La Lama
prato e un paio di edifici della forestale, rifugio non presidiato
Testo di Bruno Roba (10/2017 - Agg. 13/11/23)
Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto appenninico spartiacque compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine; in quell’ambito si staccano due contrafforti secondari e vari crinali e controcrinali minori delimitanti le singole vallecole del bacino idrografico.
La Valle di Ridràcoli è attraversata da quel ramo intermedio del Bidente delimitato, ad Est dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si diparte da Poggio allo Spillo (collegando Poggio della Bertesca, Croce di Romiceto, i Monti Moricciona, La Rocca, Marino, Pezzoli e Carnovaletto) per concludersi sul promontorio della Rondinaia digradando a valle di Isola costretto dalla confluenza del Fiume Bidentino o Torrente Bidente di Fiumicino nel Fiume Bidente. Ad Ovest la valle è delimitata dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si distacca da Poggio Scali e che subito precipita ripidissimo disegnando la sella di Pian del Pero, serpeggiante evidenzia una sequenza di rilievi (i Poggi della Serra e Capannina, l’Altopiano di S.Paolo in Alpe, Poggio Squilla, Ronco dei Preti e Poggio Collina, per terminare con Poggio Castellina) fino a digradare presso il ponte sul Fiume Bidente di Corniolo a monte di Isola, costretto dalla confluenza del Fiume Bidente di Ridràcoli nel Bidente di Corniolo.
Il bacino idrografico del Fiume Bidente di Ridràcoli, di ampiezza molto superiore rispetto alle valli collaterali e che vede il lago occupare una posizione baricentrica, con l’asta fluvio/lacustre f.so Lama/invaso/fiume posizionata su un asse mediano Nord-Sud, mostra una morfologia molto differenziata rispetto al suo baricentro. L’area sorgentifera, con la realizzazione dell’invaso artificiale, si differenzia tra quella che lo alimenta e quella a valle della diga che alimenta direttamente il fiume. A monte l’area imbrifera confluisce in cinque corsi d’acqua principali che costituiscono i corrispondenti bracci lacustri di cui si compone il lago. Essi sono il Fosso delle Macine, poi di Campo alla Sega, il Fosso degli Altari e il Fosso della Lama, l’asta torrentizia costituita dalla sequenza dei Fossi del Ciriegiolone, dell’Aiaccia e del Molinuzzo, cui contribuisce la ramificazione del Fosso del Raggio o Rio Fossati e infine il Fosso del Molino.
Il bacino idrografico del Fosso della Lama sul versante meridionale è delimitato dal tratto di arcata spartiacque che si estende da Prato al Soglio a Poggio allo Spillo, sul versante occidentale da un complesso sistema morfologico di seguito descritto e, sul versante orientale, dal tratto di contrafforte secondario che si diparte da Poggio allo Spillo fino a Poggio della Bertesca, da cui si stacca la dorsale che, evidenziando i rilievi di Scaramuccia, Poggio Fonte Murata e Poggio La Guardia, punta verso il fondovalle oggi occupato dal Lago di Ridracoli.
Dallo Spartiacque, all’altezza di Poggio Porcareccio, si divarica una dorsale che, prima di estendersi con la Costa Poggio Piano, esprime un piano inclinato in contropendenza su cui è situata la Posticcia i Matteino ed ha inizio un sistema morfologico che si estende verso SE caratterizzato da due valloni consequenziali e simmetricamente opposti che si sviluppano parallelamente allo stesso Spartiacque e che devono la loro formazione a dislocazioni geologicamente recenti lungo fratture sub verticali, ovvero particolari movimenti franosi che si evolvono molto lentamente lungo superfici profonde causando, nella parte superiore, l’apertura di avvallamenti e il conseguente fenomeno dello sdoppiamento delle creste, evidenziato da una sequenza di picchi o rialzi in contropendenza. Questi rilievi sono posti al principio delle dorsali che, in successione, si distaccano penetrando nella valle (fenomeno similare a quello del bacino del Fosso dell’Abetìa, delimitato da una sequenza di rilievi, tra cui Poggio Palaio, ricoperti dall’Abetina di Campigna). Si tratta della dorsale della Segarina, delle Ripe di Michelone, che proseguono con la costa di Poggio della Cornioleta e di Poggio Cornacchia, da cui si stacca la costa di Poggio della Spessoleta. Così, simmetricamente rispetto all’asse idrografico principale, al sistema morfologico Cornacchia-Acuti si oppone il sistema Penna-Fangacci, laddove Poggio Cornacchia e il Monte Penna (che emerge invadente nel fondovalle della Lama evidenziando nella morfologia asimmetrica la giacitura a reggipoggio degli strati) si insinuano fronteggindosi e co-stringendo la parte ala della valle. Nei valloni i Fossi degli Acuti e dei Fangacci, nel loro scorrere, convergono al centro riunendosi al ramo principale proveniente dallo Spartiacque. «[…] origini delle acque […] del Fiume Lama che va in quello di Santa Sofia e prende altre acque sino di là dalla Fonte al Sasso» (F. Mazzuoli, Veduta dell’Appennino …, 1788, BNCF, G.F. 164, in: G.L. Corradi, a cura di, 1992, p.50, cit.; N. Graziani, 2001, vol. II, p.875; cit.).
Le Ripe di Michelone e la costa di Poggio della Cornioleta costituiscono il limite occidentale del bacino idrografico, delimitando il sottobacino del Fosso dei Pianelli, Poggio Cornacchia e la costa di Poggio della Spessoleta delimitano il sottobacino del Fosso della Spazzola: entrambi sono affluenti in sx del Fosso della Lama. Il vallone che ha inizio dalla Posticcia di Matteino ospita siti quali il Bagnatoio, Pian delle Malenotti e la Pozza del Cervo, da cui nasce il Fosso degli Acuti. Il Fosso dei Pianelli ha origine da un’ampia ramificazione che si estende tra Poggio Cornacchia e le Ripe di Michelone, con il ramo più alto che nasce dalla piega settentrionale tra le due vette di Poggio Cornacchia e il ramo più lungo che è alimentato dai ristagni della sella di Pian delle Malenotti, celata dietro le Ripe di Michelone. Nasce quindi all’interno della Riserva di Sasso Fratino e, tenuto in sx idrografica il crinale di Poggio della Cornioleta, esce dalla Riserva sottopassando la S.F. S.Paolo in Alpe-La Lama scavalcato da una struttura in pietra ad arco a tutto sesto; poco dopo, rasentato il dolce pendio di Pianelli (da cui prende il nome) confluisce nel Fosso della Lama. Poggio della Spessoleta è l’antico oronimo forse dimenticato (vicino si trova un sito detto Spazzoleta) di una dorsale che, staccatasi da Poggio Cornacchia, delimita il sottobacino del Fosso della Spazzola, costituendone il versante sx e interponendosi rispetto al Fosso dei Pianelli, mentre l’altro versante è delimitato da un’altra costa che si stacca da Poggio Cornacchia. Nasce quindi anch’esso all’interno della Riserva e ne esce sottopassando la strada forestale, scavalcato da una soletta in c.a. su spallette in pietrame; poco dopo confluisce nel Fosso della Lama dopo aver rasentato i siti di Sasso di Bosco e Sega dei Butteri (quest’ultimo adiacente e visibile dalla strada).
