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Valle del Bidente di Ridracoli

inserita da Bruno Roba
Tipo : valle
Altezza mt. : 420
Coordinate WGS84: 43 53' 07" N , 11 50' 06" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

Testo di Bruno Roba (12/2016 - Agg. 25/04/23) - Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto appenninico spartiacque compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine; in quell’ambito si staccano due contrafforti secondari e vari crinali e controcrinali minori delimitanti le singole vallecole del bacino idrografico.

La Valle del Fiume Bidente di Ridràcoli riguarda quel ramo intermedio del Bidente delimitato, ad Ovest, dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si distacca da Poggio Scali e che subito precipita ripidissimo disegnando la sella di Pian del Pero, serpeggiante evidenzia una sequenza di rilievi (i Poggi della Serra e Capannina, l’Altopiano di S.Paolo in Alpe, Poggio Squilla, Ronco dei Preti e Poggio Collina, per terminare con Poggio Castellina) fino a digradare presso il ponte sul Fiume Bidente di Corniolo a monte di Isola, costretto dalla confluenza del Fiume Bidente di Ridràcoli. Ad Est la valle è delimitata dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si diparte da Poggio allo Spillo (collegando Poggio della Bertesca, Croce di Romiceto, i Monti Moricciona, La Rocca, Marino, Pezzoli e Carnovaletto) per concludersi con il promontorio della Rondinaia digradando a valle di Isola costretto dalla confluenza del Fiume Bidentino o Torrente Bidente di Fiumicino nel Fiume BidenteLa Rondinaia è nota per il castello con la sua torre «[…] baluardo di antica potenza, elevato fin dai tempi romani alla difesa contro le orde barbariche che dal nord d’Europa scendevano a depredare le belle contrade d’Italia.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 274).

Se da una visione zenitale, satellitare, il bacino idrografico appare come una sorta di grande fagiolo con la concavità orientata ad Est, con il lago in posizione baricentrica e l’asta fluvio/lacustre f.so Lama/invaso/fiume posizionata su un asse mediano Nord-Sud, bacino del quale si può apprezzare una morfologia caratterizzata da una articolazione di crinali e controcrinali convergenti sull’asse fluviale, anche le possibili viste panoramiche consentono di apprezzarne l’ampiezza, molto superiore rispetto alle valli collaterali. Dalla diversa giacitura e disgregabilità dell’ambiente marnoso-arenaceo, soprattutto per i versanti a valle del lago, è conseguita un’alternanza di pendii più dolci a prato-pascolo e di tratti intensamente deformati e brecciati, mentre i tratti più ripidi dei rilievi mostrano la roccia denudata. Scriveva il senatore F. M. Gianni (1728-1821) protagonista delle riforme leopoldine: «[…] è notabile come in molti luoghi l’Appennino è spogliato nella faccia di solatio, e vestito nella parte di bacìo perché da bacìo non era sperabile il trarre la misera raccolta di poca sementa e perciò non è stata perseguitata la montagna con Ronchi e Licenze» (Archivio di Stato di Firenze, Carte Gianni, in M. Pinzani, Lineamenti di storia forestale della Romagna toscana, in: N. Graziani, a cura di, 2001, vol. I, p. 137, cit.). Se nei fondovalle, specie dove essi si fanno più tormentati, profondi e ristretti, conseguono formazioni di gole, forre, financo degli orridi, con erosioni fondali a forma c.d. di battello, gli imponenti crinali secondari dei versanti a monte del lago, nel convergere verso il baricentro lacustre, delimitano aree di importante contributo idrografico e mostrano una continuità morfologica con il versante esposto a settentrione dove, specie nella parte a ridosso delle maggiori quote dello spartiacque appenninico (la c.d. bastionata di Campigna-Mandrioli), si manifestano fortissime pendenze modellate dall’erosione e dal distacco dello spessore detritico superficiale con conseguente crollo dei banchi arenacei, lacerazione della copertura forestale e formazione di profondi fossi e canaloni fortemente accidentati, talvolta con roccia affiorante (Frana Vecchia, 1950, e Frana Nuova, 1983-1993, sempre attiva, di Sasso Fratino). Una notazione di un grande riformatore: «Cavalcando […] vidi […]. La foresta dell’Opera sulla pendice precipitosa verso Romagna era manto a molte pieghe dell’Appennino, al lembo di quel manto apparivano le coste nude del monte […] Sugli spigoli acuti delle propaggini del monte si vedevano miseri paeselli con le chiese: San Paolo in Alpe, Casanuova, Pietrapazza, Strabatenza; impercettibili sentieri conducevano a quelli, e lì dissero le guide i pericoli del verno, la gente caduta e persa nelle nevi, […] i morti posti sui tetti per non poterli portare al cimitero, e nelle foreste i legatori del legname sepolti nelle capanne […]» (Leopoldo II di Lorena, Le memorie, 1824-1859, in G.L. Corradi, O. Bandini, 1992, p.78, cit.). Conclude un eminente studioso dell’epoca: «Nella […] zona delle montagne […] è questa la zona dei pascoli e del bestiame. I boschi di quercia, castagno e faggio si van sempre più restringendo e quelli di abete sono ormai scomparsi del tutto, ridotti come sono a poche macchie nella Falterona, Camaldoli e monti della Cella.» (E. Rosetti, 1894, p. 90, cit.).

L’area sorgentifera, con la realizzazione dell’invaso artificiale, si differenzia tra quella che alimenta il Lago di Ridràcoli e quella a valle della diga che alimenta direttamente il Fiume Bidente di Ridràcoli che, a differenza di altri rami bidentini, mantiene tale denominazione da qui fino allo sbocco; interessante a proposito la sua rappresentazione contenuta nella Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinese del 1850, conservata presso il Nàrodni Archiv Praha, dove il Bidente compare costituito dagli odierni Fosso del Molino e Fosso di Romiceto a partire dalla confluenza del Fosso di Ponte Camera, però detto delle Grigiole. L’area imbrifera del lago si estende da Poggio Scali fino al Passo della Crocina, ma anche dai versanti che lo fiancheggiano vengono importanti contributi. Dalla bastionata interna alla Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino provengono i Fossi delle Macine (in parte già di Campominacci), dei Fraticini o dei Praticini, dell’Acqua Fredda, di Sasso Fratino, di Campo alla Sega, dei Preti, della Bucaccia o del Castagno (nella parte alta del bacino denominato Fosso della Fonte del Porcareccio ma in passato prima detto del Porcareccio poi del Prato di Matteino) che sgorga dall’omonima sorgente perenne sulla Giogana, Geosito di rilevanza locale, originata dal contatto tra arenarie su scisti impermeabili che oltre che garantire la restituzione sorgiva determinano la formazione di un’area pianeggiante con esteso ristagno idrico e formazione di una torbiera, e i Fossi delle Segarine, degli Altari, dei Pianelli e della Spazzola. I Fossi degli Acuti già Acutoli, dei Fangacci o del Mascherone o dei Fondi, della Penna, delle Ripe e dei Forconali e quelli antichi Gavine di Lierna, Sasso al Fornino, Alla Fonte Grattugia, Fonte di Legno, Fontemurata, dei Gamberi o Asciutto Lungo, che, provenienti dall’anfiteatro naturale che circonda il Monte Penna (già Poggio alla Penna) o da Poggio Fonte Murata (Pian di S. Buco), generano il tratto di asta fluviale principale del Fosso della Lama. «[…] origini delle acque […] del Fiume Lama che va in quello di Santa Sofia e prende altre acque sino di là dalla Fonte al Sasso» (F. Mazzuoli, Veduta dell’Appennino …, 1788, BNCF, G.F. 164, in: M. Sorelli, L. Rombai, 1992, p.50; N. Graziani, 2001, vol. II, p.875; cit.); «Cavalcando […] vidi nel fondo della valle del Bidente una macchia nera nell’Appennino, al certo foresta d’abeti d’importanza […] Desioso di conoscerla presi la via di Ridracoli, vidi poco dopo distendersi alli occhi la scena selvosa nelle pieghe d’Appennino […] poi vidi la via spianarsi in una valletta verde, profonda cinta da antica altera foresta che un ruscello bagnava, e disse la guida Giovannetti essere la valle della Lama e il fosso chiamarsi della Sega […]» (Leopoldo II di Lorena, Le memorie, 1824-1859, in G.L. Corradi, O. Bandini, 1992, p.78, cit.). In questo ambito, Geositi puntuali di rilevanza locale si trovano lungo il Fosso dei Fangacci, qui costituiti da un raro affioramento di un accavallamento con deformazioni a piega di ginocchio, e lungo la Strada Forestale Lama-Corniolo presso l’attraversamento del Fosso del Castagno, qui costituiti da un raro affioramento stratigrafico di forte spessore dove alla marna si alterna una torbidite. Geositi di rilevanza locale sono La Lama, per le note caratteristiche di riempimento di antico bacino lacustre, con formazione di torbiera, originatosi per sbarramento della valle ad opera di un’imponente frana staccatasi da Poggio Fonte Murata in epoche storiche, il Monte Penna che, forse per dislocazioni recenti lungo fratture sub verticali, emerge invadente in quel fondovalle rispecchiando nella morfologia asimmetrica la giacitura a reggipoggio degli strati e consentendo la vista panoramica dell’intero bacino idrografico fino al lago, e la Fonte Solforica della Lama, fontana in conci di arenaria da cui esce una sorgente molto copiosa dove colonie di solfobatteri formano una mineralizzazione solforosa, anticamente nota come Pozza della Troia o della Scrofa (l'area mostra frequenti passaggi in epoca preromana e romana) ed utilizzata a scopo terapeutico anche dagli animali, in particolare la leggenda vuole che una scrofa spontaneamente vi abbia trovato beneficio da cui l'appellativo popolaresco; accanto ad essa si trova una seconda sorgente posta all’interno di un chiostro votivo ma producente minori depositi bianchi. I Fossi del Molino, di Romiceto, del Campeggio, di Ponte Camera già delle Grigiole, Rogheta, provenienti dal versante orientale (il primo, in regime di secca, nella parte finale ormai lacustre mostra lo “scheletro” stratigrafico della primitiva incisione fluviale), sono immissari diretti o indiretti del lago come lo sono i Fossi Fossone o Fossatone, dell’Orso e del Fontanone ma essi provengono dalla Cerviaia. Il Rio Fossati o Fosso del Raggio, i Fossi delle Pozzacchere, del Ciriegiolone, dell’Aiaccia, del Molinuzzo, dell’Asino, della Busca sono immissari diretti o indiretti del lago provenienti dal versante occidentale. A valle della diga il fiume riceve contributi: dei Fossi dei Tagli, Corneta, del Catinaio, delle Stolle, di Ronco Vecchio, di Val Spugna o Rio delle Valli, di Campitello e delle Comele provenienti dalla dx idrografica mentre, dalla sx, dai Rii del Castagno e Bacine, dai Fossi del Castagno, di Canforchisio, di Biserno, di Balzaino, di Vignale e del Soldoni.

