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Monte Gabrendo

inserita da Bruno Roba
Comune : Santa Sofia
Tipo : monte
Altezza mt. : 1540
Coordinate WGS84: 43 51' 44" N , 11 43' 58" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

Testo di Bruno Roba (17/01/2018)

Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle e di Campigna poi di Corniolo, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto appenninico spartiacque compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose, strutturate a pettine, denominate dorsali o contrafforti, mentre le loro zone più elevate sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme del rilievo. L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, dal gruppo del M. Falterona e, ad Est, da Cima del Termine.

L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio: «[…] in antico i movimenti delle popolazioni non avvenivano “lungo le valli dei fiumi, […] bensì lungo i crinali, e […] una unità territoriale non poteva essere una valle (se non nelle Alpi) bensì un sistema montuoso o collinare. […] erano unità territoriali il Pratomagno da un lato e l’Appennino dall’altro. È del tutto probabile che in epoca pre-etrusca esistessero due popolazioni diverse, una sul Pratomagno e i suoi contrafforti e un’altra sull’Appennino e i suoi contrafforti, e che queste si confrontassero sulle sponde opposte dell’Arno […].» (G. Caselli, 2009, p. 50, cit.). Già nel Paleolitico (tra un milione e centomila anni fa) garantiva un’ampia rete di percorsi naturali che permetteva ai primi frequentatori di muoversi e di orientarsi con sicurezza senza richiedere opere artificiali. Nell’Eneolitico (che perdura fino al 1900-1800 a.C.) i ritrovamenti di armi di offesa (accette, punte di freccia, martelli, asce) attestano una frequentazione a scopo di caccia o conflitti tra popolazioni di agricoltori già insediati (tra cui Campigna, con ritrovamenti isolati di epoca umbro-etrusca, Rio Salso e S. Paolo in Alpe, anche con ritrovamenti di sepolture). In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur permanendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate ma p. es., nel Settecento, chi voleva salire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami, per il Corniolo, per Ridràcoli e per S. Paolo in Alpe che venivano così descritti: «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi che in modo che appena vi può passare un pedone […] composto di viottolo appena praticabili […] largo in modo che appena si può passarvi […].» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, in L. Rombai, M. Sorelli, 1997, p. 82, cit.); oppure «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, 1992, p. 32, cit.). Così, se al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX. Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.).

