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Monte Falco

inserita da Bruno Roba
Comune : Santa Sofia
Tipo : monte
Altezza mt. : 1657
Coordinate WGS84: 43 52' 39" N , 11 42' 33" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

La cima più alta dell'intero appennino Romagnolo
In realtà la cima si trova già in Toscana, ma sotto l'aspetto geografico trattadosi dello spartiacque dell'Appennino, qui viene considerata per il versante nord est in Romagna

Testo di Bruno Roba (17/01/2018)

Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle e di Campigna poi di Corniolo, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto appenninico spartiacque compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose, strutturate a pettine, denominate dorsali o contrafforti, mentre le loro zone più elevate sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme del rilievo. L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, dal gruppo del M. Falterona e, ad Est, da Cima del Termine.

L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio: «[…] in antico i movimenti delle popolazioni non avvenivano “lungo le valli dei fiumi, […] bensì lungo i crinali, e […] una unità territoriale non poteva essere una valle (se non nelle Alpi) bensì un sistema montuoso o collinare. […] erano unità territoriali il Pratomagno da un lato e l’Appennino dall’altro. È del tutto probabile che in epoca pre-etrusca esistessero due popolazioni diverse, una sul Pratomagno e i suoi contrafforti e un’altra sull’Appennino e i suoi contrafforti, e che queste si confrontassero sulle sponde opposte dell’Arno […].» (G. Caselli, 2009, p. 50, cit.). Già nel Paleolitico (tra un milione e centomila anni fa) garantiva un’ampia rete di percorsi naturali che permetteva ai primi frequentatori di muoversi e di orientarsi con sicurezza senza richiedere opere artificiali. Nell’Eneolitico (che perdura fino al 1900-1800 a.C.) i ritrovamenti di armi di offesa (accette, punte di freccia, martelli, asce) attestano una frequentazione a scopo di caccia o conflitti tra popolazioni di agricoltori già insediati (tra cui Campigna, con ritrovamenti isolati di epoca umbro-etrusca, Rio Salso e S. Paolo in Alpe, anche con ritrovamenti di sepolture). In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur permanendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate ma p. es., nel Settecento, chi voleva salire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami, per il Corniolo, per Ridràcoli e per S. Paolo in Alpe che venivano così descritti: «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi che in modo che appena vi può passare un pedone […] composto di viottolo appena praticabili […] largo in modo che appena si può passarvi […].» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, in L. Rombai, M. Sorelli, 1997, p. 82, cit.); oppure «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, 1992, p. 32, cit.). Così, se al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX.

