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Campigna

inserita da Appenninoromagnolo.it
Comune : Santa Sofia
Tipo : frazione
Altezza mt. : 1068
Coordinate WGS84: 43 52' 19" N , 11 44' 48" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

Testo di Bruno Roba (25/02/2024) - Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celledi Campignadi Ridràcolidi Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto appenninico spartiacque compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine; in quell’ambito si staccano due contrafforti secondari e vari crinali e controcrinali minori delimitanti le singole vallecole del bacino idrografico.

La Valle del Fiume Bidente di Campigna racchiude il bacino idrografico di quel ramo intermedio del Bidente delimitato ad Ovest dal primo tratto di una dorsale caratterizzata da uno dei tratti più impervi del versante appenninico. Alla morfologia piramidale di Poggio Martino, separata dal Monte Falco dalla sella di Pian dei Fangacci, fa seguito la geometrica sequenza di creste degli altri quattro rilievi, detti (alcuni secondo l’antico oronimo), Poggio di ZaccagninoPoggio di MezzoPoggio del Palaio e Poggio delle Secchete, oggi Poggio Palaio, che si sviluppa verso Est leggermente divaricandosi in un simil-parallelismo dallo Spartiacque Appenninico, secondo un evidente fenomeno di frattura e scivolamento di un colossale tratto di versante in ambiente marnoso-arenaceo, da attribuire alla storia geologica appenninica recente; lo scivolamento non ha modificato l’orientamento della giacitura stratigrafica originaria, caratterizzata dalla tipica asimmetria paesaggisticamente evidente. La depressione conseguente al fenomeno geomorfologico ha determinato la formazione della valle progressivamente incisa dal Fosso dell’Abetìa o Abetìo e la creazione dell'habitat favorevole allo sviluppo dell'Abetìa, rinomata quanto sfruttata specie tra il XV e il XIX secolo. Da Poggio Palaio la dorsale assume un orientamento a NE e digrada con la Costa Poggio dei Ronchi fino alla sella dei Tre Faggi, come crinale di Corniolino prima si innalza con il Monte della Maestà, poi digrada andando a concludersi presso Lago costretta dalla confluenza del Fiume Bidente delle Celle nel Fiume Bidente di Campigna. Ad Est il bacino idrografico è delimitato da parte del contrafforte secondario che si distacca da Poggio Scali e che subito precipita ripidissimo disegnando la sella di Pian del Pero, serpeggiante evidenzia una sequenza di rilievi (i Poggi della Serra e Capannina, l’Altopiano di S.Paolo in AlpePoggio SquillaRonco dei Preti e Poggio Collina, per terminare con Poggio Castellina) fino a digradare presso il ponte sul Fiume Bidente di Corniolo a monte di Isola, costretto dalla confluenza del Fiume Bidente di Ridràcoli nel Fiume Bidente di Corniolo. Da Poggio Squilla si distacca una dorsale secondaria che, declinando a Nord, dopo il picco di Poggio Aguzzo precipita verso Corniolo con sproni puntati su Lago così completando la chiusura della valle. La sua testata si estende a ridosso delle maggiori quote dello Spartiacque Appenninico (quale parte della c.d. bastionata di Campigna-Mandrioli), caratterizzate dalle fortissime pendenze modellate dall’erosione, con formazione di profondi fossi e canaloni fortemente accidentati talvolta con roccia affiorante, come le Ripe di Scali, il Canale o Canalone del Pentolino, le Ripe della Porta e le Ripe di Pian Tombesi, oltre al distacco dello spessore detritico superficiale, conseguente crollo dei banchi arenacei e lacerazione della copertura forestale.

L’asta fluviale principale cambia spesso denominazione, destino comune di ogni ramo bidentino, con differenze tra le varie cartografie storiche o moderne. La Carta Tecnica Regionale, consultabile tramite il Geoportale e le applicazioni Moka (cit.) evidenzia l’idronimo dei vari tratti. Se nel suo sviluppo appare una maggiore omogeneità morfologica con l’incisione del Fosso dell’Abetìo, evidente anche nelle vedute panoramiche, in effetti l’origine fluviale principale viene individuata a Poggio Lastraiolo, alla quota di 1450-1425 m e a circa 40 m dal Rifugio CAI Città di Forlì, con ramificazioni che si spingono fino a Poggio Sodo dei Conti: tra esse una intermedia trova origine dalla Fonte al Bicchiere, documentata dalla cartografia ottocentesca ma di cui rimangono solo le acque sorgive regimentate con la realizzazione del parcheggio prossimo al rifugio. L’irruenza del primo tratto, detto Fiume Bidente del Corniolo, si manifesta già con la cascata Occhi Brutti all’intersezione con i tornanti della S.P.4, tra i quali riceve il contributo del Fosso dell’Abetìo prima di incassarsi e passare sotto lo sbarramento di scavalcamento della Strada delle Cullacce, che crea un piccolo invaso. Qui era impiantata la sega idraulica più antica di Campigna, documentata nel 1677, quando si ipotizzava di spostarla. Questo tratto si sviluppa fino al sito un tempo detto I Tre Fossati oltre il quale viene detto Torrente Bidente, benché sia ormai prossimo a perdere le caratteristiche torrentizie, circoscrivendo con profonde incisioni i più dolci pendii delle aree poderali di Campigna VillanetaI Tre Fossati è il luogo posto sul versante oltre il fiume, dove si verifica la contemporanea confluenza del Bidente con i Fossi della Corbaia (che nasce dal Passo della Calla) e dell’Antenna, che a sua volta ha appena raccolto le acque del Fosso delle Bruciate. La cartografia ottocentesca di qua dal fiume riporta pure l’antico toponimo Il Porticciolo, che potrebbe avere attinenza con la nuova collocazione della sega, dopo lo spostamento. Il tratto definito Torrente Bidente giunge fino a Fiumari sviluppandosi nei profondi e ripetuti meandri, tipici di questi fondivalle romagnoli. A valle di Fiumari il fiume assume l’idronimo Fosso del Bidente di Campigna, denominazione che (in coerenza con la particolare inversione dei ruoli - fiume > torrente > fosso - nel procedere verso valle) mantiene fino ai pressi di Corniolo quando, dopo l’immissione del Bidente delle Celle, nel ricevere i contributi degli appena congiuntisi Fossi di Verghereto e dell’Alpicella (che discendono dal versante di Corniolo), sotto uno strettissimo tornante stradale, le sue acque proseguono lo scorrimento come Fiume Bidente di Corniolo, senza soluzione di continuità morfologica degli alvei. Peraltro, se nel bando del 1645 istitutivo della Bandita di Campigna nell’area dei Tre Fossati era detto “fiume di Campigna detto l’Obbediente” (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 124-125, cit.), come Fosso Bidente compare sia nel Catasto toscano del 1825-34, sia nelle Bozze di mappe catastali della Foresta Casentinese e Campigna, datate 1808-1830 (cit.), sia nella Carta Geometrica della Regia Foresta Casentinese del 1850 (cit.), nelle quali però, verso monte, è registrata la citata prevalente continuità morfologica degli alvei con il Fosso dell’Abetia. Su questo aspetto concordava un noto studioso, con ulteriori precisazioni: «Fiume Ronco: si potrebbe dire, considerando la cima più alta dalla quale prende origine uno dei fossi confluenti a costituirne l’alto corso, che il fiume Ronco nasce esso pure dal M. Falco ad una altezza che supera i 1500 metri; ma è forse più esatto ammettere, anche per il fatto che gli altri fossi confluenti hanno in parte origine ad altezza uguale o di poco inferiore, che le sorgenti del fiume coprono una estensione notevole dell’Appennino romagnolo, una ventina di chilometri, fra M. Falco e Poggio del Termine. Senza entrare in troppi dettagli, si può ricordare che il Ronco, il quale prende questo nome fra Meldola e Cusercoli e si chiama invece Bidente nel corso superiore, ha origine da tre torrenti che confluiscono sopra S. Sofia. Precisamente sono: il superiore, verso nord, il Bidente delle Celle che nasce sulle propaggini di Monte Falco; esso confluisce presso Corniolino col Bidente del Corniolo (che nasce a M. Guffone), dopo aver raccolto le acque del cosidetto Bidente di Campigna, che nasce nelle alte propaggini della foresta omonima col nome di fosso dell’Abetìa […]. Tutto il ventaglio dei rigagnoli, che scola il crinale fra M. Falco e Poggio Scali si congiunge nel già ricordato Bidente del Corniolo […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 21, cit.). Secondo questa illustre ipotesi l’asta principale del Bidente del Corniolo trova la sua origine sul M. Guffone tramite il suddetto Fosso di Valdonasso-Verghereto, mentre tutto il reticolo idrografico bidentino proveniente dallo spartiacque appenninico sarebbe costituito da meri “rigagnoli”. 