Riguardo il Fosso dei Fangacci come oggi classificato si possono individuare plurime origini: i rami più elevati si spingono fino sul versante meridionale del Monte Penna, sul versante occidentale di Poggio allo Spillo (ma nel 1850 vi era distinzione tra i suoi due picchi e quello occidentale era detto Poggio delle Ripebianche) e su quello settentrionale di Poggio Tre Confini; i più noti hanno origine dalla Fonte Fangacci, anticamente detta del Gioghetto o dei Beventi, posta sul passo omonimo accanto al rifugio, e dalla Fonte di Guido, adiacente all’Aia di Guerrino. Detti luoghi delimitano il sottobacino idrografico del fosso.
Tra il Monte Penna e le dorsali della Bertesca e di Poggio Fonte Murata, caratterizzate da morfologie identificate da toponimi quali Scaramuccia, Trogone e Barilaccio, che paiono voler esorcizzare le asperità dei luoghi cui son attribuiti (anticamente ricorrevano Le Ripebianche e I Lastri), si estende il sottobacino del Fosso dei Forconali con il suo affluente Fosso delle Ripe, che dalle loro pieghe hanno origine. Il sottobacino ricade parzialmente all’interno della Riserva Biogenetica Badia Prataglia-Lama soprattutto relativamente alla porzione del sottobacino del Fosso delle Ripe. Nella cartografia antica compare esclusivamente il toponimo Valle dei Forconali, in cui si sviluppa il ventaglio orografico disteso sull’arcata montana tra il Monte Penna e Poggio della Bertesca, intercalato a siti dai citati toponimi descrittivi come Scaramuccia che, nel nome, pare richiamare la sua orografia tormentata, oggi ricoperta da un’abetina restaurativa, Barilaccio, che corrisponde a un tratto di pendio meno accentuato che si distacca dal tratto Poggio della Bertesca/Passo della Crocina e che, dal confronto foto/cartografico, si individua per essere adiacente ad una abetina posta verso Nord, Trogone, posto più a Sud-Ovest, che si distacca impervio e ramificato dal tratto Poggio allo Spillo/Passo della Crocina.
Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alla scheda toponomastica Valle del Bidente di Ridràcoli e Fosso della Lama.
In questo ambito si colloca La Lama, già Pian della Lama, pressoché al centro della Macchia di Santa Maria del Fiore, una “enclave” paesaggistica riconosciuta tale già dal XIX sec. … : «Cavalcando […] vidi […]. La foresta dell’Opera sulla pendice precipitosa verso Romagna era manto a molte pieghe dell’Appennino, al lembo di quel manto apparivano le coste nude del monte […] nel fondo della valle del Bidente una macchia nera nell’Appennino, al certo foresta d’abeti d’importanza […] Desioso di conoscerla presi la via di Ridracoli, vidi poco dopo distendersi alli occhi la scena selvosa nelle pieghe d’Appennino […] poi vidi la via spianarsi in una valletta verde, profonda cinta da antica altera foresta che un ruscello bagnava, e disse la guida Giovannetti essere la valle della Lama e il fosso chiamarsi della Sega […]» (Leopoldo II di Lorena, Le memorie, 1824-1859, in G.L. Corradi, O. Bandini, 1992, p.78, cit.), … ma soprattutto dalla metà del XX: «[…] una perla paesaggistica per se stessa e per la vista di un ampio anfiteatro che vi si apre a rappresentazione prospettica ideale del bosco antico. Con le balze rocciose ancora abitate dall’aquila, con le estese faggete ad orlo del crinale appenninico, con il sottostante bosco misto di abeti e faggi in alto e in basso di querce, olmi, tigli e carpini. […] A metà degli anni ’50 La Lama era ancora un luogo molto frequentato da bovari, boscaioli, camionisti e operai addetti alle varie manutenzioni di fabbricati e strade. Esisteva ancora una vecchia linea telefonica di 20 chilometri, con gli apparecchi a manovella, che la collegava alla stazione forestale di Badia Prataglia, al mondo esterno. […] C’era perfino un’osteria dove gustare […] specialità gastronomiche […] di un luogo che […] si poteva chiamare […] della Romagna toscana. […] per ricostituire il ricco patrimonio faunistico dell’anteguerra […] Fin dagli anni ’50 del secolo scorso vi era stato costruito un ampio recinto per la reintroduzione degli ungulati […] sterminati durante l’ultima guerra. […] All’interno del recinto si trovava un capanno per conservarvi il foraggio invernale. Esso fu trasformato in un punto di osservazione […]» (F. Clauser, 2016, pp. 58-61, cit.). Diversa la visione economicistica di una lunga relazione del 1652 presentata direttamente al granduca contenente una molto precisa descrizione dei luoghi e della qualità delle piante presenti nelle foreste dell’Opera del Duomo di Firenze: «[…] nella Lama scendemmo per la via de’ Mal Passi luogo che è pieno di faggi et a ragione si chiama con questo nome. È la Lama in un piano a cui verso il Giogo sovrasta un altissimo monte che si dice la Penna con una spiaggia che si dice i Beventi luoghi tutti coperti per lo più di faggi non d’abeti e in quel piano particolarmente dove già era un gran lago si vede poco altro che faggi, ontani, vetrici e canne e faggi parimente su per le coste d’attorno. L’Opera havendovi già tenuto i suoi conduttori molti anni che per far legni quadri vi tagliarono tutti gli abeti buoni […]. Non si deve dunque pensare a farvi strade per legni tondi quando anco si facessero comodamente e con modesta spesa perché non sono in questi paesi ne pochi ne alcuni abeti buoni per le galere […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 270, cit.).
La Lama è classificata Geosito di rilevanza locale per le note caratteristiche di ripiano di origine alluvionale causato per sbarramento della valle ad opera di un’imponente frana staccatasi da Poggio Fonte Murata in epoche paleo-geologiche. La zona di distacco della frana è ancora ben riconoscibile, corrispondente ad uno scivolo ripidissimo, con forma a doccia e rivestito da un rado bosco. Lo sbarramento, ostacolando il regime idraulico dell'ampio bacino idrografico, causò l’allagamento delle zone retrostanti con formazione di uno specchio lacustre, ed evoluzione in torbiera, ramificato verso monte, in corrispondenza della confluenza tra i fossi dei Forconali e delle Ripe.