Percorrendo oggi gli antichi itinerari, gli insediamenti di interesse storico-architettonico o di pregio storico-culturale e testimoniale, esistenti, abbandonati o scomparsi (quindi i loro siti) che si trovano collocati lungo i crinali insediativi sono prevalentemente di carattere religioso o difensivo o sono piccoli centri posti all’incrocio di percorsi di collegamento trasversale. Lungo lo spartiacque geografico corre un tracciato viario che non solo fu il principale percorso di crinale del territorio romagnolo ma, considerato nell’intero sviluppo fino a Poggio Tre Vescovi, fu anche il più naturale collegamento di tutta la penisola. In corrispondenza delle maggiori asperità si allontana dallo spartiacque posizionandosi su uno dei due versanti, più spesso quello toscano esposto più favorevolmente a Sud, ma sostanzialmente si sposta per ragioni orografiche. Il tratto compreso tra i due contrafforti principali è noto come la Giogana, in passato Via Sopra la Giogana o semplicemente Giogo o gran giogo: «Indi la valle, come ‘l dì fu spento,/da Pratomagno al gran giogo coperse/di nebbia; e ‘l ciel di sopra fece intento» (Purgatorio, V, 116). Più recentemente venne descritto il «[…] giogo di Camaldoli, al di là del quale cessa la Comunità di Pratovecchio e sottentra dirimpetto a grecale quella transappenninica di Premilcore.» (E. Repetti, Dizionario geografico fisico e storico della Toscana, 1881-1883). Strada vicinale della Giogana è la denominazione catastale che ancora conserva, con l’aggiunta o della Bordonaia o dei Legni per i tratti a ciò specificamente dedicati sui rispettivi versanti. Come detto, sicuramente frequentata già in era paleolitica e dai primi gruppi preitalici durante le loro migrazioni, in epoca romana, pur avendo perso la viabilità di crinale una funzione portante, era percorsa o attraversata anche da vie militari attestato da reperti. Il tracciato è rimasto in funzione fino alla prima metà del secolo scorso come importante via di comunicazione su grandi distanze ma, in considerazione anche dell’elevata altitudine e della scarsità di sorgenti, non ha mai registrato la presenza di insediamenti, salvo alcuni più recenti e specializzati con finalità turistiche. Già da epoche storiche boscaioli che trasportavano legname a dorso di mulo o conduttori di grossi traini di legname vi transitavano per raggiungere i passi montani; fino al XIX secolo fu inoltre interessato dalla transumanza, pratica talmente diffusa da dover essere regolamentata da parte delle amministrazioni demaniali, secondo regole rimaste invariate dal medioevo alla liberalizzazione dell’ultimo scorcio del XVIII secolo, stabilendo gli itinerari e istituendo le dogane, a fini di controllo e fiscali: «Nell’entrare in Maremma vi erano altre dogane dette Calle: a queste bisognava presentarsi, far contare il bestiame e pigliar le polizze.» (Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, 1774, in: P. Marcaccini, L. Calzolai, 2001, cit.), inoltre «[…] i pascoli maremmani di “dogana” erano aperti e chiusi, ufficialmente, […] il giorno 29 settembre […] l’apertura e 8 maggio la chiusura.» (M. Massaini, 2015, p. 73, cit.). Il bestiame, spesso affidato in soccida a pastori specializzati, in modo minore dalle alte valli del Bidente e del Savio ma soprattutto dalla montagna di Camaldoli, affluiva nel fondovalle dell’Arno per proseguire per Siena e la Maremma, le pasture Maretime. «Ma non mancava naturalmente bestiame vaccino liberamente pascolante sulle più alte pendici. Conosciamo, per questo aspetto, non soltanto quello di proprietà dei montanari, ma anche le vacche di certi proprietari ecclesiastici come il monastero di Camaldoli […]. E sappiamo, più in generale, che lungo tutta la giogaia, sull’uno e sull’altro versante, tanto i privati che quanto i signori feudali avevano greggi numerose […]» (G. Cherubini, in: G.L. Corradi, a cura di, 1992, p.20, cit.). Praticamente la foresta era diventata, con grave danno, una grande stalla all’aperto (G. Chiari, 2010, cit.), d'altronde, da sempre, «[…] quel settore dell’Appennino che ha al suo centro la valle del Casentino, e che si estende a tutto il Montefeltro e il Mugello, […] corrisponde con precisione all’area dei pascoli estivi di quell’economia basata sulla transumanza che dà un senso economico e culturale al territorio geografico dell’Etruria storica.» (G. Caselli, 2009, p. 22, cit.). Da due relazioni del 1663 e del 1677 conservate nell’Archivio dell’Opera del Duomo: «Il giorno di martedì […] arrivammo fino al Prato dei Conti il quale dicono essere il più eminente luogo di quelli Appennini e passando da Monte Corsoio luogo di nostro confino con lo Spedale di S. Maria Nuova scesimo abbasso […]. // […]Mercoledì 1° di agosto partimmo di Campigna e si andò a far la visita della faggeta di SAS et il confino dei Signori Conti di Urbech, andammo alla Stradella e preso il Giogo verso ponente si arrivò ai prati dei Signori Conti e si scese per una lunga e precipitosa strada […] che si trovò per la detta via cinque o sei capanne […] e sono tutte le capanne su quello dei Signori Conti et si vedde molti faggi tagliati nella macchia di SAS […] e Giovannella ci disse che era in dubbio chi appartenesse e di chi fosse se de Signori Conti o di SAS […].» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 311, 320, cit.). A proposito della citata faggeta a confino dei Conti di Urbech, è da precisare che si tratta della Faggeta di Sua Altezza Serenissima il Granduca, istituita nel 1559 (e decaduta all’inizio del XVII sec.) in occasione dell’emanazione della Legge dell’Alpe come riserva privata che poteva essere sfruttata solo a scopo militare e che si estendeva fino a un miglio dal crinale. Anche nell’ambito della contea era stabilito che «[…] nissuno possa fare Ronchi di faggi per seminare grani né biade di sorte alcuna […] non si possi tagliare su lalpe faggi p far madie, staccie, vagili, et tutti gli altri lavori utili […]» (Comuni Soggetti, n.901, Archivio di Stato di Firenze, in: M. Massaini, 2015, pp. 146, 149, cit.). Ancora nel 1818, nella descrizione dei confini del “Contratto livellario” tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli vengono citati i luoghi di questo primo tratto di Giogana: «Una vasta tenuta di terre […] confina […] sedicesimo, dal lasciato termine percorrendo sempre il confine della macchia di Monte Corsoio […] si giunge ad altro luogo detto la Pianaccina ove confina questa Comune con quella di Stia e quindi continuando la Giogana passando il Sodo dei Conti, Stradella, Calla […]». (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 475-476, cit.).