Dopo la confisca del vasto feudo forestale da parte della Repubblica di Firenze a danno dei conti Guidi, l'alpe del Corniolo, la selva del Castagno e la selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli tra il 1380 e il 1442 furono donate (il termine contenuto in atti è “assegnato in perpetuo”; A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 15-16, cit.) all’Opera del Duomo di Firenze che, per oltre quattro secoli si riservò il prelievo del legname da costruzione e per le forniture degli arsenali di Pisa e Livorno, di quelli della Francia meridionale oltre che per l’ordine dei Cavalieri di Malta: «Alcune antenne raggiunsero perfino il prezzo di 2000 lire […]» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 272); «[…] gli inglesi hanno pagato somme enormi alla Chiesa Cattolica, nel corso degli ultimi due anni, per l’acquisto di legname che consentisse loro di combattere le loro battaglie.» (Joseph Forsyth*, Di monte in valle: luoghi celebri del casentino, 1802, in: A. Brilli, 1993, p. 26, cit.; * nel corso della prigionia francese per attività filobritannica scrisse Remarks … during an Excursion in Italy in the Years 1802 and 1803, Londra, John Murray 1816). Forniture riguardarono anche il mercato romagnolo utilizzando il Bidente per il trasporto. Per ricavare alberi di maestra delle maggiori dimensioni (28 m di altezza) occorrevano abeti plurisecolari di almeno 40 m. (un esemplare di albero di maestra si trova a Campigna). Il depauperamento per i tagli, legittimi ed abusivi, anche conseguenti alla progressiva antropizzazione del territorio con incremento di appoderamenti per colture e pascoli realizzati con la pratica del ronco, portò la foresta a ridursi alle zone più impervie delle testate vallive. Dal 1838, con il passaggio alle Reali Possessioni granducali delle aree forestali finora dell’Opera (e, dal 1857 al 1900, in parte come proprietà diretta del Granduca) e grazie alla riorganizzazione tecnico-amministrativa dell’ingegnere forestale di origine boema Carlo Siemoni, poi dal 1866, a seguito della soppressione degli ordini religiosi ed il passaggio al Regio Demanio, principiarono notevoli ripensamenti gestionali (per l’importazione di massicce quantità di piantine e di sementi oggi non è possibile distinguere l’ecotipo appenninico locale dall’ecotipo continentale della Boemia, fatta eccezione per le piante di età superiore a 180 anni). Tuttavia, solo a partire dal 2 marzo 1914, nuovamente accorpato e rientrato in proprietà e gestione diretta al Demanio dello Stato, il patrimonio forestale ha visto iniziare quell’opera di conservazione e di miglioramento che ha portato al conseguimento di obiettivi insperati. Con l’abbandono della montagna nel secondo dopoguerra, constatata l’impossibilità politica ed economica del sostegno di forme di agricoltura basate sull’autoconsumo, si è reso possibile il perseguimento degli obiettivi di conservazione degli habitat naturali. Così oggi, le aree montane dell’alta valle del Bidente e vaste aree submontane, oltre ad altre adiacenti al Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, in gran parte di proprietà demaniale, si trovano inserite nella rete Area Natura 2000 con tre siti per le caratteristiche di seguito riassunte: Foresta di Campigna, Foresta la Lama, Monte Falco, uno dei più importanti e studiati della regione, santuario della conservazione naturalistica a livello nazionale e internazionale che comprende la Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, caratterizzato dalle foreste millenarie di Faggio e Abete bianco, dai vaccinieti e praterie secondarie con relitti alpini di grande significato fitogeografico, gli unici dell'Appennino romagnolo, e da alcune specie mediterraneo-montane, alcuni dei primi e le seconde rispettivamente al limite meridionale e al limite settentrionale del loro areale distributivo, che ricoprono quasi fino in vetta il tetto della Romagna; Monte Gemelli, Monte Guffone e Rami del Bidente, Monte Marino che si estendono dalle parti alte dei bacini fluviali fino al corso inferiore dei tre rami ed alla loro confluenza, comprendendo il lago di Ridracoli, siti caratterizzati da boschi naturali, rimboschimenti, pascoli in generale regresso per progressivo abbandono delle pratiche zootecniche tradizionali, praterie cespugliate ed arbusteti a Ginepro per lo più derivanti dalla rinaturalizzazione di ex-coltivi ed ex-pascoli, che diventano garighe su versanti esposti, oltre a zone rupestri e plaghe rocciose; completano il quadro relativo a un territorio relativamente poco antropizzato gli ambienti fluvio-ripariali dei corsi torrentizi dei tre Bidente, dai noti aspetti geomorfologici e geotettonici, più largo “Corniolo”, più incassato “Ridracoli”, più mosso e variato “Pietrapazza”, ma in un contesto ripariale appenninico abbastanza simile, caratteristico e ben conservato. Dal 7 luglio 2017 le faggete vetuste del Parco Nazionale comprese nella Riserva di Sasso Fratino e una vasta area circostante comprendente le Riserve Biogenetiche Casentinesi e altre aree all’interno del Parco Nazionale, per un totale di circa 7.724,28 ha, fanno parte del patrimonio mondiale dell’UNESCO, andando a rappresentare uno dei più estesi complessi forestali vetusti d’Europa. Per l’Italia si tratta della prima iscrizione di un patrimonio naturale espressamente per il suo valore ecologico di rilievo globale. Approfondite indagini nell’area, che rappresenta complessivamente il sito di maggiori dimensioni tra quelli designati in Italia ed uno dei più estesi complessi forestali vetusti d’Europa, hanno portato alla scoperta di faggi vecchi di oltre 500 anni, tra i più antichi d’Europa, che fa entrare Sasso Fratino nella top ten delle foreste decidue più antiche di tutto l’Emisfero Nord. Questi faggi sono quindi coevi di Cristoforo Colombo e Leonardo da Vinci e al limite della longevità per le latifoglie decidue. Oltre al valore naturale, il faggio è una specie dall’alto valore simbolico e culturale, storicamente legata allo sviluppo dei popoli europei (l’etimologia del nome si riferisce ai frutti eduli, dal greco phagein = mangiare).

L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio. Già nel paleolitico (tra un milione e centomila anni fa) garantiva un’ampia rete di percorsi naturali che permetteva ai primi frequentatori di muoversi e di orientarsi con sicurezza senza richiedere opere artificiali. Nell’eneolitico (che perdura fino al 1900-1800 a.C.) i ritrovamenti di armi di offesa (accette, punte di freccia, martelli, asce) attestano una frequentazione a scopo di caccia o di conflitto tra popolazioni di agricoltori già insediati (tra i siti, Campigna, con ritrovamenti isolati di epoca umbro-etrusca, Rio Salso e S. Paolo in Alpe, anche con ritrovamenti di sepolture). Grazie alla segnalazione da parte del corpo dei Carabinieri Forestali, sulle sponde dell’invaso di Ridracoli, nei dintorni del sito  dove viene posizionata la zattera di approdo del battello, è stato recentemente rinvenuto (2020) un sito con abbondanti nuclei per la produzione di lamelle, costituiti da vari strumenti lavorati, schegge di lavorazione e lamelle stesse, che può far pensare ad una strutturata stazione preistorica, databile provvisoriamente al Paleolitico finale (facies Epigravettiana) o al seguente Mesolitico, fra i 15.000 e i 12.000 anni da oggi. È pertanto da ritenere che sulle sponde dei torrenti che oggi formano il lago si siano spinti cacciatori paleolitici alla ricerca delle prede che abitavano i rilievi appenninici circostanti, quali cervi, caprioli e cinghiali, ma anche l’orso, scomparso da circa un secolo, e i castori, scomparsi nel ‘600 (M. Ducci, 2020, p.12, cit.; https://www.parcoforestecasentinesi.it/it/news/sulle-tracce-di-cacciatori-preistorici-nel-parco). In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae, l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, come per l’intero Appennino, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur mantenendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate ma p. es., nel Settecento, chi voleva salire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami che venivano così descritti: per Ridràcoli «[…] composto di viottoli appena praticabili […]» per S. Paolo in Alpe «[…] largo in modo che appena si può passarvi […].» e per il Corniolo «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi in modo che appena vi può passare un pedone […]» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, citato da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna Toscana e il Casentino nei tempi granducali. Assetto paesistico-agrario, viabilità e contrabbando, in: G.L. Corradi e N. Graziani - a cura di, 1997, p. 82, cit.). Inoltre, «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, 1992, p. 32, cit.). Così, se al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX. Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.).

È appurato che una via militare romana, proveniente da Arezzo, risaliva verso lo Spartiacque Appenninico transitando da BibbienaFreggina e il Fosso Tellito (poi di Camaldoli). «Un tracciato romano molto razionale è riconoscibile anche nel bacino dell’Archiano, per Partina, Camaldoli e la valle del Bidente, anche perché documenti dei secoli XI e XIV menzionano una “Via Romana” sul crinale a monte di Camaldoli, che sarebbe alquanto difficile da spiegare nel senso di Via Bizantina, o di via che conduce a Roma (A. Fatucchi, La viabilità storica, in: AA. VV., 1995, p. 27, cit.). Tra le ipotesi, la via, giunta sul versante orientale di Poggio Scali, piegava a dx discendendo lungo la sella di Pian del Pero (corrisponde al tratto in seguito noto come Via del Giogo di Scali, ricordato nell’atto leopoldino, oggi sentiero della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino vietato al transito), quindi percorreva il noto (e transitabile) contrafforte secondario verso S. Paolo in Alpe (dalla fine dell’anno Mille divenne luogo eremitico), poi si biforcava presso Poggio Squilla da un lato discendendo verso Corniolo per l’erta scorciatoia del Fosso delle Cerrete (nel XII secolo vi sorgerà il Castello di Montinalto), e dall’altro lato, nel dirigersi verso Forlì, sulle pendici di Poggio Castellina, darà luogo all’insediamento del Castello di Spugna di Sopra (Spugnae de supra e de subtus castrumSpugna di sopra posta sotto il castello), documentato nel 1303 ma di cui non rimane traccia. Sul Passo Sodo alle Calle o La Scossa, dove pare sia stata rinvenuta qualche moneta del III secolo a.C. ed armi e Carlo Siemoni avrebbe trovato resti evidenti di massicciata romana ed una stipe votiva, converge la Strada che dalla Seghettina va a Stia e, poco distante, la Strada delle Pulci verso La Lama (così soprannominata dagli addetti al traino del legname per la noiosità del lungo tragitto in salita). Anche i percorsi transitanti da La Lama paiono far parte dell’antica Via Romana, ricordata in due carte del Regesto di Camaldoli«L’antichità di questa via è ricordata in due carte del Regesto Camaldolese. Nella prima, del 1027, viene citata discendente dalla giogaia delle Alpi tra la Toscana e la Romagna, passando per la foresta dell’Eremo di Camaldoli […]. Nel secondo documento del 1047, che conferma tutti i beni agli eremiti di Camaldoli da parte del Vescovo Teodaldo, viene citata come via “Romana”. L’atto stabiliva i confini sul crinale di un grosso appezzamento di terra. Questo andava dal fosso chiamato Tellito, cioè quello di Camaldoli, fino alla via citata come “Romana” e il giogo che divideva la Romagna dalla Toscana. […] Di lì passo Papa Pasquale II di ritorno dalla Lombardia. […] Quel passaggio fu ricordato in una testimonianza, molti anni dopo, in un processo tra il Vescovo di Arezzo e quello di Siena celebrato tra il 1177 e il 1180. Nell’occasione fu interrogato il presbitero Homodeus, che […] disse che vide lo stesso Papa Pasquale presso Camaldoli, di ritorno dalla Lombardia […]. Questo documento conferma anche la continuità del percorso della via che […] il Papa aveva scelto, anche per rivedere i suoi luoghi natali di Galeata, ritornando dal nord Italia verso Roma. […] vidi io stesso, sotto il Giogo di Seccheta nel versante romagnolo, tra il crinale e la curva degli Acuti, la via romana che saliva verso lo spartiacque.» (G. Innocenti Ghiaccini, 2018, pp. 29-30, cit.). Il poco distante passo del Gioghetto (Gioghicciolo negli antichi documenti camaldolesi), che è raggiunto da un percorso sia di esbosco che di transumanza proveniente da La Lama (in parte scomparso o sostituito a seguito della costruzione della parte ottocentesca della Via degli Acuti), sarebbe attraversato dalla Via Romana che, dal sito dell’Eremo, scendeva a Camaldoli tramite la Via Corta, per poi percorrere la valle dell’Archiano fino a Soci Bibbiena. Valicando il Gioghetto il ravennate Romualdo nel 1024 giunse a Campo Amabile (Camaldoli) per fondare l’Eremo (nel 1012 secondo la tradizione): «[…] per salire all’Eremo (Campo Amabile), i pellegrini romagnoli, S. Ambrogio di Milano e Leopoldo II Granduca di Toscana, percorrevano la via dei fedeli di San Romualdo che da Santa Sofia, per Ridracoli, la Seghettina e la Lama, sale al Gioghetto per ridiscendere al sottostante Eremo.» (P.L. della Bordella, 2004, p. 190, cit.) … «[…] ricordiamo, in particolare, il Gioghetto, attraverso il quale il ravennate san Romualdo scese a Campo Amabile […]» (F. Pasetto, 2008, p. 207, cit.). Della Via dei fedeli di S. Romualdo rimangono tracce o consistenti resti sul versante romagnolo a partire dalla Seghettina, quando la mulattiera scendeva a guadare prima il Fosso degli Altari poi il Fosso della Lama (dopo aver scavalcato Poggio della Cornioleta) su una pedanca documentata dalla Carta d’Italia I.G.M. del 1894, per proseguire in dx idrografica fino a La Lama; alla via va pure attribuito il tortuoso tratto finale risalente al passo nella località La Docciolina, presso La Cava dei Frati, fino al Gioghetto.