Autori e cartografia discordano se il Fosso della Lama trovi origine direttamente dal tratto di Spartiacque compreso tra Prato al Soglio e il Gioghetto, come dalla cartografia regionale o sia generato dalla confluenza del Fosso degli Acuti con quello dei Fangacci come nella Carta d’Italia I.G.M. di primo impianto (1937), o si estendesse a quest’ultimo come nel Catasto toscano e nella successiva Carta d’Italia (1893-94), o abbia origine a Pian della Lama (ipotesi incoerente) generato dai Fossi dei Fangacci e dei Forconali: «In passato era denominato fosso de La Lama anche il tratto a monte fino alla confluenza del fosso degli Acuti con quello dei Forconali (v. CARTA D’ITALIA dell’I.G.M. Foglio 107 II). È il fosso dei Gamberi, di cui parla il Beni nella sua guida del 1908.» (G. Chiari, 2010, nota 11 p. 13, cit.). Ma non è esatta la citazione dell’I.G.M. Anche nell’ulteriore cartografia antica compaiono discordanze: in una mappa della Romagna Toscana Pontificia del 1830-1840 (URL cit.) si vede il tratto di origine del Fosso della Lama coincidere con il tracciato dell’odierno Fosso dei Fangacci, come pure nella Carta Geometrica della Toscana di G. Inghirami del 1830 dove, pur approssimativa in quanto in scala 1:200.000, è evidenziata la continuità della sua ampia valle con quella del Bidente di Ridràcoli. Nella Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinese del 1850 (questa mappa e quella pontificia sono conservate presso il Nàrodni Archiv Praha - URL cit.) solo il tratto a valle de La Lama è identificato come fosso topico (come sostiene G. Chiari), cui pare estendersi il Fosso degli Acutoli, di cui sarebbe affluente il Fosso dei Fondi, oggi dei Fangacci; come dei Gamberi viene invece indicato un fosso che passa dalla Fonte Solforosa. Nella mappa del 1850 Alla Fonte Grattugia è la caratteristica denominazione di un ulteriore apparente affluente del Fosso degli Acutoli da ritenere invece ramo originario del Fosso della Lama che raggiunge lo Spartiacque, mentre nel Catasto toscano lo stesso ramo era detto Fosso dell'Abetaccio o, più anticamente, Fosso de Mapassi, ovvero dei Mal passi, toponomastica che si ritrova in una mappa del 1637 allegata ad una relazione del 1710 del provveditore dell’Opera del Duomo di Firenze (riproduzioni della mappa si trovano in A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, a colori, in A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.).
Ulteriori Geositi di rilevanza locale che caratterizzano questo tratto di bacino sono, il Monte Penna e la Fonte Solforica della Lama. Il monte, spicca per l'elevata energia di rilievo e la forma molto più aspra rispetto ai versanti circostanti. Come già accennato, la sua forma asimmetrica rispecchia l'andamento degli strati, dove la parte più scoscesa segna le pareti con strati a reggipoggio mentre in quella retrostante, che si raccorda alla zona di crinale, si osserva coincidenza tra pendio e superfici di strato. L'origine di questa peculiare morfologia potrebbe essere dovuta a dislocazioni recenti lungo faglie subverticali che hanno portato un lembo roccioso in risalto strutturale rispetto alle aree circostanti. La Fonte Solforica della Lama, posta lungo la strada del Cancellino e più nota come Fonte Solforosa, caratterizzata da una fontana in conci di arenaria da cui esce una sorgente molto copiosa dove colonie di solfobatteri formano una mineralizzazione solforosa; accanto ad essa si trova una seconda sorgente posta all’interno di un chiostro votivo ma producente minori depositi bianchi. «Ricca di sorgenti, di fonti […] anche la montagna tosco-romagnola è stata scenario fin dall’antichità di manifestazioni di culti idrici, basati sulla credenza del potere magico delle acque sgorganti dal ventre della terra, simboli e strumenti di potere delle divinità ctonie [collegate con la vita terrestre o sotterranea, ndr], lasciandone traccia in toponimi … a Bagno di Romagna la leggenda attribuisce a Sant’Agnese e al suo cagnolino il ritrovamento delle acque termali: l’animale cominciò a razzolare con le zampe in un certo luogo facendo scaturire le acque miracolose che sotto vi scorrevano, le quali risanarono la santa […]. Nei pressi dei prati della Foresta della Lama […] sgorga una fonte che viene denominata Bagno o Pozza della Troia dalle meravigliose proprietà terapeutiche apprezzate forse fin da epoca preromana, viste anche le numerose tracce di frequentazione antica della zona. Si racconta, infatti, che una scrofa affetta da una malattia della pelle, dopo essersi immersa in quelle acque, ne fosse uscita inaspettatamente risanata: da quel momento prese avvio il pellegrinaggio […] per quanti erano affetti da malattie cutanee e da reumatismi.» (E. Casali, Aspetti e forme della cultura folclorica, in: N. Graziani (a cura di), 2001, vol. I, p. 412, cit).
L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio, in epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti.Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur mantenendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate. Nel Settecento, chi voleva risalire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami che venivano così descritti: per Ridràcoli «[…] composto di viottoli appena praticabili […]» per S. Paolo in Alpe «[…] largo in modo che appena si può passarvi […].» e per il Corniolo «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi in modo che appena vi può passare un pedone […]» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, citato da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna Toscana e il Casentino nei tempi granducali. Assetto paesistico-agrario, viabilità e contrabbando, in: G.L. Corradi e N. Graziani - a cura di, 1997, p. 82, cit.). Ancora all’inizio dell’800, per la generale mancanza di opere di regimentazione idraulica nei fondovalle e nonostante gli interventi migliorativi della seconda metà del XVIII sec., la viabilità della Romagna Toscana era costituita prevalentemente dai numerosi percorsi di costa situati lungo i crinali secondari subappenninici e dai sentieri di attraversamento congiungenti le vallate. All’interno delle foreste esistevano alcune vie dei legni ed innumerevoli erano le mulattiere usate per il trasporto delle piccole pezzature di legname.
La prima cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), consente di conoscere il tracciato della viabilità antica che raggiungeva Ridràcoli per poi inoltrarsi nelle vallate sub-montane. Attraversato il Bidente di Corniolo presso Isola, con il Ponte dell'Isola, sul luogo del ponte odierno, essa si manteneva in sx idrografica risalendo subito a mezzacosta fino a raggiungere Biserno, per quindi ridiscendere nel fondovalle del borgo, dove si concludeva con un lungo rettilineo al cui termine si trovava Il Ponte di Ridràcoli. Tale viabilità, anonima nelle mappe citate, verrà poi denominata Strada Comunale Ridràcoli-Biserno e Strada Comunale Isola-Biserno; solo in occasione dei lavori di costruzione dell’invaso quest’ultima verrà ristrutturata e ampliata diventando parte della S.P. n.112.
Vari itinerari trasversali collegavano le vallate adiacenti, principalmente dipartendosi dal baricentro militare-residenziale del Castello di Ridràcoli (nel 1216 è documentato come Castrum Ridiracoli un villaggio fortificato che, secondo la Descriptio Romandiole del 1371, raggiungeva appena 6 focularia) e dai nuclei economico e religioso del ponte e della chiesa (una villam Ridraculi cum omnibus ecclesiis è documentata già dal 1213), dialetticamente separati in base alla morfologia del luogo, determinata dalla fitta sequenza delle anse fluviali. Dal Castello partiva la Strada che dal Castello di Ridracoli conduce alla Chiesa della Casanova, risalente la Valle dei Tagli ed imperniata su Casanova dell’Alpe (su una pietra cantonale della chiesa sono ancora leggibili le distanze chilometriche – evidentemente non più valide - km 12,358 per Bagno e km 5,933 per Ridràcoli); costituiva parte della successiva Mulattiera Ridràcoli-Bagno. Dal Ponte di Ridràcoli partiva la Strada che da Ridracoli va al Poggio alla Lastra, che, superata la chiesa, risaliva la Valle del Corneta, parte della successiva e rinomata Mulattiera di Ridràcoli diretta a Santa Sofia tramite Strabatenza. Entrambe le mulattiere incrociavano sul crinale la Strada Maestra di S. Sofia o Strada che dalla Casanova va a Santa Sofia, la prima presso il Monte Moricciona, la seconda sul Passo della Colla, posto sulla Colla del Monte interposta tra i Monti Marino e La Rocca. Molto note e ancora riportate come tali nella cartografia moderna, negli anni ’50 alle estremità delle mulattiere vennero installati dei cippi stradali riportanti la rispettiva denominazione, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli; rimasero localmente in uso fin’oltre metà del XX secolo, infatti le odierne strade forestali verranno realizzate solo un ventennio dopo.
