Rifugio Fangacci
Non presidiato
Testo di Bruno Roba (15/03/2020).
Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto dello Spartiacque Appenninico compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose, strutturate a pettine, denominate dorsali o contrafforti, mentre le loro zone più elevate sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme del rilievo. L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, dal gruppo del M. Falterona e, ad Est, da Cima del Termine. Lo Spartiacque compreso tra tali vette corre su altitudini tra le più elevate dell’Appennino forlivese, minime poco inferiori ai m. 1300 e massime fino ai m. 1500-1650, con abbassamenti in corrispondenza dei valichi e rialzamenti in coincidenza con i nodi montani da cui si distaccano contrafforti e dorsali, (questo aspetto si ripete con notevole parallelismo in tutti i contrafforti ed è significante tettonicamente, ovvero nella disposizione delle rocce e loro modalità di corrugamento e assestamento). Gli alti bacini idrografici bidentini racchiusi tra tali diramazioni montuose mostrano inoltre una morfologia nettamente differenziata dovuta alla diversa giacitura e disgregabilità dell’ambiente marnoso-arenaceo, con i versanti meno acclivi (stratigraficamente disposti a “franapoggio”, parallelamente al pendio) rivestiti da boschi compatti, prati-pascoli e coltivi abbandonati mentre quelli più acclivi (strati immersi a “reggipoggio”, perpendicolarmente al pendio) spesso denudati ed evidenzianti la stratigrafia o rivestiti da bosco rado o rimboschimenti, fino al versante a ridosso delle maggiori quote dello spartiacque appenninico dove conseguono fortissime pendenze modellate dall’erosione con formazione di canaloni fortemente accidentati, con distacco detritico e lacerazioni della copertura forestale. A tale asprezza morfologica si contrappone il potente risalto di ampi tratti della giogana appenninica, caratterizzati dalla generale morbidità dei crinali dovuta alla lentezza dell’alterazione delle grandiose banconate arenacee, la cui superficie coincide, appunto, con quella della stratificazione.
L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio: «[…] in antico i movimenti delle popolazioni non avvenivano “lungo le valli dei fiumi, […] bensì lungo i crinali, e […] una unità territoriale non poteva essere una valle (se non nelle Alpi) bensì un sistema montuoso o collinare. […] erano unità territoriali il Pratomagno da un lato e l’Appennino dall’altro. È del tutto probabile che in epoca pre-etrusca esistessero due popolazioni diverse, una sul Pratomagno e i suoi contrafforti e un’altra sull’Appennino e i suoi contrafforti, e che queste si confrontassero sulle sponde opposte dell’Arno […].» (G. Caselli, 2009, p. 50, cit.). Già nel paleolitico (tra un milione e centomila anni fa) garantiva un’ampia rete di percorsi naturali che permetteva ai primi frequentatori di muoversi e di orientarsi con sicurezza senza richiedere opere artificiali. Nell’eneolitico (che perdura fino al 1900-1800 a.C.) i ritrovamenti di armi di offesa (accette, punte di freccia, martelli, asce) attestano una frequentazione a scopo di caccia o conflitti tra popolazioni di agricoltori già insediati (tra cui Campigna, con ritrovamenti isolati di epoca umbro-etrusca, Rio Salso e S. Paolo in Alpe, anche con ritrovamenti di sepolture). In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur permanendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate ma p. es., nel Settecento, chi voleva salire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami, per il Corniolo, per Ridràcoli e per S. Paolo in Alpe che venivano così descritti: «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi che in modo che appena vi può passare un pedone […] composto di viottolo appena praticabili […] largo in modo che appena si può passarvi […].» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, cit. da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna toscana e il Casentino ..., in: G.L. Corradi e N. Graziani, a cura di, 1997, p. 82, cit.); oppure «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, 1992, p. 32, cit.). Così, se al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX. Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.).