Ricordando che sia il toponimo Giogo sia i diminutivi GioghettoGiogarelloGioghicciolo erano piuttosto diffusi, alcuni documenti costituirebbero ipotesi per una diversa localizzazione di un luogo della tradizione storica camaldolese. In particolare, uno schizzo planimetrico della metà del XVIII secolo, conservato nell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze e relativo ad aree controverse tra l’Opera e i Monaci di Camaldoli (riportato in: A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 31, cit. - V. anche M. Ducci, G. Maggi, 2022, cit.), contengono altre interessanti informazioni che farebbero ipotizzare un diverso itinerario, che avrebbe utilizzato come  valico il Passo della Crocina (raggiunta Casanova dell’Alpe ancora oggi si estende fino al Raggio della Rondinaia, proteso verso S. Sofia), mentre sarebbe da escludere l’utilizzo della Via de Monte Acutum, documentata nel Regesto di Camaldoli già dal 1084, risalente a Cima del Termine tramite le Rivolte di Bagno, ma più funzionale al collegamento con la Badia a Pretaglia. Si legge, in una relazione del 1652 sulle selve di proprietà dell’Opera: «è la Lama in un piano a cui verso il Giogo sovrasta un altissimo monte che si dice la Penna con una spiaggia che si dice i Beventi luoghi tutti coperti per lo più di faggi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 269, cit.), e, nel Contratto livellario del 1818 tra l’Opera e il Monastero: «[…] ventiseiesimo, […] Proseguendo sempre verso levante per il crine l’Opera tiene in proprio le acque che scorrono in Romagna […] seguitando per i vocaboli d’alture del Prato di Bertone e sopra l’Eremo, si giunge al luogo detto Fonte al Sasso e percorrendo sempre l’appennino continuano a confinare i Reverendi Monaci di Camaldoli con i vocaboli di alture di Prato agli Aceri, ed altura sopra i Prati alla Penna e della Duchessa fino al Gioghetto, da questo scendendo alla fonte dei Beventi, o fonte del Gioghetto, s’incontra un termine nella strada che conduce in Romagna e seguitando la direzione di questo si sale ad un braccio dell’Appennino ove con altro termine confinano i Comunisti di Serravalle; ventisettesimo, da questo punto ossia termine i Reverendi Monaci di Camaldoli seguitando il crine dei Beventi, di Monte Cucco, dei Segoni, seguitando l’istesso crine fino alle Rivolte […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 465-466, cit.). Da tali documenti e dalla mappa citata, oltre all’identificazione del toponimo Via Bordonaia, che è attribuito ad un tratto viario di crinale tra Prato alla Penna e il Passo dei Fangacci, si trae una rappresentazione dei luoghi solo in parte diversa da quella odierna, laddove, verso Est, si rappresenta un toponimo Beventi (luogo noto, già allora, per essere ricoperto da una estesa faggeta che si estendeva fino al Monte Penna) e si ritrova il “vocabolo” Gioghetto che (corrispondendo alla citata descrizione confinaria) pare posizionato presso Poggio Tre Confini (effettivamente è un punto di valico, presso il quale si trovano antichi cippi confinari con stemma camaldolese; cfr. M. Ducci, G. Maggi, 2022, cit.); il luogo sovrasta la Fonte dei Fangacci, ivi denominata fonte del Gioghetto o dei Beventi, posta presso il Rifugio ex-CAI Onorio Mellini – Fangacci, dal 2020 gestito in esclusiva da Fitness Tuscany.

La prima cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto Toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), la nota Carta Geometrica della TOSCANA di G. Inghirami (1850 – scala 1:200.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), consente di conoscere, tra l’altro, il tracciato della viabilità antica che riguardava la Valle di Ridràcoli, ricordando che se per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX, il crinale che dal Passo della Crocina si svolge fino alla Rondinaia in gran parte venne fortunatamente salvaguardato dal distruttivo progetto dell’ingegnere granducale Ferroni che, tra le ipotesi di “strada dei due mari” che doveva unire la Toscana e la Romagna, indicava il tracciato montano Moggiona-Eremo di Camaldoli-Passo della Crocina-Casanova in Alpe-Santa Sofia (essendo ritenuto idrogeologicamente valido).

Il tracciato principale della viabilità storica diretta a Ridràcoli attraversava il Bidente di Corniolo presso Isola, sul luogo dell’odierno Ponte dell’Isola, mantenendosi in sx idrografica e risalendo subito a mezzacosta fino a raggiungere Biserno, per quindi ridiscendere nel fondovalle del borgo, dove terminava con un lungo rettilineo al cui termine si trovava il Ponte di Ridràcoli. Tale viabilità, che nel 1850 era rappresentata come Strada comunitativa non rotabile (quindi solo barrocciabile), anonima nelle mappe citate, verrà poi denominata Strada Comunale Isola-Biserno e Strada Comunale Ridràcoli-Biserno; in occasione dei lavori di costruzione dell’invaso la prima verrà ristrutturata e ampliata diventando la S.P. n.112, mentre la seconda è rimasta per uso locale riutilizzata anche come percorso escursionistico. Presso il Ponte dell’Isola, si trovano Ponte di Là, prospiciente il Bidente di Corniolo e un fabbricato anonimo, raggiunto dalla pista che scende al fiume detta Via Isola-Gualchiera, adiacente ad un arcaico attraversamento fluviale pedonale del Bidente di Ridràcoli, che sull’altra sponda trovava Cosmedino; il ponticello (c.d. Ponte tra Isola e Cosmedino o Ponte a Cosmedino, rimangono resti) è sorretto da pile realizzate con tronchi di legno (quercia o castagno) terminanti a forcella per aumentare la base di appoggio del piano viario costituito da travi longitudinali e tavolato di assi (idoneo solo al transito leggero). Tecnicamente detto pedanca, questo attraversamento storico, forse affiancato anche da un guado posto a ridosso della confluenza tra il Bidente di Ridràcoli e il Bidente di Corniolo (dante inizio al Fiume Bidente), collegava il luogo, noto anche come Gualchiera, alla Strada dei Marroni che, in dx idrografica, giungeva da Bleda: la strada successivamente risaliva verso l’insediamento di Fontaccio Fontorso e il Monte Carnovaletto per poi ridiscendere alla Rondinaia (Castrum Rondenarie, resta la torre, «[…] baluardo di antica potenza, elevato fin dai tempi romani alla difesa contro le orde barbariche che dal nord d’Europa scendevano a depredare le belle contrade d’Italia.» - D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 274, cit.). Poco più a monte è presente un altro guado carrabile prossimo al Molino della Sega, raggiungibile con deviazione dalla S.P. n.112 adiacente al fabbricato detto La Maestà o La Maestà di Cornieta, presso il quale si trova identica passerella su tronchi lignei, il c.d. Ponte al Molino della Sega o Ponte della Sega, ancora consistente ma non transitabile, che consentiva l’accesso nella Valle delle Corneta tramite la futura S.Vic.le Campitello-Farneto-Poggio dell’Ulivo. L’unico rilevante tracciato storico di viabilità secondaria sul versante in dx idrografica si distaccava da quella principale a Poggiolo, attraversava il Bidente tramite il Ponte Beppino (ricostruito, ma sempre soggetto a rischio di alluvione) all’altezza della Val Spugna diretto agli insediamenti di Spugna e alle Case Monte di Valle: da qui si diramavano la Strada delle Valli e la Strada di Ronco Vecchio, che si inoltravano nelle rispettive valli risalendo verso il crinale montano. Come accennato, da Biserno la strada provinciale ha abbandonato il tracciato storico, così interferendo con il percorso trasversale discendente al c.d. Ponte al Molino di Biserno, dove una pedanca o palancola adiacente il mulino (oggi modernamente ricostruita) ripropone il collegamento con la viabilità oltre il fiume. Poco più avanti, dove già esisteva un guado o forse altro attraversamento, il c.d. Ponte Monte di Valle consente un collegamento carrabile tra la provinciale e la strada consorziale Monte di Valle a servizio delle case omonime. La strada comunale da Biserno ancora raggiunge Canforchigi in parte come percorso turistico, qui però abbandonando il tracciato antico che scendeva direttamente ad attraversare il Fosso di Canforchisio, in base alla cartografia probabilmente a guado, luogo oggi riutilizzato dalla provinciale; dopo un’ampia curva aderente all’ansa fluviale si ritrova lo storico rettilineo finale che dal Casone porta al Palazzo Giovannetti e adiacente Oratorio della Madonna della Neve, dove si ritrova l’unico residuo di selciato che scende ripido al Ponte di Ridràcoli. Poco distante il Bidente è attraversato dal  c.d. Ponte nuovo di Ridràcoli, dotato di parapetti lignei e bene inserito nel contesto con alti argini rivestiti in pietra, che consente l’accesso alla nuova area del Museo delle Acque.

