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Coloreta di là

inserita da Bruno Roba
Comune : Santa Sofia
Tipo : rudere
Altezza mt. : 799
Coordinate WGS84: 43 53' 30" N , 11 44' 28" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

Testodi Bruno Roba (Gen. 2017)

Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, la Valle del Fiume Bidente delle Celle riguarda il ramo occidentale del Bidente delimitata: ad Ovest, da un tratto del contrafforte principale dal Monte Falco fino al Monte dell’Avòrgnolo da cui si stacca la dorsale di Pian dell’Olmo, che separa la Valle del Fosso della Fontaccia dalla Val di Noce, disegnando quell’arco di rilievi che costringe il fiume a confluire con il Bidente di Campigna a Lago così contribuendo a generare poco più in là, sotto il borgo omonimo, il Fiume Bidente di Corniolo; ad Est, dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che sempre staccandosi dal gruppo del M. Falco si dirige verso Poggio Palaio, quindi con il crinale di Corniolino termina a Lago.

Il bacino idrografico, suddiviso dall’incisione dell’asta fluviale principale in due parti similari solo per superficie, mostra una morfologia nettamente differenziata caratterizzata da un versante orientale più frastagliato e da versanti occidentali submontani, prevalentemente esposti a meridione, dove pendii più dolci a prato-pascolo su terrazzi orografici si alternano a tratti intensamente deformati e brecciati, mentre per il versante a ridosso delle maggiori quote dello spartiacque appenninico conseguono fortissime pendenze modellate dall’erosione con formazione di canaloni fortemente accidentati.

Se l’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio, in epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Percorrendo oggi gli antichi itinerari, gli insediamenti di interesse storico-architettonico o di pregio storico-culturale e testimoniale, esistenti, abbandonati o scomparsi (quindi i loro siti) che si trovano collocati lungo i crinali insediativi sono prevalentemente di carattere religioso o difensivo o sono piccoli centri posti all’incrocio di percorsi di collegamento trasversale; gli insediamenti di derivazione poderale sono invece ancora raggiunti da una fitta e mai modificata ramificazione di percorsi, mulattiere, semplici sentieri (anche rimasti localmente in uso fin’oltre metà del XX secolo, come p.es. testimoniano i cippi stradali installati negli anni ’50 all’inizio di molte mulattiere, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli; alcune strade forestali verranno realizzate solo un ventennio dopo). Diversamente dalle aree collaterali, non si riscontrano nelle valli bidentine fabbricati anteriori al Quattrocento che non fossero in origine rocche, castelli o chiese, riutilizzati a scopo abitativo o rustico, o reimpieganti i materiali derivanti da quelli ed evidenzianti i superstiti conci decorati. Nell’architettura rurale persistono inoltre caratteri di derivazione toscana derivanti da abili artigiani. L’integrità tipologica dei fabbricati è stata peraltro compromessa dai frequenti terremoti che hanno sconvolto l’area fino al primo ventennio del XX secolo, ma anche dalle demolizioni volontarie o dal dissesto del territorio, così che se è più facile trovare fronti di camini decorati col giglio fiorentino o stemmi nobiliari e stipiti o architravi reimpiegati e riferibili al Cinque-Seicento, difficilmente sussistono edifici rurali anteriori al Seicento, mentre sono relativamente conservati i robusti ruderi delle principali rocche riferibili al Due-Trecento, con murature a sacco saldamente cementate, come quella di Corniolino. Gli edifici religiosi, infine, se assoggettati a restauri o totale ricostruzione eseguiti anche fino alla metà e oltre del XX secolo, hanno subito discutibili trasformazioni principalmente riferibili alla tradizione romanica o ad improbabili richiami neogotici.

Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alla scheda toponomastica Valle del Bidente delle Celle.

