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La Fossa

inserita da Bruno Roba
Comune : Santa Sofia
Tipo : casa isolata
Altezza mt. : 850
Coordinate WGS84: 43 53' 57" N , 11 44' 4" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

Testo di Bruno Roba (20/10/17 – Agg. 1/02/19)

Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, la Valle del Fiume Bidente delle Celle riguarda il ramo occidentale del Bidente ed è delimitata: ad Ovest, da un tratto del contrafforte principale che distacca dal Monte Falco proseguendo per Pian Cancelli «[…] per la costa di Pian delle Fontanelle (m. 1520) scende rapidamente a Poggio Bini (m. 1105), attraversa Poggio Corsoio e risale a Monte Ritoio (m. 1193) […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.), vira bruscamente verso Est fino al Monte dell’Avòrgnolo, dove riprende l’andamento principale puntando verso Forlì per terminare dopo circa 55 km evidenziando presto i Monti Guffone e della Fratta. Presso l’Avòrgnolo si stacca la dorsale di Pian dell’Olmo, che disegna quell’arco di rilievi che completano la delimitazione del versante vallivo sx, costringendo il Fiume Bidente delle Celle a riunificarsi con il Bidente di Campigna presso Lago e contribuendo a generare poco più in là, sotto il borgo omonimo, il Fiume Bidente di Corniolo. Dai rilievi del contrafforte si staccano varie dorsali delimitanti valli e vallecole contributive del bacino imbrifero: a quella principale, topica, di testata del Bidente delle Celle costituita dalla Valle del Fosso delle Celle seguono in sx idrografica le Valli del Fosso dei Fondi, delle Fontacce, di Lavacchio e della Fontaccia.

Come gli altri vicini, il bacino fluviale del Bidente delle Celle mostra una morfologia nettamente differenziata: se per il versante a ridosso delle maggiori quote dello spartiacque appenninico conseguono fortissime pendenze modellate dall’erosione con formazione di canaloni fortemente accidentati, anche il versante orientale appare frastagliato mentre i versanti occidentali o prevalentemente esposti a meridione mostrano pendii più dolci a prato-pascolo, spesso su terrazzi orografici, che si alternano a tratti intensamente deformati e brecciati. In particolare, prima di rialzarsi con il M. Ritoio, il primo tratto di contrafforte fino a Poggio Bini, con la dorsale che da esso si distacca compenetrando l’alta Valle delle Celle, disegna un anfiteatro naturale che costituisce il bacino idrografico dove ha origine il Fosso delle Celle, che evidenzia pressoché tutti gli aspetti elencati.

Riguardo la toponomastica dell’asta fluviale principale si nota che, destino comune di ogni ramo bidentino di cambiare spesso identità e con differenze tra le varie cartografie, questo ramo del Bidente nel primo tratto è il Fosso delle Celle fino alla confluenza con il Fosso di Pian del Grado, presso Celle, quando diviene Fiume Bidente delle Celle, denominazione che mantiene fino allo sbocco della sua valle presso Lago, quando si riunifica con il Bidente di Campigna. Storicamente era il Fosso Bidente delle Celle, però con origine spostata poco più a monte di Celle ed attribuita alla confluenza tra il Fosso di Pian del Grado e il Fosso dell’Ortaccio. Se si analizza il catasto moderno si vede inoltre che il Fosso delle Celle avrebbe uno sviluppo ridottissimo in quanto avente origine dalla confluenza dei Fossi Guscella e dell’Asticciola, subito a valle de La Casina. In particolare, il Fosso Guscella corrisponde al ramo del Fosso delle Celle appartenente all’asta torrentizia-fluviale principale, avente specifica origine da Poggio Bini.