Dal Ponte di Ridràcoli partiva la Strada che da Ridracoli va al Poggio alla Lastra che risaliva la Valle del Corneta quale porzione della successiva e rinomata Mulattiera di Ridràcoli, diretta a S. Sofia tramite Strabatenza. La mulattiera, rasentate le case dei poderi ecclesiastici e superata la Chiesa dei SS. Martino e Lorenzo, attraversava il Fosso Corneta con il Ponte delle Cornete: documentato quale struttura lignea dai primi anni dell’800 è stato trasformato a seguito del riutilizzo da parte della S.F. Ridràcoli-Passo del Vinco che, negli anni 1965-70, ha rettificato e reso rotabile parte della Mulattiera di Ridràcoli. Prima del ponte, un altro antico e anonimo tracciato diretto a S. Paolo in Alpe tramite la valle del Rio Bacine, divenuto Mulattiera di Ridracoli-S.Paolo in Alpe (poi detto S.Vic.le Rio Castagno-Ridracoli), di cui in passato si trovava un cippo abbattuto presso la chiesa, mantenendosi in sx idrografica e transitando dal sito del museo, poco dopo trova ancora la restaurata Maestà delle Galvane prima di raggiungere il podere Le Galvane. Esso si interrompe solo brevemente presso una bretella stradale risalendo il Rio Bacine fino ad un’opera di presa idraulica, attraversando forse inconsapevolmente i luoghi dove sorgevano La Bacina e Rio di Castagno, quest’ultimo demolito per fare posto alle infrastrutture idrauliche. Da qui in poi il percorso, ripristinato o ritracciato come sentiero negli scorsi anni ’80 dall’A.R.F., a volte ritrova tratti del selciato della mulattiera e tutti i suoi luoghi cardinali. Un tratto viario a mezzacosta, oggi sent. 231, collegava il centro religioso con il Castello da cui partiva la Strada che dal Castello di Ridracoli conduce alla Chiesa della Casanova, costituendo prima parte della futura Mulattiera Bagno-Pietrapazza-Ridràcoli (su una pietra cantonale della chiesa di Casanova sono ancora leggibili le distanze chilometriche – evidentemente non più valide - km 12,358 per Bagno e km 5,933 per Ridràcoli). Per raggiungere Bagno di Romagna la mulattiera transitava prima da Maestà di Valdora, il Paretaio, Siepe dell’Orso, Pietrapazza, la Maestà della Casaccia, Rio d’Olmo, infine (a seguito dei miglioramenti del 1841 – v. scheda Monte Càrpano) la Colla o Passo di Càrpano (per rimanere nell’ambito dei rami bidentini). Entrambe le mulattiere incrociavano sul crinale la Strada Maestra di S. Sofia o Strada che dalla Casanova va a Santa Sofia, la prima presso il Monte Moricciona, la seconda sul Passo della Colla. Rinomate e ancora riportate come tali nella cartografia moderna, negli anni ’50 alle estremità delle mulattiere vennero installati dei cippi stradali riportanti la rispettiva denominazione, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli; rimasero localmente in uso fin’oltre metà del XX secolo, infatti le odierne strade forestali verranno realizzate solo un ventennio dopo. Mentre parte della Mulattiera di Ridracoli è scomparsa o desueta a seguito della realizzazione della S.F. Ridràcoli-Passo del Vinco, la seconda è pressoché interamente riutilizzata dalla sentieristica CAI. Dai piedi del centro religioso si staccava un percorso che giungeva fino alle pendici della Seghettina … «[…] praticabile solamente nella bella stagione, quando le acque del fiume erano scarse, e si snodava lungo il corso del Bidente che veniva attraversato ben 33 volte […]» (C. Bignami, 1995, p. 90, cit.). Dalla citata via castellana si staccava la strada comunale, sempre percorribile, che risaliva il Bidente per un lungo tratto (fin quasi a Lagacciolo) correndo accanto all’alveo fluviale, per la parte fino alla diga oggi sostituito dalla viabilità di servizio, per il resto ormai sommerso. La via scavalcava il Fosso dei Tagli, presso lo sbocco nel Bidente, forse sul luogo oggi occupato dall’asfalto stradale, con il Ponte dei Tagli, subito dopo la mulattiera passava sotto un arco del Mulino di Sopra costeggiandone il bottaccio. Con la costruzione della diga e con il riempimento dell’invaso, è scomparso pressoché l’intero tracciato viario e sono scomparsi mulini, insediamenti (le Celluzze – che a volte riemerge, la ForcaLagaccioloVerghereto), ponti e guadi che, come sopracitato, attraversavano 33 volte il Fiume della Lama o Obbediente (come era anticamente classificato), come il Ponte alla Forca  e il Ponte a Ripicchione, quest’ultimo comparente in una mappa dei possedimenti dell’Opera del Duomo di Firenze del 1637, nota in quanto allegata ad una relazione del 1710, documentato nell’Estimo del Comune di Ridràcoli del 1704 come Ponte Arpicchione e citato nel Contratto livellario del 1840 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli: «N. 8 - Podere di Lagacciolo […] Terreni. Un solo tenimento di terra […] riconosciuto per i vocaboli: […] Ponte Ripicchione […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 519, cit.) (riproduzioni della mappa si trovano in A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, l’originale a colori, in A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.). Il ponte, nella mappa rappresentato con profilo ad arco con spallette (tipologia possibile solo con struttura in pietra), era posto subito a valle della confluenza del Fossato del Ciregiolo (oggi Fosso del Molinuzzo) nel fiume, proprio nel luogo dove oggi sorge la diga, consentendo di risalire la riva sx del fosso verso Le Celluzze e il Molinuzzo (nella mappa compare La Poderina, posto ancora più a monte); nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894) compare il simbolo detto pedanca, corrispondente ad un ponte ligneo pedonale, non più presente nella successiva e particolareggiata mappa del 1937. Noto per la sua precarietà e pericolosità, prima di metà del secolo scorso non fu più ripristinato venendo sostituito da una teleferica rudimentale che consentiva di recarsi ai fabbricati posti oltre il fiume … «In quel punto il fiume era particolarmente ricco d’acque e per raggiungere la riva opposta i ridracolini avevano studiato un particolare marchingegno che chiamavano “la teleferica”. Salivano infatti su di un carrello portante, una specie di rudimentale funicolare composta da due fili d’acciaio […]. Situata qualche metro sopra il livello dell’acqua non era poi troppo scomoda e neanche troppo pericolosa. Vi si saliva in tre o quattro persone per volta ed era necessaria per recarsi alle Celluzze ed alle altre case poste oltre il fiume […]» (C. Bignami, 1995, pp. 91-94, cit.). La mulattiera, sorpassata la Fonte dei Bisernini, dopo Lagacciolo abbandonava l’argine fluviale, risaliva a Case di Sopra e attraversava il fosso detto Il Fossone, in un’area ormai sommersa, con una palancola lignea, nota solo per scarni ricordi letterari (cfr. C. Bignami, A. Boattini, 2022, cit.) sostituito più a monte da una moderna struttura in legno utilizzata dal sent. 237. Di seguito giungeva a La Forca, da cui con il Ponte alla Forca o della Seghettina, attraversava il Bidente: la sua struttura in base all’elenco stradale del 1939 era costituita da spallette in pietra con travi in ferro e impalcato ligneo, ma sostituiva le precedenti strutture lignee più volte rifatte: il ponte originario risale al 1843. Oltrepassato il ponte con un lungo tragitto si poteva risalire fino a S. Paolo in Alpe oppure si imboccava l’importante e sopracitata Strada che dalla Seghettina va a Stia valicante il Passo Sodo alle Calle o La Scossa. Dalla Seghettina un percorso ridiscendeva ad attraversare il Fosso della Lama, accanto alla confluenza del Fosso dei Pianelli tramite una pedanca documentata dalla Carta d’Italia I.G.M. del 1894, quindi proseguiva in dx idrografica fino a La Lama, dove giungeva attraversando il Fosso dei Forconali con un ponte documentato sia dalla Carta d'Italia del 1894 che dalla successiva del 1937, dove però risulta posto al termine della S.F. del Cancellino, nel frattempo realizzata. La Lama era collegata con lo Spartiacque Appenninico tramite le sopracitate Via degli Acuti e Strada delle Pulci, utilizzate soprattutto per l’esbosco del legname, oggetto di risistemazioni e modifiche di tracciato soprattutto in epoca ottocentesca, da parte del Siemoni, con strutture pontive da far risalire all’800 e coeve per l’identica fattura delle strutture in pietra, e in epoca moderna. Da Ca di Sopra il tracciato risaliva a Casanova dell’Alpe seguendo l’unico tracciato trasversale di collegamento con Ridràcoli riportato dalla citata Carta Pontificia, al tempo ritenuta prevalente, oggi corrispondente al sent. 239 fino al crinale del Monte Cerviaia. Qui «[…] la sterrata che da CASANOVA scivola sul crinale accanto al cimitero e dopo circa 200 mt incontra una deviazione sulla SX. Si prende per questa, che è un tronco sterrato che porta ai poderi PRATALINO […]. Lo si percorre per altri 150 mt circa finché non si trova sulla SX, al di sotto della strada, una maestà (“M.M. 1919”) […] e, poco più oltre, in alto a DX, ciò che resta di un’alta croce in legno col suo basamento. A lato di questa croce la mulattiera riprende larga il suo percorso, passando poco discosto dalla cima del Monte Cerviaia (1057) o Monte della Chiesaccia […]. Nel 1816 “vestigie della Chiesa Vecchia”.» (S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, pp. 100, 106 cit.). Tale descrizione, in parte settecentesca, corrisponde allo stato odierno (2016) salvo che sulla Maestà della Chiesaccia, nell’agosto 2004, è stata posta un’icona con targhetta MADONNA GRECA VENERATA A RAVENNA, la croce è stata restaurata (come da targa, dall’Associazione Nazionale Alpini, Gruppo Alto Bidente “Capitano Dino Bertini” di S. Sofia), e il grande basamento lapideo monoblocco, forato al centro per la sede crucifera, è stato posizionato accanto.

Percorrendo oggi gli antichi itinerari, gli insediamenti di interesse storico-architettonico o di pregio storico-culturale e testimoniale, esistenti, abbandonati o scomparsi (quindi i loro siti) che si trovano collocati lungo i crinali insediativi sono prevalentemente di carattere religioso o difensivo o sono piccoli centri posti all’incrocio di percorsi di collegamento trasversale; gli insediamenti di derivazione poderale sono invece ancora raggiunti da una fitta e mai modificata ramificazione di percorsi, mulattiere, semplici sentieri. Diversamente dalle aree collaterali, non si riscontrano nelle valli bidentine fabbricati anteriori al Quattrocento che non fossero in origine rocche, castelli o chiese, riutilizzati a scopo abitativo o rustico, o reimpieganti i materiali derivanti da quelli ed evidenzianti i superstiti conci decorati. Nell’architettura rurale persistono inoltre caratteri di derivazione toscana derivanti da abili artigiani. L’integrità tipologica dei fabbricati è stata peraltro compromessa dai frequenti terremoti che hanno sconvolto l’area fino al primo ventennio del XX secolo, ma anche dalle demolizioni volontarie o dal dissesto del territorio, così che se è più facile trovare fronti di camini decorati col giglio fiorentino o stemmi nobiliari e stipiti o architravi reimpiegati e riferibili al Cinque-Seicento, difficilmente sussistono edifici rurali anteriori al Seicento, mentre sono relativamente conservati i robusti ruderi delle principali rocche riferibili al Due-Trecento, con murature a sacco saldamente cementate, come quella di Corniolino. Gli edifici religiosi, infine, se assoggettati a restauri o totale ricostruzione eseguiti anche fino alla metà e oltre del XX secolo, hanno subito discutibili trasformazioni principalmente riferibili alla tradizione romanica o ad improbabili richiami neogotici.

I principali insediamenti della valle (noti e/o che si ritrovano nella cartografia storica) sono o erano: Ammannatoia, Balzaino, Betania, Biserno, Busca, Cà d'Achille, Cà di Là, Ca di Rombolo, Cà di Sopra, Cà Poggiolo, Calcinaio, Campitello, Campo alla Sega, Campo dei Peri, Campominacci, Canforghigi, Cappellano, Caprìa, Caprìa di Sotto, Casanova dell'Alpe, Casa Nuova, Case Monte di Valle di Sopra, Case Monte di Valle di Sotto, Casetta, Casette, Casetto, Casetto del Cappellano, Casina di Monte di Valle, Casina di Spugna, Castello (di Ridràcoli), Catinaio, Celluzze, Ciel dell'Allocco, Ciriegiolino, Ciriegiolone, Coccio, Colombaiotto, Cornete, Cosmedino o Gualchiera, Eremo di S. Lorenzo, Farnetino, Farnetone, Farniole di sopra, Farniole di sotto, Fontanaccio o Poggio all’Olivo, Fontigiano, Fontorso o Fontaccio, Forca, Galvane, Gualchiera, Guaralda, I Butriali, I Tagli, Il Cappellano, Il Cappellano di Sopra, Il Casone, Il Casone (di Ridràcoli), Il Castellaccio, Il Castelluccio, i Monti, Il Monte, Il Mulino, Il Poggiolo, La Bacina o Bacie, La Casina, La Casetta, La Garfagnana, La Lama, La Seghettina, La Vertorta, Lagacciole, L'Alpicella, Lavacchio, Le Caselle, Le Casette, Le Celluzze, Le Cortine, Le Faitelle, Le Grigiole, Le Pozzàcchere, Le Putine, l'Uccellara, Maestà di Cornieta, Molino della Forca, Molino della Sega, Molino di Biserno, Molino di Carpanone, Molino di Sopra o della Teresona o dei Tagli, Molinuzzo, Montepalestro, Monte di Valle di Sopra, Mulino del comune, Mulino di Spugna, Ortali, Palestrina, Paretaio, Piambaruccio, Podere Poggio Collina, Podere Romiceto, Poderina, Poggio, Ponte alla Sega, Pratalino, Pratovecchio, Raggiolo, Ridondone, Ridràcoli (A - Chiesa dei SS. Martino e Lorenzo, Podere Chiesa di Sopra, Podere Chiesa di Sotto, ex Scuole Rurali; B: Ponte di Ridràcoli, Ponte - Osteria del Terrore, Molino di Sotto o di Ridràcoli o del comune, Gualchiera, Molino di Sopra o della Teresona o dei Tagli; C: Palazzo Giovannetti - Le Case de' Fabbri, Oratorio sotto l'Invocazione di S. Maria della Neve), Rio di Castagno o Cà della Grassa, Ronconi, Roncovecchio, Rota, Sabbione, Seghettina, Seghettina di Sotto, Spiaggetta, Spugna Casone o Grande, Spugna di Sopra, Spugna di Sotto, Spugna Imolavilla, Spugna Piccolo, Stolle, Val della Villa, Val di Rubbiana, Val di Spugna, Valdoppia, Valdora, Valle, Valli, Vergherete, Vertorta, Vignale.