La Giogana, come anticamente documentato, tra l’altro attraversava o lambiva gli antichi possedimenti dell’Opera del Duomo di Firenze, che si estendevano da Poggio Corsoio a Cima del Termine, confinando (con frequenti dispute) ad Ovest con i possedimenti dello Spedale di S. Maria Nuova di Firenze e ad Est con quelli del Monastero di Camaldoli. A Poggio Sodo dei Conti si ipotizza transitasse la Via Flaminia Minor, realizzata «[…] sfruttando tratti di percorsi etruschi preesistenti […]» (A. Fatucchi, 1995, p. 27, cit.) ed utilizzata dalle legioni romane per valicare l’Appennino al fine di sottomettere Celti, Liguri e Galli Boj che stanziavano nella pianura padana; essa risaliva da Montelleri, sopra Stia, transitando nell’area del Lago degli Idoli, raggiungeva il Monte Falco, discendeva da quella che oggi è nota come Pista del Lupo (dove sgorga la Fonte Sodo dei Conti, la più elevata delle Foreste Casentinesi, 1605 m) per raggiungere Pian Cancelli e Poggio Corsoio dove trovava un bivio ancor oggi praticato: a sx si dirigeva verso Castel dell’Alpe e Faenza per immettersi nella Via Aemilia (questo è ritenuto il più antico itinerario di valico), a dx si dirigeva verso Forlì e Ravenna o transitando dal crinale del contrafforte principale o discendendo verso il percorso vallivo in direzione di Galeata (l’antica Mevaniola), anche qui potendo rimanere a mezza costa attraversando la Valle del Bidente delle Celle e le Ripe Toscane o risalire il Crinale del Corniolino. «Già dall’età etrusca arcaica (almeno dal secolo V a.C.). alla luce soprattutto delle scoperte degli ultimi decenni, la conca casentinese appare come un’area privilegiata di transito […]. Si trattava certamente di percorsi spontanei. […] Percorsi secondari sembrano risalire le valli dei torrenti Rassina e Archiano verso i valichi appenninici, dai quali scendono inclinate verso nord-est in direzione dell’Adriatico quelle romagnole del Savio (Sarsina-Cesena) e del Bidente (Galeata, l’antica Mevaniola e Forlimpopoli) abitate dagli Umbri» (A. Fatucchi, 1995, p. 27, cit.). Viabilità di origine preromana attraversava anche questo tratto di Giogana risalendo il Crinale di Corniolino, ben infrastrutturata e conservante oggi ancora notevoli tratti selciati, discendeva ai Tre Faggi quindi risaliva verso il Monte Gabrendo, giungendovi dopo lunghe circonvoluzioni sfruttando le dorsali di Costa Poggio dei Ronchi e Omo Morto ed affrontando il crinale del Poggio delle Secchete, ma in ultimo insinuandosi tra esso e Poggio Palaio (oggi in parte corrispondente al sentiero 289 CAI; la toponomastica odierna colloca quest’ultimo in luogo del precedente), poi ridiscendendo sul versante opposto verso Stia: si tratta dell’antica Stratam magistram, la sopracitata strada maestra romagnola o Via Romagnola che iniziava a Galeata: «[…] in prossimità di Campigna doveva passare una strada militare romana che da Castel dell’Alpi, per la fonte dei Conti che esiste tuttora, conduceva a Stia. Secondo alcuni cronisti medioevali per essa sarebbero passati S. Ambrogio, arcivescovo di Milano, e poi nel secolo XIV il papa Martino V, quando tornava dal Concilio di Basilea […]» (D. Mambrini, 1935 – XIII, pp. 271, 272). Stradella era la denominazione dell’antica via dei legni che scavalcava anch’essa i prati a fianco del Monte Gabrendo giungendo da Campigna per il trasporto dei lunghi tronchi da adibire ad alberi di maestra, ma secondo un percorso necessariamente più lungo che transitava da la Stretta (sotto i Fangacci). A Poggio Lastraiolo, si trovano i Prati della Stradella, oggi più noti come della Burraia da quando, nel 1853 (come attesta una pietra incisa conservata all’interno del fabbricato venuta in luce nel corso dei restauri), il Siemoni fece costruire una stalla in muratura di pietrame da usare come alpeggio estivo per le mandrie, oggi noto come il Casone della Burraia, oltre un piccolo fabbricato posto ad Est della stalla con abitazione del custode, forno ed i rinomati locali per la lavorazione del latte (una foto del 1935 di Pietro Zangheri effettuata dal M. Gabrendo inquadra anche tali fabbricati; la foto si trova anche in AA.VV., 2008, p.42, cit.). «[…] L’indomani varcai l’Appennino, […] alla nuova mia ‘cascina’ della Stradella, dimora per gli uomini e le mucche nell’estate soltanto, il più elevato luogo abitato di Toscana, ove è rifugio ai viandanti presi dalle procelle o dalle nevi nella via che è breve, ma perigliosa, da Casentino nelle Romagne […]» (Leopoldo II, 1854, in: P.L. della Bordella, 2004, p. 80, cit.). Nella citazione si nota Leopoldo II vantare la disponibilità dei possedimenti che tre anni dopo, nel 1857, avrebbe personalmente acquisito dal granducato: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: Una vastissima possessione la quale