Percorrendo oggi gli antichi itinerari, gli insediamenti di interesse storico-architettonico o di pregio storico-culturale e testimoniale, esistenti, abbandonati o scomparsi (quindi i loro siti) che si trovano collocati lungo i crinali insediativi sono prevalentemente di carattere religioso o difensivo o sono piccoli centri posti all’incrocio di percorsi di collegamento trasversale. Lungo lo spartiacque geografico corre un tracciato viario che non solo fu il principale percorso di crinale del territorio romagnolo ma, considerato nell’intero sviluppo fino a Poggio Tre Vescovi, fu anche il più naturale collegamento di tutta la penisola. In corrispondenza delle maggiori asperità si allontana dallo spartiacque posizionandosi su uno dei due versanti, più spesso quello toscano esposto più favorevolmente a Sud, ma sostanzialmente si sposta per ragioni orografiche. Il tratto compreso tra i due contrafforti principali è noto come la Giogana, in passato Via Sopra la Giogana o semplicemente Giogo o gran giogo: «Indi la valle, come ‘l dì fu spento,/da Pratomagno al gran giogo coperse/di nebbia; e ‘l ciel di sopra fece intento» (Purgatorio, V, 116). Più recentemente venne descritto il «[…] giogo di Camaldoli, al di là del quale cessa la Comunità di Pratovecchio e sottentra dirimpetto a grecale quella transappenninica di Premilcore.» (E. Repetti, Dizionario geografico fisico e storico della Toscana, 1881-1883). Strada vicinale della Giogana è la denominazione catastale che ancora conserva, con l’aggiunta o della Bordonaia o dei Legni per i tratti a ciò specificamente dedicati sui rispettivi versanti. Come sopraddetto, sicuramente frequentata già in era paleolitica e dai primi gruppi preitalici durante le loro migrazioni, in epoca romana, pur avendo perso la viabilità di crinale una funzione portante, era percorsa o attraversata anche da vie militari attestato da reperti. Il tracciato è rimasto in funzione fino alla prima metà del secolo scorso come importante via di comunicazione su grandi distanze ma, in considerazione anche dell’elevata altitudine e della scarsità di sorgenti, non ha mai registrato la presenza di insediamenti, salvo alcuni più recenti e specializzati con finalità turistiche. Già da epoche storiche boscaioli che trasportavano legname a dorso di mulo o conduttori di grossi traini di legname vi transitavano per raggiungere i passi montani; fino al XIX secolo fu inoltre interessato dalla transumanza, pratica talmente diffusa da dover essere regolamentata da parte delle amministrazioni demaniali, secondo regole rimaste invariate dal medioevo alla liberalizzazione dell’ultimo scorcio del XVIII secolo, stabilendo gli itinerari e istituendo le dogane, a fini di controllo e fiscali: «Nell’entrare in Maremma vi erano altre dogane dette Calle: a queste bisognava presentarsi, far contare il bestiame e pigliar le polizze.» (Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, 1774, in: P. Marcaccini, L. Calzolai, 2001, cit.), inoltre «[…] i pascoli maremmani di “dogana” erano aperti e chiusi, ufficialmente, […] il giorno 29 settembre […] l’apertura e 8 maggio la chiusura.» (M. Massaini, 2015, p. 73, cit.). Il bestiame, spesso affidato in soccida a pastori specializzati, in modo minore dalle alte valli del Bidente e del Savio ma soprattutto dalla montagna di Camaldoli, affluiva nel fondovalle dell’Arno per proseguire per Siena e la Maremma, le pasture Maretime. «Ma non mancava naturalmente bestiame vaccino liberamente pascolante sulle più alte pendici. Conosciamo, per questo aspetto, non soltanto quello di proprietà dei montanari, ma anche le vacche di certi proprietari ecclesiastici come il monastero di Camaldoli […]. E sappiamo, più in generale, che lungo tutta la giogaia, sull’uno e sull’altro versante, tanto i privati che quanto i signori feudali avevano greggi numerose […]» (G. Cherubini, 1992, p.20, cit.). Praticamente la foresta era diventata, con grave danno, una grande stalla all’aperto (G. Chiari, 2010, cit.), d'altronde, da sempre, «[…] quel settore dell’Appennino che ha al suo centro la valle del Casentino, e che si estende a tutto il Montefeltro e il Mugello, […] corrisponde con precisione all’area dei pascoli estivi di quell’economia basata sulla transumanza che dà un senso economico e culturale al territorio geografico dell’Etruria storica.» (G. Caselli, 2009, p. 22, cit.). Da due relazioni del 1663 e del 1677 conservate nell’Archivio dell’Opera del Duomo: «Il giorno di martedì […] arrivammo fino al Prato dei Conti il quale dicono essere il più eminente luogo di quelli Appennini […]. // […]Mercoledì 1° di agosto partimmo di Campigna e si andò a far la visita della faggeta di SAS et il confino dei Signori Conti di Urbech, andammo alla Stradella e preso il Giogo verso ponente si arrivò ai prati dei Signori Conti e si scese per una lunga e precipitosa strada […] che si trovò per la detta via cinque o sei capanne […] e sono tutte le capanne su quello dei Signori Conti et si vedde molti faggi tagliati nella macchia di SAS […] e Giovannella ci disse che era in dubbio chi appartenesse e di chi fosse se de Signori Conti o di SAS […].» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 311, 320, cit.). A proposito della citata faggeta a confino dei Conti di Urbech, è da precisare che si tratta della Faggeta di Sua Altezza Serenissima il Granduca, istituita nel 1559 (e decaduta all’inizio del XVII sec.) in occasione dell’emanazione della Legge dell’Alpe come riserva privata che poteva essere sfruttata solo a scopo militare e che si estendeva nel versante toscano per mezzo miglio e, come sopra detto, fino a un miglio dal crinale. Anche nell’ambito della contea era stabilito che «[…] nissuno possa fare Ronchi di faggi per seminare grani né biade di sorte alcuna […] non si possi tagliare su lalpe faggi p far madie, staccie, vagili, et tutti gli altri lavori utili […]» (Comuni Soggetti, n.901, Archivio di Stato di Firenze, in: M. Massaini, 2015, pp. 146, 149, cit.). Il Motuproprio emanato nel 1778 dal Granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena abolì i feudi, così il territorio e la popolazione della Contea di Urbech entrarono a far parte della Comunità di Pratovecchio (M. Massaini, 2015, cit.). Ancora nel 1818, nella descrizione dei confini del “Contratto livellario” tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli vengono citati i luoghi di questo primo tratto di Giogana: «Una vasta tenuta di terre […] confina […] sedicesimo, dal lasciato termine percorrendo sempre il confine della macchia di Monte Corsoio […] si giunge ad altro luogo detto la Pianaccina ove confina questa Comune con quella di Stia e quindi continuando la Giogana passando il Sodo dei Conti, Stradella, Calla […]». (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 475-476, cit.).

