui si trova la descrizione della quinta, corrispondente al vallone comprendente il Bagnatoio e Pian delle Malenotti. Oltre a tale viabilità storica dal passo divergono, sul versante toscano, una S.F. La Scossa-Poggio Acerone e una S.F. La Scossa-Pian del Varco. Mentre la cartografia antica conosce la sola denominazione di Passo Sodo alle Calle o alla Calla, la cartografia moderna a volte differenzia la localizzazione del più recente toponimo La Scossa da quello del Passo Sodo alle Calle, collocando quest’ultimo sulla Giogana nella zona di arrivo della Strada delle Pulci.
La tappa successiva è Giogo Seccheta o Secchieta, dove giunge una oggi notissima Via dei Legni per Pratovecchio (Sent. 76 CAI). Ancora oggi utilizzata come area di imposto del legname tagliato nel versante toscano (l’adiacente versante romagnolo è tutelato dalla Riserva Naturale Biogenetica di Badia Prataglia), si riconosce ancora l’impronta edilizia di un capanno ad uso dei boscaioli e la traccia della vecchia Giogana descritta dal Beni che devia sulla sua sx dentro la faggeta. Segue il sito di Prato al Soglio, come già accennato oggetto di particolare contenzioso tra confinanti, come da documenti del 1663 e 1667: «[…] arrivati a Prato al Soglio si vidde senza difficultà che, secondo che dicono tutti, che quanto acqua pende sia dell’Opera io posso dire “de visu” che il detto prato è tutto della Opera perché l’acqua cala verso le macchie dell’Opera tutta […] // […] E passando avanti nell’istesso modo che il nostro confino camminava con la faggeta del nostro Ser.mo Padrone continuava i sopra citati Padri di Camaldoli nel qual luogo avemmo campo di riconoscere un Prato chiamato al Soglio per il quale di tutti i tempi ci sono state dispute a chi veramente esso appartenga perciò per detto dai nostri conduttori essendo da altra parte bene informati che in luogo ancora che l’acqua pende in Romagna là è la nostra tenuta con ciò Camaldoli di questo ne è sempre stato in possesso […] // […] si giunse al Prato al Soglio dove fu detto da alcuni conduttori che detto prato è stato accresciuto dai Padri di Camaldoli in pregiudizio dell’Opera il che è cosa di poco momento et anticamente posseduto da loro vi si fece poca riflessione.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 313, 322, 329, cit.). La soia è un «Elemento toponomastico comunissimo in terra tosco-romagnola[…]» (A. Polloni, 1966-2004, p. 297, cit.), dal latino solium, i, con il significato di posta di stalla o soglio o abbeveratoio, anche naturale, per animali al pascolo (G. Caselli, cit.) a riconfermare il tipo di utilizzo, nel passato, di ampie aree della Giogana. Superato la sella di Prato Bertone, nella Carta d’Italia dell’I.G.M. del 1893-94 detto P.ta di Prato Bertone (= Punta) per la probabile presenza pregressa di un’area prativa nel modesto rilievo che segnala l’incisione del primo impluvio di un ramo del Fosso degli Acuti, sito peraltro noto per la presenza del bivio per l’Eremo di Camaldoli sent. 68 CAI, si trova il passo del Gioghetto (Gioghicciolo negli antichi documenti camaldolesi) che è raggiunto da un percorso sia di esbosco che di transumanza proveniente da La Lama che, attraversato il sito dell’Eremo, scendeva a Camaldoli tramite la c.d. Via Corta, già Strada di Camaldoli, dirigendosi attraverso la valle dell’Archiano fino a Soci. Tale itinerario costituisce un tratto di un’antica Via Romana: «L’antichità di questa via è ricordata in due carte del Regesto Camaldolese. Nella prima, del 1027, viene citata discendente dalla giogaia delle Alpi tra la Toscana e la Romagna, passando per la foresta dell’Eremo di Camaldoli […]. Nel secondo documento del 1047, che conferma tutti i beni agli eremiti di Camaldoli da parte del Vescovo Teodaldo, viene citata come via “Romana”. L’atto stabiliva i confini sul crinale di un grosso appezzamento di terra. Questo andava dal fosso chiamato Tellito, cioè quello di Camaldoli, fino alla via citata come “Romana” e il giogo che divideva la Romagna dalla Toscana.» (G. Innocenti Ghiaccini, 2018, p. 29, cit.). Come accennato, secondo la tradizione storico-religiosa, la Giogana veniva valicata dalla Via dei fedeli di S. Romualdo tramite il Gioghetto, come ribadiscono alcuni Autori. P.L. della Bordella: «[…] per salire all’Eremo (Campo Amabile), i pellegrini romagnoli, S. Ambrogio di Milano e Leopoldo II Granduca di Toscana, percorrevano la via dei fedeli di San Romualdo che da Santa Sofia, per Ridracoli, la Seghettina e la Lama, sale al Gioghetto per ridiscendere al sottostante Eremo.» (2004, p. 190, cit.); F. Pasetto: «[…] ricordiamo, in particolare, il Gioghetto, attraverso il quale il ravennate san Romualdo scese a Campo Amabile […]» (2008, p. 207, cit.). N.B. L’Eremo di Camaldoli fu fondato nel 1024 (nel 1012 secondo la tradizione). Il tratto finale di tale strada, di cui si ritrovano consistenti resti, è documentato dalla cartografia storica: nella Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinese del 1850 conservata presso il Nàrodni Archiv Praha (Archivio Nazionale di Praga: Archivio Asburgo Lorena di Toscana), l’antica via risaliva con una fitta sequenza di strettissimi tornanti che toccavano La Cava dei Frati verso l’odierno Gioghetto. La Carta d’Italia di primo impianto dell’I.G.M. documenta la via con diverso rilievo: in quella in scala 1:50.000 (1893-94) appare come tracciato di rilievo, mentre in quella successiva e maggiormente dettagliata, in scala 1:25.000 del 1937, appare declassata ma compare anche il tracciato della moderna S.F. degli Acuti, come pure appare realizzata la strada provinciale che transita dal Passo dei Fangacci.