percorrendo il crine dell’Appennino […] fino al nominato Sodo dei Conti, in Comunità di San Godenzo, prossimamente alla Falterona e sopra Capo d’Arno, scende nella massima parte verso la tramontana e per gli aspri balzi e ditupi che dirompono dalla vetta appenninica nei più bassi monti della Romagna […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.). In quest’ultima citazione, come in tante altre, tra cui quelle sopra riportate riguardanti stralci di atti pubblici conservati nell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze, si può ricordare come, nella descrizione dei luoghi, mentre compare spesso “la Falterona” non viene mai richiamato il Monte Falco. Così avviene anche nelle seguenti, che sono estratte da un’autorevole fonte per le notizie storiche sui luoghi della Regione Toscana e da una nota guida turistica di fine XIX secolo:«Da quella sommità della Falterona fra il Poggio Mocali, Prato al Soglio e il poggio a Scali, sul giogo onde a Camaldoli si viene […]» (E. Repetti, Dizionario geografico fisico e storico della Toscana, 1881-1883), «[…] quantunque la Falterona non sia un monte altissimo, tuttavia la sua posizione centrale gli apre dintorno un orizzonte e panorama vastissimi. […] La veduta abbraccia […] le città della Romagna fino alla costa Adriatica […]. Discesa a levante la piramide della Falterona per un forte pendio, si trova subito la via del Sodone, che è la prosecuzione di quella di Montelleri, e che passato il Valloncino, porta a un bel prato coperto di finissima erba, chiamato il Sodo de’ Conti, ove comincia il possesso ex-granducale della Casa di Lorena. Questa foresta è ricca di selvaggina, e specialmente di cervi, che chiusi un tempo, e riacquistata poi la naturale libertà, si sono straordinariamente moltiplicati, tornando ad essere oggetto di lecita caccia.» (C. Beni, 1881, pp. 52, 54, 55, cit.). Probabilmente prevaleva il riferimento al complesso montano di antichissima fama mentre l’identificazione del Falco era all’epoca ancora in corso e forse conseguente ad un inizio di frequentazione turistica che portò a notare ed associare quel caratteristico profilo alle forme del noto rapace. Il toponimo M. Falco pare infatti comparire per la prima volta nella Carta topografica d’Italia I.G.M. di primo impianto (per l’Emilia-Romagna rilevata negli anni 1877-95) scala 1:100.000, mentre nella corrispondente mappa del Catasto Toscano del 1826-34 l’area della vetta compare del tutto anonima (particelle 697-702) e nella Carta storica regionale o Carta Topografica Austriaca del 1853, in scala 1:86.400, i toponimi dei rilevi dell’area sono limitati a quelli esattamente di seguito trascritti: M. Falterona, P.° Martino, Pog.° Palaio, Gabrendo, quindi comprendendo solo i circostanti rilievi minori. Solo il Falterona è riportato anche nella settecentesca PIANTA DELLA CONTEA D’VRBECH (da alcuni ritenuta riguardante la riconfinazione granducale del 1565, che conciliava le circostanti realtà comunali con la superstite enclave feudale), conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze (M. Massaini, 2015, cit.), dove sono rappresentate le aree ricomprendenti il M. Falco ricoperte dagli Abeti di S. M. Nuova e dagli Abeti di S. Maria del Fiore, relative all’alpe del Corniolo, allora chiamata anche selva del Castagno, confiscate ai Guidi di Modigliana già dal 1380 ed assegnate alle Opere facenti capo a tali istituzioni ecclesiastiche fiorentine. Per quanto ben noto, si può ricordare che Falterona è ritenuto una probabile derivazione di falteria, faltera, dall’etrusco Faltru, con la stessa radice dei nominativi etrusco-latini Faltonius, Faltinius, Falterius, Faltius, oppure riferibile al latino-etrusco fala, con il significato di altura o all’italico antico falto, scosceso, franato, con suffisso accrescitivo tipico dei monti, come Cimone, Aquilone, etc. Comunque si tratta di un luogo di antichissima frequentazione legato al culto delle acque d’alta montagna, pertanto rivestito di sacralità come in tutte le società pastorali, per la presenza sul versante meridionale, a circa 1400 m di quota, del Lago degli Idoli e, poco distante, delle sorgenti dell’Arno: «Mentre tutto il sistema del Monte Falterona è geologicamente instabile, il Lago degli Idoli è rimasto miracolosamente stabile per qualche millennio, probabilmente gli Etruschi avevano notato questa singolarità attribuendola forse a qualche prodigio. […] la qualità sanatrice dell’acqua del laghetto, dovuta alla grande concentrazione di tannino, attraeva persone affette da infezioni e ferite […]. Tra gli ex voto visono infatti membra ed organi umani […] simboleggianti l’offerta in natura […].» (G. Caselli, 2009, p. 135, cit.). Il toponimo ricorda anche il torrente e la frazione di Faltona, in provincia di Arezzo.