Nel passato anche recente l’ambiente montano veniva visto soprattutto nelle sue asperità e difficoltà ed avvertito come ostile non solo riguardo gli aspetti climatici o l’instabilità dei suoli ma anche per le potenze maligne che si riteneva si nascondessero nei luoghi più reconditi. Dovendoci vivere si operava per la santificazione del territorio con atteggiamenti devozionali nell’utilizzo delle immagini sacre che oltre che espressioni di fiducia esprimevano anche un bisogno di protezione con una componente esorcizzante. Così lungo i percorsi sorgevano manufatti (variamente classificabili a seconda della tipologia costruttiva come pilastrini, edicole, croci, tabernacoli, capitelli, cellette, maestà) la cui realizzazione, oltre che costituire punti di riferimento scandendo i tempi di percorrenza (p.es., recitando un numero prestabilito di “rosari”), rispondeva non solo all’esigenza di ricordare al passante la presenza protettiva e costante della divinità ma svolgeva anche una funzione apotropaica. Spesso recanti epigrafi con preghiere, sollecitazioni o riferimenti ad avvenimenti accaduti, oggi hanno un valore legato al loro significato documentario. Se la costruzione di manufatti di significato religioso a fianco dei sentieri affonda le radici nell’antichità, il culto sacrale della montagna e delle sue acque è stato sempre presente in tutte le società pastorali. A partire dalla fine del XIII secolo grandi croci furono erette su vari valichi alpini, ma molte tradizioni rituali giunte fino a noi si possono ritenere derivate dai culti longobardi (ben insediati anche in diverse aree appenniniche tosco-romagnole e già dai secoli VII e VIII ormai aderenti al cattolicesimo), tra cui i festeggiamenti sulle sommità delle alture e degli stessi luoghi degli antichi riti pagani, con probabile apposizione di croci, senza dimenticare gli allineamenti delle enigmatiche statue-stele conficcate nel terreno, risalenti all’Età del Rame (Eneolitico), rappresentanti immagini di entità protettrici o personaggi reali, poste con vario significato lungo grandi valli di collegamento ed in zone montane in corrispondenza di importanti vie di comunicazione preistoriche tra varie zone asiatiche, europee, l’arco alpino e, in particolare, le tipiche delle aree cerimoniali della Lunigiana, come l’allineamento che si immagina esistesse quasi 5000 anni fa, sulla sella del Monte Galletto e che non inaspettatamente ha recentemente restituito (marzo 2021) un reperto significativo (le statue-stele della Lunigiana spesso rappresentavano donne scolpite con il fine di “consolare” e “sedurre” i morti affinché non tornassero nel mondo dei vivi: la sessualità e la caccia erano infatti i due temi preponderanti dell’arte preistorica). Numerose croci di vetta furono posizionate in seguito su molte montagne delle regioni cattoliche tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del XX, in particolare in concomitanza degli Anni Santi del 1900 e del 1950. A volte la presenza di una croce su un rilievo ne ha determinato il toponimo. La proliferazione di croci di vetta continua ancora oggi. Le maestà presenti o di cui si ha notizia in quest’area sono: Maestà del Castello o della Garfagnana (posta sul bivio tra la via proveniente dalla chiesa e la Mulattiera Bagno-Pietrapazza-Ridràcoli, subito sotto La Garfagnana, scomparsa, rimangono due inquadrature fotografiche del 1943 e del 1946 di Torquato Nanni, che la ritraggono, nella prima inquadratura, in 1° p. mentre la vista si proietta sulla stretta valle del Rio Bacine, conclusa dall’Altopiano di S. Paolo in Alpe, mentre in 2° p. le case del Castello, con la rocca ancora svettante, completano la rappresentazione di un paesaggio ormai brullo e sassoso, al termine di un’epoca storica inconsapevole di una prossima svolta epocale, nella seconda inquadratura panoramica appare chiaramente posta sul bivio stradale, come pure in un’ulteriore inquadratura panoramica di Onofrio Leoni degli anni ’50 dove, benché poco nitida, appare ugualmente posta sul bivio presso La Garfagnana), Maestà delle Galvane, Maestà di Valdora, Maestà Ronconi, Maestà della Chiesaccia (rimesse in sesto negli scorsi anni ’80).

Come il lago si trova in posizione baricentrica nel sistema idrografico, così la collocazione del borgo di Ridràcoli è geograficamente baricentrica nel sistema insediativo, seppure divisa in tre nuclei vicini, quello politico-militare del castello, quello religioso seicentesco della chiesa e quello economico-residenziale e religioso cinquecentesco (se non duecentesco) compreso tra Pian del Ponte il Campo de’ Fabbri e S. Lorenzo. Una sequenza di anse fluviali che determina la morfologia del luogo dialetticamente separa il promontorio dove sorge il polo religioso-residenziale dal pronunciato promontorio dove sorge il nucleo fortificato. Il sito del Castello, posto su uno sprone di 490-500 m di quota, completamente circondato da un grande meandro del fiume che scorre 60-70 m più in basso, consente strategicamente di vigilare ogni movimento all’imboccatura di una valle sempre più stretta. Nel 1216 era un piccolissimo e antico villaggio, documentato come Castrum Ridiracoli in possesso dei Conti Guidi come riserva di caccia e pesca: «Magnifice vir, a questi dì passati vi scrissi chom’io avevo fatto isbandire e ghuardare il vostro fiume di Ritràgholi, perché m’avisaste volere venire in questa astate a darvi sollazzo e peschare.» (dalla lettera del capitano di Bagno di Romagna indirizzata a Lorenzo de’ Medici il 23 giugno 1475, cit. da: G.L. Corradi, 2001, L’invaso di Ridracoli e l’acquedotto della Romagna, in: N. Graziani, a cura di, 2001, vol. I, p. 164, cit.), facoltà che con un atto dell’11 gennaio 1363, conservato all’Archivio di Stato di Firenze, Azzo di Franceschino di Valbona concesse ai camaldolesi, fino al completo lascito ereditario del 1410. Nel 1645, nell’ambito delle riforme introdotte dall’Opera del Duomo nei secoli XVI e XVII, venne istituita la “bandita dei fiumi” che riconfermava il divieto di pesca, riservato per la mensa del Principe (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 39, cit.). Secondo la Descriptio Romandiole del 1371 il nucleo del Castrum Ridiracoli era un villaggio fortificato composto da appena 6 focularia. Nell’Archivio comunale al 1548 è documentata l’esistenza di 16 abitazioni ripartite in un numero non definibile di fabbricati distribuiti intorno alla rocca. Risale al 1777 il primo accertamento sulla consistenza delle abitazioni indistintamente dette “case”, anche ora però senza certezze sulle aderenze e quindi sul numero effettivo dei fabbricati, da cui risultano, una casa composta da 12 stanze oltre tre logge e accessori, tra cui la cisterna castellana, corrispondente con l’unica superstite nota come Casina del Castello, due case composte da due stanze, una casa da 4 stanze, una casa da una sola stanza, una capanna su due piani con stalla e loggia e una capannella di 2 stanze. L’accertamento catastale del 1829 sostanzialmente conferma le stesse consistenze che, in base alla mappa, si possono raggruppare in tre fabbricati, quello maggiore ancora esistente, uno interno alla rocca e uno posto sul principio delle mura castellane esterne, oltre la via rispetto ai resti di un ex-fienile, forse già torre di guardia dell’accesso all’area fortificata. La mappa dell'Archivio Comunale di Bagno di Romagna datata 1888-1913 (cfr. C. Bignami, a cura di, 1995, e C. Bignami, A. Boattini, 2022, cit.), riguardante l'attribuzione delle numerazione civiche, assegna i nn. 28-29-30, quando vengono censite 5 abitazioni per complessivi 16 vani abitabili. Tra proprietari ed abitanti che a vario titolo si sono succeduti venne raggiunto un totale massimo di 33 persone fino all’abbandono nel 1969-70 a seguito degli espropri conseguenti alla costruzione dell’invaso e la successiva ristrutturazione ad uso turistico-ricettivo, compresi i capanni, anticamente già descritti come fatiscenti e addossati alla cinta medesima; inoltre sono stati conservati e sottoposti a restauro la base di un bastione in cima al poggio, notevoli resti della cinta muraria che cingeva il promontorio, la cisterna ancora efficiente, una bella per quanto rozza loggia quattrocentesca ad archi posta sul lato orientale del fabbricato principale..

Il fulcro del nucleo religioso è ovviamente la Chiesa dei SS. Martino e Lorenzo, ma storicamente Ridràcoli possedeva due chiese separate dal fiume (una villam Ridraculi cum omnibus ecclesiis  - con tutte le chiese - è così documentata già dal 1213, forse in riferimento alle due chiese già presenti) infatti il titolo attuale è dovuto alla soppressione nel 1652 dell’Eremo di S. Lorenzo e alla rovina della chiesa annessa, considerato che già nel 1573 venne trovata semidistrutta da un grosso masso staccatosi dalla montagna sovrastante; non è noto il sito specifico del versante opposto dove era edificata; se fa fede la toponomastica di inizio ‘800, la Chiesa di S. Lorenzo doveva trovarsi sotto l’estrema pendice rocciosa di una delle diramazioni provenienti dal contrafforte secondario allora detta Ripa del Casone, che separava le proprietà ecclesiastiche dal Fosso di Canforchisio, come risulta dalla descrizione del quel tratto di strada verso nord che passava «[…] di contro il podere del Casone […] il Campo della Maestà, San Lorenzo e la Ripa del Casone […]» (C. Bignami, A. Boattini, 2022, p. 236, cit.). Lo stato odierno è dovuto all’ultima riconfigurazione avvenuta tra il 1837 e il 1843 ed alla ricostruzione successiva al terremoto del 1918 ed è caratterizzato in facciata e nel pseudo-abside da loggette neo-romaniche ripartite in archetti sorretti da colonnine; in facciata la loggetta è definita da un grande pseudo-portale ad arco a tutto sesto mentre archetti pensili decorano il sotto gronda. L’adiacente canonica conserva un aspetto settecentesco, conseguente ad un restauro con le stesse periodicità della chiesa. Notizie storiche si hanno grazie ai verbali delle “visite pastorali o apostoliche”, un precisissimo excursus delle sue vicende si trova in C. Bignami, A. Boattini (2022, cit.).