La viabilità più antica riguardante anche la valle delle Celle è la Via Flaminia Minor, utilizzata dalle legioni romane per valicare l’Appennino al fine di sottomettere Celti, Liguri e Galli Boj che stanziavano nella pianura padana: si ipotizza che provenendo da Montelleri, sopra Stia, transitasse dal Lago degli Idoli, dal Monte Falco e da Poggio Sodo dei Conti, quindi discendeva da quella che oggi è nota come Pista del Lupo lungo la Costa di Pian Cancelli transitando da Pian delle Fontanelle (così detta per la presenza di polle d’acqua) e da Poggio Corsoio dove trovava un bivio ancor oggi praticato: a sx si dirigeva verso Castel dell’Alpe e Faenza per immettersi nella Via Aemilia (questo è ritenuto il più antico itinerario di valico), a dx si dirigeva verso Forlì e Ravenna sia transitando dal crinale del contrafforte principale, dove passava accanto la vetta di Monte Ritoio, sia discendendo verso il percorso vallivo in direzione di Galeata (l’antica Mevaniola), toccando La Fossa poi rasentando Le Celle (dove incrociava il percorso di controcrinale Celle-S. Paolo in Alpe) ed attraversando le Ripe Toscane, le cui stratificazioni rocciose ancora oggi si mostrano funzionali alla percorrenza, anche grazie alla “modernizzazione” dei primi anni del Novecento. Questo tratto, presso il quale sono sorti gli insediamenti di Torni, già C. Torni e Forni, Fossa, Porcini di Sopra già Forni, Porcini di Sotto, oltre ai citati La Casina e La Fossa, costituiva uno dei principali collegamenti con Pian del Grado, infatti sede dei funzionari, detti Operai, e delle guardie dell’Opera del Duomo, quindi “capoluogo” di una valle che ospitò insediamenti di nuclei arcaici di origine ligure e venne sicuramente percorsa anche dai Bizantini di Ravenna a scopo difensivo rispetto ai Longobardi. Parte importante della foresta che la ricopriva (estendendosi fino a Poggio della Serra), detta selva di Castagno, rientrava nella prima donazione del 1380 a favore dell’Opera fiorentina, il cui sfruttamento essa tese subito a riservarsi in modo particolare per le proprie necessità, anche perché la sua collocazione consentiva di limitare i costi di taglio, smacchio e trasporto il quale, anziché verso il porto di Pratovecchio avveniva verso quello di Dicomano sulla Sieve, raggiungendo il crinale ai prati di Sodo dei Conti.