Il sito Crinale M. Falterona – M. Falco – M. Gabrendo  è inserito nella rete Area Natura 2000 per la presenza di vaccinieti e praterie secondarie con relitti alpini di grande significato fitogeografico, gli unici dell'Appennino romagnolo, e di alcune specie mediterraneo-montane, alcuni dei primi e le seconde rispettivamente al limite meridionale e al limite settentrionale del loro areale distributivo, che ricoprono quasi fino in vetta il tetto della Romagna e che qui sopravvivono per le non comuni condizioni morfologiche, quali stazioni rupestri solcate da cengette e canaloni impervi, accompagnate da un microclima freddo-umido d’alta quota. I forti venti che battono il crinale non consentono ai faggi di raggiungerlo, arrestandosi infatti poco più in basso prostrati o cespugliosi, lasciandovi spazio a radure erbose e vaccinieti a Mirtillo nero (Vaccinium myrtillus) o, più raramente rosso (Vaccinium vitis-idaea). Impropri rimboschimenti hanno introdotto il Pino mugo. La ripida area nord del Falco limitata dal Sentiero del Lupo costituisce la Riserva Naturale Integrale di Monte Falco-Poggio Piancancelli, sottoposta a tutela integrale per la presenza di formazione erbacee d’alta quota con specie rare o rarissime per la Romagna, come detto al limite dell’areale distributivo, come la Viola di Eugenia, le Genziane primaticcia e campestre, l’Anemone narcisino, cinque specie di Sassifraghe, il Lino alpino, lo Sparviere del calcare (Hieracium villosum), il Senecione mezzano (Senecio doronicum), l’Asplenium viride che è una felce rupicola e una rara Orchidea a fiori verdastri (Coeloglossum viride). Molte specie vegetano su siti rocciosi inaccessibili ma possono debordare assoggettandosi al calpestio, come la Viola di Eugenia o la Scilla bifolia, ma questa comunemente diffusa. Discendendo dal Sentiero del Lupo, sul versante Nord del monte, si tocca la Fonte Sodo dei Conti, che dà origine al ramo principale del Fosso del Satanasso. Il Sodo dei Conti, come oggi noto, è posto sull’alto versante nord-orientale del M. Falco presso la diramazione della Pista del Lupo e poco distante dall’omonimo poggio; esso conserva l’antica denominazione di un’area a cavallo del crinale e del versante meridionale del M. Falco, appunto dissodata, roncata, erbaceo-cespugliata e ceduo-degradata dove il bestiame trovava alimento, cosiddetta in quanto in proprietà, per il versante romagnolo, dei conti Guidi di Modigliana e, per il versante casentinese, dei conti Guidi della Tuscia (Toscana), i quali già a partire dall’inizio dell’XI secolo possedevano gran parte di quei territori, molti in comproprietà con la famiglia dei Giudici Imperiali dei Rodolfi e l’Abbazia di Strumi (982 circa, Poppi), oltre ai Guidi dell’area romagnola. La cima del M. Falco oggi è attrezzata da un belvedere con comoda panca da cui godere di un ampio panorama delimitato dal caratteristico altopiano di Pian delle Fontanelle, coperto da una fitta faggeta, la cui morfologia tondeggiante contrasta con il suo versante meridionale tagliato verticalmente dalle spettacolari Balze delle Rondinaie, interrotte dal Giogo di Castagno, oltre il quale lo sviluppo del crinale dell’Alpe di S. Benedetto guida lo sguardo fino al Passo del Muraglione. Di fronte la vista sprofonda sulla Valle di Castagno, delimitata dalla dorsale della Massicaia che dal Falterona si proietta, dissolvendosi, verso l’amplissimo bacino del Mugello.