Il Catasto Toscano pare rappresentare lo stato storico del nucleo religioso e del suo podere, detto Chiesa di Sotto, al massimo della sua espansione, quando giunse a comprendere tre fabbricati colonici. Inizialmente, dal 1609 è documentato un solo fabbricato, genericamente posto davanti alla chiesa, ma già prima della fine del Settecento la dotazione colonica è completata e sono documentati i due fabbricati posti anteriormente mentre il terzo risulta collocato di lato, avendo il cimitero (che era adiacente alla chiesa) posto tra mezzogiorno e ponente. Dal confronto con la mappa antica l’area di questo fabbricato e quella a mezzogiorno risultano rispettivamente riutilizzate dalla canonica e dalla chiesa nuova, mentre è scomparso il probabile fabbricato religioso antico e il suo sito è in parte riutilizzato dalla strada. La sopracitata mappa dell'Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegnava alla canonica e ai due fabbricati rispettivamente i nn. 1, 2 e 41, quando la canonica risultava composta di 11 vani, il fabbricato più vicino possedeva tre stanze, la cucina due stalletti e una cantina, quello più lontano cinque stanze oltre stalle e capanno. Il fabbricato più lontano, oggi ridotto a rudere, al principio del XX secolo era detto Capanna e veniva utilizzato come stalla in attesa del definitivo abbandono. Il fabbricato prospiciente la chiesa nel 1926 è stato ricostruito ed è tutt’oggi abitato. In base alla documentazione storico-fotografica risulta essere stato oggetto di successivi interventi di ristrutturazione, dagli scorsi Anni ’80-’90 o comunque successivamente all’epoca dell’infrastrutturazione viaria conseguente alla realizzazione dell’invaso, con aggiunta di un corpo laterale. Di lato alla piazzetta della chiesa, si trova il fabbricato abbandonato delle ex Scuole Rurali, costruito nel 1961 per trasferirvi l’attività scolastica istituita a fine ‘800, prima svolta privatamente in canonica, dal 1913 in forma pubblica senza una sede fissa e dal 1922 a Palazzo Giovannetti, dove operò fino al trasferimento. Il nucleo economico-residenziale di Ridràcoli trae le sue antiche origini da un villaggio di una dozzina di case documentate dal primo censimento del 1548 nell’area, detta Campo de' Fabbri, compresa tra il ponte e la sopracitata area ecclesiastica di S. Lorenzo, di cui forse facevano parte i fabbricati antichi del Casone. Si è successivamente sviluppato attorno alla principale infrastruttura della valle, il Ponte di Ridràcoli (toponimo del Catasto Toscano), caratteristica struttura in pietrame con profilo ad arco a sesto ribassato, risalente al 1817-19 e sostitutiva della precedente in legno su spallette in muratura secondo la classica tipologia in uso, distrutta almeno tre volte nel ‘700 e una nel 1815. Aderente ad una spalletta del ponte e pressoché contemporaneo si trova il fabbricato detto Ponte Capoponte o C. Ponte (Casa Ponte), presente con difformità nel Catasto Toscano (pare un’aggiunta il corpo posteriore) quando nel Giornale di Campagna era descritto composto al P.T. da due stanze, al P.I° da cucina e camera; il forno (scomparso) era un corpo distaccato, risalente al 1825, posto sul retro, in fregio alla mulattiera. La sopracitata mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegnava al fabbricato il n. 39, quando risultava costituito da 8 vani. Data la posizione di passaggio almeno dal 1872 nel fabbricato venne aperta una locanda e, dall’inizio del secolo scorso, la nota Osteria del Terrore, dal soprannome del gestore; abitato fino agli Anni ’70, nel 2022 è stato terminato il restauro con suddivisione in 4 unità turistico-abitative. Dal 1789 accanto al ponte si trovava il Molino di Sotto, in base al Giornale di Campagna del 1829 composto al P.T. dalla stanza delle macine, stalla e loggetta e al P.I°, da cucina e camera. La sopracitata mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegnava al mulino il n. 42, quando il fabbricato padronale risultava composto di 4 vani a solo uso molitorio. La porzione descritta dal catasto ottocentesco è ben identificabile e distinguibile rispetto agli ampliamenti successivi, infatti corrisponde al corpo perpendicolare al fiume dove oggi si trova l’ingresso con tettoia; il bottaccio probabilmente non è stato mai realizzato e la bocca della doccia, posizionata sul lato sx, oggi è coperta da un lastricato, mentre il canale di adduzione (berignale), che si staccava dal fiume nell’area sottostante i ruderi della Capanna del podere di Chiesa di Sotto, come evidenziato dal confronto con il Catasto Toscano, è stato ricoperto dalla sede stradale. Cessata l’attività dall’alluvione del 1966, dopo un ottimo restauro che ha conservato le attrezzature molitorie, oggi è utilizzato per uso turistico-residenziale. Sul poggetto sovrastante il ponte si trovano il grande edificio di Palazzo Giovannetti - Le Case, derivante dalla ristrutturazione e ampliamento di fine Ottocento, quando viene attribuita la denominazione Il Palazzo al complesso edilizio nel Settecento detto Le Case de' Fabbri (dal toponimo antico del luogo) composto, in base al Giornale di Campagna del 1829, da una porzione colonica e una parte padronale che comprendeva al P.T. tinaia, cantina, stalla, due stanze, loggia e forno, al P.I° 5 stanze e al P.II° altre 5 stanze. La sopracitata mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegnava alle Case e al Palazzo rispettivamente i nn. 37 e 38, quando, a seguito dell’ampliamento, il fabbricato padronale risultava composto di 22 stanze. Acquistato negli anni ’80 dalla Romagna Acque-Società delle Fonti S.p.A, già ospitante un museo naturalistico, oggi viene riutilizzato a fini turistico-ristorativi. Complesse vicende lo hanno interessato, come la presenza di tre importanti ospiti commemorata dalla lapide sopra l’ingresso principale: Leopoldo II Granduca di Toscana, Aurelio Saffi e Antonio Fratti (Saffi, 1819-1890, fu mazziniano e figura del Risorgimento, Fratti, 1848-1897, fu un politico e garibaldino). Adiacente è l’Oratorio della Madonna della Neve, detto anche Oratorio sotto l'Invocazione di S. Maria della Neve mentre, più in alto, sorge una torretta. L’oratorio, di diritto privato, risale al 1705, ma l’epigrafe soprastante l’ingresso, recante il simbolo stilizzato della croce sul monte e la data 1814, fa presumere una completa ristrutturazione o ricostruzione, cui ne sarebbe succeduta un’altra negli anni successivi, conseguente ai danni del terremoto del ’18, come si deduce dalle visite pastorali degli anni ’40 e come risulta dalle modifiche planimetriche derivanti dal confronto tra catasti. Oggi è utilizzato come magazzino. Accatastata nel 1829 come colombaia ad uso dell’insediamento padronale, la torretta a metà del secolo scorso è stata adibita ad abitazione di tre stanze, una per piano, rientrando oggi nel generale riutilizzo turistico. Tra gli edifici a carattere produttivo si ricorda una Gualchiera, risalente alla prima metà del XIX sec. e collocata tra il fiume e il mulino, cui era collegata quale opificio idraulico, nel 1872 venne però ristrutturata e suddivisa in due abitazioni, certificata dall’attribuzione del n. civico 40 nella mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna. L’utilizzo è cessato nel 1922 con la demolizione da parte del Genio Militare, forse per l’ostacolo che creava al flusso fluviale: del fabbricato la cartografia non riporta alcuna traccia. Oggi inserita nel muro di sostegno del tratto di Strada comunitativa verso Il Casone, si trova la Maestà del Casone, documentata già dall’inizio del XVIII secolo quando, come sopracitato, veniva descritto un Campo della MaestàIl Molino di Sopra o della Teresona o dei Tagli, collocato non lontano dalla diga ed espropriato in conseguenza della sua costruzione, ha cessato l’attività negli scorsi anni ’70 (v. F. Faranda, 1983, per foto del 1943, p.10, cit.) ed è stato recuperato ad uso della Romagna Acque-Società delle Fonti S.p.A; in quanto in area con accesso limitato è accessibile solo in occasione di visite guidate alle strutture della diga. La Garfagnana è un’abitazione costruita nel 1928 poco sopra il Castello ed abitata fino all’esproprio degli scorsi anni ’60, è stata recuperata ad uso turistico divenendo I Nidi.

Tutti i nuclei menzionati si sono trovati in qualche modo coinvolti dalla storia nell’evoluzione del ciclo delle acque di Ridràcoli, note e sfruttate fin dall’antichità in tutta la Romagna. Lo stesso toponimo deriverebbe dal latino Rivus Oracolum o Oraculorum per la probabile presenza presso il torrente di un piccolo tempio pagano con sibilla oracolante, ipotesi comunque verosimile e conforme alla leggenda della Sibilla appenninica delle vicine montagne marchigiane. «Nella civiltà montanara il gioco della vita e della morte … il clima e il tempo … esercitano il loro incalcolabile potere  … Lotta continua con la povertà e con la morte per la sopravvivenza, la vita dei montanari … insieme alla principale applicazione delle forze del corpo … s’avvale di forme di conoscenza che permettono di contrastare il dominio del tempo e di spiare, tenendolo sotto controllo, inclemenze e bizzarrie climatiche, creando sistemi di anticipazione degli eventi atmosferici e del raccolto in calendari paremiologici [precursori della paremiologia = studio dei proverbi soprattutto come espressione dei costumi popolari, ndr] ampiamente codificati. Le anticipazioni del futuro che appartengono a ogni cultura primitiva e folclorica, assumono nella civiltà montanara caratteristiche particolari» (E. Casali, Aspetti e forme della cultura folclorica nelle montagne della Romagna toscana, in: N. Graziani, a cura di, 2001, vol. I, pp. 417, 418, cit). Già nel II secolo d.C. le problematiche legate al reperimento delle risorse idriche e soprattutto alle necessità di Ravenna e del porto di Classe portarono l’Impero Romano alla realizzazione di un imponente acquedotto che sfruttava il flumen aqueductus Bidente; tracce di esso si trovano negli scritti antichi ed essenzialmente nella toponomastica locale. Dopo un lunghissimo interregno, negli anni ’30 del XX secolo le esigenze della civiltà moderna portano ad effettuare i primi studi per localizzare una diga nell’Alto Appennino forlivese e, nei primi anni ‘60, al fine di fornire risorse idriche sufficienti alle aree di Forlì e Ravenna e alla fascia costiera romagnola, viene individuata l’area a monte di Ridràcoli come idonea per l’imbrigliamento delle acque dell’alto corso del Bidente (oltre ad altre risorse idriche tramite condotte sotterranee), con conseguente realizzazione dell’opera tra il 1975 e il 1982. Oggi, come probabilmente il lago artificiale ha alterato il microclima dell’anfiteatro della Lama, portando variazioni nell’assetto vegetazionale con un diverso equilibrio a vantaggio delle specie oceaniche (faggio) in confronto a quelle continentali, come l’ambiente circostante è stato modificato da viabilità ed opere connesse alla diga, diversi edifici, acquisiti dalla Romagna Acque-Società delle Fonti S.p.A, hanno subito modifiche e/o riutilizzi anche notevoli, come sopraddetto.

Per approfondimenti si rimanda alla schede toponomastiche relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.

N.B.: - Informazioni preziose riguardo luoghi e fabbricati si hanno grazie ai rapporti della Descriptio provinciae Romandiole e delle visite pastorali o apostoliche.

- La Descriptio è un rapporto geografico-statistico-censuario redatto dal legato pontificio cardinale Anglic de Grimoard (fratello di Urbano V) per l’area della Romandiola durante il periodo della “Cattività avignonese” (trasferimento del papato da Roma ad Avignone, 1305-1377). Se la descrizione dei luoghi ivi contenuta è approssimativa dal punto di vista geografico, è invece minuziosa riguardo i tributi cui era soggetta la popolazione. In tale documento si trova, tra l’altro, la classificazione degli insediamenti in ordine di importanza, tra cui i castra e le villae, distinti soprattutto in base alla presenza o meno di opere difensive, che vengono presi in considerazione solo se presenti i focularia, ovvero soggetti con capacità contributiva (di solito nuclei familiari non definiti per numero di componenti; ad aliquota fissa, il tributo della fumantaria era indipendente dal reddito e dai possedimenti). In particolare, nelle vallate del Montone, del Rabbi e del Bidente furono costituiti i Vicariati rurali delle Fiumane.

- La visita apostolica o pastorale, che veniva effettuata dal vescovo o suo rappresentante, era una prassi della Chiesa antica e medievale riportata in auge dal Concilio di Trento che ne stabilì la cadenza annuale o biennale, che tuttavia fu raramente rispettata. La definizione di apostolica può essere impropria in quanto derivante dalla peculiarità di sede papale della diocesi di Roma, alla cui organizzazione era predisposta una specifica Congregazione della visita apostolica. Scopo della visita pastorale è quello di ispezione e di rilievo di eventuali abusi. I verbali delle visite, cui era chiamata a partecipare anche la popolazione e che avvenivano secondo specifiche modalità di preparazione e svolgimento che prevedevano l'esame dei luoghi sacri, degli oggetti e degli arredi destinati al culto (vasi, arredi, reliquie, altari), sono conservati negli archivi diocesani; da essi derivano documentate informazioni spesso fondamentali per conoscere l’esistenza nell’antichità degli edifici sacri, per assegnare una datazione certa alle diverse fasi delle loro strutture oltre che per averne una descrizione a volte abbastanza accurata.