L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio da parte di gruppi nomadi di pastori-raccoglitori-cacciatori Liguri (Apuani, Frinati, Mugelli, Clausentini) giunti sino a qui dalla Provenza passando le Alpi e seguendo nei loro spostamenti la dorsale appenninica, per poi arrestarsi in Casentino e nell’alta Val Bidente, come avvalorato dal ritrovamento in Campigna nella prima metà del XIX secolo, attestato dall’archivio archeologico Gamurrini e dalle memorie del Siemoni, di una sepoltura attribuibile al III millennio a.C. ed appartenente forse ad un capo tribù o un pastore-guerriero ligure corredata da una lancia con impugnatura carbonizzata e punta in selce disposta sulla destra dello scheletro, mentre i resti evidenziano che la mano sinistra stringeva un corno di capriolo. Anche le frequentazioni etrusche si sarebbero spinte fin qui come attesterebbe il ritrovamento casuale da parte del Siemoni di una statuetta in bronzo di VII-VI secolo a.C. con elmo e cimiero, probabile raffigurazione di divinità guerriera, riportato in una celebre Guida: «[…] è degno di particolare menzione […] il ritrovamento (Campigna c.s.) di una statuetta di bronzo rappresentante un guerriero con elmo a grande cresta, oggetto preziosissimo perché sta a indicare qual fosse l’armatura particolare nella regione Casentinese […]» (C. Beni, 1881, rist. anast. 1998, pp. 11-12, cit.). Non è nota la collocazione dei reperti citati. In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane. Da queste zone passava probabilmente una delle possibili varianti della Via Flaminia militare (o minor), fatta costruire dal Console Caio Flaminio nel 187 a.C., con lo scopo di rendere più veloce il collegamento tra Bologna e Arezzo. Il toponimo Campigna potrebbe avere un’origine romana, dal latino campilia (campus – ilia) ovvero un insediamento con principale funzione di approvvigionamento di una circoscrizione territoriale militare di età imperiale. In alternativa si può immaginare una derivazione da campanea = campagna piana, che rispecchia la caratteristica morfologia della zona. Sicuramente questo territorio era noto ai romani sia per le foreste, dalle quali si procuravano il legname per le necessità delle flotte di Classe, Rimini e Ravenna, sia per le sorgenti: alla fine del I secolo d.C. l’Imperatore Traiano fece costruire l’acquedotto che riforniva Ravenna. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Sotto il dominio dei Bizantini e degli Ostrogoti sorgono torri di altura per arrestare l’avanzata dei Longobardi in direzione Ravenna nell’alta Valle d’Arno, con scarso successo. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitalesDopo la morte di Carlo Magno si insediarono signorotti di origine longobarda e franca spesso apparentati con aristocratici bizantini, come nel caso dei Conti Guidi. Il loro coinvolgimento nelle lotte tra Guelfi e Ghibellini e il conseguente contrasto con la Repubblica di Firenze comportò la loro caduta e l’ascesa della dominazione fiorentina con l’espansione della Romagna toscanaIl quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate. In questo periodo si verifica una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur mantenendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Comunque, nel Settecento, chi voleva risalire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami che venivano così descritti: per Ridràcoli «[…] composto di viottoli appena praticabili […]» per S. Paolo in Alpe «[…] largo in modo che appena si può passarvi […].» e per il Corniolo «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi in modo che appena vi può passare un pedone […]» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, citato da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna Toscana e il Casentino nei tempi granducali. Assetto paesistico-agrario, viabilità e contrabbando, in: G.L. Corradi e N. Graziani - a cura di, 1997, p. 82, cit.). Inoltre, «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, 1992, p. 32, cit.). Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo di Firenze è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.). Così, se al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e i primi decenni del XX: «La nuova strada S. Sofia – Stia, bellamente pianeggiando sotto il Corniolo, attraversa il Bidente che viene dalle Celle e poi inizia l’ascesa del monte verso Campigna poco più su dal luogo donde si diparte, a sinistra, la mulattiera che mena a S. Paolo in Alpe ove, fino al secolo XVI, era un eremo agostiniano.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 270).

La prima cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto Toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), da integrare per la classificazione storica del Bidente con le Bozze di mappe catastali della Foresta Casentinese e Campigna (1808-1830 – scala 1:5000) e la Carta Geometrica della Regia Foresta Casentinese (1850 – scala 1:20.000), consente di conoscere, tra l’altro, il tracciato della viabilità antica che riguardava la Valle di Campigna

La viabilità più antica diretta a Campigna, di origine preromana, percorreva il crinale insediativo di Corniolino; ben infrastrutturata e conservante ancora notevoli tratti di selciato naturale, seguendo la morfologia sopra descritta, superata la sella di Colla Tre Faggi risaliva verso il Monte Gabrendo, giungendovi o dopo una più agevole deviazione dalle Mandracce o per via più diretta sfruttando le balze di Costa Poggio dei Ronchi e Omo Morto ed in ultimo insinuandosi verso Poggio Palaio per ridiscendere verso Campigna tramite la Via del Balzo o sul versante opposto verso Stia: si tratta dell’antica Stratam magistram, la strada maestra romagnola o Via Romagnola che iniziava a Galeata, l’antica Mevaniola, citata dalla Descriptio Romandiole: “stratam magistram qua itur de Galleata in Tusciam”. Presso Corniolino si innestava il percorso di fondovalle che scendeva al Bidente e, spesso seguendolo dappresso, toccava Fiumari per poi dirigersi verso Campigna, dove giungeva tramite la ripida Via di Villaneta (oggi sent. 243 CAI). Una diramazione da Tre Faggi collegava con la sopracitata Via Romagnola (probabilmente costituendo un ammodernamento rispetto alla sua prosecuzione sulla Costa Poggio dei Ronchi), a inizio del XIX secolo detta Via del Corniolo: mentre il tracciato di crinale è stato riutilizzato a fini escursionistici e in parte come strada di servizio della linea elettrica (realizzata in epoca di disattenzione paesaggistica per questi luoghi), il tratto fino a Campigna rimane sotto l’odierna provinciale (sent. 259), a volte con resti di lastricato. Una foto di Zangheri del 1929 documenta le caratteristiche precarie di questo tratto stradale alla vigilia della realizzazione della provinciale, che attraversa un’area completamente disboscata e pascolata dove resistono solo i tre faggi da cui è derivato il nome della colla.