Nella parte più remota della valle dominata dalle cime appenniniche, prima di giungere al ponte moderno con cui la Pista di servizio S.P. 4 del Bidente-Poderone-Pian del Grado attraversa il Fosso di Pian del Grado, occorre fare mente locale (con l’aiuto di una mappa accurata) per rendersi conto che ci si trova nell’area dell’oggi trascuratissimo insediamento industriale/religioso de Le Celle che, insieme al villaggio di Pian del Grado, nel massimo sviluppo demografico giunse a contare una trentina di nuclei familiari (316 abitanti nel 1896). Costituito dalla Chiesa di S. Maria alle Celle, dal Molino di Sopra, dal Molino delle Celle, dal Cimitero di Celle, e dal nucleo di Pianacci, si può estendere fino alla “casa nuova sopra Pianacci, tutti fabbricati abbandonati da decenni e ridotti a rudere. Abbandonata la rotabile e raggiunto subito il fosso si ritrovano le infrastrutture viarie testimonianti di un fondamentale snodo di transito locale e generale costituite da un ponte in legno ad una campata che attraversa il Fosso di Pian del Grado e da un ponte in muratura di pietrame ad arco ribassato che attraversa il Fosso delle Celle: sia questo (di probabile fattura di inizio ‘900) sia quello in legno (più recente) sono sostituzioni di strutture antiche inevitabilmente preesistenti data l’importanza del tracciato, comunque rappresentati nella cartografia di impianto I.G.M. del 1937 con il simbolo grafico detto “pedanca”. Utilizzato anche per raggiungere Pian del Grado tramite La Fossa, questo tracciato dovette mantenere un rilievo superiore fino al XX sec. inoltrato se la mulattiera di fondovalle, come rappresentato già nel catasto ottocentesco e in parte corrispondente alla moderna rotabile, nella cartografia storica IGM viene rappresentata mentre, rasentato il Mulino delle Celle, attraversa il Fosso di Pian del Grado senza strutture, quindi a guado (ma permangono resti consistenti del tracciato che da Celle raggiunge il cimitero e prosegue verso Pian del Grado, ma forse realizzato a seguito della dotazione cimiteriale). Tra i due ponti posti alla confluenza tra il Fosso di Pian del Grado e il Fosso delle Celle, da cui ha origine il Fiume Bidente delle Celle, isolati e praticamente infossati si ergono i resti dell’ormai completamente diroccata Chiesa di S. Maria alle Celle. La prima documentazione della sua esistenza si ha grazie ad … «[…] un atto del 15 aprile 1270, col quale Ventura abate dell’Isola dà in locazione a Bonaventura da Sasso un podere […] nel luogo detto Celle di Solaiolo […] coll’obbligo di far celebrare ogni anno 2 Messe al mese nella chiesa delle Celle […] (Archivio di stato di Firenze, Spogli delle cartapecore di Camaldoli, v. II). […] Campigna appartiene alla parrocchia di S. Maria delle Celle. Di essa abbiamo una prima memoria nel 1223, in un atto delle cartapecore di Camaldoli, come dipendente dalla pieve di Galeata.» (D. Mambrini, 1935 - XIII, pp.268, 271, cit.), documento che consente anche di datare una “chiesa delle Celle” almeno al XIII sec., senza però poter conoscere la sua esatta datazione e collocazione: Celle di Solaiolo è il luogo un podere concesso in cambio di celebrazioni nella chiesa già esistente dal 1223. Nella zona pare vi fosse già insediato un eremo camaldolese: «CELLE AL CORNIOLO […]. La parrocchia di Santa Maria delle Celle […] prese il nome da un antico eremo, fondato in questi luoghi selvosi dai conti di Valbona e donato poi da essi nel 1091 ai Camaldolesi dell’Abbazia di Isola.» (E. Rosetti, 1894, p.194, cit.). Dalla relazione di una visita del 1677 dei funzionari dell’Opera: «[…] passando da Monte Corsoio luogo di nostro confino con lo Spedale di S. Maria Nuova scesimo abbasso sino alla Chiesa delle Celle nel qual viaggio molto disastroso per li cattivi passi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 320-321, cit.). Secondo un autore di oggi: «È ipotizzabile che in un profondo stato di povertà, qualche monaco, la cui antichissima presenza dette nome a questa plaga, le Celle, per la comoda disponibilità dei sassi del fiume, non si fosse preoccupato più di tanto di andare a costruire l’oratorio in cima ad un poggetto come tradizione avrebbe suggerito. Di laggiù dove venne costruita la Chiesa, anche il richiamo della campana doveva giungere assai attutito ai timpani dei fedeli sparsi per quelle aride piagge […]» (P.L. della Bordella, 2004, p. 46, cit.). Un altro autore riporta le descrizioni dei vari visitatori pastorali del ‘6-700, che paiono corrispondere alla situazione odierna: «La chiesa è situata in un asperrimo luogo, alla radice del sommo giogo dell’Appennino, sotto il dirupo di Galterone […] è posta tra il fiume e il fosso e da ambe le parti circondata d’abeti e in luogo orrido e di grande solitudine […]» (E. Agnoletti, 1996, p. 61, cit.).

In questo contesto storico-geografico, a differenza della parte valliva più profonda, da sempre considerata periferica e difficilmente raggiungibile quindi maggiormente segnata dall’abbandono, la Valle del Fosso delle Celle, favorita dalla felice esposizione a meridione e dalla dolce morfologia dei suoi pendii, che hanno favorito il disboscamento con trasformazione in prati-pascoli fino a ridosso del crinale, nonché dalla moderna realizzazione di un’infrastrutturazione viaria, stagionalmente è ancora utilizzata da allevamenti di bestiame allo stato brado e registra l’utilizzo dei suoi principali insediamenti a fini agricoli e/o turistici. Finora non citati, ma presenti quanto abbandonati, sono da segnalare i consistenti resti del Capanno di Porcini e del Seccatoio di Casina, che si trova all’interno dell’Emergenza antropico-ambientale La Casina costituita dal relitto di un castagneto secolare considerato rarità botanico/vegetazionale. Da ricordare che in questa valle, anziché le tipiche maestà, sono presenti due cellette (una a Pian del Grado ed una a La Fossa, cui forse si deve la toponomastica locale insieme al probabile riferimento alle cellae dell’antichissimo eremo), piccoli e caratteristici chiostri votivi che paiono unire la funzione devozionale al culto delle acque, essendo corredati di fontana con (resti di) mensola/acquaio a corredo dell’icona sacra.