Percorrendo oggi gli antichi itinerari, gli insediamenti di interesse storico-architettonico o di pregio storico-culturale e testimoniale, esistenti, abbandonati o scomparsi (quindi i loro siti) che si trovano collocati lungo i crinali insediativi sono prevalentemente di carattere religioso o difensivo o sono piccoli centri posti all’incrocio di percorsi di collegamento trasversale. Lungo lo spartiacque geografico corre un tracciato viario che non solo fu il principale percorso di crinale del territorio tosco-romagnolo ma, considerato nell’intero sviluppo fino a Poggio Tre Vescovi, fu anche il più naturale collegamento di tutta la penisola. In corrispondenza delle maggiori asperità si allontana dallo Spartiacque posizionandosi su uno dei due versanti, più spesso quello toscano esposto più favorevolmente a Sud, ma sostanzialmente si sposta per ragioni orografiche. Il tratto compreso tra i due contrafforti principali è noto come la Giogana, in passato Via Sopra la Giogana o semplicemente Giogo o gran giogo: «Indi la valle, come ‘l dì fu spento,/da Pratomagno al gran giogo coperse/di nebbia; e ‘l ciel di sopra fece intento» (Purgatorio, V, 116). Più recentemente venne descritto il «[…] giogo di Camaldoli, al di là del quale cessa la Comunità di Pratovecchio e sottentra dirimpetto a grecale quella transappenninica di Premilcore.» (E. Repetti, Dizionario geografico fisico e storico della Toscana, 1881-1883). Strada vicinale della Giogana è la denominazione catastale che ancora conserva, con l’aggiunta o della Bordonaia o dei Legni per i tratti a ciò specificamente dedicati sui rispettivi versanti. Sicuramente frequentata già in era paleolitica e dai primi gruppi preitalici durante le loro migrazioni, in epoca romana, pur avendo perso la viabilità di crinale una funzione portante, era percorsa o attraversata anche da vie militari attestato da reperti. Il tracciato è rimasto in funzione fino alla prima metà del secolo scorso come importante via di comunicazione su grandi distanze ma, in considerazione anche dell’elevata altitudine e della scarsità di sorgenti, non ha mai registrato la presenza di insediamenti, salvo alcuni più recenti e specializzati con finalità turistiche. Già da epoche storiche boscaioli che trasportavano legname a dorso di mulo o conduttori di grossi traini di legname vi transitavano per raggiungere i passi montani; fino al XIX secolo fu inoltre interessato dalla transumanza, pratica talmente diffusa da dover essere regolamentata da parte delle amministrazioni demaniali, secondo regole rimaste invariate dal medioevo alla liberalizzazione dell’ultimo scorcio del XVIII secolo, stabilendo gli itinerari e istituendo le dogane, a fini di controllo e fiscali: «Nell’entrare in Maremma vi erano altre dogane dette Calle: a queste bisognava presentarsi, far contare il bestiame e pigliar le polizze.» (Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, 1774, cit. da: P. Marcaccini, L. Calzolai, La pastorizia transumante, in N. Graziani 2001, p.114, cit.), inoltre «[…] i pascoli maremmani di “dogana” erano aperti e chiusi, ufficialmente, […] il giorno 29 settembre […] l’apertura e 8 maggio la chiusura.» (M. Massaini, 2015, p. 73, cit.). Il bestiame, spesso affidato in soccida a pastori specializzati, in modo minore dalle alte valli del Bidente e del Savio ma soprattutto dalla montagna di Camaldoli, affluiva nel fondovalle dell’Arno per proseguire per Siena e la Maremma, le pasture Maretime. «Ma non mancava naturalmente bestiame vaccino liberamente pascolante sulle più alte pendici. Conosciamo, per questo aspetto, non soltanto quello di proprietà dei montanari, ma anche le vacche di certi proprietari ecclesiastici come il monastero di Camaldoli […]. E sappiamo, più in generale, che lungo tutta la giogaia, sull’uno e sull’altro versante, tanto i privati che quanto i signori feudali avevano greggi numerose […]» (G. Cherubini, L’area del Parco tra Medioevo e prima età moderna, in: G.L. Corradi, 1992, p.20, cit.). Praticamente la foresta era diventata, con grave danno, una grande stalla all’aperto (G. Chiari, 2010, cit.), d'altronde, da sempre, «[…] quel settore dell’Appennino che ha al suo centro la valle del Casentino, e che si estende a tutto il Montefeltro e il Mugello, […] corrisponde con precisione all’area dei pascoli estivi di quell’economia basata sulla transumanza che dà un senso economico e culturale al territorio geografico dell’Etruria storica.» (G. Caselli, 2009, p. 22, cit.).