La Giogana, come anticamente documentato, tra l’altro attraversava o lambiva gli antichi possedimenti dell’Opera del Duomo di Firenze, che si estendevano da Poggio Corsoio a Cima del Termine, confinando (con frequenti dispute) ad Ovest con i possedimenti dello Spedale di S. Maria Nuova di Firenze e ad Est con quelli del Monastero di Camaldoli. In particolare, a Poggio Sodo dei Conti si ipotizza già transitasse la Via Flaminia Minor, realizzata «[…] sfruttando tratti di percorsi etruschi preesistenti […]» (A. Fatucchi, 1995, p. 27, cit.), utilizzata dalle legioni romane per valicare l’Appennino al fine di sottomettere Celti, Liguri e Galli Boj che stanziavano nella pianura padana; essa risaliva da Montelleri, sopra Stia, transitando nell’area del Lago degli Idoli, raggiungeva il Monte Falco, discendeva da quella che oggi è nota come Pista del Lupo (dove sgorga la Fonte Sodo dei Conti, la più elevata delle Foreste Casentinesi, 1605 m) per raggiungere Pian Cancelli e Poggio Corsoio dove trovava un bivio ancor oggi praticato: a sx si dirigeva verso Castel dell’Alpe e Faenza per immettersi nella Via Aemilia (questo è ritenuto il più antico itinerario di valico), a dx si dirigeva verso Forlì e Ravenna o transitando dal crinale del contrafforte principale o discendendo verso il percorso vallivo in direzione di Galeata (l’antica Mevaniola), anche qui potendo rimanere a mezza costa attraversando la Valle del Bidente delle Celle e le Ripe Toscane o risalire il Crinale del Corniolino. «Già dall’età etrusca arcaica (almeno dal secolo V a.C.). alla luce soprattutto delle scoperte degli ultimi decenni, la conca casentinese appare come un’area privilegiata di transito […]. Si trattava certamente di percorsi spontanei. […] Percorsi secondari sembrano risalire le valli dei torrenti Rassina e Archiano verso i valichi appenninici, dai quali scendono inclinate verso nord-est in direzione dell’Adriatico quelle romagnole del Savio (Sarsina-Cesena) e del Bidente (Galeata, l’antica Mevaniola e Forlimpopoli) abitate dagli Umbri» (A. Fatucchi, 1995, p. 27, cit.). Percorrendo la Giogana verso Est, a Poggio Lastraiolo, si trovano i Prati della Stradella, oggi più noti come della Burraia da quando, nel 1853 (come attesta una pietra incisa conservata all’interno del fabbricato venuta in luce nel corso dei restauri), il Siemoni fece costruire una stalla in muratura di pietrame da usare come alpeggio estivo per le mandrie, oggi noto come il Casone della Burraia, oltre un piccolo fabbricato posto ad Est della stalla con abitazione del custode, forno ed i rinomati locali per la lavorazione del latte (una foto del 1935 di Pietro Zangheri effettuata dal M. Gabrendo inquadra anche tali fabbricati; la foto si trova anche in AA.VV., 2008, p.42, cit.). «[…] L’indomani varcai l’Appennino, […] alla nuova mia ‘cascina’ della Stradella, dimora per gli uomini e le mucche nell’estate soltanto, il più elevato luogo abitato di Toscana, ove è rifugio ai viandanti presi dalle procelle o dalle nevi nella via che è breve, ma perigliosa, da Casentino nelle Romagne […]» (Leopoldo II, 1854, in: P.L. della Bordella, 2004, p. 80, cit.). Viabilità di origine preromana attraversava anche questo tratto di Giogana risalendo il Crinale di Corniolino, ben infrastrutturata e conservante oggi ancora notevoli tratti selciati, discendeva ai Tre Faggi quindi risaliva verso il Monte Gabrendo, giungendovi dopo lunghe circonvoluzioni sfruttando le dorsali di Costa Poggio dei Ronchi e Omo Morto ed affrontando il crinale del Poggio delle Secchete, ma in ultimo insinuandosi tra esso e Poggio Palaio (oggi in parte corrispondente al sentiero 289 CAI; la toponomastica odierna colloca quest’ultimo in luogo del precedente), poi ridiscendendo sul versante opposto verso Stia: si tratta dell’antica Stratam magistram, la sopracitata strada maestra romagnola o Via Romagnola che iniziava a Galeata: «[…] in prossimità di Campigna doveva passare una strada militare romana che da Castel dell’Alpi, per la fonte dei Conti che esiste tuttora, conduceva a Stia. Secondo alcuni cronisti medioevali per essa sarebbero passati S. Ambrogio, arcivescovo di Milano, e poi nel secolo XIV il papa Martino V, quando tornava dal Concilio di Basilea […]» (D. Mambrini, 1935 – XIII, pp. 271, 272). Stradella era la denominazione dell’antica via dei legni che scavalcava anch’essa i prati a fianco del Monte Gabrendo giungendo da Campigna per il trasporto dei lunghi tronchi da adibire ad alberi di maestra, ma secondo un percorso necessariamente più lungo che transitava da la Stretta (sotto i Fangacci). Oggi della Burraia rimane solo la ex-stalla, fino al 1947 utilizzata come stazione radio militare e da tale data recuperata e riutilizzata come Rifugio CAI La Burraia. Un altro rifugio al margine dei prati è il CAI Città di Forlì, edificato nel 1974 come servizio degli impianti sciistici (uno skilift lo rasentava) ma, essendo stata definitivamente rimosso nel 2016 (per via aerea e con riqualificazione dell’area) anche l’ultimo impianto rimasto che, partendo dallo Chalet Burraia (struttura nata negli Anni ’30 come servizio per escursioni appenniniche e, dal 1952, dei nuovi impianti sciistici) risaliva fino al sovrastante Monte Gabrendo, già Caprenno, oggi rimane solo lo skilift che dal Rifugio La Capanna raggiunge il crinale nei pressi di Sodo dei Conti a circa 400 m dall’innesto della Pista del Lupo.