Dopo un breve tratto di mulattiera che ancora conserva tracce del selciato e rasenta il piccolo promontorio che ospita gli enigmatici e consistenti ruderi, a fatica riconoscibili ormai ricoperti di rovi, che il Catasto Toscano del 1826-34 degna del toponimo Pianacci (le cui singolari caratteristiche planivolumetriche rendono lecito ipotizzare che si tratti dei resti di un edificio religioso - cfr. scheda toponomastica Pianacci sopra Celle), si risale in direzione La Fossa lungo un canalone causato dal dilavamento dell’antica sede viaria superando l’anonima “casa nuova n.73”, che nella struttura attuale appare edificio novecentesco realizzato in sostituzione o ampliamento di un fabbricato più piccolo, già presente nel Catasto Toscano del 1826-34, oggi corrispondente al civico n.73 della S.Vic.le Fossa-Foscolo, il cui ronco è oggi ricoperto da una fitta quanto circoscritta abetina che rende il sito facilmente individuabile anche da viste panoramiche agevolando anche la percezione dei luoghi circostanti. La Fossa, nella mappa I.G.M. del 1894 C. la Fossa, è costituito da un aggregato articolato e complesso di abitazioni e annessi (in origine fienili e stalle) di interesse storico-architettonico, dove si distingue un edificio principale suddiviso in due corpi congiunti da un passaggio coperto ad arco che scavalca uno dei tanti percorsi che vi convergono, attorno al quale si distribuiscono ulteriori annessi, una cappella e la citata celletta. L’ingresso principale presenta particolari architettonici quali un portale a tutto sesto in conci di arenaria con chiave d’arco decorata con lo stemma di Premilcuore e incisa con (dall’alto in basso): le iniziali G.C. e la data 1733 che attorniano il giglio di Firenze, tre stelle, l’arcobaleno, un cuore trafitto da una freccia (simbolo di carattere religioso rappresentante il cuore di Maria Addolorata); tale portale, sottostante una profonda loggetta, costituiva l’accesso al nucleo originario del fabbricato che subì numerosi interventi di ampliamento difficilmente riconoscibili i quali, grazie agli studi effettuati negli scorsi Anni ’80 (AA.VV., 1984, cit.), sostanzialmente sono riconducibili a sei fasi di crescita. Fino alla terza fase si ebbero due case coloniche adiacenti, accresciute indipendentemente infatti separate dallo stretto corridoio stradale che, forse solo in seguito, conduceva a Pian del Grado; con la quarta fase si realizza il collegamento tra esse creando il passaggio coperto ad arco. Tra i fabbricati che circondano il complesso principale è da ricordare la cappella, che ebbe funzioni ecclesiastiche come Oratorio di S. Giuseppe alla Fossa, voluto da don Giuseppe Coverini vicino alla sua casa, consacrato il 12 aprile 1730 e documentato fino al 1756 nelle visite apostoliche  da cui risulta dotato di un altare con un dipinto rappresentante la Madonna con i santi Francesco e Giuseppe da Copertino. Oggi ha perso la sua funzione originaria, infatti: «Negli anni ’80 di questo secolo, la cappella di S. Giuseppe alla Fossa, si trovava ancora in ottime condizioni statiche, anche se dell’Oratorio non era rimasto più nulla, essendo stato ristrutturato come abitazione civile dove abitavano ancora due donne. Sulla facciata c’era una porta rettangolare, su cui stava una finestra della stessa forma. Sul fianco sinistro, un’altra finestra illuminava la cucina.» (E. Agnoletti, 1996, p. 70, cit.).

Nella Descriptio Romandiole del 1371 risulta documentato come Villa Alefosse raggiungente 4 focularia, connessa al Castrum Valcaurie, castello probabilmente ubicato a Valcapra e appartenente all’Abbazia di Sant’Ellero di Galeata. Rilevato nel Catasto Toscano del 1825-34, quando risultava di due proprietari, Antonio Vargimigli (che disponeva di 4 stanze) e Sebastiano Pini (6 stanze), il complesso, che è rimasto da allora sostanzialmente inalterato nel tempo pur presentando alcune modifiche planimetriche, nei primi anni ’80 appariva ancora utilizzato come edificio rurale, completamente restaurato compresa la cappella. Oggi è utilizzato a fini turistici.