Dai piedi del centro religioso si staccava un percorso che giungeva fino alle pendici della Seghettina … «[…] praticabile solamente nella bella stagione, quando le acque del fiume erano scarse, e si snodava lungo il corso del Bidente che veniva attraversato ben 33 volte […]» (C. Bignami, 1995, p. 90, cit.). Dalla via castellana si staccava la strada comunale, sempre percorribile, che risaliva il Bidente per un lungo tratto correndo accanto all’alveo fluviale, per la parte fino alla diga oggi sostituita dalla viabilità di servizio, per il resto ormai sommersa. La via scavalcava il Fosso dei Tagli, presso lo sbocco nel Bidente, forse sul luogo oggi occupato dall’asfalto stradale, con il Ponte dei Tagli. Subito dopo la mulattiera passava sotto un arco del Mulino di Sopra costeggiandone il bottaccio. Con la costruzione della diga e con il riempimento dell’invaso, è scomparso pressoché l’intero tracciato viario e sono scomparsi mulini, insediamenti (le Celluzze – che spesso riemerge, la Forca, Lagacciolo, Verghereto), ponti e guadi che, come sopracitato, attraversavano 33 volte il Fiume della Lama o Obbediente (come era anticamente classificato), come il Ponte a Ripicchione (documentato da una mappa del 1637 allegata ad una relazione del 1710 del provveditore dell’Opera del Duomo di Firenze riproduzioni della mappa si trovano in A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, l’originale a colori, in A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.) e il Ponte alla Forca. La mulattiera, dopo il Ponte a Ripicchione abbandonava l’argine fluviale risalendo progressivamente il versante e, sorpassata la Fonte dei Bisernini, raggiungeva Lagacciolo; un bivio divideva il tratto che da Case di Sopra risaliva fino al Monte Cerviaia dalla prosecuzione della via che ridiscendeva fino a La Forca e al suo mulino, prima attraversando il fosso detto Il Fossone con una palancola lignea, in un’area ormai sommersa. La viabilità lungo il Bidente terminava con l'attraversamento tramite il Ponte alla Forca o della Seghettina, risalente al 1843.
La Valle della Lama era inoltre interessata da alcune c.d. vie dei legni, utilizzate per il trasporto del legame tagliato dai boschi di prelievo fino al Porto di Badia a Poppiena a Pratovecchio, attraverso i valichi appenninici tosco-romagnoli, tra cui la via che dalla Lama conduceva alla Seghettina e quindi a Pian del Pero e la Calla e la via che da S. Sofia, per Ridracoli e Lama, portava a Gioghetto, Camaldoli e Poppi, alla quale il Siemoni innestò un ramo per Pratovecchio, così individuate all’inizio del XX secolo dal Direttore generale delle Foreste, al Ministero di Agricoltura, A. Sansone nella relazione sullo stato delle foreste demaniali (cit.). Una probabile antica struttura sul luogo del Ponte alla Forca consentiva inoltre l'attraversamento da parte della Via dei Fedeli di S. Romualdo, ricordata da alcuni autori: P.L. della Bordella: «[…] per salire all’Eremo (Campo Amabile), i pellegrini romagnoli, S. Ambrogio di Milano e Leopoldo II Granduca di Toscana, percorrevano la via dei fedeli di San Romualdo che da Santa Sofia, per Ridracoli, la Seghettina e la Lama, sale al Gioghetto per ridiscendere al sottostante Eremo.» (2004, p. 190, cit.); F. Pasetto: «[…] ricordiamo, in particolare, il Gioghetto, attraverso il quale il ravennate san Romualdo scese a Campo Amabile […]» (2008, p. 207, cit.). Dalla Seghettina la via prima scendeva a guadare il Fosso degli Altari poi il Fosso della Lama, probabilmente sul luogo dove, alla fine del XIX secolo era documentata una pedanca scomparsa negli scorsi anni ’80 (ma un altro guado è ancora presente poco più a valle). Successivamente il tragitto proseguiva in destra idrografica fino a La Lama dirigendosi verso il crinale. In località La Docciolina l’antica via risaliva con una fitta sequenza di strettissimi tornanti poi detti Strada della Lama o Strada delle Svolte (si ritrovano consistenti resti), che toccavano La Cava dei Frati fino all’odierno Gioghetto quindi, superato l’Eremo, scendeva a Camaldoli tramite la c.d. Via Corta, già Strada di Camaldoli, per poi percorrere la valle dell’Archiano fino a Soci. Attraversando il Gioghetto (Gioghicciolo nei documenti camaldolesi) il ravennate Romualdo nel 1024 (nel 1012 secondo la tradizione) giunse a Campo Amabile per fondare l’Eremo. Se nel XIX secolo, quando ancora non esisteva il moderno Passo dei Fangacci, un Gioghetto è documentato solo in corrispondenza del passo poco più a monte sulle pendici di Poggio Tre Confini (anticamente detto Poggio Tre Termini, dove si trovava pure un’altra Cava dei Frati) il tracciato che da qui si ricongiunge al Sent. 74 CAI che ridiscende verso l’Eremo costituirebbe ipotesi per una diversa localizzazione di un luogo della tradizione storica camaldolese. Sulle vicende di questi luoghi in relazione alle dispute sui confini tra l’Opera del Duomo e il Monastero di Camaldoli, che portò all’installazione di numerosi cippi di confine (“termini di pietra”) v. M. Ducci, G. Maggi, cit.