Uno schizzo planimetrico della metà del XVIII secolo, conservato nell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze e relativo ad aree controverse tra l’Opera e i Monaci di Camaldoli (riportato in: A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 31, cit.), ed i seguenti documenti contengono interessanti informazioni riguardo il tracciato viario. Da una relazione del 1652: «è la Lama in un piano a cui verso il Giogo sovrasta un altissimo monte che si dice la Penna con una spiaggia che si dice i Beventi luoghi tutti coperti per lo più di faggi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 269, cit.), dalla descrizione dei confini di cui al Contratto livellario del 1818 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli: «[…] ventiseiesimo, […] Proseguendo sempre verso levante per il crine l’Opera tiene in proprio le acque che scorrono in Romagna […] seguitando per i vocaboli d’alture del Prato di Bertone e sopra l’Eremo, si giunge al luogo detto Fonte al Sasso e percorrendo sempre l’appennino continuano a confinare i Reverendi Monaci di Camaldoli con i vocaboli di alture di Prato agli Aceri, ed altura sopra i Prati alla Penna e della Duchessa fino al Gioghetto, da questo scendendo alla fonte dei Beventi, o fonte del Gioghetto, s’incontra un termine nella strada che conduce in Romagna e seguitando la direzione di questo si sale ad un braccio dell’Appennino ove con altro termine confinano i Comunisti di Serravalle; ventisettesimo, da questo punto ossia termine i Reverendi Monaci di Camaldoli seguitando il crine dei Beventi, di Monte Cucco, dei Segoni, seguitando l’istesso crine fino alle Rivolte […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 465-466, cit.). Da essi, oltre all’utilizzo del termine Via Bordonaia, che è attribuito ad un tratto viario tra Prato alla Penna e il Passo dei Fangacci, si trae una rappresentazione dei luoghi diversa da quella odierna: evidentemente assente il tracciato della moderna S.P. dell’Eremo, si nota che l’area di Prato alla Penna (c.d. già in antico per la prossimità con il Poggio alla Penna, oggi M. Penna) pare estendersi per alcune centinaia di metri verso Ovest, quindi più ampia dell’attuale, andando ad occupare anche l’ampio pianoro di crinale oggi ricoperto da una fitta faggeta mentre, verso Est, si rappresenta un descrittivo toponimo Beventi e, aspetto piuttosto interessante, si ritrova il “vocabolo” Gioghetto che (perfettamente corrispondendo alla citata descrizione confinaria) pare posizionato presso l’odierno bivio sentieristico per Poggio Tre Confini (che effettivamente è un punto di valico, presso il quale si trovano antichi cippi confinari con stemma camaldolese, luogo sovrastante la Fonte dei Fangacci, ivi denominata fonte del Gioghetto o dei Beventi, presso il Rifugio CAI Onorio Mellini - Fangacci). I Beventi, come dice il documento, erano noti (già allora) per essere ricoperti da una estesa faggeta che si estendeva lungo il crinale oltre il versante meridionale del M. Penna (la Ripa della Penna). Ricordando comunque che sia il toponimo Giogo sia i diminutivi Gioghetto, Giogarello, Gioghicciolo erano piuttosto diffusi, i documenti citati collocano quindi il Gioghetto nei pressi dell’odierno Passo dei Fangacci: ciò costituirebbe ipotesi per una diversa localizzazione di un luogo della tradizione storica camaldolese.
N.B.- A parte le radure prative e i vaccinieti, non esistendo in tutto il crinale praterie primarie data la modesta altitudine della montagna che non impedisce l’estendersi della foresta benché ostacolata dal vento, come tutte quelle finora citate Prato alla Penna è una prateria artificiale che costituiva area di pascolo e/o “imposto” dove accatastare provvisoriamente il legname tagliato.