Toponomastica - «Dal Sodo de’ Conti la via comincia a discendere dolcemente in direzione di levante, e dopo breve cammino sempre sul crine del monte, si giunge ai bei prati della Stradella (metri 1429), in mezzo ai quali sorge un capannone di pietra, detto la Burraia, conosciuta pel suo buon latte e squisitissimo burro. Più sotto si vede la gran fattoria di Campigna circondata a nord da una bellissima foresta di abeti, mentre al di sopra della Stradella si innalza il poggio Caprenno, che gareggia in altezza con quello della Falterona. Dal lato nord-est di poggio Caprenno per un sentiero sassoso si scende alla Calla […].» (C. Beni, 1881, pp. 55, 56, cit.). «CAVRENNA, CAVRENNO o CAPRENNO, frazione del comune di Firenzuola […].» (E. Rosetti, 1894, p. 192, cit.). «Caprénno – In Falterona. Etr. Caprina, Caprinal, lat. Caprinus. […] Pare lo stesso che Gabréndo. - CAPRENNA , o CAPRENNE, nel Valdarno superiore.» (E. Repetti, Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, 1831, in: G. Caselli, 2009, p. 115, cit.). «GABRENDO, Monte (Falterona), […] è anche scritto GLABRENDO e […] Glabredinus. Alteraz. di lat. med. rustico glabretum = luogo glabro < lat. glaber, -a, -um […], ital. glabro, tosc. gabbro (terra) sterile […].» (A. Polloni, 1966-2004, p. 131, cit.). «Valcavria […]: lat. vallis capria, caprius (capra) valle per capre […].» (A. Polloni, 1966-2004, p. 326, cit.). «Valcavria o Valcapra, casale nel comune di Galeata, […] nel 1371 Castrum Valcavriae, […].» (E. Rosetti, 1894, p. 781, cit.). Dalla lunga serie di citazioni il toponimo, nelle varie declinazioni, risulta di discreta diffusione: nel contesto alto-bidentino compare oltre che riguardo il ns. monte anche nelle valli sia delle Celle sia di Ridràcoli, in entrambi i casi con i due fabbricati di Capria e Capria di sotto, da cui trae l’identica denominazione un noto Biotopo sovrastante da Ovest il nucleo di Ridràcoli, già candidato come riserva naturale prima dell’istituzione del Parco delle Foreste Casentinesi. Ma interessante è la sostanziale coincidenza di significato toponimico, come derivazione sia da luogo glabro sia da luogo per capre che, con un sol termine, evidentemente riusciva a rappresentare lo stato del luogo nell’epoca del suo massimo sfruttamento pascolivo.