Idronimo molto diffuso ed utilizzato per indicare una depressione del terreno con ristagno d’acqua, un piano acquitrinoso, derivante dal latino classico lama, -ae = acquitrino, pantano, che può avere anche il significato di fianco scosceso di un poggio e in geologia un movimento plastico di terreno superficiale imbevuto d’acqua, nonostante le antiche frequentazioni, il termine Lama si trova documentato per la prima volta solo nel 1605 nel verbale, custodito nell’archivio dell’Opera del Duomo di Firenze, di una “visita” eseguita da un “Operaio” da cui si rileva che a tale data ancora esisteva un Lago della Lama, residuo dell’antico bacino lacustre, anche se in fase di riempimento ed impaludamento, ed esisteva una sega idraulica (posta a monte di tale lago dal lato dei Forconali): «Visita fatta questo dì Primo Ottobre 1605 da messer Bastiano del Pace operaio […]. Anchora s’è visitato la Lama dove è il lago delle trote e dove anchora vi è la sega de palchoncelli che la fa il Moro guardia quale sega sta bene et non ha bisogno di cosa alcuna et il lago harebbe bisogno d’essere netto mediante l’herba che drento vi nasce che a poco a poco lo va riempiendo di poi ce ne siamo venuti per la strada dove vengono li buoi con i legni per trainare quale strada è assai buona e non ha bisogno di cosa alcuna. Anchora la piena ha portato via il muro che si fece due anni fa che è dietro al nostro palazzo e però è necessario porvi rimedio perché a poco a poco andrebbe rodendo la terra con assaissimo detrimento di detto palazzo […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 224-226, cit.). Da un accurato elenco relativo al 1637 risulta: «1637 – Nota dei capi dei beni che l’opera è solita tenere allivellati in Romagna e Casentino e sono notati col medesimo ordine col quale fu di essi fatta menzione nella visita generale che ne fu fatta l’anno 1631: […] 68) Fonte Murata, sopra il lago della Lama, terre tenute da Biagio di Luca detta il Moro guardia. Seguita di tenerle come guardia della Lama e non se ne tien conto perché non se ne paga cosa alcuna […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 412, cit.). Nel 1655 Pierantonio, il figlio del Moro, abita ancora a S. Martino a Monte presso Lierna (Poppi - AR): «[…] Pierantonio di Biagio detto il Moro da Lierna, guardia col marchio con obbligo di abitare a Monte in Casentino ove abita di presente.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 53, cit.) e una Casa di Guardia viene costruita solo nel 1663 (accanto alla sega idraulica), che il verbale di una “visita” del luglio 1663 documenta in costruzione: «Lunedì 13 […] ce ne andammo alla volta della Lama […] per una lunga e cattivissima strada che dopo essere stato qualche giorno senza piovere si trovò di cattivi passi et in particolare nel lago della Lama che le povere bestie vi rimanevano quasi ritte benché scariche e si arrivò alla casa della Lama che di presente si fabbrica quale a mio giudizio sta benissimo et ancora è assai avanti detta muraglia che manca solo da mettere in pari tutta solo da due bande incirca a un braccio di muro e poi si potrà mettere le trave del tetto e sta bene a meraviglia benché da molti non sia troppo lodata perché non ve la vorrebbono et li vole dare una gran noia loro perché nel mezzo della macchia che possano sempre dubitare che vi sia qualche guardia a rompere i loro disegni di far danno […].» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 313-314, cit.). Riguardo al lago è interessante ricordare che era ricco di trote la cui pesca era però bandita e riservata alle mense signorili, come si rileva da una lettera giungente da Firenze nel 1619 per un certo Antonio Capacci che ordina: «[…] vadia a pescare le trote nel fiume della Lama e tutte quelle che saranno di 80 denari in là si portino a Firenze e le altre minori si mettino nel lago della Lama (era stato fatto artificialmente, a monte della casa delle guardie, per alimentare la sega ad acqua) e facciasi diligenza maggiore nel pigliarne più che si può si per mettere in detto lago, come per mandare a Firenze e quelle che hanno a venire a Firenze fa che sieno per venerdì a buon’ora […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 138, cit.). Alla Lama sia nel Seicento ma ancora a metà del Settecento non esistevano appoderamenti né ricoveri per il bestiame, che veniva tenuto allo stato brado, così come risulta da una lettera del 1762, inviata dagli addetti al trasporto del legname al Provveditore dell’Opera, che si ritengono danneggiati dal bestiame dell’Opera che circolando liberamente nei boschi sottrae pastura ai buoi utilizzati per il traino: «[…] non v’è restata erba da poter far pascere i nostri buoi venendo di continuo danneggiata da qualunque sorta di bestiame […] non possiamo più tirare alcuna sorta di legname state che senza mangiare i bovi non tirano. Detti danni sono ancora nella Lama e nel Sasso di Bosco di dove il bestiame non esce mai […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 60, cit.). Nella citata Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinese a Pian della Lama compare una Gavina dei Bovi nell’area adiacente alla casa forestale (N.B.: il termine antico “gavina” deriva da “cavina” che, con il significato di “fosso, canale di scolo, fogna”, si addice bene al luogo, già notoriamente impaludato ed evidentemente ben “concimato” dal bestiame; sul versante opposto, un affluente del fosso principale, proveniente da P.gio Cornacchia e allora detto Gavina di Lierna, porta a trovare un ulteriore riferimento anche al sopracitato soprannome della guardia che nel Seicento era comandata alla Lama).
Gli edifici che ancora oggi si vedono del Baraccone ed un retrostante annesso agricolo, collocati su un pendio, non lontano da una chiesetta in stile alpino risalente al 1958, sono strutture ottocentesche del primo insediamento colonico dovuto alla gestione Siemoni, per ospitare il contadino e come moderna casa della guardia. Quindi solo nella seconda metà dell’800 si può considerare l’esistenza di un podere con casa (condotto dalla famiglia Goretti, sostituita dal 1905 dalla famiglia Stefani, quando conviveva nello stesso fabbricato con la famiglia della guardia Montalti). Al Siemoni si deve anche la sostituzione (1843) della segheria con una più moderna ed alimentata da due canali derivati dai Fossi degli Acuti e dei Forconali, quindi spostata più a valle (N.B.: per cui allora era chiamato Acuti anche l’ultimo tratto del Fosso dei Fangacci), ma circa un decennio dopo era stata già distrutta da un incendio e non ricostruita. Sul luogo della vecchia sega venne costruita una vetreria la cui attività diede origine ad un villaggio di baracche per i numerosi operai (fino a 50), con chiesa e macelleria, oltre ad un'osteria, che Clauser racconta esistente ancora a metà degli anni ’50, probabilmente insieme ad altre strutture del villaggio, tranne la vetreria e la casa della guardia, edifici ancora documentati e fotografati nel 1915, ma probabilmente distrutti per incendio o dal forte terremoto che nel 1918 interessò tutta l’area e soprattutto Santa Sofia. Degli incendi rimase memoria nella Pianta Geometrica sopracitata dove i toponimi Bruciatina e La Bruciatina indicano aree a ridosso del M. Penna (Poggio alla Penna), lati Nord e Ovest, mentre il rilievo posto a monte della confluenza tra i Fossi degli Acuti e dei Fangacci (degli Acutoli e dei Fondi) era detto Poggio Foco. Nell’immediato dopoguerra verrà costruita la nuova casa