Tra le strade storiche sono da annoverare le c.d. vie dei legni, o Strade dette dei legni per il trasporto dei medesimi (così riportate nella Carta Geometrica) utilizzate per il trasporto del legname fino al Porto di Badia a Poppiena a Pratovecchio, attraverso i valichi appenninici tosco-romagnoli. Tra le vie dei legni individuate all’inizio del XX secolo dal Direttore generale delle Foreste, al Ministero di Agricoltura, A. Sansone, nella relazione sullo stato delle foreste demaniali si cita la via che collegava Toscana Romagna, detta strada che da Campigna, per la Calla, portava a Stia e a Pratovecchio, riguardo la quale vengono ricordate le migliorie effettuate prima dal Siemoni poi dall’ispettore Massella, che la resero barrocciabile (A. Sansone, 1915, pp. 91-92, cit.), anche per raggiungere più agevolmente il nuovo Casino di caccia, oggi Hotel Granduca, tanto che la rinomata “antica mulattiera granducale” (247 CAI) diviene anche definibile Mulattiera del Granduca. La Carta d’Italia I.G.M. del 1893-94, riguardo questo specifico tratto, adotta la simbologia corrispondente alle Strade a fondo naturale, senza manutenzione regolare, non sempre praticabili, carreggiabili, probabilmente rappresentando le suddette migliorie comprendenti in particolare due ponti in legno per strade ordinarie posti a Campigna, uno sul Bidente (oggi passerella pedonale) posto dietro il piccolo invaso adiacente all’inizio della Strada delle Cullacce, e l’altro attraversava il vicino Fosso del Balzo (oggi intubato, si adotta tale idronimo in quanto scorre nel versante percorso dall'antica Via del Balzo) nel sito corrispondente all’odierna Area Sosta per camper. Per attinenza, tali ponti potrebbero essere ricordati rispettivamente come Ponte del Granduca e Ponte del Balzo. La Carta Geometrica colloca presso i due siti rispettivamente un fabbricato detto La Burraja e una Fonte alla Burraja, della quale il fontanello dell’area camper pare un ammodernamento.

I tratti viari a valle di Campigna e a valle del Passo della Calla sono rappresentati con la simbologia della Mulattiera (per definizione, strade realizzate e tenute per il passaggio di carovane di muli o cavalli). Nel versante toscano però la mulattiera si ferma al fabbricato oggi noto come Aia delle Guardie, posto in prossimità della Fonte di Calcedonia, dove giunge il tratto di Strada carreggiabile risalente da Pratovecchio. I successivi ammodernamenti della S.P. S.Sofia-Corniolo-Stia (inaugurata il 27/10/1932) compaiono nella successiva Carta d’Italia del 1937. I tratti fino ad allora realizzati sono Stia-Campigna e S.Sofia-Faltroncella, mentre manca il restante tratto romagnolo fino a Campigna, a dimostrazione del maggiore legame di quel luogo con la Toscana piuttosto che con la Romagna, legame sciolto dal punto di vista amministrativo solo nel 1923 con il decreto di annessione alla provincia di Forlì. Pur tenendo conto della minore precisione della mappa più antica dovuta alla minore scala, si nota che mentre non vi è corrispondenza tra i tracciati della carreggiabile granducale e della provinciale tale corrispondenza si ritrova tra la carreggiabile e la Mulattiera del Granduca, avvalorando un aspetto di particolare attenzione per quel tratto di via che dal Casentino, varcato il crinale, raggiungeva Campigna.

Campigna è probabilmente documentata per la prima volta su una pergamena camaldolese del 1223, contenente un contratto livellario a favore dei Conti Guidi, dove si attestano i diritti ivi esercitati dall’Abbazia di S. Ellero di Galeata sulle aree di loro proprietà, quando esisteva solo qualche capanna utilizzata da mandriani, pastori e legnaioli che frequentavano questo luogo, ed ormai si apprestava a divenire centro principale di quella parte di foresta che veniva chiamata “selva di Castagno”, ricompresa all’incirca tra Pian del Grado e Poggio della Serra, oggetto della prima donazione del 1380 a favore dell’Opera del Duomo di Firenze e il cui sfruttamento essa stessa tendeva a riservarsi in modo particolare per le proprie necessità, anche perché la sua collocazione prossima alle vie dei legni consentiva di limitare i costi di taglio, smacchio e trasporto al porto di Pratovecchio, tanto da legiferare già a partire dal 1427, poi nel 1453, che «[…] nel luogo detto volgarmente piano di Campigna e sua colli, non si può dare licentia ad alcuno di tagliare […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 33, cit.), nel 1604, che «[…] loro […] non possino pascere nel piano e nei sodi di Campigna […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 18, cit.), (“loro” sta per “chiunque”) o, nel 1606 «[…] di poter pasturare liberamente […] ma di più ancora che potessero pasturare con le capre. E similmente in tutte le selve dell’Opera fuorché in Campigna e posticce e potessero servirsi di tutti i legnami selvatichi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 22, cit.). Nel 1561, con la prima organica delle disposizioni in materia forestale, tra l’altro venne ridefinita la Bandita di Campigna in Romagna e venne stabilito che costì venisse insediata una Casa di Guardia con quattro guardie armate per ogni “provincia” forestale, una delle quali era quella del “piano e sua colli” di Campigna ... «[…] perché è necessario che qualcuno stia stantialmente et continuamente abiti alla casa dell’opera […] et che vi possa vivere con sua famiglia pertanto dichiarorno che intorno a detta casa si habbi a lassare tanto terreno […] et quello cultivare e seminare per potervi ricorre tanto grano e biade che basti al sostentamento di quel tale che vi starà con sua famiglia et accioché […] si debba quanto prima far porre […] quattro termini murati e fissi attorno a detta casa dentro li quali possa detto lavoratore o guardia fare detto cultivato […].» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 182, cit.). Nel 1655 (quando le guardie divennero sei), quella di Campigna era «[…]Giovanni di Paolo di Ugolino guardia con obbligo di abitare a Lonnano dove abita di presente.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 53, cit.). Dal bando del 1645 è possibile conoscere i confini della Bandita«Cominciando dalla Calla di Giogo cioè dove per la strada della Fossa che viene da Pratovecchio in Campigna si passa di Toscana in Romagna sul giogo appennino, qui appunto dove si dice alla Calla a giogo e scendendo per le Macchie in Romagna giù addirittura per il Fosso della Corbaia fino nel fiume di Campigna detto l’Obbediente dove si chiama ai Tre Fossati, passare detto fiume e andare a dirittura della casa del podere della Vellaneta, oggi tenuto a livello dal Signor Balì Medici e di quivi a dirittura per il confino che è a piè dei Sodi di Campigna e divide detti sodi da detto podere, arrivare fin dove il poggio dei detti sodi volta verso Montaccesi e quivi rivolgendosi sulla man sinistra camminare su per la sommità di detti sodi fino all’abetio e tirando su per la cresta del poggio lasciando nella bandita tanto quanto acqua pende verso il fiume e case di Campigna attraversando la via che si dice Romagnuola e passare il Poggio del Palaio e il Poggio di Mezzo e arrivare al Passo di Giuntino e tirare sempre su la detta cresta per il Poggio di Zaccagnino e per il Prato dei Fangacci, e arrivare di nuovo al Giogo appennino e quivi ripigliando a man sinistra per la giogana su per la Stradella tornarsene, per il Piano della Fossa di Zampone, alla Calla a Giogo che fu nominata da principio per primo confine.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 124-125, cit.). A dimostrare l’interesse per il legname di questi boschi fa fede una lunga relazione del 1652 presentata direttamente al granduca, riguardante le caratteristiche delle selve e conseguente suddivisione in parti, pertanto contenente una molto precisa descrizione dei luoghi e della qualità delle piante presenti a fini economici; nella relazione si ribadisce l’importanza della Bandita e, oltre ad una nuova descrizione dei suoi confini, è contenuto un nuovo ed utile elenco (il primo risale ad un secolo addietro) dei numerosi “vocaboli” che identificano i vari siti. Anzitutto quella di Campigna è definita la «[…] principalissima parte di tutte le selve dell’Opera […] che a comparazione delle altre la rende per lo più quasi pianura onde si chiama l’Orto di Campigna […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 264, cit.). Seguono: la Stretta, Poggio di Zaccagnino, di Mezzo, del Pianaccio, del Palaio, del Lastraio e della Termine, la Capanna dei Moggioni, la fonte di Bernardo, il Poggio della Casa Vecchia, il Pianaccio, i Diaccioni, i Forconi, Spinacceta, Poggio e le Coste de Fangacci, Piano de Cerchiai, Capanna e il Sasso del Romito, Poggiaccio, le Coste e il Poggio e i Piani della Stradella, il Poggiolo del Ponte, le posticce del Trinchi, della Borgna e dell’Incarcatoio con l’omonima Fonte.  