Superato la sella di Prato Bertone, sito peraltro noto per la presenza del bivio per l’Eremo di Camaldoli sent. 68 CAI, il tratto orientale della Giogana incrocia il passo del Gioghetto (Gioghicciolo negli antichi documenti camaldolesi) che è raggiunto da un percorso sia di esbosco che di transumanza proveniente da La Lama che, attraversato il sito dell’Eremo, scendeva a Camaldoli tramite la c.d. Via Corta, già Strada di Camaldoli, dirigendosi attraverso la valle dell’Archiano fino a Soci. Tale itinerario costituisce un tratto di un’antica Via Romana: «L’antichità di questa via è ricordata in due carte del Regesto Camaldolese. Nella prima, del 1027, viene citata discendente dalla giogaia delle Alpi tra la Toscana e la Romagna, passando per la foresta dell’Eremo di Camaldoli […]. Nel secondo documento del 1047, che conferma tutti i beni agli eremiti di Camaldoli da parte del Vescovo Teodaldo, viene citata come via “Romana”. L’atto stabiliva i confini sul crinale di un grosso appezzamento di terra. Questo andava dal fosso chiamato Tellito, cioè quello di Camaldoli, fino alla via citata come “Romana” e il giogo che divideva la Romagna dalla Toscana.» (G. Innocenti Ghiaccini, 2018, p. 29, cit.). Come accennato, secondo la tradizione storico-religiosa, la Giogana veniva valicata dalla Via dei fedeli di S. Romualdo tramite il Gioghetto, come ribadiscono alcuni Autori. P.L. della Bordella: «[…] per salire all’Eremo (Campo Amabile), i pellegrini romagnoli, S. Ambrogio di Milano e Leopoldo II Granduca di Toscana, percorrevano la via dei fedeli di San Romualdo che da Santa Sofia, per Ridracoli, la Seghettina e la Lama, sale al Gioghetto per ridiscendere al sottostante Eremo.» (2004, p. 190, cit.); F. Pasetto: «[…] ricordiamo, in particolare, il Gioghetto, attraverso il quale il ravennate san Romualdo scese a Campo Amabile […]» (2008, p. 207, cit.). N.B. L’Eremo di Camaldoli fu fondato nel 1024 (nel 1012 secondo la tradizione). Il tratto finale di tale strada, di cui si ritrovano consistenti resti, è documentato dalla cartografia storica: nella Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinese del 1850 conservata presso il Nàrodni Archiv Praha (Archivio Nazionale di Praga: Archivio Asburgo Lorena di Toscana), l’antica via risaliva con una fitta sequenza di strettissimi tornanti che toccavano La Cava dei Frati verso l’odierno Gioghetto. La Carta d’Italia di primo impianto dell’I.G.M. documenta la via con diverso rilievo: in quella in scala 1:50.000 (1893-94) appare come tracciato di rilievo, mentre in quella successiva e maggiormente dettagliata, in scala 1:25.000 del 1937, appare declassata ma compare anche il tracciato della moderna S.F. degli Acuti, come pure appare realizzata la strada provinciale che transita dal Passo dei Fangacci.
Uno schizzo planimetrico della metà del XVIII secolo, conservato nell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze e relativo ad aree controverse tra l’Opera e i Monaci di Camaldoli (riportato in: A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 31, cit.), ed i seguenti documenti contengono interessanti informazioni riguardo il tracciato viario. Da una relazione del 1652: «è la Lama in un piano a cui verso il Giogo sovrasta un altissimo monte che si dice la Penna con una spiaggia che si dice i Beventi luoghi tutti coperti per lo più di faggi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 269, cit.), dalla descrizione dei confini di cui al Contratto livellario del 1818 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli: «[…] ventiseiesimo, […] Proseguendo sempre verso levante per il crine l’Opera tiene in proprio le acque che scorrono in Romagna […] seguitando per i vocaboli d’alture del Prato di Bertone e sopra l’Eremo, si giunge al luogo detto Fonte al Sasso e percorrendo sempre l’appennino continuano a confinare i Reverendi Monaci di Camaldoli con i vocaboli di alture di Prato agli Aceri, ed altura sopra i Prati alla Penna e della Duchessa fino al Gioghetto, da questo scendendo alla fonte dei Beventi, o fonte del Gioghetto, s’incontra un termine nella strada che conduce in Romagna e seguitando la direzione di questo si sale ad un braccio dell’Appennino ove con altro termine confinano i Comunisti di Serravalle; ventisettesimo, da questo punto ossia termine i Reverendi Monaci di Camaldoli seguitando il crine dei Beventi, di Monte Cucco, dei Segoni, seguitando l’istesso crine fino alle Rivolte […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 465-466, cit.). Da essi, oltre all’utilizzo del termine Via Bordonaia, che è attribuito ad un tratto viario tra Prato alla Penna e il Passo dei Fangacci, si trae una rappresentazione dei luoghi diversa da quella odierna: evidentemente assente il tracciato della moderna S.P. dell’Eremo, si nota che l’area di Prato alla Penna (c.d. già in antico per la prossimità con il Poggio alla Penna, oggi M. Penna) pare estendersi per alcune centinaia di metri verso Ovest, quindi più ampia dell’attuale, andando ad occupare anche l’ampio pianoro di crinale oggi ricoperto da una fitta faggeta mentre, verso Est, si rappresenta un descrittivo toponimo Beventi e, aspetto piuttosto interessante, si ritrova il “vocabolo” Gioghetto che (perfettamente corrispondendo alla citata descrizione confinaria) pare posizionato presso l’odierno bivio sentieristico per Poggio Tre Confini (che effettivamente è un punto di valico, presso il quale si trovano antichi cippi confinari con stemma camaldolese) luogo sovrastante la Fonte dei Fangacci, ivi denominata fonte del Gioghetto o dei Beventi. Nel passo si trova il Rifugio CAI Onorio Mellini – Fangacci, capanna sociale edificata nel 1950, non custodita, dotata di cucina, servizi igienici, acqua, camino, stufa e gruppo elettrogeno, può ospitare fino a 14 persone. I Beventi, come dice il documento, erano noti (già allora) per essere ricoperti da una estesa faggeta che si estendeva lungo il crinale oltre il versante meridionale del M. Penna (la Ripa della Penna). Ricordando comunque che sia il toponimo Giogo sia i diminutivi Gioghetto, Giogarello, Gioghicciolo erano piuttosto diffusi, i documenti citati collocano quindi il Gioghetto nei pressi dell’odierno Passo dei Fangacci: ciò costituirebbe ipotesi per una diversa localizzazione di un luogo della tradizione storica camaldolese.
Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alla scheda toponomastica Valle del Bidente di Ridràcoli e/o relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.
RIFERIMENTI
AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;
G. Caselli, Il Casentino da Ama a Zenna, Accademia dell’Iris - Barbès Editore, Firenze 2009;
G.L. Corradi (a cura di), Il Parco del Crinale tra Romagna e Toscana, Alinari, Firenze 1992;
G. Chiari, La Lama. Nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Arti Grafiche Cianferoni, Stia 2010;
P.L. della Bordella, Pane asciutto e polenta rossa, Arti Grafiche Cianferoni, Stia 2004;
A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;
G. Innocenti Ghiaccini, Le Vie Romee nella storia del Casentino. Gli spedali e le chiese per i pellegrini, FRUSKA, Bibbiena 2018;
N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Firenze, Le Lettere 2001;
M. Massaini, Alto Casentino, Papiano e Urbech, la Storia, i Fatti, la Gente, AGC Edizioni, Pratovecchio Stia 2015;
F. Pasetto, Itinerari Casentinesi in altura, Arti Grafiche Cianferoni, Stia 2008;
G.L. Corradi e N. Graziani (a cura di), Il bosco e lo schioppo. Vicende di una terra di confine tra Romagna e Toscana, Le Lettere, Firenze 1997;
P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, 1961, rist. anastatica Castrocaro Terme 1989;
Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze
Foreste Casentinesi, Campigna – Camaldoli – Chiusi della Verna, Carta dei sentieri, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2012
Link cai.it/gruppo_regionale/gr-toscana/sentieri-e-rifugi/rifugi/onorio-mellini/;
Link www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.
sul sentiero di crinale 00 fra Passo della Crocina e Prato alla Penna Raggiungibile anche per asfaltata/sterrata da Badia Prataglia
Testo di Bruno Roba.
In inverno, in occasione della chiusura di parte della strada provinciale, il Passo dei Fangacci si raggiunge dall’Eremo di Camaldoli, km 3,6 tramite il sent 74, ovvero km 4,9 tramite la SP 69.
foto inviata da Andrea Becherini e qui riprodotta su consenso dell'autore
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Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.
Nota – Per visualizzare le foto nel loro formato originale salvarle sul proprio computer, oppure se il browser lo consente tasto destro sulla foto e Apri immagine in un’altra scheda.
001 - 002 – 003 - Il Passo dei Fangacci con il rifugio (26/01/12 - 27/12/19).
004 – Schema da cartografia moderna del tratto di Giogana compreso tra Prato Bertone e il Passo Fangacci.
005 – Schema da uno schizzo planimetrico di alcune zone controverse fra l’Opera del Duomo di Firenze ed il Monastero di Camaldoli poste sul crinale appenninico fra Poggio Scali e Badia Prataglia, risalente a circa la metà del XVIII secolo, conservato nell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze (cfr.: A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 31, cit.) dove, tra l’altro, si nota che il Gioghetto è posto sul tratto di crinale tra Prato alla Penna e Beventi, oggi corrispondente al sito del Passo dei Fangacci.
006 - 007 – Schemi dalle mappe del 1893-94, in scala 1:50.000, e del 1937 in scala 1:25.000, da cui si rileva l’evoluzione infrastrutturale dell’area con raffronto del sito della Giogana dal Gioghetto (anonimo nelle mappe originali, costituente crocevia dove appare evidente anche il tortuoso tratto che risale dalla Lama che, secondo la tradizione, dovrebbe coincidere con la Via dei fedeli di S. Romualdo) al Passo Fangacci.
008/014 – Il Rifugio Fangacci CAI Onorio Mellini (17/11/10 - 28/12/10 – 7/02/11 - 17/03/20).
015 –La Fonte Fangacci (8/05/11).