In questo contesto storico-geografico, dove la parte più profonda della valle, da sempre considerata periferica e difficilmente raggiungibile, è stata maggiormente segnata dall’abbandono, si trovano riconoscibili ruderi di quello che resta dell’insediamento di Coloreta che, fino al XVII sec. era noto per essere distinto nei due poderi con casa di Coloreta o Colloreta di qua e Colloreta di là o Coleretola differente definizione toponomastica parrebbe da relazionare alla loro collocazione in rapporto alla distanza da Celle e alla morfologia dei luoghi, quando i sopralluoghi giungevano ancora da Firenze discendendo da Costa Poggio Corsoio (“… si arrivò alla Chiesa delle Celle e di qui a visitare li tre poderi dell’Opera Coloreta di qua Coloreta di là e Caldine …” - v. più avanti). Detti poderi sono sempre documentati e produttivamente collegati tra essi fin dal 1545 ed insieme al confinante podere con casa delle Caldie o Caldine, poi ancora nel 1677, nel 1727 e nel 1751, inoltre vi sono descrizioni delle case in contratti del 1818 e del 1840 e tutte compaiono sia nel Catasto Toscano del 1826-34 sia in una Carta Geometrica della Regia Foresta Casentinese del 1850 conservata presso il Nàrodni Archiv Praha e, variamente, nelle cartografie catastale di impianto e aerofotogrammetrica attuale. Dal XVIII sec., con la riorganizzazione amministrativa, Campigna divenne la base di riferimento per verbali e sopralluoghi, dove si specificava chiaramente che la direzione di marcia, quindi di elencazione, era verso Celle (v. più avanti), così per i due poderi si ritrovano le nuove denominazioni di Colloreta prima e Colloreta seconda con inversione delle altre, quando riportate. Riassumendo, gli abbinamenti divennero Coloreta prima/di qua e Coloreta seconda/di là. La descrizione delle case fatta nel XIX sec. corrisponde bene alle planimetrie del Catasto Toscano del 1826-34, dove lo stesso toponimo semplice Coloreta è ripetuto accanto ad entrambi i nuclei. Attualmente i ruderi che ancora sussistono accanto ad una curva della strada forestale conservano tale toponimo mentre per l’ormai ignoto fabbricato dell’altro podere, considerando agevolmente che tra le due case intercorreva in linea d’aria una distanza di circa 200 m, si può stabilire che doveva trovarsi sul sito di un’ampia piazzola della successiva curva più a Nord in direzione di Celle: tali curve sono separate dall’incisione di un affluente in sx idrografica del Fosso di Coloreta (attraversato da una controcurva) che potrebbe costituire l’ostacolo orografico che occorreva superare per giungere al fabbricato più distante, quindi “di qua o di là dal fiume” (la mappa del Catasto Toscano del 1826-34 è significativa in merito). Da quanto sopra, derivando da Celle la toponomastica della valle e volendole restituire il suo primato locale, parrebbe logico attribuire il toponimo di Coloreta di là ai ruderi esistenti e di Coloreta di qua al nucleo scomparso più vicino a Celle, che dovrebbe essere stato demolito in occasione della costruzione della strada, infatti è ancora presente nel Nuovo catasto Terreni del 1935, anche se composto da un solo fabbricato. In occasione del censimento dell’A.R.F. degli scorsi Anni ’70 Coloreta (di Là) risulta avere una superficie di 132 mq, 660 mc e 4 vani. Nella cartografia storica I.G.M. il toponimo compare con anteposta l’abbreviazione C. (Coloreta) che presumibilmente compare quando si è manifestata l’esigenza di precisare la funzione abitativa; mancando la semmai attendibile abbreviazione al plurale C.se, è probabile segno che l’altro fabbricato, benché ancora rappresentato, aveva già perso ogni funzione (N.B.: in base alle note tecniche dell’Istituto, se viene preferito il troncamento Ca deve essere scritto senza accento: se ne deduce che se compare con l’accento significa che è entrato nella consuetudine quindi nella formazione integrale del toponimo).

Il toponimo deriva dal latino classico, corŭlus, -i, in botanica Corylus avellana L., Famiglia: BETULACEAE, è l’Avellana o Nocciolo comune e, più precisamente: «[…] dal lat. coryletum (Ovidio) = “terra piantata ad avellani, noccioli”.» (A. Polloni, 1966, rist. 2004, p.88, cit.).