N.B. Informazioni preziose riguardo luoghi e fabbricati si hanno grazie ai rapporti della Descriptio provinciae Romandiole e delle visite pastorali o apostoliche.

- La Descriptio è un rapporto geografico-statistico-censuario redatto dal legato pontificio cardinale Anglic de Grimoard (fratello di Urbano V) per l’area della Romandiola durante il periodo della Cattività avignonese (trasferimento del papato da Roma ad Avignone, 1305-1377). Grimoard aveva sostituito il cardinale Egidio de Albornoz (1310-1367) che era stato inviato da Innocenzo III con le truppe spagnole per ridurre i poteri giurisdizionali locali, vescovili, monastici, abbaziali e feudali, all’ubbidienza ed al fine di creare un nuovo sistema amministrativo e tributario. L’Albornoz, da un lato si trova di fronte ad una progressiva espansione militare e diplomatica nelle zone montane della Repubblica fiorentina che, più che all’unità politico-amministrativa della Provincia Florentina in partibus Romandiola demandata a capitanati, podesterie e vicariati retti da funzionari fiorentini, puntava soprattutto a un controllo territoriale per garantirsi il transito commerciale su un’area di confine già scarsamente integrata al resto della Toscana e insofferente rispetto alle pressioni esterne, tendendo semmai ad accentuarne i caratteri di zona-cuscinetto, cui era funzionale l’assenza di infrastrutture viarie specie nell’area romagnola; dall’altro lato assiste ad un progressivo indebolimento dello Stato Pontificio a causa dei conflitti e dei particolarismi locali, suddiviso in diocesi “romagnole” di diversa appartenenza areale, che disegna un territorio ben lontano da essere considerato organicamente unitario in senso storico-politico-amministrativo (“sogno” che peraltro non realizzeranno compiutamente nemmeno i Medici con l’istituzione nel 1542 della Provincia della Romagna fiorentina o i Lorena). Ne conseguì l’istituzione delle nuove divisioni dei Vicariati ecclesiastici, posti sotto il diretto controllo avignonese, che tuttavia non risposero al disagio della popolazione, comunque ancora priva di un centro di potere unitario cui fare riferimento. La descrizione dei luoghi contenuta nel rapporto dell’Anglic, che è pertanto inevitabilmente (ma approssimativamente) unitaria dal solo punto di vista geografico, è invece minuziosa riguardo i tributi cui era soggetta la popolazione. In tale documento si trova, tra l’altro, la classificazione degli insediamenti in ordine di importanza, tra cui i castra e le villae, distinti soprattutto in base alla presenza o meno di opere difensive, che vengono presi in considerazione solo se presenti i focularia, ovvero soggetti con capacità contributiva (di solito nuclei familiari non definiti per numero di componenti; ad aliquota fissa, il tributo della fumantaria era indipendente dal reddito e dai possedimenti). In particolare, nelle vallate del Montone, del Rabbi e del Bidente furono costituiti i Vicariati rurali delle Fiumane.

- La visita apostolica o pastorale, che veniva effettuata dal vescovo o suo rappresentante, era una prassi della Chiesa antica e medievale riportata in auge dal Concilio di Trento, che ne stabilì la cadenza annuale o biennale, raramente rispettata. La definizione di apostolica può essere impropria in quanto derivante dalla peculiarità di sede papale della diocesi di Roma, alla cui organizzazione era predisposta una specifica Congregazione della visita apostolica. Scopo della visita pastorale è quello di ispezione e di rilievo di eventuali abusi. I verbali delle visite, cui era chiamata a partecipare anche la popolazione e che avvenivano secondo specifiche modalità di preparazione e svolgimento che prevedevano l'esame dei luoghi sacri, degli oggetti e degli arredi destinati al culto (vasi, arredi, reliquie, altari), sono conservati negli archivi diocesani; da essi derivano documentate informazioni spesso fondamentali per conoscere l’esistenza nell’antichità degli edifici sacri, per assegnare una datazione certa alle diverse fasi delle loro strutture oltre che per averne una descrizione a volte abbastanza accurata.

- Il toponimo, molto diffuso e variamente declinato, nella trascrizione antica Alefosse può essere una ricostruzione dal romagnolo alfuseni = a le fossine, derivante dal latino classico fossa, -ae, = canale, fossa, scavati dall’uomo, con l’articolo concresciuto, ovvero aggiuntosi per aggregazione.