- L'Appennino romagnolo era caratterizzato fino a metà del XX secolo (superata in qualche caso per un paio di decenni) da una capillare e diffusa presenza di mulini ad acqua, secondo un sistema socio-economico legato ai mulini e, da secoli, radicato nel territorio del Capitanato della Val di Bagno. Intorno al Cinquecento ognuno dei 12 comuni del Capitanato (Bagno, Careste, Castel Benedetto, Facciano, Montegranelli, Poggio alla Lastra, Ridràcoli, Riopetroso, Rondinaia, San Piero, Selvapiana, Valbona) disponeva di almeno un mulino comunitativo la cui conduzione veniva annualmente sottoposta a gara pubblica a favore del migliore offerente; a quell’epoca nell’area si registrano assegnazioni per 230 bolognini. La manutenzione poteva essere a carico del comune o del mugnaio. Alla fine del Settecento l’attività riformatrice leopoldina eliminò il regime di monopolio comunitativo introducendo la possibilità per i privati di costruire altri mulini in concorrenza produttiva, cui seguì un progressivo disinteresse comunale con riduzione dell’affitto annuale dei mulini pubblici fino alla loro privatizzazione. Nell’Ottocento, con la diffusione dell’agricoltura fino alle più profonde aree di montagna, vi fu ovunque una notevole proliferazione di opifici tanto che, ai primi decenni del Novecento, si potevano contare 8 mulini dislocati nella valle del Bidente di Ridràcoli. Dagli anni ’30, la crisi del sistema socio-economico agro-forestale ebbe come conseguenza l’esodo dai poderi e il progressivo abbandono dell’attività molitoria e delle relative costruzioni. Gli Opifici a forza idraulica (def. I.G.M.) posti sul Bidente di Ridràcoli o i suoi affluenti oggi noti sono: il Molino di Sotto o di Ridràcoli o del comune, il Molino di Sopra o della Teresona o dei Tagli, il Molino di Biserno, il Mulino della Forca, il Molino della Sega, il Molino di Spugna, il Molinuzzo o Mulinuzzo, posto sull’omonimo fosso, il Molino di Carpanone o del Carpanone o di Carpinone, posto sul Fosso di Romiceto presso la confluenza con il Fosso del Molino.

- Negli scorsi Anni ’70, a seguito del trasferimento delle funzioni amministrative alla Regione Emilia-Romagna, gli edifici compresi nelle aree del Demanio forestale, spesso in stato precario e/o di abbandono, tra cui Case di SopraCasoneLagaccioloLe CelluzzeGalvane Vergherete divennero proprietà dell’ex Azienda Regionale delle Foreste (A.R.F.); secondo una tendenza che riguardò anche altre regioni, seguì un ampio lavoro di studio e catalogazione finalizzato al recupero ed al riutilizzo per invertire la tendenza all’abbandono, senza successo tranne il riutilizzo di Case di Sopra e Casone. Con successive acquisizioni il patrimonio edilizio del demanio forlivese raggiunse un totale di 492 fabbricati, di cui 356 nel Complesso Forestale Corniolo e 173 nelle Alte Valli del Bidente. Circa 1/3 del totale sono stati analizzati e schedati, di cui 30 nelle Alte Valli del Bidente. Il materiale è stato oggetto di pubblicazione specifica.

- «La parola bidente, due denti, sta ad indicare lo strumento agricolo a forma di zappa con due denti; ma anche l’animale, di solito pecora, che è alla seconda dentizione, cioè di due anni: generalmente esso veniva ucciso nei sacrifici più comuni dei romani (latino, bidens, bidentis). L’attribuzione di questo termine all’alto corso del fiume risulta però problematica. Alle ipotesi più conosciute si può, con più attendibilità, aggiungere quella che vede la parola bidente derivare dalla caduta della vocale iniziale di obbediente, come risulta chiaramente dai documenti relativi alla Romagna Toscana dei secoli XVI-XVII, dove l’alto corso del fiume viene detto per l’appunto “Obbediente”» (AA. VV., 1984, pp. 27, 28, cit.). Ma è «Seducente riportare gli idronomi Bedesis, BidensBedes ad alterazione dell’età volg. di una radice celtica, bedo/bede/bidi = canale, biàlera dei mulini … » (A. Polloni, 1966-2004, p. 42, cit).    

RIFERIMENTI   

AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;

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Percorso/distanze :

Se il basso fondovalle di Ridràcoli è facilmente raggiungibile tramite la S.P. 4 del Bidente ed percorribile tramite la S.P. 112 Isola Biserno Ridràcoli lunga km 8,7, che già fornisce interessanti spunti paesaggistici ed occasioni sia di ristoro che escursionistiche, è interessante raggiungere le zone montane tramite la sentieristica anche giungendo dalle valli laterali e dalla Giogana spesso ricalcando tragitti di antica percorrenza.   

foto/descrizione :

Le foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell'autore
Nota - Per visualizzare le foto nel loro formato originale salvarle sul proprio computer, oppure se il browser lo consente tasto destro sulla foto e Apri immagine in un'altra scheda.

000A – 000B - Elaborazioni schematiche geomorfologiche: la prima evidenzia il sistema orografico delle Valli del Bidente, racchiuso tra due lunghi contrafforti principali e suddiviso da brevi contrafforti secondari (segnalati da asterisco giallo), la seconda, derivata da cartografia del 1850, esalta lo sviluppo delle dorsali.

 

000C – Schema delle cinque Valli del Bidente; in evidenza la delimitazione dei crinali ed il reticolo idrografico.

 

000D – Schema identificativo toponomastico essenziale del reticolo idrografico e degli insediamenti della Valle del Bidente di Ridràcoli.

 

000E – Schema da cartografia moderna con gli insediamenti esistenti o scomparsi in evidenza.

 

000F – 000G - Confronto tra cartografia storica e moderna dell’area centrale di Ridràcoli, con sovrapposizione tra catasti.

 

000H - Schema cartografico da mappa del XIX sec. che, nella sua essenzialità, riguardo la viabilità principale evidenziava esclusivamente i tracciati viari di crinale che da S.Sofia raggiungevano lo Spartiacque Appenninico, il tracciato di fondovalle S.Sofia-Poggio alla Lastra che poi si riconnetteva al tracciato di crinale, il tracciato viario che da Isola raggiungeva Ridràcoli a mezzacosta transitando da Biserno, il tracciato trasversale che da Ridràcoli raggiungeva Casanova dell’Alpe tramite il Monte Cerviaia ed il tracciato trasversale che collegava i Passi della Bertesca e di Monte Càrpano transitando da Pietrapazza. La toponomastica riprende, anche nella grafica, quella originale; integrazioni in neretto a fini orientativi.

001a – Dal Monte Piano si può avere una delle più ampie viste dell’intero spartiacque appenninico (strisciata fotografica del 01/01/12).

 

001b – Da Casanova dell’Alpe si ha una visione frontale del tratto di versante appenninico che ospita la Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino (strisciata fotografica del 27/09/16).

 

001c – Dalla zona di Pratalino, oltre il Monte Palestrina emerge il versante appenninico compreso tra Poggio allo Spillo e Poggio Scali che delimita la valle di Ridràcoli (strisciata fotografica del 16/10/16).

 

001d – Dal sito del fabbricato di Palestrina si ha una visione ravvicinata del versante appenninico compreso tra Poggio Cornacchia a Poggio Scali che ospita la Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino (16/10/16).

 

001e - Dal sito del fabbricato di Palestrina si può notare la profonda incisione tra il Monte Penna e Poggio Cornacchia dove ha origine il principale asse idrografico Lama/Ridràcoli (16/10/16).

 

001f – Dalla valle del Ciriegiolone si apprezzano le differenze morfologiche dei versanti che delimitano a monte le Valli di Ridràcoli e Campigna, separate dal contrafforte secondario che si distacca dall’evidente vertice di Poggio Scali (unico scatto ritagliato, obiettivo 20 mm; 27/04/12).

 

001g - Dalla zona di Pratalino (in 1° p. il Monte Palestrina) si può avere una visione ravvicinata sia dello stacco del contrafforte secondario da Poggio Scali, che racchiude l’incisione iniziale della valle del Fosso delle Macine, poi di Campo alla Sega, sia del sito di Sasso Fratino compreso tra le due frane storiche (16/10/16).

 

001h - 001i – 001j - Dal Monte Penna si ha una delle più ampie visioni della valle di Ridràcoli (strisciata fotografica del 17/10/13), che si può spingere fino alle zone più lontane (Isola, Santa Sofia; 11/12/14), senza dimenticare i rilievi più prossimi (Poggio allo Spillo e il crinale della Bertesca; 13/01/16).

 

001l – 001m – Da Poggio Scali si può avere un’ulteriore visione “aerea” delle aree più lontane della valle e del tratto terminale del contrafforte secondario, dove si riconosce Poggio Collina e la cresta del Castellaccio di Biserno (16/08/16).

 

001n – 001o – Dalla Burraia e da Poggio Sodo dei Conti tra la fitta sequenza di crinali anche in occasione delle brume mattutine si possono riconoscere quelli noti (22/12/11).

 

001p – 001q – Dalla Giogana (Canalone del Pentolino, pressi Poggio Scali) e Sent. 00 GEA CT, viste dell’intero sviluppo del contrafforte secondario che, in vestizione estiva, evidenzia le aree prative e le stratificazioni marnoso-arenacee dei versanti denudati (11/12/14 – 30/09/18).

 

001r – 001s – 001t - Le sequenze di creste di Poggio della Serra/Poggio Capannina e Poggio Palaio/Poggio di Mezzo, poste sulla separazione tra il bacino idrografico di Campigna e rispettivamente quelli di Ridràcoli e delle Celle, viste da Poggio Sodo dei Conti e dalla Burraia, mentre evidenziano differenti caratteristiche vegetazionali (copertura boschiva qui a faggeta lì ad abetina) nella morfologia asimmetrica mostrano similari giaciture a “franapoggio” degli strati, forse dovute a dislocazioni recenti lungo fratture sub verticali ipotizzabili anche per il Monte Penna (21/06/11 – 22/12/11).

 

001u – 001v - Dall’altopiano di S. Paolo in Alpe, vedute della parte di contrafforte di Ronco dei Preti (22/11/18).

 

002a – Dal sentiero degli Scalandrini, che segue l’incisione del Fosso dei Fangacci sul versante meridionale del Monte Penna, un particolare e noto scorcio visivo consente di traguardare l’intero asse fluviale Lama/Ridràcoli (08/09/2011).

 

002b – 002c – L’area denudata del Crinale della Vacca e quella prativa di Poggio della Gallona consentono di considerare la ristrettezza della valle occupata dall’invaso (10/12/15 – 15/06/12).

 

002d – 002e – 002f – 002g – Varie viste evidenziano la convergenza delle dorsali sullo sbarramento strategicamente collocato della diga (dalla S.F. S.Paolo-Lama, dalla valle del Ciriegiolone e dal Crinale della Vacca, 16/11/16 – 27/04/12 – 10/12/15).

 

002h – 002i – Dalla S.F. Ridràcoli/Passo del Vinco si nota il ramo dell’invaso derivante dal Fosso del Molinuzzo, stretto tra Poggio della Gallona e il Crinale della Vacca, che in regime di secca consente la totale emersione dei resti del fabbricato delle Celluzze (23/09/16).

 

002l – 002m – Superata la diga la valle prosegue strettissima disegnando una serie di circonvoluzioni che aggirano dorsali e sproni, tra cui quello dell’insediamento religioso e quello particolarmente accentuato sede dell’arroccamento, come si può notare risalendo la Mulattiera di Ridràcoli prima da valle poi da monte del Castello (23/09/16).

 

002n – 002o – Due diversi assetti fluviali a valle della diga e presso il centro abitato particolarmente modificati a seguito delle integrazioni paesaggistiche (23/09/16).

 

002p – Verso il suo termine la valle si allarga considerevolmente permettendo una vivibilità più consona ai costumi odierni, ma gli appoderamenti conservano pressoché inalterate tutte le caratteristiche paesaggistiche originarie, come quello di Spugna, qui visto dalla S.P. 112 Isola-Biserno-Ridràcoli (23/09/16).