Per approfondimenti si rimanda alle schede toponomastiche Valle del Bidente delle Celle e/o relative a monti e insediamenti citati.

RIFERIMENTI   

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Link https://servizimoka.regione.emilia-romagna.it/appFlex/sentieriweb.html;

Link www502.regione.toscana.it/geoscopio/castore.htlm. 

Percorso/distanze :

raggiungibile per sentiero che parte da Passo Calla (GEA00) oppure da Pian delle Fontanelle

Testo di Bruno Roba

Il M. Falco è raggiungibile abbastanza facilmente dall’Area di sosta di Piancancelli, al termine percorribile della S.P. 94 del Castagno, dove si stacca la Pista del Lupo, Sent. GEA SOFT 00 che, in 1,5 km con un dislivello di 172 m, conduce sulla sua vetta.

foto/descrizione :

Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.

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001a– 001b – 001c – Dal Monte Piano (vetta del contrafforte principale che si distacca da Cima del Termine) si può avere una delle più ampie viste dell’intero spartiacque appenninico che si innalza oltre il contrafforte secondario che separa le Valli del Bidente di Pietrapazza (in p.p.) e di Ridràcoli. Nel suo sviluppo è abbastanza agevole riconoscere sia le due vette maggiori dei Monti Falterona e Falco sia il Monte Gabrendo accanto al quale spicca la copertura nevosa dei prati della Burraia (01/01/12).

 

001d – 001e - Dalla Colla dei Ripiani, alle pendici del Monte Castelluccio (altra vetta del contrafforte principale), l’asse visivo è leggermente modificato rispetto alle viste precedenti ma il M. Falco esalta la sua maggiore altezza, benché prevalga sul Falterona per soli 3 m (27/11/11).