Il luogo rientrava tra i beni posseduti dall’Opera del Duomo di Firenze in Romagna ed i relativi appezzamenti boschivi sono documentati nell’inventario eseguito dopo che l’Opera, avendo preso possesso delle selve “di Casentino e di Romagna”, dove desiderava evitare nuovi insediamenti, aveva costatato che, sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi che altrove, si manifestavano numerosi disboscamenti e roncamenti non autorizzati; pertanto, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. Ad una prima citazione dei detti poderi del 1545: «[…] dei livelli che l’Opera teneva in Romagna […] se ne dà ampio conto qui di seguito […] 1545 […] – Una presa di terra in luogo detto le Caldie di Colloreta […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 150, cit.) segue un elenco del 1637 dove si trova un Caldine di Colloreta e un Caldina o Ripa de Corbi: «1637 – Nota dei capi dei beni che l’opera è solita tenere allivellati in Romagna e Casentino e sono notati col medesimo ordine col quale fu di essi fatta menzione nella visita generale che ne fu fatta l’anno 1631: […] 3) Caldine di Colloreta e Fossetta, terre tenute da redi di Iacopo di Lazzero de Medici 4) Caldina o Ripa de Corbi, terra tenuta da Francesco di Giovanni dalle Celle […] 5) Ripa de Corbi, terra tenuta da Orazio di Iacopo dalle Celle » (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 408-409, cit.). Nel verbale di una “visita” del 1677 si trovano informazioni su tutti i poderi: «Relazione della gita e visita generale fatta dall’Ill.mo Sig.re Alessandro Segni Operaio […]. Il giorno di martedì montammo a cavallo […] e passando da Monte Corsoio luogo di nostro confino con lo Spedale di S. Maria Nuova scesimo abbasso sino alla Chiesa delle Celle nel qual viaggio molto disastroso per li cattivi passi […]. Ritornammo in su et arrivammo ad un luogo detto Colloreta dove sono due poderi dell’Opera che si fanno per nostro conto e che son quelli che si comprorno pochi anni sono da un tale Guidi dove sono bestie di nostro conto et un altro poderino detto delle Caldie che è quivi congiunto ed è di antico padronato dell’Opera il quale di presente viene lavorato da uno di quei contadini dei sopra nominati poderi di Coloreta. […] Passammo di poi ad un altro nostro podere allivellato pure che si chiama Castagnoli e qui riconobbimi un pezzo di prato attenente alla Chiesa delle Celle del quale ci fu fatta istanza dal Priore di essa chiamato don Neri Fantoni che volessimo permutarlo in un altro pezzetto di terra della tenuta di Coloreta contiguo alla sopra nominata chiesa al che li fu risposto che si sarebbe fatto e che intanto lui procurassi le dovute e necessarie permissioni dal suo ordinario. […] Essendo passato […] ci preparammo […] a ritornare […] avendo prima stabilito di dare di dieci anni in dieci anni al Sig. Ottavio Ringressi dalle Celle li dua poderi di Colloreta e quello delle Caldie […] con […] bestie che sopra di presente si ritrovano obbligandosi inoltre il medesimo di fare a tutte sue spese in questo decennio una capanna nel luogo detto la Cava di Fellino per comodità delle semente di detti poderi la qual capanna […] resterà alla fine in benefizio dell’Opera […]»  (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 320-321, 323, cit.). Riguardo la stessa visita anche il cancelliere scrisse un verbale che contiene alcune precisazioni sullo stato delle case: «[…] scendendo per il Monte Corsoio si passò dal Pian del Grado e si arrivò alla Chiesa delle Celle e di qui a visitare li tre poderi dell’Opera Coloreta di qua Coloreta di là e Caldine quali tre poderi l’Opera li tiene a sua mano che si trovano tutti in buon grado tanto le case che i bestiami.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 328, cit.). Da un decreto del 1727 si apprende che : «Lionetto Camaggi disdisse in nome dei suoi fratelli e di Michelagniolo lor padre il fitto de poderi di Colloreta di qua, Colloreta di la e le Caldine.