In tale relazione si trova un accenno agli edifici di Campigna, relazionati ad una sottoporzione della sua area, apprendendo così dell’esistenza di un vecchio edificio, Casa Vecchia, posto non lontano da una fonte (forse corrispondente alla sopracitata Fonte alla Burraja) cui si sarebbe aggiunta in quegli anni una casa moderna«Nella maggiore a più bella ad alto son compresi il Poggio di Zaccagnino, di Mezzo, del Pianaccio, del Palaio, del Lastraio, e della Termine e verso il fondo  vi sono la Capanna dei Moggioni, la fonte di Bernardo e il Poggio della Casa Vecchia. Sopra la casa moderna e sopra i sodi evvi una posticcia d'abetelle giovani […]. D’attorno alla sega e d’attorno ai prati da casa un’altra posticcia. […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 265, cit.). Dal verbale di un’ispezione del 1663 (detta“visita”) si apprende dell’esistenza di una cappella «[…] detta macchia è quella che è sopra la cappella di Campigna […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 309, cit.). In un ulteriore verbale del 1677 si trovano ulteriori informazioni su una casa colonicala cappella ed il posizionamento di una sega idraulica«Relazione della gita e visita generale fatta dall’Ill.mo Sig.re Alessandro Segni Operaio […] arrivammo dopo aver […] scollinato il Giogo in Campigna luogo del dominio dell’Opera dove è una casa ad uso di contadino nella quale vi restano riservate due stanze ad effetto di dare qualche comodità ai Ministri dell’Opera; in detta casa vi sono due famiglie che tengono a soccio diversi nostri bestiami […]. In detto luogo di Campigna vi è una cappella da celebrarci la messa con tutti li paramenti sacerdotali et altro che vi bisogna. Non molto lontano di lì ancora si trova uno strumento idrolico di una sega la quale in tempo che ci è acqua a sufficienza sega i panconcelli che d’ordinario qua si vendono» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 320, cit.). Riguardo lo stesso sopralluogo anche il cancelliere scrisse un verbale che contiene alcune precisazioni in merito alla casa e alla sega a acqua«[…] casa la quale ha in se le stanze riservate per servizio dei ministri dell’Opera e vi sono alcune masserizie et arredi che si tengono serrati nelle stanze. Abita di presente in detta casa di Campigna Agnolo di Becco Lippi nella parte confinante con la via maestra e di sotto vi sta Piero di Rocco e sono socci e casieri dell’Opera […]. Si riconobbe l’edificio della sega a acqua trovando essere in buon grado e parve dover far reflessione se si deva aggiungere altra simile sega o quivi sotto o altrove come parrà meglio giacché questa pare lavori poco e non faccia tanti panconcelli quanti potrebbe esitare.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 327, cit.). Nel 1688 si ha notizia di una visita pastorale da cui si apprende che cappella documentata nel 1663 è l’Oratorio della SS. Concezione di Maria Vergine, dipendente dalla parrocchia di S. Maria delle Celle; da una successiva visita del 1720 si apprende che aveva tre finestre in facciata, di cui una ovale sopra la porta e due ai lati, che disponeva della campana e che all’unico altare si trovava una Immacolata e i santi Carlo, Lorenzo, Francesco e Orsola, dipinto di canne 4x2 (ovvero m 9,20x4,60) (E. Agnoletti, pp.67-69, cit.). Da una relazione del 1751 sullo stato dei poderi dell’Opera si apprende: «[…] 22) CAMPIGNA: fu trovato che questo podere va sempre più dilatandosi poiché dal guardia che non vi tiene più il contadino come stavavi nell’antico […] tralascia di seminare […] ed in questa deve lavorare e zappare le terre sode e prative smembrando in questa maniera le vaste praterie che essere solevano in Campigna. […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977 , p. 439, cit.). Nel 1789, da una relazione sui canoni da stabilirsi, risulta l’esistenza di un mulino da restaurare e la necessità di una cascina, oltre a considerazioni sull’eventualità di una gestione diretta da parte dell’Opera: «Nei due poderi di Campigna e Vellaneta vanno messi e semente e coltivazione migliore quelle terre, va restaurato il mulino, va messa una cascina di mucche specialmente nel podere di Campigna per cavarne un evidente profitto di quelle praterie le quali si possono aumentare […] potendovi tenere vacche domestiche con levare le vacche selvatiche […] per conservare […] le posticcie d’abeti […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 443, cit.). Nel 1794 vennero effettuati interventi di ampliamento e miglioramento della casa poderale dove era ricavato l’appartamento riservato ai funzionari dell’Opera, come è attestato dall’architrave presente nella sala ristorante dell’Hotel Granduca, in origine stalla o rimessaggio, recante l’incisione OPA 1794. Nel Contratto livellario del 1818, tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli si trova una descrizione dei fabbricati del podere: «[…] descritte tutte le tenute […] viene composta dei seguenti terreni cioè: […] 47° Un podere denominato Campigna […] con casa da lavoratore composta di numero undici stanze da cielo a terra. Fra queste ve ne sono anche alcune che servono per uso delle guardie e di più unito a questa casa vi è un quartierino da padroni di quattro stanze cioè salotto con camino e tre stanze; con capanna separata e stalla e con altra stanza ancor’essa distante dalla detta casa che serve ad uso del burro col loggetto ed alla casa, forno, aia, orto. Tutto questo fabbricato merita di essere resarcimento […]. A poca distanza dalla casa vi esiste una chiesina di una sola stanza in stato mediocre. L’ufficiatura spettava all’Opera di S. Maria del Fiore oggi ai nuovi livellari. Parimenti vi esiste un molino ad un solo palmento senza margone ossia bottaccio, e solo prende le acque dal fosso di Campigna, con macina.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 476, 480-481, cit.). Il riferimento del 1818 alla capanna separata con stalla e altra stanza per la lavorazione del latte è da collegare alla prescrizione del 1789 di costruire una “cascina per mucche”, che comportò l’edificazione del fabbricato prima noto come la cascina poi La Burraia (come sopracitato, fabbricato riportato nella Carta Geometrica) e l’inizio dell’attività casearia curata dal conduttore del podere, allora Bartolommeo Ringressi, con annesse rivendita e ristorazione ed un allevamento di 18 vacche e circa 80 pecore (P.della Bordella, cit.). In merito si trova un riferimento grazie alle memorie di un viaggiatore dell’epoca: «Proseguii la camminata sul crinale del monte, o giogo, […]. Seguii un percorso serpentino lungo questa maestosa cordigliera per un certo tempo e quindi discesi a Campigna […]. Questa fattoria, che funge da posto di ristoro, ed è l’unica dimora del circondario, si trova in deliziosa posizione su di una valletta protetta, circondata da verdi pascoli e rinfrescata da un limpido rivo. I monti hanno sagome maestose e son rivestiti di boschi di faggi e di abeti di grandi dimensioni. Qui è stata istituita una fabbrica casearia dall’Opera del Duomo. I torrenti mi consentirono di consumare un ottimo pasto a base di trote e di granchi d’acqua dolce; il caseificio mi rifornì di burro fresco e di eccellente latte cagliato, mentre i boschi m’offrirono per dessert un bel piatto  di fragole selvatiche. Dopo pranzo continuai a salire per un bosco di abeti giganteschi, alcuni dei quali misuravano sedici braccia fiorentine di circonferenza.» (Sir Richard Colt Hoare, Da Arezzo al Monte Falterona attraverso il Casentino, 1791, in: A. Brilli, a cura di, 1993-1997, pp. 19-20, cit.).