Per approfondimenti si rimanda alle schede toponomastiche Valle del Bidente delle Celle e/o relative a monti e insediamenti citati.

RIFERIMENTI   

AA.VV., Casentino da scoprire, AGC Edizioni, Pratovecchio Stia 2016;

AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;

AA.VV., Paesaggi d’Appennino, Il Ponte Vecchio, Cesena 2008;

S. Bassi, N. Agostini, A Piedi nel Parco, Escursioni nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, ComunicAzione, Forlì 2010;

C. Beni, Guida illustrata del Casentino, Brami Edizioni, Bibbiena 1998, rist. anast. 1^ Ed. Firenze 1881;

G. Caselli, Il Casentino da Ama a Zenna, Accademia dell’Iris - Barbès Editore, Firenze 2009;

G. Cherubini, L'area del Parco tra medioevo e prima età moderna, in: G.L. Corradi (a cura di), Il Parco del Crinale tra Romagna e Toscana, Alinari, Firenze 1992;

G. Chiari, La Lama. Nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Arti Grafiche Cianferoni, Stia 2010;

P.L. della Bordella, Pane asciutto e polenta rossa, Arti Grafiche Cianferoni, Stia 2004;

A. Fatucchi, La viabilità storica, in: AA. VV., Il Casentino, Octavo Franco Cantini Editore – Comunità Montana del Casentino, Firenze – Ponte a Poppi 1995;

A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;

M. Gasperi, Boschi e vallate dell’Appennino Romagnolo, Il Ponte Vecchio, Cesena 2006;

N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001;

D. Mambrini, Galeata nella storia e nell’arte, Tipografia Stefano Vestrucci e Figlio, Bagno di Romagna, 1935 – XIII;

M. Massaini, Alto Casentino, Papiano e Urbech, la Storia, i Fatti, la Gente, AGC Edizioni, Pratovecchio Stia 2015;

A. Polloni, Toponomastica Romagnola, Olschki, Firenze 1966, rist. 2004;

E. Rosetti, La Romagna. Geografia e Storia, Hoepli, Milano 1894;

P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anast. Castrocaro Terme 1989;

Alpe di S. Benedetto, Carta dei sentieri, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2014;

Carta Escursionistica, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze;

Itinerari Geologico-Ambientali, Carta Geologica del Parco, Regione Emilia-Romagna, Parco delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze;

Link https://servizimoka.regione.emilia-romagna.it/appFlex/sentieriweb.html.

Percorso/distanze :

sul sentiero di crinale GEA 00, fra Passo Calla e Monte Falco, in confine fra Romagna e Toscana

Testo di Bruno Roba

Il M. Gabrendo, sovrastante i prati della Burraia, è raggiungibile con grande facilità dalla S.P. 94 del Castagno dove, 800 m oltre lo Chalet Burraia, si trova il bivio della S.Vic.le Fonte al Bicchiere, rotabile in parte accessibile (piccolo parcheggio accanto alla sbarra), che risale fino ai prati raggiungendoli dopo 900 m. Da qui per la vetta del monte mancano 500 m.

foto/descrizione :

Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.

Nota – Per visualizzare le foto nel loro formato originale salvarle sul proprio computer, oppure se il browser lo consente tasto destro sulla foto e Apri immagine in un’altra scheda.

 001a– 001b – 001c – Dal Monte Piano (vetta del contrafforte principale che si distacca da Cima del Termine) si può avere una delle più ampie viste dell’intero spartiacque appenninico che si innalza oltre il contrafforte secondario che separa le Valli del Bidente di Pietrapazza (in p.p.) e di Ridràcoli. Nel suo sviluppo è abbastanza agevole riconoscere sia le due vette maggiori dei Monti Falterona e Falco sia il Monte Gabrendo accanto al quale spicca la copertura nevosa dei prati della Burraia (01/01/12).

 

001d – 001e - Dalla Colla dei Ripiani, alle pendici del Monte Castelluccio (altra vetta del contrafforte principale), l’asse visivo è leggermente modificato rispetto alle viste precedenti ma il Gabrendo è inconfondibile; i prati della Burraia sono rinsecchiti (27/11/11).

 

001f – 001g – Dal primo tratto dello stesso contrafforte, nei pressi del Poggiaccio, si può osservare il sopraggiungere delle prime luci che colorano anche il Monte Gabrendo, che spunta appena oltre il crinale della Bertesca mentre una probabile brinata mattutina sui prati della Burraia consente di notarli anche se ancora in ombra (27/11/11).