 

003a – Dalla S.P. 112, veduta della Valle di Ridràcoli verso monte nel tratto dove si allarga dopo Biserno: in lontananza si scorge il borgo (21/04/18).

 

003b/003d - L’ottocentesco Ponte di Ridràcoli ha sempre costituito lo snodo degli antichi itinerari, quando ancora possedeva la tradizionale struttura lignea (foto del 21/05/11 - 28/03/22 e elaborazione da un rilievo architettonico).

 

003e – 003f – 003g – Un primo breve tratto della Mulattiera di Ridràcoli è divenuto gradonata di accesso al poggetto della chiesa mentre tratti a valle del castello ancora esistono ed è stato restaurato un caratteristico tratto sopra la Garfagnana (23/09/16).

 

003h – Particolare rielaborato della foto di T. Nanni per ricostruzione del sito della maestà, accertato sul bivio tra le due mulattiere) con planimetria comparativa: il punto di ripresa pare essere lo slargo adiacente della Garfagnana, volutamente esclusa dall’inquadratura; la collocazione della maestà si desume dall’esame degli aspetti prospettici della foto che, ad essa, affiancano una casa alle pendici del Castello, in seguito demolita, un fienile e la rupe castellana; il tratto di mulattiera inquadrato corrisponde al tracciato catastale della planimetria fino alla Garfagnana.

 

003i – Fotomontaggio per confronto del paesaggio odierno con quello della rielaborazione della foto del 1943 di Torquato Nanni. La foto originale di Nanni si può trovare in F. Faranda, 1983, p. 6, cit. e in G.L. Corradi, 1992, p. 136, cit.

 

003j – 003l – La Mulattiera di Ridràcoli attraversa il nucleo de Le Caselle, che ancora conserva l’originario collegamento a ponte (23/09/16).

 

003m – 003n - La Mulattiera di Ridràcoli attraversa prima un caratteristico varco naturale poi un vecchio coltivo in fase di rinaturalizzazione in simbiosi con il bordo di un terrazzamento (23/09/16).

 

003o – 003p – La Mulattiera di Ridràcoli giunge alle Farniole di Sopra poi si inerpica a Campo dei Peri (23/09/16).

 

003q – 003r – La Mulattiera di Ridràcoli, ridotta a sentiero per l’erosione delle stratificazioni marnose, giunge sul crinale insediativo di Pratalino presso il Monte Cerviaia, dove si ritrova una vecchia croce che è stata oggetto di un restauro ben curato anche nella ri-ambientazione dall’Associazione Nazionale Alpini, Gruppo Alto Bidente “Capitano Dino BerTini” di S. Sofia (23/09/16 – 16/10/16).

 

003s – 003t – Sotto la nuova carreggiata, accanto ad un brevissimo tratto superstite della Mulattiera di Ridràcoli che si dirigeva verso Casanova dell’Alpe, si ritrova la Maestà della Chiesaccia, che riprende il toponimo antico di questo luogo, nella quale nell’agosto 2004 è stata posta un’icona con targhetta MADONNA GRECA VENERATA A RAVENNA  (16/10/16).

 

003u - 003v – 003w – Sul cantone facciale della Chiesa di Casanova dell’Alpe si legge ancora l’incisione km 12 … (,358) relativa alla distanza da Bagno di Romagna lungo la Mulattiera di Pietrapazza: la pietre miliari riferite a questa ed alla Mulattiera di Casanova si trovano ancora collocate nei pressi (27/09/16).

 

003x – 003y – 003z – Sul crinale tra Casanova e Croce di Romiceto,accanto all’abbandonata mulattiera, si trova la Maestà di Valdora; dal crinale si discendeva al Paretaio e si risaliva verso Siepe dell’Orso per entrare nella valle di Pietrapazza; il “passo” è stato tagliato in epoca moderna. Sulla sx si nota il sentiero che prosegue verso il Passo della Crocina (19/07/16 – 4/11/16).

 

004a – 004b – Il tracciato del collegamento intervallivo che da Ridràcoli proseguiva verso S.Paolo in Alpe e che, oltrepassato il ponte, risaliva il Bidente lungo la riva sx lo si ritrova, attrezzato di pannelli informativi, presso il parcheggio del modernissimo IDRO Ecomuseo delle Acque da dove prosegue fino a incontrare la Maestà delle Galvane (23/09/16).

 

004c – 004d – Per risalire verso S. Paolo in Alpe si entra nella valle del Rio Bacine e dei suoi affluenti Rio e Fosso del Castagno dove, accanto all’omonimo fabbricato, si incontra la Maestà Ronconi, immersa in una valle apparentemente inospitale (10/12/15).

 

004e – 004fa – 004fb - Al contrario della valle appena percorsa l’Altopiano di S.Paolo in Alpe, se non fosse uno dei più alti insediamenti silvo-pastorali d’alta quota della montagna forlivese con le conseguenti problematiche climatiche, apparirebbe un luogo di rilassante serenità; qui si incontra la Maestà di S. Paolo, probabilmente sorta sul luogo dell’antica Chiesa od Oratorio di S. Paolo in Alpe, da cui deriva il nome del luogo, che fronteggiava il Casone (oggi restaurato) mentre dell’oratorio rimanevano alcune strutture fino alla completa demolizione negli anni ’80 da parte della A.R.F. (26/03/12 – 17/03/23).

 

004g – 004h – 004i – 004l – Vedute parziali consentite dal vincolo della sella di Pian del Pero, sullo stacco del contrafforte. Oggi la normale percorribilità non è consentita per la presenza della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino quindi si interrompe ma non prima di aver intravisto con binocoli o zoom quanto resta del Rifugio di Pian del Pero, posto una cinquantina di metri oltre il confine (16/11/16 - 18/12/16 - 17/03/23).

005a – 005b – 005c – 005d –I tracciati viari di fondovalle per attraversare i corsi d’acqua venivano dotati di ponti la cui complessità strutturale era relazionata alla loro importanza. Considerato che in queste valli i ponti in pietra risalgono tutti alla fine del XIX sec., la struttura più diffusa che ancora si ritrova è quella del ponte in legno su spallette in muratura di pietrame, con eventuali pile murarie intermedie in caso di luci considerevoli. Nella valle di Ridràcoli però non se ne trovano di molto vecchi: il Ponte di Campo alla Sega, sul fosso omonimo, probabilmente risale all’epoca della costruzione della S.F. Lama-S. Paolo in Alpe, tra il 1935 e il 1950. Presso il ponte si hanno caratteristiche viste del fosso, al confine della Riserva (31/03/12).

 

005e1 - 005e2 -  Strutture arcaiche di ponti in legno in alcuni casi vedevano l’utilizzo come pile intermedie di tronchi di quercia o castagno tagliati sopra la forcella ramaria ed eventualmente integrati, in modo da sorreggere la base di appoggio del piano di transito, come il Ponte al Mulino della Sega, sul Bidente di Ridràcoli a circa 500 m da Isola, ma ancora oggi in uso, con foto odierna ed elaborazioni da foto risalenti agli scorsi anni ’70 (24/07/18)

 

006a - Se Leopoldo II di Lorena nelle sue memorie, riferendosi a La Lama scriveva: “Cavalcando […] vidi nel fondo della valle del Bidente una macchia nera nell’Appennino, al certo foresta d’abeti d’importanza […] Desioso di conoscerla presi la via di Ridracoli, vidi poco dopo distendersi alli occhi la scena selvosa nelle pieghe d’Appennino […]”, non molto diversa sarebbe stata la descrizione del borgo di Ridràcoli in base a questa vista dalla S.F. per Casanova (16/10/16).

 

006b – 006c – Dalla mulattiera Ridràcoli-S. Paolo in Alpe, non lontano dalle Galvane, si ha uno scorcio del nucleo fortificato di Ridràcoli posto sullo sprone estremo della dorsale proveniente dal Monte Moricciona, emergente rispetto ai coltivi circostanti (10/12/2015).

 

006d – Dai pressi della Maestà delle Galvane si nota il profilo dello sprone castellano aggirato dall’ansa fluviale (in questi luoghi stonano linee elettriche e impianti tecnologici installati senza alcun riguardo che vanno cancellati almeno dalle foto) (23/09/16).

 

006e – 006f – Dalla Mulattiera di Ridracoli vista dello sprone castellano (in questi luoghi stonano linee elettriche e impianti tecnologici installati senza alcun riguardo che vanno cancellati almeno dalle foto) (23/09/16).

 

006g – 006h – 006i – 006j – La trasformazione ad uso agricolo delle strutture difensive del castello documentata già dal Settecento non pregiudica di apprezzarne il tipico impianto difensivo (in questi luoghi stonano linee elettriche e impianti tecnologici installati senza alcun riguardo che vanno cancellati almeno dalle foto) (23/09/16).

 

006l – Vista odierna della rocca confrontata con una foto degli scorsi anni ’50, di cui è riprodotto uno schizzo neografico (23/09/16).

 

006m – 006n – 006o – 006p – 006q – 006r – Varie viste della rocca (23/09/16).

 

006s – 006t – Il riutilizzo ad uso turistico dei fabbricati adiacenti alla rocca, già trasformati ad uso agricolo, ha consentito di evitarne il probabile e definitivo abbandono e probabilmente consente un minimo di controllo manutentivo delle superstiti antiche pietre (23/09/16).

 

006u – La Garfagnana, edificio abitativo del 1928 oggi ad uso turistico detto I Nidi (23/09/16).

 

007a – Fotomontaggio comparativo di scatti del 23/09/16 e del 16/10/16 con una foto del 1941 di Torquato Nanni, oggi probabilmente irripetibile per la copertura arborea, utile appunto per considerare la rinaturalizzazione e la ri-ambientazione paesaggistica dei luoghi circostanti il borgo di Ridràcoli.

 

007b – 007c – 007d – La Chiesa dei SS. Martino e Lorenzo oggi quasi scompare alla vista circondata dalla vegetazione, così occultando senza alcun pregiudizio il pseudo-romanico rifacimento ottocentesco caratterizzato in facciata da una loggetta ripartita in archetti sorretti da colonnine e definita da un grande pseudo portale ad arco a tutto sesto mentre archetti pensili decorano il sotto gronda (21/05/2011 - 23/09/16).

 

007e – Il fabbricato del podere Chiesa di Sopra (23/09/16).

 

007f – 007g – 007h – I ruderi del fabbricato del podere Chiesa di Sotto (23/09/16).

 

007i – Il poggetto con i ruderi del fabbricato del podere Chiesa di Sotto ed il fabbricato del podere Chiesa di Sopra; la realizzazione del tratto stradale oltre il nuovo ponte ha comportato la distruzione delle opere di presa del Mulino di Sotto (21/05/2011).

 

007j – 007l – Il corpo più antico del Molino di Sotto o di Ridràcoli o del comune è quello principale trasversale alla strada; conserva la gora al piano sottostrada coperta dal marciapiedi interno mentre il canale di adduzione è scomparso con la realizzazione della nuova viabilità (21/05/2011 - 23/09/16).

 

007m – 007n – 007nn - Il Ponte di Ridràcoli ed il fabbricato adiacente (toponimo Ponte), sono contemporanei e risalenti alla ricostruzione in pietra dell’infrastruttura nel 1817-19. Il fabbricato, già utilizzato come locanda, dall’inizio del XX sec. ha ospitato una mescita di vino nota come Osteria del Terrore dal soprannome dell’oste (21/05/2011 - 28/03/22).

 

007o – 007p – 007q – Il Palazzo Giovannetti e le adiacenti Case de' Fabbri con la sovrastante Torretta particolarmente godono della ri-ambientazione paesaggistica successiva alla realizzazione della diga (23/09/16).

 

007r – Operò solo nel XVIII sec., epoca della sua costruzione, l’ex Oratorio della Madonna della Neve (23/09/16).

 

008a - 008b – Da Poggio Scali, sulla Giogana, è possibile ottenere viste ravvicinate della Valle di Ridràcoli ed individuare bene Biserno, spingendo la visuale fino ad Isola e S. Sofia (16/08/16).

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