In base al contratto del 1818 risulta ancora sussistente il mulino documentato nel 1789 come da restaurare, per il quale ora viene precisato che era privo di bottaccio (quindi attivabile solo in base alla portata del Bidente) e dotato di un palmento ed una macina; la sua collocazione si può ipotizzare dall’esame del Catasto toscano, dove compare un piccolo fabbricato collocato sotto Villaneta tra una Via dell’Aina e il Bidente, adiacente all’odierna passerella lignea in località Il Porticciolo, non più rappresentato nelle mappe successive.

Dalle istruzioni per una perizia conferita nel 1832 all’Ing. Municchi, si apprende che occorre verificare le opere eseguite o da eseguire a carico del Monastero di Camaldoli in base a concessione enfiteutica, ed in particolare «[…] la nuova casa costruita per servire all’abitazione del Ministro e delle guardie […] se la casa fabbricata di nuovo in Campigna fosse pure necessaria per attivare e facilitare maggiormente la sorveglianza delle guardie per la conservazione delle foreste. […] Esaminerà se la Cappella di Campigna minacci rovina e se sia attualmente inservibile, e riferirà le cause per le quali si trovi in tale stato, e qualora ne credesse necessaria la ricostruzione indicherà il luogo ove crederà conveniente il ricostruirla e la spesa occorrente» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 459-460, cit.).

La gestione forestale del Siemoni, a partire dal 1837-38, oltre all’introduzione di metodi di gestione forestale innovativi che ne hanno migliorato le condizioni (reintegrazione della foresta, formazione una stabile attività di allevamento che, come dalla relazione del 1853 dell’ing. Rossini dell’Accademia dei Georgofili, arrivò a contare 120 pecore merine, 14 capre, 4 maiali, 2 bestie da soma e 12 cervi, riorganizzazione delle colture in modo da consentire al bestiame di svernare senza bisogno della transumanza, produzione di carne, lana e latticini oltre che incremento della produzione di carbone), riguardò anche importanti interventi edilizi. Il fabbricato poderale venne parzialmente rialzato di un piano così realizzando il casino di caccia granducale di aspetto imponente ma comunque più modesto dell’attuale, come mostrano le foto d’epoca, tra cui una foto Alinari dell’inizio del XX secolo (in: G.L. Corradi, 1992, p. 147, cit.), per cui furono introdotte o reintrodotte numerose specie cacciabili, tra cui daini, cervi e mufloni. Assumerà l’aspetto dell’attuale struttura alberghiera solo in seguito, con la parificazione del rialzamento e la realizzazione dei grandi abbaini/mansarda. Nel 1846 venne ricostruita la cappella, come testimoniato pochi anni dopo nell’atto di acquisto del 1857 delle foreste demaniali da parte di Leopoldo II: «Inoltre contiene due poderi quello di Villaneta con casa e servizi colonici e quello di Campigna capo luogo della foresta romagnola ove sono, oltre le case d’azienda, una cappella pubblica modernamente ricostruita.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.). Nel 1853, anche allo scopo di allontanare un’attività con aspetti di insalubrità, probabilmente già Siemoni trasferì l’attività della cascina casearia alla Stradella, alle falde del Monte Gabrendo, riutilizzando un fabbricato preesistente (documentato nelle Bozze di mappa) forse già utilizzato come alpeggio estivo per le mandrie, oggi noto come il Casone della Burraia (come attesta una pietra incisa conservata all’interno del fabbricato venuta in luce nel corso dei restauri), cui aggiunse un piccolo fabbricato posto ad Est come abitazione del custode, forno ed i rinomati locali per la lavorazione del latte (una foto del 1935 di Pietro Zangheri effettuata dal Gabrendo inquadra anche tali fabbricati; la foto si trova on-line nell’Archivio Zangheri e in Popoli del Parco, cit.). La data trova conferma nella visita più che illustre dell’anno seguente: «L’indomani varcai l’Appennino alla nuova mia cascina della Stradella, dimora per li uomini e le mucche nell’estate soltanto, il più elevato luogo abitato di Toscana, ove è rifugio ai viandanti presi dalle procelle o dalle nevi nella via che è breve, ma perigliosa, da Casentino nelle Romagne.» (F. Pesendorfer, a cura di, p. 419, cit.). Anche la Carta d’Italia del 1893-94 conferma l’esistenza dei due fabbricati d’altura mentre non compare quello abbandonato di Campigna dove, nella successiva e più particolareggiata mappa del 1937, compare il simbolo di una baracca.

Nel 1944 il grande fabbricato amministrativo fu occupato dal comando tedesco e … «[…] la Chiesa fu adibita a deposito di munizioni in appoggio alla linea gotica […]. I comandi germanici in ritirata, impossibilitati dall’impellenza della fuga a svuotarla dagli esplosivi che conteneva, temendo che potessero servire alle truppe anglo-americane […] la fecero saltare in aria.» (P. della Bordella, 2004, p. 70, cit.). L’odierna (e sproporzionata) Chiesa già di S. Maria Assunta, dopo il 1966 divenuta di S. Maria alle Celle, denominazione che ricorda l’antica e comune curatìa con la valle adiacente conseguente al subentro come sede parrocchiale, è dovuta alla riedificazione voluta nel 1952-53 dall’amministratore forestale Scalambretti. Negli scorsi anni ’80 era documentata la presenza della pala con la Madonna di Montenero, inventariata dalla Soprintendenza di Firenze in quanto ritenuta di valore, proveniente dalla chiesa alle Celle insieme a qualche altro antico oggetto (F. Faranda, 1982 - E. Agnoletti, 1996). In attesa di una sua ricollocazione, la chiesa si presenta piuttosto spoglia e comunque priva di tale opera d’arte, e sul luogo, pur avendone notizia, sostengono di non averla mai vista.

Dai primi anni del ‘900 a Campigna esisteva una locanda frequentata da boscaioli e forestali, in seguito ricostruita ed oggi divenuta l’albergo Lo Scoiattolo. Con l’istituzione del Parco delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna è stato realizzato il Punto Informazioni La Villetta, presso il quale è possibile ricevere materiale informativo, acquistare pubblicazioni e gadget e prenotare escursioni; è dotato di una sala conferenze, utilizzata per proiezioni e serate divulgative. In un piccolo fabbricato preesistente e stato insediato il Museo forestale Guido Campadelli, curato dal locale comando dei Carabinieri Forestali. Il primo tratto rettilineo del sent. 259, già corrispondente alla Via del Corniolo, fu trasformato dal Siemoni nel grandioso Viale dei Tigli celebrato da un noto poeta: «(Le case quadrangolari in pietra viva costruite dai Lorena restano vuote e il viale dei tigli dà un tono romantico alla solitudine dove i potenti della terra si sono fabbricate le loro dimore. La sera scende dalla cresta alpina e si accoglie nel seno verde degli abeti.) Dal viale dei tigli io guardavo accendersi una stella solitaria sullo sprone alpino e la selva antichissima addensare l'ombra e i profondi fruscìi del silenzio. Dalla cresta acuta nel cielo, sopra il mistero assopito della selva io scorsi andando pel viale dei tigli la vecchia amica luna che sorgeva in nuova veste rossa di fumi di rame: e risalutai l'amica senza stupore come se le profondità selvaggie dello sprone l'attendessero levarsi dal paesaggio ignoto. Io per il viale dei tigli andavo intanto difeso dagli incanti mentre tu sorgevi e sparivi dolce amica luna, solitario e fumigante vapore sui barbari recessi. E non guardai più la tua strana faccia ma volli andare ancora a lungo pel viale se udissi la tua rossa aurora nel sospiro della vita notturna delle selve.» (D. Campana, Canti Orfici, 1914). Noto anche come Viale del Granduca, è composto da esemplari di grandi dimensioni di latifoglie autoctone di 190 anni (alcuni tigli soprattutto da aceri di monte con alcuni aceri ricci e frassini maggiori oltre ad un esotico ippocastano) ed è stato integrato con il Sentiero per tutti i sensi, percorso interattivo articolato in 10 postazioni ricche di informazioni, oggetti e reperti, riguardanti la fruizione sensoriale di vari aspetti della natura, con scritte in braille per i non vedenti. Inoltre, nel viale si trovano la ricostruzione di una carbonaia e un toppo di abete, ovvero un tronco privato della cima e dei rami, posto in sostituzione di un esemplare ormai marcito di albero di maestra di galeazza di 28 m ricavato da una pianta di 109 anni, di 37 m di altezza e 116 cm di diametro, abbattuta nel 1984 (foto dell’esemplare originario e descrizione si trovano in M. Padula, 1988, p.26, cit.). Anche la Strada delle Cullacce - probabilmente rientrante nel piano di modernizzazione della viabilità forestale che in 25 anni, dal ‘14 al ‘39, ha portato alla costruzione di 57,1 Km di strade rotabili, interrotto dal ’39 al ’48 ma ampiamente ripreso nel dopoguerra (F. Clauser, 1962, p.249, cit.), come sembra confermare la data 1938 (non interamente leggibile) incisa presso la nicchia votiva della Fonte alla Madonnina, posta all’intersezione della strada con il Fosso della Corbaia, al km 1+480 - è stata attrezzata con il percorso didattico Alberi che toccano il cielo, dotato di pannelli informativi finalizzati al riconoscimento delle varie specie presenti e dello loro caratteristiche.