 

001h – 001i –Tutt’altro sito di osservazione si ritrova su un poggetto presso la rotabile che risale verso San Paolo in Alpe, poco oltre la sbarra: da qui l’effetto prospettico fa apparire il Gabrendo il più imponente del complesso montano pur essendo oltre 100 m più basso del Falco (26/03/12).

 

001l – 001m – Da S. Paolo in Alpe, luci ed ombre mattutine ed il leggero innevamento evidenziano i crinali mentre sopra il profilo del “piano inclinato” di Poggio Palaio si ergono i maggiori rilievi dello spartiacque tra i quali, per l’effetto prospettico, prevale il M. Gabrendo (21/11/18).

 

001n - 001o – Dai pressi del Monte Palestrina, sentiero 235, la distanza nuovamente si allontana più che altro offrendo una diversa contestualizzazione del complesso del Falterona (che si innalza oltre il contrafforte secondario che discende da Poggio Scali evidenziando Poggio della Serra, Poggio Capannina e la Valle del Ciriegiolone), i Monti Gabrendo e Falco appaiono come collegati dall’apparente sella dei Poggi Lastraiolo e Sodo dei Conti dove (16/10/16).

 

001p – 001q – Giungendo ad Acquaviva tramite il Sentiero degli Alpini (SA 301 CAI) tra la sequenza dei rilievi di uno dei tratti più impervi del versante appenninico si riesce a seguire l’intero skyline Monte Falco-Poggio Sodo dei Conti-Poggio Lastraiolo-Monte Gabrendo ed a traguardare gli antistanti prati della Burraia con il Rifugio Cai Città di Forlì (16/04/16).

 

002a – 002b – 002c – Spostandosi sul versante appenninico casentinese, dai pressi del passo del Giogarello sul crinale che si distacca dal Monte Gabrendo verso Sud (sent. 82 CAI), si ha una buona visione del versante meridionale dello stesso monte ed una panoramica inconsueta del complesso del Falterona. Lontanissime si scorgono le Alpi Apuane (11/01/12).

 

002d/002h – Dalla dorsale Sud del Monte Falterona, versante casentinese verso Montelleri tracciato dal sent. CT 4, si ha una vista ottimale e inconsueta del versante meridionale del dolce crinale su cui correva l’antica Stradella fino al Monte Gabrendo (12/10/11).

 

002i/002n – Da Poggio Scali il complesso del Falterona emerge oltre la schiena della Giogana in una diafana vista di fine inverno e la vetta semicircolare del Gabrendo contribuisce a disegnare le geometrie montane (9/03/11).

 

003a/003i – Il Monte Gabrendo visto da occidente (21/06/11 - 21/12/11).

 

003l – 003m - Viste dal Gabrendo verso occidente (21/06/11 - 21/12/11).

 

004a – Mappa schematica dedotta da cartografia storica di inizio XX sec. evidenziante reticolo fluviale e infrastrutture viarie, in gran parte corrispondente alla sentieristica di odierno utilizzo. All’epoca la nuova viabilità si fermava a Campigna, giungendo dal versante toscano, mentre dal versante romagnolo risultava realizzata oltre Corniolo e Lago fino all’altezza del M. della Maestà.

 

004b – 004c – Tratti iniziali di uno degli antichi tracciati viari descritti nelle notizie che, lambito il Gabrendo, scendevano verso Stia: questo era l’unico di crinale, oggi sentiero 86 CAI, che toccava i Monti Giogarello e Tufone (21/06/11 - 7/07/11).

 

004d – Parte dello skilift rimosso nel 2016 (21/06/11).

 

004e/004h – Una macchia di Veratro o Elabro lobeliano (Veratrum lobelianum) in vetta al Gabrendo (21/06/11 - 7/07/11).

 

004i - 004l – Lo Sparviere pelosetto o Pelosella o (Hieracium pilosella) fiorisce tra i prati del Gabrendo (21/06/11).

 

004m – 004n - 004o – La Genzianella campestre (Gentianella campestris), ritenuta rarissima nel Parco è però diffusa tra i prati del Gabrendo (21/06/11).

 

004p – 004q – 004r – Anche una falena della specie Zygaena purpuralis frequenta il Gabrendo; è un lepidottero che secondo gli esperti (Fiumi e Camporesi 1988) è abbastanza diffusa nei pendii erbosi e assolati della fascia appenninica romagnola tra i 500 e i 2000 m (21/06/11).

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