forestale. Gli edifici pre-ottocenteschi si limitano quindi alla segheria e al c.d. nostro palazzo documentati per la prima volta nel 1605, oltre alla Casa di Guardia documentata in costruzione nel 1663. Riguardo il palazzo, dalla descrizione del 1605 risulta che doveva evidentemente trovarsi su un rilevato, appunto sostenuto dal citato muro franato, collocazione presumibile considerato l’ancora esistente impaludamento dell’area, mentre gli edifici scomparsi risalenti al XIX secolo (che si vedono rappresentati in alcune foto d’epoca) erano collocati nel rilevato ormai risanato tanto da poterli ospitare. Oltre a quello seicentesco esistono due documenti cartografici e la lunga, circostanziata e consapevole descrizione che fa un profondo conoscitore dei luoghi della Lama, basata non su fuggevoli ricordi conseguenti ad una episodica frequentazione ma su una consolidata esperienza di vita iniziata con l’adolescenza e proseguita negli anni di lavoro, che avvalora la trasformazione del fabbricato in palazzina di caccia granducale: «Nell’anno di guerra 1942, fra gli undici e i dodici anni di età mi fu concesso di andare a piedi, ogni giorno per una settimana, da Badia Prataglia alla Lama […]. Nel piano della Lama, che non era affatto un villaggio, ma l’abitato di tre famiglie per tutto l’anno nel vecchio lungo casolare ancor oggi esistente e nella bella “palazzina” delle cacce granducali, in stile cinquecento toscano (purtroppo fatta saltare durante la guerra dai tedeschi), si scorgevano qua e là coltivazioni di patate. […] Da Badia, in circa un’ora e mezzo di buon passo montanaro, superando lo spartiacque appenninico, si giungeva alla Lama; […] Lungo lo Scalandrino, su piccoli spiazzi, sempre lavoravano antichi artigiani di Moggiona […]. Alla fine dei dirupi dello Scalandrino […] dopo la stretta, scala di pietra lavorata, addossata al macigno incavato alla base e protetta a valle dal consumato e oscuro scorrimano di avorgnolo, appariva ampia ed accogliente la vecchia Via dei Legni. […] Io ripensavo al precedente ottobre quando, con il vecchio camioncino, tornavamo dalla Lama, mio babbo il Chiécche ed io. […] Negli anni del dopo guerra iniziai ad inoltrarmi dentro le prime stupende vallate che vanno dalla Lama verso la Bucaccia […]» (P. Bronchi, 1985, pp. 129-138, cit.) (Bronchi, che conobbe e frequentò quei luoghi fin da giovanissimo sotto la guida del padre, tra l’altro poi diresse l’Ispettorato Forestale della Provincia di Forlì). Un documento cartografico di grande rilievo, custodito presso il Nàrodni Archiv Praha (Archivio Nazionale di Praga: Archivio Asburgo Lorena di Toscana) è la Pianta Geometrica dei Terreni assegnati alla Sega a Aqua, costruita dai Signori Fratelli Wital di Firenze nella Ra Foresta Casentinese nell cosi detto Pian della Lama (cit.), datata dicembre 1846, disegnata (e sottoscritta) con grande cura dei dettagli da Carlo Siemoni. Nella mappa, in scala 1:1250, sono rappresentati tutti accompagnati da didascalie o sigle alfabetiche, oltre alla viabilità ed ai corsi d’acqua, la nuova segheria realizzata dal Siemoni con i due canali di alimentazione derivanti dai Fossi della Lama e dei Forconali, la vetreria, il villaggio di capanne degli operai, un edificio posto a metà del viale dei tigli e un piccolo edificio posto ad Ovest del villaggio degli operai senza didascalia, la capanna del magazziniere, il lungo edificio del Baraccone ed un altro edificio vicino sul sito dell’attuale chiesetta: questi due ultimi sono disegnati a matita senza didascalia come pure a matita compaiono numerosi appunti e segni sia su tutti gli altri edifici citati e disegnati a penna sia su tratti viari o corsi d’acqua, simboleggianti una modifica o demolizione, segni che potrebbero essere stati eseguiti successivamente dimostrando un utilizzo nel tempo della stessa mappa. Tranne gli edifici disegnati a matita e la vetreria, tutti gli altri sono posti nel piano tra l’odierna Casa forestale e la Fonte di Francesco. L’altra documentazione utile è la cartografia storica I.G.M. aggiornata al 1937 dove, oltre alla simbologia grafica dei ruderi riportata in corrispondenza del toponimo C. della Guardia, accanto al toponimo la Lama compaiono due fabbricati (con la simbologia di “Case in muratura”) posti accanto alla strada del Cancellino ma a quota superiore, infatti sotto di essi compare la simbologia di una scarpata; la posizione di questi fabbricati trova corrispondenza con la mappa del Siemoni. Riguardo l’identificazione del Baraccone le opinioni coincidono mentre riguardo l’altro fabbricato, esaminando la carta I.G.M., G. Chiari sostiene «In alto, accanto al baraccone, figura un edificio forse adibito a stalla (ove al presente è una chiesetta).» (G. Chiari 2010, p. 45, Figura 12, cit., con particolare della mappa) e riguardo il “palazzo” commenta: «[…] Attorno al 1854 […] la sega fu completamente distrutta […]. In seguito la vetreria cessò l’attività […]. A stare a quanto riporta BRONCHI (1985) risalirebbe a quest’epoca anche una “bella palazzina” delle cacce granducali, in stile cinquecento toscano, anche se al riguardo niente è stato possibile riscontrare.» (G. Chiari, 2010, p. 37, cit.). Denotato, a) che nelle lucide memorie del Bronchi non si rileva alcun riferimento temporale all’epoca di costruzione del fabbricato in questione, peraltro a lui ben noto e ben resocontato, ma solo allo stile architettonico, b) che è documentato che nel Sei–Settecento il bestiame era tenuto allo stato brado e probabilmente non disponeva di ricoveri, è fortemente avvalorabile l'ipotesi che su quel bel prato dove ora sorge la chiesetta si trovasse quella palazzina granducale di caccia 'in stile rinascimentale toscano', distrutta durante la guerra (stesso trattamento i tedeschi in ritirata riservarono alla chiesetta di Campigna, utilizzata come deposito di munizioni), documentata già esistente nel 1605 quando la caccia e pesca erano oggetto di riserva granducale. Al tempo del Siemoni si può far risalire il breve viale granducale alberato con noci e tigli, i cui resti ancora attraversano il piano (il tutto sul modello di quanto contemporaneamente realizzato a Campigna).
Ad oggi (2017), se il Baraccone, utilizzato fino al 1914, attende ancora un recupero e riutilizzo, l’annesso agricolo (nel 2010, come da data impressa) è stato ristrutturato con la realizzazione del Rifugio Tigliè, ricovero escursionistico dedicato al maresciallo forestale Alberto Tigliè, uno dei protagonisti nella creazione della Riserva di Sasso Fratino. Arrivando alla Lama si trova anche la Fonte di Francesco, dedicata all’ultimo comandante della casa forestale Francesco Bertinelli (quindi priva di riferimenti religiosi). Dalla documentazione storico-fotografica per i fabbricati scomparsi non pare riconoscibile alcun aspetto di rilievo.
Riguardo l’aspetto infrastrutturale, si deve al Siemoni la prima modernizzazione della futura Strada degli Acuti, rettificando l’antico percorso di esbosco, una Via dei legni, che raggiungeva e valicava il crinale al Gioghetto. L’uso del toponimo Acuti (segnalato da apposito cartello) oggi forse è consolidato a causa della presenza, a quota 1167 m, di un tornante strettissimo della rotabile moderna ma, come risulta dalla citata Pianta Geometrica, nel 1850 Poggio Cornacchia era detto Poggio Acuti evidentemente per le sue spiccate caratteristiche morfologiche mentre accanto scorreva (scorre) il Fosso degli Acutoli, tutti elementi cui relazionare l’oronimo e l’idronimo.