Il comprensorio di Campigna fu interessato dall’infrastrutturazione turistica postbellica, quando fortunatamente fu evitato lo «[…] scempio urbanistico minacciato nelle due località di Campigna e Badia Prataglia.» (F. Clauser, 2016, p. 72, cit.), diretto «[…] ad ottenere una ben più alta e deleteria incidenza di strade, ville e negozi all’interno della foresta (richiesta della creazione di un villaggio turistico in Campigna).» (P. Bronchi, 1985, p. 109, cit.), con la costruzione della prima pista sciistica dal Monte Gabrendo ai Prati della Burraia, risalente agli anni 1952/55, cui seguirono l’impianto di risalita collegato alla prima stazione invernale del luogo, oggi Chalet Burraia, struttura nata negli Anni ’30 come servizio per escursioni appenniniche (impianto poi abbandonato e definitivamente smantellato nel 2016 con riqualificazione dell’area), cui seguì nel 1958 l’impianto Sodo dei Conti/Fangacci. Altri rifugi tutt’ora operanti ed edificati come servizio sia degli impianti sciistici che del turismo montano sono il citato CAI Città di Forlì posto al margine dei prati, edificato nel 1974 in corrispondenza di un fabbricato documentato dalla Carta Geometrica del 1850 con il toponimo Capanna, e il Rifugio La Capanna, con lo skilift che raggiunge il crinale nei pressi di Sodo dei Conti a circa 300 m dall’innesto della Pista del Lupo. Altri impianti sciistici odierni sono le piste di fondo e lo snow park dei Fangacci, presso il quale si trova il moderno Rifugio di Beppe (attrezzato per le grigliate al coperto), e il Rifugio del Sano, anch’esso probabilmente recente e noto in quanto citato nelle guide degli scorsi Anni ’80: «Dall'albergo Scoiattolo si prende la deviazione per la strada statale, raggiuntala, si prende di fronte dove ha inizio lo stradello forestale contrassegnato dal segnavia N° 26, che attraversa tutta la foresta di abete. Si sale a destra del fosso dell'Abetio poi ad una biforcazione (30 min.) si piega a sinistra per raggiungere il rifugio del Sano (40 min.) per poi scendere al fosso dell'Abetio in località Ponticino (50 min.)» (O. Bandini, G. Casadei, G. Merendi, 1986, p. 108, cit.). Il rifugio, ancora rappresentato (senza toponimo) nella cartografia escursionistica benché non più esistente, è stato evidentemente rimosso, con ripristino dei luoghi: si trovava presso il Passo di Giuntino, antico toponimo della sella tra il Poggio di Zaccagnino e il Poggio di Mezzo. Il Rifugio CAI Città di Forlì è l’unico che ricade nello specifico bacino idrografico del Bidente del Corniolo ovvero di Campigna, mentre i Rifugi di Beppe e del Sano ricadono in quello del suo affluente Fosso dell’Abetìo, e il citato Rifugio CAI La Burraia in quello del Fosso dell’Antenna. Il Rifugio La Capanna appartiene al versante adiacente, infatti ricade nel bacino del Bidente delle Celle.

Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alla scheda toponomastica Valle del Bidente di Campigna e/o relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.

N.B.: - Dopo la confisca del vasto feudo forestale da parte della Repubblica di Firenze a danno dei conti Guidi, l’alpe del Corniolo, la selva del Castagno e la selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli tra il 1380 e il 1442 furono donate (il termine contenuto in atti è “assegnato in perpetuo”; A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 15-16, cit.) all’Opera del Duomo di Firenze in Romagna che, per oltre quattro secoli si riservò il prelievo del legname da costruzione e per le forniture degli arsenali di Pisa e Livorno, di quelli della Francia meridionale oltre che per l’ordine dei Cavalieri di Malta. Dopo la presa in possesso l’Opera aveva costatato che sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove si manifestavano numerosi disboscamenti (roncamenti) non autorizzati. Desiderando evitare nuovi insediamenti, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. Altri elenchi e documenti utili si sono susseguiti nei secoli seguenti, fino ai contratti enfiteutici del 1818 e del 1840 con il Monastero di Camaldoli, contenenti una precisa descrizione dei confini e delle proprietà dell’Opera. I poderi di Campigna e Villaneta rimasero sempre tra le dotazioni della Regia Foresta Casentinese o, per uno scorcio del XIX secolo, della diretta proprietà granducale.

- La visita apostolica o pastorale, che veniva effettuata dal vescovo o suo rappresentante, era una prassi della Chiesa antica e medievale riportata in auge dal Concilio di Trento che ne stabilì la cadenza annuale o biennale, che tuttavia fu raramente rispettata. La definizione di apostolica può essere impropria in quanto derivante dalla peculiarità di sede papale della diocesi di Roma, alla cui organizzazione era predisposta una specifica Congregazione della visita apostolica. Scopo della visita pastorale è quello di ispezione e di rilievo di eventuali abusi. I verbali delle visite, cui era chiamata a partecipare anche la popolazione e che avvenivano secondo specifiche modalità di preparazione e svolgimento che prevedevano l'esame dei luoghi sacri, degli oggetti e degli arredi destinati al culto (vasi, arredi, reliquie, altari), sono conservati negli archivi diocesani; da essi derivano documentate informazioni spesso fondamentali per conoscere l’esistenza nell’antichità degli edifici sacri, per assegnare una datazione certa alle diverse fasi delle loro strutture oltre che per averne una descrizione a volte abbastanza accurata.

- Le “vie dei legni” indicano i percorsi in cui il legname, tagliato nella foresta, tronchi interi o pezzato, dal XV° al XIX° secolo veniva condotto prima per terra tramite traini di plurime pariglie di buoi o di cavalli, a valicare i crinali appenninici fino ai porti di Pratovecchio e Poppi sull’Arno, quindi fluitato per acqua, a Firenze e fino ai porti di Pisa e Livorno. Per approfondimenti, v. M. Ducci, G. Maggi, B. Roba, 2024, cit.