 

001f – 001g – Dal primo tratto dello stesso contrafforte, nei pressi del Poggiaccio, il sopraggiungere delle prime luci colora per primi i rilievi più alti (27/11/11).

 

001h – 001i – 001l - Tutt’altro sito di osservazione si ritrova su un poggetto presso la rotabile che risale verso San Paolo in Alpe, poco oltre la sbarra: da qui l’effetto prospettico fa apparire il Gabrendo il più imponente del complesso montano pur essendo oltre 100 m più basso del Falco, del quale ne emerge solo una parte (26/03/12).

 

001m – 001n - 001o – In queste viste l’allineamento è pressoché identico a quello delle viste precedenti, ma ottenuto dalla posizione più avanzata del versante meridionale della dorsale di Poggio Ricopri che si affaccia direttamente sull’area delle Cullacce, nella porzione Ovest della Riserva Integrale di Sasso Fratino dal tipico sviluppo dei bacini torrentizi, e sul tratto terminale della Giogana, interrotta dall’incisione del Passo della Calla. Si replica la precedente descrizione, ma qui si ritrovano residui della neve di fine autunno, che mancherà fino all’anno seguente (16/11/16).

 

001p – 001q - Dai pressi del Monte Palestrina, sentiero 235, la distanza nuovamente si allontana più che altro offrendo una diversa contestualizzazione del complesso del Falterona (che si innalza oltre il contrafforte secondario che discende da Poggio Scali evidenziando Poggio della Serra, Poggio Capannina e la Valle del Ciriegiolone), dove l’apparente sella dei Poggi Lastraiolo e Sodo dei Conti pare collegare i Monti Gabrendo e Falco, ancora in competizione per il primato (16/10/16).

 

001r – 001s – Questo è uno scorcio più inconsueto che si apre risalendo da Fossacupa verso gli insediamenti di Montecavallo. Qui la sequenza dei Poggi delle Secchete, Palaio, di Mezzo e Zaccagnino (toponomastica ottocentesca che li identifica tutti nel delimitare la Bandita di Campigna, slittando il Palaio di un posto) tende a nascondere i rilievi più alti e Poggio Martino occulta il Falterona (12/12/16)

 

001t – 001u - 001v - Dal Sentiero degli Alpini (SA 301 CAI) prima presso Poggio Bini mentre si abbraccia l’alto versante vallivo del Bidente delle Celle poi sulla testata della Valle di Lavacchio, i punti di vista ottimali su uno dei tratti più impervi del versante appenninico, da cui ha origine il Fosso del Satanasso, consentono di delineare lo skyline appenninico (16/04/16).

 

002a /002g – Da Poggio Scali il complesso del Falterona emerge oltre la schiena della Giogana in una diafana vista di fine inverno e le tondeggianti vette del Gabrendo e del Falterona sono contraddette dal profilo del noto rapace (9/03/11).

 

002h – 002i – Da Giogo di Castagno, vista dell’anfiteatro dell’Alta Valle di Castagno delimitato dai complessi del Falco-Falterona e di Pian delle Fontanelle (20/06/12).

 

002l/002t – Dalla sommità delle Balze delle Rondinaie, che tagliano verticalmente Pian delle Fontanelle, varie viste del versante nord-occidentale sulla Valle di Castagno del complesso del Falterona, perennemente instabile (27/09/11 - 20/06/12 – 26/09/14 - 30/10/14).

 

002u – Dal Bordo di Pian delle Fontanelle, un varco tra la faggeta che lo ricopre consente la vista di un tratto del versante occidentale del M. Falco particolarmente dirupato (21/06/11).

 

003a – 003b – 003c – Spostandosi sul versante appenninico casentinese, dai pressi del passo del Giogarello sul crinale che si distacca dal Monte Gabrendo verso Sud (sent. 82 CAI), si ha una panoramica inconsueta del complesso del Falterona con la lunga dorsale del M. Falco interrotta dal “becco del rapace”. Lontanissime si scorgono le Alpi Apuane (11/01/12).