- In base alle note tecniche dell’I.G.M. se in luogo dell’anteposta l’abbreviazione “C.”, che presumibilmente compare quando si è manifestata l’esigenza di precisare la funzione abitativa, viene preferito il troncamento “Ca” deve essere scritto senza accento: se ne deduce che se compare con l’accento significa che è entrato nella consuetudine quindi nella formazione integrale del toponimo.

Per approfondimenti si rimanda alle schede toponomastiche Valle del Bidente delle Celle e/o relative a rilievi, acque e insediamenti citati.

RIFERIMENTI   

AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;

AA. VV., Il luogo e la continuità. I percorsi, i nuclei, le case sparse nella Vallata del Bidente, Catalogo della mostra, C.C.I.A.A. Forlì, Amm. Prov. Forlì, E.P.T. Forlì, 1984;

AA. VV., Indagine sulle caratteristiche ambientali suscettibili di valorizzazione turistico-culturale delle vallate forlivesi. Repertorio, C.C.I.A.A. Forlì, 1982;

E. Agnoletti, Viaggio per le valli bidentine, Tipografia Poggiali, Rufina 1996;

S. Bassi, N. Agostini, A Piedi nel Parco, Escursioni nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, ComunicAzione, Forlì 2010;

G.L. Corradi (a cura di), Il Parco del Crinale tra Romagna e Toscana, Alinari, Firenze 1992;

P.L. della Bordella, Pane asciutto e polenta rossa, Arti Grafiche Cianferoni, Stia 2004;

A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;

N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Firenze, Le Lettere 2001;

D. Mambrini, Galeata nella storia e nell’arte, Tipografia Stefano Vestrucci e figlio, Bagno di Romagna 1935 - XIII;

A. Polloni, Toponomastica Romagnola, Olschki, Firenze 1966, rist. 2004;

E. Rosetti, La Romagna. Geografia e Storia, Hoepli, Milano 1894;

P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anastatica Castrocaro Terme 1989;

Piano Strutturale del Comune di Santa Sofia, Disciplina particolareggiata degli insediamenti e infrastrutture storici del territorio rurale, 2009, Scheda n.113;

Carta Escursionistica, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze;

Carta dei sentieri, Alpe di San Benedetto, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2014;

Link https://servizimoka.regione.emilia-romagna.it/appFlex/sentieriweb.html.

Link:www.fc.camcom.it.

Percorso/distanze :

Testo di Bruno Roba

La Valle delle Celle è facilmente raggiungibile dalla S.P. 4 del Bidente percorrendo circa 5 km della Pista di servizio SP 4 del Bidente-Poderone-Pian del Grado, in parte sconnessa e ripida. Dai pressi del Molino di Celle o Molino di Sopra uno stradello (Sent. 261 CAI) conduce rapidamente a Celle attraversando i due corsi d’acqua tramite i due ponti. La Fossa si raggiunge percorrendo ulteriori 500 m risalendo di circa 100 m di dislivello. Una rotabile chiusa da sbarra vi perviene scendendo dal crinale presso Colla Pian di Mezzano.

foto/descrizione :

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001a/001g – Dal crinale di Partinico (che costeggia il Geosito delle Mandriacce) si abbraccia la valle del Fosso Bidente delle Celle distinguendo bene il nucleo de La Fossa. La sottostante e circoscritta abetina, che lascia intravedere l’edificio di “casa nuova sopra Pianacci”, segnala il percorso della mulattiera che risale da Celle, posta a 500 m (con dislivello di 100 m), ma nascosta (2/12/16).

 

002a – 002b – 002c - Dall’estremo del crinale del Corniolino, presso I Tre Faggi, si abbraccia l’alto bacino idrografico dove hanno origine i Fossi delle Celle e di Pian del Grado che, confluendo a Celle, daranno origine al Fiume Bidente. Il parzialmente spoglio “crinaletto di Pian del Grado” che si distacca dal contrafforte principale separa le incisioni dei rami alti dei suddetti Fossi, mentre La Fossa riflette la luce solare (e Celle e insediamenti vicini si celano dietro il crinale di Partinico) (30/11/16).

 

003a – 003b – 003c - Dalla S.P. 4R del Bidente, pressi Colla Tre Faggi, scorcio della valle delle Celle e vista ravvicinata de La Fossa (11/02/2016).