Dal confronto tra la Pianta Geometrica del 1850 e la Carta Geometrica della Regia Foresta Casentinese per dimostrare il progressivo avanzamento dei lavori e dei rapporti forestali che dall’anno 1837 segna l’epoca della sua ultimazione (URL cit.) anch’essa del 1850 ma utile per il confronto con lo stato di fatto al 1837, è possibile rilevare le modifiche ottocentesche, consistenti nella realizzazione più a valle del tratto quasi rettilineo verso Piano delle Malinotti evitando gli stretti tornanti tra La Docciolina e la Cava dei Frati. La pista proseguiva poi per Giogo Seccheta e per Sodo alla Calla. Il tratto tra Acuti e Gioghetto è invece opera moderna; infatti, compare come “sentiero” nella cartografia IGM del 1937 come pure il tratto del Siemoni. Tale differenza di classificazione appare evidente dal confronto con la Carta d’Italia del 1893-94. Nel primo trentennio del XX secolo La Lama venne quindi servita dalla notissima Ferrovia del Cancellino che operò, prima privatamente poi statalizzata, per l’esbosco di notevoli quantità di legname; la sede ferroviaria divenne poi strada forestale ed oggi è pubblicizzata come la pista cicloturistica forestale “più bella d’Italia”. Tra il 1935 e gli anni ’50 venne realizzata anche la strada forestale per Campo alla Sega poi fino a San Paolo in Alpe, con l’intento di estendere l’esbosco raggiungendo l’impervia e finora inutilizzata area di Sasso Fratino, impedito dall’operato della dirigenza forestale (F. Clauser) fino all’istituzione della riserva. Per alcuni decenni, fino alla chiusura del transito privato veicolare di tutte le strade forestali, la Lama disponeva di un’area di sosta ricreativa attrezzata e il Baraccone, reso utilizzabile, ospitava un punto di ristoro.
Un capitolo a parte riguarda l’impianto di specie esotiche eseguito all’epoca del Siemoni con la costituzione di un arboreto (Cedri, Abeti, Pini, Larici e Cipressi) posto oltre il Baraccone, purtroppo recentemente (2015) piuttosto trascurato e con resti di una piccola discarica, e di altre specie secolari poste accanto e dietro il ricovero e le mangiatoie (una Sequoia gigante, due Thuie o Cedri giganti, due Cedri della California) e presso un tratto della recinzione (alcuni Ginepri della Virginia, forse ultimi di un filare) che ormai hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli: non esistendo alcun tipo di segnaletica, occorre tentare l’esplorazione ed il loro riconoscimento (v. mappa e foto allegate).
N.B.: - Informazioni preziose riguardo luoghi e fabbricati si hanno grazie ai rapporti della Descriptio provinciae Romandiole, rapporto geografico-statistico-censuario redatto dal legato pontificio cardinale Anglic de Grimoard (fratello di Urbano V) per l’area della Romandiola durante il periodo della “Cattività avignonese” (trasferimento del papato da Roma ad Avignone, 1305-1377). Se la descrizione dei luoghi ivi contenuta è approssimativa dal punto di vista geografico, è invece minuziosa riguardo i tributi cui era soggetta la popolazione. In tale documento si trova, tra l’altro, la classificazione degli insediamenti in ordine di importanza, tra cui i castra e le villae, distinti soprattutto in base alla presenza o meno di opere difensive, che vengono presi in considerazione solo se presenti i focularia, ovvero soggetti con capacità contributiva (di solito nuclei familiari non definiti per numero di componenti; ad aliquota fissa, il tributo della fumantaria era indipendente dal reddito e dai possedimenti). In particolare, nelle vallate del Montone, del Rabbi e del Bidente furono costituiti i Vicariati rurali delle Fiumane.
- L’Opera del Duomo di Firenze, dopo la presa in possesso delle selve “di Casentino e di Romagna”, aveva costatato che sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove si manifestavano numerosi disboscamenti (roncamenti) non autorizzati. Desiderando evitare nuovi insediamenti, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. Altri elenchi e documenti utili si sono susseguiti nei secoli seguenti, fino ai contratti enfiteutici del 1818 e del 1840 con il Monastero di Camaldoli, contenenti una precisa descrizione dei confini e delle proprietà dell’Opera.
- Le “vie dei legni” indicano i percorsi in cui il legname, tagliato nella foresta, tronchi interi o pezzato, dal XV° al XX° secolo veniva condotto prima per terra tramite traini di plurime pariglie di buoi o di cavalli, a valicare i crinali appenninici fino ai porti di Pratovecchio e Poppi sull’Arno, quindi per acqua, a Firenze e fino ai porti di Pisa e Livorno.
- La sega ad acqua venne inventata da Villard de Honnecourt nel sec. XIII e Leonardo da Vinci ne studiò il funzionamento nel 1480. A metà del ‘400 in Casentino sono documentate una sega ad acqua a Camaldoli (i monaci sono stati sempre all’avanguardia nella lavorazione del legno) e due artigiani specializzati a Papiano (M. Massaini, 2015, cit.) mentre, sul versante romagnolo «All’interno della foresta si costruirono direttamente e per concessione a terzi, nel corso del ‘500 e del ‘600, alcune seghe idrauliche per la lavorazione del legname sul posto e la sua preparazione al trasporto (sega del fosso del Bidente, sega del Ridracoli, dell’Asticciuola, del Ricopri). Tali seghe lavoravano al limite della legalità e, nonostante una rigida legislazione e una serie di regolamenti e di divieti per impedire tagli abusivi, per tutta l’età moderna hanno favorito la spogliazione della foresta da parte delle popolazioni confinanti.» (N. Graziani, 2001, p. 149, cit.). In particolare nel ‘6-‘700 l’Opera del Duomo di Firenze puntò al depezzamento del legname in dimensioni di più agevole trasporto con la costruzione di numerose seghe ad acqua in foresta, che però si ridussero ad una tra ‘700 e ‘800 a seguito del progressivo e totale disimpegno della stessa Opera, in attesa dei miglioramenti introdotti dal Siemoni.
RIFERIMENTI
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URL http://geo.regione.emilia-romagna.it/schede/geositi/scheda.jsp?id=1633-1658;
URL www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.
raggiungibile per sterrata da Casanova dell'Alpe oppure da Cancellino di Badia Prataglia (non consentito accesso ai mezzi motorizzati)
Testo di Bruno Roba - La Lama è raggiungibile tramite S.F. del Cancellino (sterrata di 20 km), in estate approfittando del servizio navetta, o in bicicletta. Il sito più vicino raggiungibile in auto è il Paretaio tramite le sterrate che transitano da Casanova dell’Alpe; una breve bretella collega con la S.F. del Cancellino riducendo a poco più di 11 km la distanza tra la sbarra e la Lama. È però interessante giungervi tramite la sentieristica dai passi appenninici o dal Lago di Ridràcoli, anche con avvicinamento tramite il battello elettrico.
Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.
00A – Ubicazione della Valle del Fosso della Lama e suoi affluenti degli Acuti, dei Fangacci, dei Pianelli, della Spazzola e dei Forconali nell’ambito dei bacini idrografici dell’Alta Valle del Bidente.
001a – 001b – 001c - Dal sentiero degli Scalandrini, che segue l’incisione del Fosso dei Fangacci sul versante meridionale del Monte Penna, un particolare e noto scorcio visivo consente di traguardare l’intero asse fluviale Lama/Ridràcoli ed eventualmente individuare la chiesetta e i prati adiacenti al recinto di acclimatazione della fauna (8/09/2011 – 17/11/11 – 6/11/15).
001d - 001e - 001f – Da Poggio Fonte Murata veduta verso lo Spartiacque con uno scorcio dei prati della Lama (12/06/20 – 8/07/20).
001g/001l – Uno dei rari siti da cui si può scorgere dall’alto l’area della Lama è il Monte Penna, ma le recenti limitazioni non consentono alcuni scorci tra i varchi della vegetazione, che comunque si limitano alla chiesetta e ai prati adiacenti al recinto di acclimatazione della fauna (8/05/11 – 27/05/11).