- La sega idraulica venne inventata da Villard de Honnecourt nel sec. XIII e Leonardo da Vinci ne studiò il funzionamento nel 1480. Già a metà del ‘400 in Casentino sono documentati una sega ad acqua a Camaldoli (i monaci sono stati sempre all’avanguardia nella lavorazione del legno) e due artigiani specializzati a Papiano (M. Massaini, 2015, cit.) mentre, sul versante romagnolo ... «All’interno della foresta si costruirono direttamente e per concessione a terzi, nel corso del ‘500 e del ‘600, alcune seghe idrauliche per la lavorazione del legname sul posto e la sua preparazione al trasporto (sega del fosso del Bidente, sega del Ridracoli, dell’Asticciuola, del Ricopri). Tali seghe lavoravano al limite della legalità e, nonostante una rigida legislazione e una serie di regolamenti e di divieti per impedire tagli abusivi, per tutta l’età moderna hanno favorito la spogliazione della foresta da parte delle popolazioni confinanti.» (M. Pinzani, Lineamenti di storia forestale della Romagna toscana, in: N. Graziani, 2001, p. 149, cit.).Le difficoltà di trasporto del legname per la morfologia dei luoghi e la scarsità delle vie di smacchio sul versante romagnolo portarono nei secoli, in particolare nel Sei-Settecento, ad autorizzare la costruzione di alcuni impianti per la lavorazione del legname sul posto anche al fine di agevolarne il trasporto. «Si sa che nel febbraio 1444 fu concessa una sega sul fosso di Ridracoli verso Valbona […], un’altra fu concessa nel 1482 sul fiume di Ricopri […] utile a detta selva per la località e la via inaccessibile che è a circa quattro miglia […]. Una terza ancora […] sempre sul fiume di Ridracoli nel 1484, ed una quarta nello stesso anno sul fiume di Ricopri in luogo detto i Diaccioni; una quinta nel Pianazzone nel 1490 ed una sesta nel 1503 […], con tanto di edificio, […] sul fiume dell’Asticciola. […] Quando l’Opera incrementò i suoi commerci con Pisa e Livorno decaddero d’importanza perché nel contempo erano aumentate e migliorate le vie di smacchio» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 63-64. cit.). Tre di queste, indicate come “strumenti idrolici”, vengono documentate ancora in un verbale del 1652 come Sega di Mezzodi Sotto e di Sopra, collocate presso il “fiume di Ricopri”. In una relazione del 1672 si trova la conferma della loro collocazione nella descrizione di un percorso: «[…]  e scendendo per Ricopri dalla Via di Scali verso la Docciola in quelle coste calando alla sega di sopra sino alla sega di mezzo per la via verso Vellaneta.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 388, cit.). Dalla relazione di un’ispezione eseguita nel 1677 da funzionari dell’Opera  si ha poi notizia dell’esistenza di una ulteriore sega idraulica a Campigna, nei pressi della cappella, ma questa doveva essere insufficiente per le necessità del momento e si indica la necessità di ripristinare almeno una delle tre seghe di Ricopri, da utilizzare per gli abeti difficili da trainare per dimensioni eccezionali, preferibilmente nel sito di “sega di mezzo”, che avrebbe anche fatto risparmiare gli abeti di CampignaDa un ulteriore verbale dello stesso anno si confermano le insufficienze già rilevate e si formulano diverse opzioni operative: «Relazione della gita e visita […] descritta da me Ulisse Magnani Cancelliere […]. Lunedì 20 si partirono […] per la volta di Campigna[…]. Si riconobbe l’edificio della sega a acqua trovando essere in buon grado e parve dover far reflessione se si deva aggiungere altra simile sega o quivi sotto o altrove come parrà meglio giacché questa pare lavori poco e non faccia tanti panconcelli quanti potrebbe esitare […]. Mercoledì 22 […] si andò alla visita dell’abetia di Ricopri e suoi contorni passando il fiume di Campigna si arrivò al Borghicciolo e si salì a Crocicchi sino al fiume di Ricopri nel quale si riconobbe esservi già state anticamente tre seghe ad acqua e considerando che la sega ad acqua di Campigna non può resistere, come si disse sopra, a fare quel numero di panconcelli che bisognerebbe si considerò che sarebbe buon servizio dell’Opera rifare una quivi, massime per esserci grandissima quantità di abeti grossi buoni per panconcelli gia che per farvi travi sono troppo grosse e trascorse e impossibili quasi a potersi trainare e si risparmierebbero gli abeti di Campigna che perciò si ordinò al Ministro che facessi conoscere quale fusse il posto migliore e che spesa vi sarebbe per farla parendo che la sega di mezzo fusse molto opportuna.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 325, 328, cit.).  Gli impianti si ridussero ad uno solo tra ‘700 e ‘800 a seguito del progressivo e totale disimpegno della stessa Opera, in attesa dei miglioramenti introdotti dal Siemoni. La sega più antica di Campigna molto probabilmente era situata nei pressi dello sbarramento del Bidente, all’inizio dell’odierna Strada delle Cullacce, luogo infatti non lontano dalla cappella, come sopra documentato. Con lo spostamento più a valle si può immaginare posta nel sito evocativamente detto Il Porticciolo, fronteggiante I Tre Fossati, ancor oggi raggiunto con un buon tracciato viario. Anche i ruderi ancora visibili (oggi noti con il toponimo Capanna), evidenzianti un caratteristico arco, presso la confluenza del Fosso di Castagnoli e di fronte a quella del Fosso della Ruota, potrebbero però avere un’attinenza in merito. 

- Campigna, come “campagna pianeggiante”, così definibile per il contrasto morfologico del sito insediativo con gli impervi rilievi circostanti, può derivare «[…] dal lat. campinea, campinia (REW, 1563) […] REW = W. MEYER-LÜBKE, Romanisches Ethymolog. Wörterbuch, Heidelberg, 1935 (3ª ed.)» (A. Polloni, 1966-2004, pp. 63, 64, XV, cit.) o, ricordando il materiale occorrente sia per i cantieri dell’acquedotto realizzato nel I sec. d.C. per rifornire Ravenna sia per la cantieristica navale a servizio della flotta romana di stanza nell’Adriatico, sempre dal latino: «[…] campilia, derivato in-ilia, neutro plurale con valore collettivo da campus, che starebbe ad indicare un originario insediamento comunitario, tipo una circoscrizione territoriale militare risalente, probabilmente, al periodo romano-imperiale […]. Per questo è ritenuto che nella selva di Campigna vi si insediasse un campus (non un castrum), di legionari romani lì distaccato per l’approvvigionamento del legname […]» (P.L. della Bordella, 2004, p. 56, cit.).

RIFERIMENTI    

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Carta Geometrica della Regia Foresta Casentinese: URL http://www502.regione.toscana.it/searcherlite/cartografia_storica_regionale_scheda_dettaglio.jsp?imgid=11479;

Bozze di mappe catastali della Foresta Casentinese e Campigna: URL http://www502.regione.toscana.it/searcherlite/cartografia_storica_regionale_scheda_dettaglio.jsp?imgid=11644;

URL https://popolidelparco.it/campigna/;

URL http://www.popolidelparco.it/media/archivio-pietro-zangheri-zan098/;

URL https://www.tourer.it/;  

URL www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.

Percorso/distanze :

Testo di Bruno Roba - Campigna si trova al km 27 della S.P. n.4 del Bidente.

foto/descrizione :

 

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Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.

00A – Ubicazione dell’alta Valle del Fiume Bidente di Campigna e di Campigna nell’ambito dei bacini idrografici dell’Alta Valle del Bidente.

00a1 – 00a2 – 00a3 - Dal Monte Piano (sul contrafforte principale, ad oltre 5 km da Cima del Termine) si può avere una delle più ampie viste dell’intero spartiacque appenninico, che si innalza oltre il contrafforte secondario che separa le Valli del Bidente di Pietrapazza (in p.p.) e di Ridràcoli. Mentre nel suo sviluppo è abbastanza agevole riconoscere le due vette maggiori dei Monti Falterona e Falco, si riesce a distinguere anche il verde intenso del “piano inclinato” in contropendenza del versante meridionale di Poggio Palaio, appartenente al bacino del Fosso dell’Abetìa, ricoperto dall’Abetina di Campigna, in cui spicca l’Hotel Granduca innevato che consente di localizzare Campigna (01/01/12).