 

003d – 003e – 003f – Dalla dorsale Sud del Monte Falterona, versante casentinese verso Montelleri tracciato dal sent. CT 4, la sequenza fotografica mostra il versante meridionale del M. Falco che si riesce a scorgere a tratti tra le fronde, a partire dalla sella che lo separa dal Falterona verso Est fino ai tralicci della stazione radio di Sodo dei Conti (12/10/11).

 

003g – Dalle pendici del Falterona, vista inconsueta del “becco” del M. Falco che segna la sella di divisione tra i due rilievi (21/06/11).

 

003h – 003i – Il M. Falco e l’intero complesso montano visti dal M. Gabrendo (21/06/11).

 

003l/003q – Varie viste delle praterie e delle brughiere sommitali del M. Falco, attraversate dal sentiero CT GEA 00, da cui non si deve sconfinare per la vulnerabilità di rare o rarissime formazioni erbacee (21/06/11 - 21/12/11).

 

003r/003z – Raggiungendo la vetta del M. Falco si aprono vasti panorami verso la Romagna e particolari scorci su Pian delle Fontanelle, diviso da Poggio Piancancelli da una caratteristica piega che apre la vista sul M. della Fratta (21/12/11).

 

004a – 004b - Mappa schematica dedotta da cartografia storica di inizio XX sec. evidenziante reticolo fluviale e infrastrutture viarie, in gran parte corrispondente alla sentieristica di odierno utilizzo. All’epoca la nuova viabilità si fermava a Campigna, giungendo dal versante toscano, mentre dal versante romagnolo risultava realizzata oltre Corniolo e Lago fino all’altezza del M. della Maestà. Segue neografia da una mappa settecentesca, ritenuta riguardante la contea di Urbech al 1565, riguardante un particolare dell’area di Sodo dei Conti e delle Faggete della Selva di Corniolo, dal 1380 confiscate ai conti Guidi e assegnate alle Opere ecclesiastiche fiorentine, che raggiungevano il versante orientale di M. Falco che, probabilmente ancora non identificato, non compare nella toponomastica.

 

004c/004m – Sulla vetta del M. Falco si trova un comodo belvedere da cui si apre un ampio panorama che spazia dalla sottostante Valle di Castagno (si riconoscono Castagno d’Andrea e S. Godenzo) all’amplissimo bacino del Mugello, apparentemente coronato dalle lontanissime Alpi Apuane (27/09/11 - 21/12/11).

 

004n - 004o – 004p – Dal belvedere la vista sulla dx è attratta dal contrasto morfologico tra le instabili stratificazioni delle Balze delle Rondinaie che interrompono il caratteristico Pian delle Fontanelle tagliandolo verticalmente (21/06/11 - 21/12/11).

 

004q/004t – Raggiungendo le pendici del Falterona si ha uno scorcio più ampio delle Balze delle Rondinaie, riuscendo inoltre a seguire lo sviluppo del crinale da Giogo di Castagno verso l’Alpe di S. Benedetto e il Passo del Muraglione (21/12/11).

 

005a/005f – Il Monte Falco ospita vaste praterie d’alta quota con delicate e anche rare o rarissime formazioni erbacee per cui occorre mantenersi sul sentiero, dal quale comunque è facile notarne alcune. Anzitutto spiccano il vaccinieto per la notevole diffusione del Vaccinium myrtillus, Mirtillo nero, e più occasionalmente rosso (Vaccinium vitis-idaea) (21/06/11 - 7/07/11).

 

005g – Sul bordo delle inaccessibili rocce sottostanti il belvedere si allunga verso la luce il Doronico di Colonna (Doronicum columnae) (21/06/11).

 

005h – 005i - Tra le rocce del sentiero verso il Falterona, se si è fortunati e senza violare la riserva integrale, si può incontrare lo Hieracium villosum, Ieracio villoso, Sparviere del calcare, rarissimo e presente nel Parco solo in questo sito (7/07/11).

 

005l - 005m - La Viola eugeniae Parl. subsp. Eugeniae, Viola di Eugenia Parlatore, fiorisce vistosa tra le praterie sommitali del M. Falco (21/06/11).

 

005n - 005o – La Scilla bifolia è diffusa anche al di fuori delle aree tutelate (1/04/11).

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