001m – Schema da cartografia moderna del bacino idrografico del Fosso della Lama e suoi affluenti degli Acuti, dei Fangacci, dei Pianelli, della Spazzola e dei Forconali.
002a/002l – Il “Pian della Lama” con le sistemazioni moderne e recenti e i resti del Viale dei Tigli (Tilia cordata, Tiglio selvatico) impiantato dal Siemoni (21/03/11 – 18/08/11 - 8/09/11 - 17/11/11 - 9/06/14 – 9/11/14 – 23/10/15).
002m – 002n – 002o – La Fonte di Francesco, dedicata all’ultimo comandante della casa forestale Francesco Bertinelli, e le spallette del ponticello con riutilizzo di spezzoni dei binari della dismessa Ferrovia del Cancellino (21/03/11 – 18/05/11).
003a/003m – Anche il Baraccone, di nuovo in stato precario, fu rinforzato con riutilizzo di spezzoni dei binari della dismessa Ferrovia del Cancellino, mentre l’adiacente ex annesso agricolo è stato restaurato e riadattato con la realizzazione del Rifugio Tigliè, ricovero escursionistico dedicato al maresciallo forestale Alberto Tigliè, uno dei protagonisti nella creazione della Riserva di Sasso Fratino (21/03/11).
003n/003q – La moderna cappella in stile alpino pare che non abbia dedica mentre sulla parete esterna si trova una lapide commemorativa (IL SILENZIO E L’OMBRA DELLA FORESTA DELLA LAMA FURONO COMPAGNI AL CAMMINO DEI GENERALI INGLESI CHE SFUGGITI ALLA PRIGIONIA ED OSPITATI E PROTETTI NEL CONVENTO DI CAMALDOLI NEL SETTEMBRE 1943 FURONO CONDOTTI DALLA MANO AMICA DI UN MONACO A SEGHETTINA E QUINDI DA UNA CATENA DI solidarietà DEI PATRIOTI FINO ALLE LORO LINEE. OTTOBRE 1984. LA PROVINCIA DI FORLì (21/03/11 - 9/06/14).
003r – 003s – 003t – Resti di murature all’inizio della Via degli Acuti e, poco più avanti, la Fonte di Regina (21/03/11).
003u – Schema di mappa relativo alla situazione al 1937 dedotto da cartografia storica IGM.
003v – Ricostruzione neografica dedotta dalla Pianta Geometrica dei Terreni assegnati alla Sega a Aqua, costruita dai Signori Fratelli Wital di Firenze nella Ra Foresta Casentinese nell cosi detto Pian della Lama, datata dicembre 1846, disegnata (e sottoscritta) con grande cura dei dettagli da Carlo Siemoni, custodita presso il Nàrodni Archiv Praha (cit.)
004a/004e – Il Monte Penna visto dalla Lama (21/03/11 - 17/11/11 - 5/05/15).
004f/004n – Dalla Lama, scorci sullo spartiacque appenninico, su Poggio Cornacchia, su Poggio Fonte Murata e verso le prime pendici della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino delimitata dalla S.F. La Lama/Campo alla Sega (18/08/11).
004o – 004p - 004q – I ristagni e il lento scorrere delle acque evocano le origini del sito (21/03/11 – 9/06/14).
004r – Il manifesto del sito Natura 2000 (21/03/11).
005a/005p – Alberatura maestose vegetano nel Pian della Lama: Acer pseudoplatanus, Acero pseudo platano, Crataegus monogyna, Biancospino comune, Fraxinus excelsior, Frassino comune, Populus alba, Pioppo bianco, Salix alba, Salice bianco, Tilia cordata, Tiglio selvatico, Tilia platyphyllos, Tiglio a foglie larghe (9/06/14 - 5/05/15).
006a/006f – Risalendo dietro il Baraccone si trova l’indicazione per l’Arboreto curato dai figli del Siemoni anche con essenze esotiche, purtroppo trascurato e privo di cartellini identificativi. Nelle foto: Abies cephalonica, Abete greco, Larix decidua, Larice, Pinus nigra, Pino nero Il Pino del Siemoni (5/05/15).
007a/007f – Sul limite dell’ex recinto di acclimatazione della fauna selvatica vi sono alcuni esemplari (probabilmente in origine un filare) di Juniperus virginiana, Ginepro della Virginia (5/05/15).
008a/008q – Sul margine del recinto si trova un esemplare di Sequoiadendrum giganteum, Sequoia gigante fittamente ramificata ma purtroppo svettata da un fulmine, due esemplari di Calocedrus o Libocedrus decurrens, Cedro della California dalle grosse ramificazioni particolarmente contorte, e due esemplari di Thuia plicata, Cedro rosso gigante (21/03/11 – 5/05/15).
008r – Mappa schematica dei siti e delle emergenze ambientali di Pian della Lama.
008s/008y – Risalendo lungo la Via degli Acuti si colgono suggestive emergenze ambientali, tra cui l’impronta fossilizzata di una rana (21/03/11).
009a/009q – Il fitto reticolo idrografico evidenzia la confluenza tra il Fosso degli Acuti e una ramificazione di fossi già detta Alla Fonte Grattugia e Fosso dei Gamberi, e, all’altezza del Sentiero degli Scalandrini superata da un’antica struttura pontiva, la confluenza del Fosso dei Fangacci da cui avrebbe origine il Fosso della Lama, caratterizzato da cascatelle. Ricevuto il contributo del Fosso dei Forconali, divenuto con certezza Fosso della Lama, al termine del piano il suo corso sprofonda improvvisamente (21/03/11).
010a/010d – Lo strettissimo tornante degli Acuti, visto anche dal margine di Pian delle Malenotti (2/02/11 – 21/03/11).
010e/010q – Il tratto ottocentesco della Via degli Acuti si riconosce anche dalla pezzatura lapidea irregolare delle strutture di sostegno e pontive e dall’anzianità delle alberature che vi si sono abbarbicate, in un ambiente caratterizzato da imponenti banchi arenacei dai quali, tra l'altro, sgorga la Fonte di Antonio (la segnala il cartello che emerge tra la neve) (21/03/11).
010r – Dalle due versioni delle Piante del 1837 e del 1850 (elaborazione neografica) oltre all’esistenza di un fitto reticolo di percorsi si rileva la consistenza della “Variante Siemoni” che, spostando verso valle parte della sede viaria, permise di evitare una parte di stretti tornanti che risalivano il versante.
010s/010v - Resti del tracciato e del selciato dell’antica Via dei fedeli di S. Romualdo (12/06/17).
011a/011h – Lungo la S.F. del Cancellino, a circa 1,5 km dalla Lama, si trova la Fonte Solforica dove colonie di solfobatteri formano una mineralizzazione solforosa (18/05/11 – 9/06/14).
012a/012d – Lungo la S.F. del Cancellino, adiacente alla Lama e circa 3,5 km, si trovano la Croce Milanesi e la Croce Fabbri a commemorazione di eventi luttuosi (9/06/14 – 5/05/15).
013a/013e – Fiori e frutti della Lama: Hepatica nobilis, Anemone epatica, Epatica, Erba trinità, Sambucus nigra, Sambuco comune, Sambuco nero, Physalis alkekengi, Alchechengi comune, Coralli, Fisalide, Euonymus latifolius, Cappello da prete maggiore, Evonimo a foglie larghe, Fusaria maggiore (21/03/11 – 18/08/11).