- I toponimi Giogo, Giogana e diminutivi, derivano dal latino jugum, i, = giogo, giogaia, “giogana” di monti, con una radice indoeuropea ed il significato di “congiungimento” o “collegamento”, sia di luoghi sia di coppie di buoi tra loro quindi al carro.
- «Toponomastica: ratto con problemi ai denti» (G. Mura, 2020, p. 39, cit.).
RIFERIMENTI
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C. Beni, Guida illustrata del Casentino, Brami Edizioni, Bibbiena 1998, rist. anast. 1^ Ed. Firenze 1881;
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G. Innocenti Ghiaccini, Le Vie Romee nella storia del Casentino. Gli spedali e le chiese per i pellegrini, FRUSKA, Bibbiena 2018;
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M. Massaini, Alto Casentino, Papiano e Urbech, la Storia, i Fatti, la Gente, AGC Edizioni, Pratovecchio Stia 2015;
G. Mura, Spassaparola, Rubrica de la Repubblica, Anno 45, n.18, 22/01/2020, GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.;
F. Pasetto, Itinerari Casentinesi in altura, Arti Grafiche Cianferoni, Stia 2008;
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P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, 1961, rist. anastatica Castrocaro Terme 1989;
Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze
Foreste Casentinesi, Campigna – Camaldoli – Chiusi della Verna, Carta dei sentieri, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2012
Link www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.
sul sentiero di crinale 00 Passo Calla - Prato alla Penna
Testo di Bruno Roba.
La Giogana è notissima ai viandanti, escursionisti e pellegrini che frequentino o abbiano praticato il Sent. 00 GEA CT nonché tratto dell’Alta Via dei Parchi, de Il Cammino di S.Antonio, del Cammino Dantesco, etc. ed è stagionalmente facilmente raggiungibile dal lato toscano tramite l’area di sosta di Prato alla Penna e dal Passo della Calla, km 10,5. In inverno, in occasione della chiusura di parte della strada provinciale verso il Passo dei Fangacci, Prato alla Penna si raggiunge dall’Eremo di Camaldoli e dal Passo della Calla, salvo temporanee e limitate chiusure del medesimo. Distanze specifiche: Eremo di Camaldoli-Prato alla Penna tramite il sent. 74 km 1,4, tramite la SP 69 km 2,7.
Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.
Nota – Per visualizzare le foto nel loro formato originale salvarle sul proprio computer, oppure se il browser lo consente tasto destro sulla foto e Apri immagine in un’altra scheda.
001 - Dall’alta quota del Monte Cerviaia si ha la veduta più elevata e ravvicinata verso lo Spartiacque Appenninico e le dorsali che vi si distaccano, separate dalle profonde incisioni del reticolo idrografico, utili per individuare la localizzazione dei siti topici della Giogana, come da indice fotografico (28/08/18).
002 – Schema cartografico del tratto di Giogana compreso tra Poggio Scali e Prato alla Penna.
003 – 004 - Schemi da uno schizzo planimetrico di alcune zone controverse fra l’Opera del Duomo di Firenze ed il Monastero di Camaldoli poste sul crinale appenninico fra Poggio Scali e Badia Prataglia, risalente a circa la metà del XVIII secolo, conservato nell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze (cfr.: A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 31, cit.) e confronto tra tracciato viario e toponomastica nelle diverse epoche dove, tra l’altro, si nota che il Gioghetto è posto sul tratto di crinale tra Prato alla Penna e Beventi, oggi corrispondente al sito del Passo dei Fangacci, aspetto di interesse storico-religioso in quanto vi sarebbe transitato il fondatore dell’Eremo.
005 - 006 – 007 – Schemi dalle mappe del 1893-94, in scala 1:50.000, e del 1937 in scala 1:25.000, da cui si rileva l’evoluzione infrastrutturale dell’area con raffronto del sito circostante il Gioghetto, anonimo nelle mappe originali, costituente crocevia dove appare evidente anche il tortuoso tratto che risale dalla Lama che, secondo la tradizione, dovrebbe coincidere con la Via dei fedeli di S. Romualdo.
008/012 – Vedute di Prato alla Penna (10/12/10 - 13/01/16 – 20/02/20).
013/016 – Mentre il grande faggio di cui alla foto precedente, ormai malato e pericoloso, è stato abbattuto, vi si possono osservare intense fioriture di Asphodelus macrocarpus, Asfodelo mediterraneo, Porraccio (30/05/11).
017 – A seguito del contenzioso tra i confinanti Opera del Duomo di Firenze e Monastero di Camaldoli, anche a Prato alla Penna (appena passata la sbarra) vi si trova un cippo confinario, risalente al 1853 (quando Leopoldo II acquistò le foreste) completo di idonea simbologia onde evitare equivoci: sul lato opposto un calice indica il versante di proprietà camaldolese (15/06/11).
018 - La moderna Maestà di Prato alla Penna (7/02/11).