00b1/00b4 – Da S. Paolo in Alpe il leggero innevamento evidenzia il profilo del “piano di Campigna” e imbianca il tetto dell’albergo (21/11/18).

00c1/00c5 – Da Poggio Capannina si apprezza più frontalmente la contropendenza del bacino del Fosso dell’Abetìa e di Campigna si scorgono parti dell’Hotel Granduca e della chiesa, oltre piccolissima parte dell’albergo Lo Scoiattolo (2/06/18).

00d1 – 00d2 – 00d3 - Dalla dorsale Poggio Capannina-Poggio Ricopri, scorcio verso l’Abetina di Campigna con il riflesso della neve sul tetto dell’Hotel Granduca (16/11/16).

00e1/00e4 – Elaborazione pittorica di foto da web con veduta frontale del nucleo di Campigna e scorci da punto di ripresa simile alla prima veduta (29/01/18).

00f1 – Schema da cartografia moderna del bacino idrografico dell’alta valle del Bidente di Campigna.

00f2 – 00f3 - Mappa schematica dedotta da cartografia storica di inizio XIX sec. e confronto schematico tra cartografia antica e moderna da cui si rilevano le modifiche intercorse nel periodo frapposto, con legenda dei fabbricati antichi e moderni. Riguardo la sega idraulica si indica il probabile sito documentato nel 1677 “non molto lontano dalla cappella”, poi trasferita forse tra I Tre Fossati e la loc. Il Porticciolo. Riguardo il Mulino di Campigna, senza bottaccio, documentato a fine ‘700 e nel contratto del 1818, e si ipotizza che corrisponda al piccolo fabbricato documentato dal Catasto toscano presso Il Porticciolo.

00f4 – Ricostruzione dell’area della Bandita di Campigna in base al bando del 1645 che recita: Cominciando dalla Calla di Giogo cioè dove per la strada della Fossa che viene da Pratovecchio in Campigna si passa di Toscana in Romagna sul giogo appennino, qui appunto dove si dice alla Calla a giogo e scendendo per le Macchie in Romagna giù addirittura per il Fosso della Corbaia fino nel fiume di Campigna detto l’Obbediente dove si chiama ai Tre Fossati, passare detto fiume e andare a dirittura della casa del podere della Vellaneta, oggi tenuto a livello dal Signor Balì Medici e di quivi a dirittura per il confino che è a piè dei Sodi di Campigna e divide detti sodi da detto podere, arrivare fin dove il poggio dei detti sodi volta verso Montaccesi e quivi rivolgendosi sulla man sinistra camminare su per la sommità di detti sodi fino all’abetio e tirando su per la cresta del poggio lasciando nella bandita tanto quanto acqua pende verso il fiume e case di Campigna attraversando la via che si dice Romagnuola e passare il Poggio del Palaio e il Poggio di Mezzo e arrivare al Passo di Giuntino e tirare sempre su la detta cresta per il Poggio di Zaccagnino e per il Prato dei Fangacci, e arrivare di nuovo al Giogo appennino e quivi ripigliando a man sinistra per la giogana su per la Stradella tornarsene, per il Piano della Fossa di Zampone, alla Calla a Giogo che fu nominata da principio per primo confine.

00f5 – 00f6 - Schemi cartografici ispirati alla Carta Geometrica del 1850 nella prima con individuazione dell’area poderale di Campigna, nella seconda, in base ai toponimi storici, sono evidenziati i siti delle seghe idrauliche localizzate a Campigna, prima lato ovest poi forse spostata pressi I Tre Fossati, le altre presso il Fosso di Ricopri, ovvero a Diaccioni la Sega di Sotto e a Ricopri le Seghe di Mezzo e di Sopra, a Pianaccione presso il Fosso Fiumicino di S. Paolo e a Sasso Fratino, sul Fosso dell’Asticciola.

00f7 - Schema cartografico da mappa del XIX sec. che, nella sua essenzialità, riguardo la viabilità principale evidenziava esclusivamente i tracciati viari che da S.Sofia raggiungevano lo Spartiacque Appenninico, mantenendosi prossimi al fondovalle fino a Corniolo, nella valle di Campigna risalendo sul crinale di Corniolino fino alla sella di Tre Faggi con discesa a Campigna e risalita al Passo della Calla.

00f8 – Mappa schematica dedotta da cartografia storica di inizio XX sec. evidenziante reticolo viario e idrografico precedente al completamento della viabilità provinciale.

00f9 - Confronto schematico tra cartografie storiche da cui si rilevano (tenendo conto del forte differenza di scala) le modifiche alla viabilità tra Campigna e il Passo della Calla e la sostanziale corrispondenza di tracciato tra la mulattiera antica e l’ammodernamento di fine XIX secolo effettuati dal Siemoni poi dall’ispettore Massella, che resero barrocciabile l’antica mulattiera granducale, che giungendo a Campigna attraversava il Bidente e il fosso adiacente (del Balzo?) con due ponti in legno (evidenziati con cerchiatura) documentati dalla mappa antica con apposita simbologia.

00f10 – Elaborazione da manifesto esposto in bacheca a Campigna riproducente il crinale appenninico e l’abetina di Campigna, con indicazione del borghetto.

00g1/00g5 – Scorci dell’Hotel Granduca, ex casino di caccia granducale, e della chiesa di S. Maria delle Celle (3/09/16).

00g6 – 00g7 – 00g8 – Elaborazione pittorica tipo olio del casino di caccia all’inizio del XX secolo e scorcio della sala interna del ristorante con architrave inciso OPA 1794 e suo particolare.

00g9/00g12 – Vedute di Campigna con i fabbricati della forestale, oggi Carabinieri forestali, del Museo forestale Guido Campadelli e del Punto Informazioni La Villetta (9/09/11 – 3/09/16).

00g13 – Elaborazione pittorica tipo olio di una veduta di Campigna negli anni ’20.

00h1/00h25 – Il Viale del Granduca con il toppo di abete, la ricostruzione di una carbonaia e il Sentiero per tutti i sensi (9/09/11 – 3/09/16 – 13/07/18).

00i1/00i7 – Il ristorante Lo Scoiattolo e scorci da web (con elaborazione pittorica tipo olio da veduta aerea) fino all’area sosta camper dove si trova un fontanello forse rifacimento dell’antica Fonte della Burraja e presso la quale si trovava un ottocentesco ponte in legno barrocciabile su un fosso, forse detto del Balzo (17/08/11).

00l1/00l9 – Scorci del tratto tra l’area sosta camper e la passerella sul Bidente dove si trovavano La Burraja, probabilmente la sega idraulica del 1677 e l’ottocentesco ponte barrocciabile sul Bidente presso il sito della passerella (21/01/17 – 2/07/18 - 24/03/23).

00m1/00m9 – La Strada delle Cullacce con pannelli informativi del percorso didattico Alberi che toccano il cielo (9/09/11 – 5/07/13 – 22/07/13).

00n1 – 00n2 – 00n3 – Tratti lastricati della Via di Villaneta (13/07/18).

00o1/00o14 – Tracciato restante della Via del Corniolo tra Campigna e la S.P. 4, oggi sent. 259 (13/07/18). 

00o15 – Elaborazione pittorica tipo olio da una foto del 1929 che documenta le caratteristiche precarie della prosecuzione della Via del Corniolo nel tratto a valle di Campigna tra Colla Tre Faggi e il Monte della Maestà alla vigilia della realizzazione della provinciale; l’area attraversata è completamente disboscata e pascolata e resistono solo i tre faggi da cui è derivato il nome della colla.

00p1/00p15 – Tracciato superstite della Mulattiera del Granduca, nell’800 detta Via della Calla, tra Campigna e la S.P.n.4, oggi sent. 247 (2/07/18).

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