 

003d – Risalendo dalla poderale che raggiunge il crinale transitando da C. Foscolo si scopre La Fossa intenta ad osservare le profondità vallive mentre scompaiono nei meandri appenninici (6/12/16).

004a/004dd – Dalla S.F. di Giogo di Castagno (vi si giunge tramite la S.P. n.94 del Castagno dal Passo della Calla), tagliata sotto Pian delle Fontanelle, scorci panoramici consentono la vista della Valle delle Celle mentre dalla parte più elevata a ridosso dal primo tratto del contrafforte tra i MM. Ritoio e Cavallo va a concludersi sempre più stretta. Nell’ampio ventaglio alto-vallivo, tra l’alternanza dei prati pascoli, delle aree brecciate, brulle e incolte e dell’inteso foliage autunnale, si nota il risorto insediamento de La Fossa, mentre sotto l’osservatore il vertice determinato dalla verdeggiante Costa Poggio dell’Aggio Grosso, che delimita l’incisione del Fosso di Pian del Grado, indica il tetto di una casa di quel villaggio (14/04/16 - 16/04/16 - 7/10/17). 

 

004e – 004f– Dal Sentiero degli Alpini (SA 301 CAI) a SO di P.gio Bini, si abbraccia il versante vallivo dai pressi dell’origine del F.so Bidente, prima che diventi fiume; se Celle ovviamente rimane totalmente nascosta nelle profondità che la ospitano, anche La Fossa, benché 10 m più elevata, si nasconde per non smentirsi (16/04/16).

 

004ga –Il bacino idrografico del Fosso delle Celle; elaborazione da cartografia moderna integrata con localizzazione di luoghi di antica datazione; qui l’idronimo è assegnato all’intero corso del fosso.

004gb – Schema di mappa risalente ai primi decenni del XX sec. da cui si nota la fitta rete di mulattiere corrispondente ad una intensa frequentazione della valle.

 

004gc - Elaborazione da cartografia di inizio Ottocento con rappresentazione dell’assetto insediativo ed infrastrutturale: i fabbricati ancora utilizzati sono quelli raggiunti dalle moderne piste poderali mentre tratti superstiti della viabilità antica consentono i collegamenti sentieristici e di raggiungere i fabbricati abbandonati. La scrittura della toponomastica riprende quella originale; il F.so delle Celle, Fossa e il nucleo antico di “casa nuova” compaiono anonimi.

 

004h – 004i - Questo tratto di mulattiera che proviene da Pian del Grado probabilmente non ha origini antichissime o possedeva limitato rilievo, infatti il catasto ottocentesco ne accenna solo un brevissimo tratto, con vista de La Fossa da Ovest (6/12/16).

 

 

005a – 005b – La Fossa vista da SE (6/12/16).

005c/005n – Nel corso delle sue molteplici fasi di sviluppo La Fossa giunge a scavalcare la vecchia via, che diviene un corridoio stretto tra le due case coloniche che si fronteggiavano. L’ingresso della più antica di esse vi si apre preceduto da una loggetta incassata arricchita dal portale con stemma datato 1733 recante le iniziali G.G., il giglio di Firenze, tre stelle, l’arcobaleno e un cuore trafitto da una freccia (simbolo di carattere religioso rappresentante il cuore di Maria Addolorata) (6/12/16 - 6/01/19).

 

005o - Schema delle piante del fabbricato con individuazione delle fasi di crescita e della destinazione d’uso dei locali.

005n/005q - Tra i fabbricati che circondano il complesso principale è da ricordare l’ex Oratorio di S. Giuseppe alla Fossa, documentato tra il 1730 e il 1756 (6/12/16).

005t/005z – Vedute degli annessi del nucleo insediativo (6/12/16 – 6/01/19).

006a/006d – Una delle due cellette della valle, cui forse si deve la toponomastica locale insieme al probabile riferimento alle cellae di un antichissimo eremo, si trova qui (l’altra è a Pian del Grado), quale piccolo e caratteristico chiostro votivo che pare unire la funzione devozionale al culto delle acque, benché apparentemente modificato riguardo la fontana con soprastante mensola/acquaio a corredo dell’icona sacra (6/12/16 – 6/01/19).

 

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