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 345, cit.). Molti anni dopo lo stato  di manutenzione dei poderi dell’Opera appare già precario, come si apprende da una relazione del 1751: «[…] 1) Podere di Coloreta tenuto in affitto da Loretto Camaggi altra guardia dell’Opera […]. Questo podere torna appunto a piè della macchia detta la Seccheta, composto di buone terre lavorative, sode boscate e castagnate e prative d’una buona estensione. […] è necessario levarsi alcune gorcie dal tetto di casa e capanna e accomodarsi in due luoghi la muraglia della stalla delle vacche per la parte interna […] 2) Coloreta di là verso le Celle: questo podere è stato molto tempo serrato in pregiudizio di quella casa ma oggi si trova aperto con la separazione di due figli dell’altro contadino che è venuto ad abitarvi […] e fu trovato essere necessario risarcirvi con un barbacane la muraglia di casa […]. Resta parimente necessario accomodarsi il palco di casa e della camera […]. 3) Podere delle Caldine tenuto in fitto dallo stesso Camaggi. Questo si trova in oggi quasi del tutto macchioso et incolto […] il fittuario […] il contadino […] contentandosi di ricavar colla industria di una sola famiglia tenuta finora in Coloreta ciò che potea, talmente restano inutili quelle case e capanne che in buono stato si trovino […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 432-433, cit.) Nel 1789, da una relazione sui canoni da stabilirsi, risulta quale è ormai l’interesse per questa zona: «I poderi […] Coloreta di qua e Coloreta di là […] sono situati alle falde di vasto circondario delle selve d’abeti e sembra che sieno stati fabbricati in detti luoghi per servire di custodia e per far invigilare dai contadini di detti poderi […] non ardirei mai di far proposizione di alienarli ma […] come si rileva chiaramente dalla loro posizione servendo di cordone e custodia alle macchie medesime […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 441, 442, cit.). Nel Contratto livellario del 1818, tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli si trova la prima descrizione della consistenza dei fabbricati del podere: «[…] descritte tutte le tenute […] viene composta dei seguenti terreni cioè: […] 49° Podere della Colloreta prima […] con casa da lavoratore di numero sei stanze da cielo a terra, loggetta, forno, aia, orto e separata da detta casa capanna e stalla. Quest’ultima necessita di essere resarcita […]. Questo podere è composto dai seguenti terreni cioè: […] IV° un tenimento di terra (con piccola casina di più stanze che serve di capanna e stalla sotto luogo detto le Caldine) […] 50° Podere denominato Colloreta seconda […] con casa da lavoratore composta di numero sette stanze, loggia, forno in casa, stalletta, seccatoio, orto, aia, tutto questo fabbricato è in cattivo stato. […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 476, 482, cit.). Dalle istruzioni per una perizia conferita nel 1832, si apprende che sono stati effettuati lavori di restauro o nuova costruzione a carico del Monastero di Camaldoli in base a concessione enfiteutica alla casa, al seccatoito e alle stalle del podere di Colereto. (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 459, cit.). Sciolto d’imperio il contratto del 1818 per inadempienze nell’applicazione di un rigoroso regime forestale ai possedimenti dell’Opera, nel 1840 il Granduca fece stipulare un nuovo Contratto livellario con il Monastero di Camaldoli, così si trova un’ulteriore, ed ora estremamente precisa, descrizione del podere e dei fabbricati: «N. 1: Podere di Colloreta […] lavorato dalla famiglia colonica di Giovan Battista Guidi. Fabbricati colonici. La casa di abitazione della famiglia colonica comprende nel suo piano terreno una stalla per il bestiame vaccino con doppia mangiatoia di materale, una stalla per le pecore ed altra davanti ai pavimenti per le vaccine con doppia mangiatoria, aventi tutte ingresso esterno a mezzogiorno e quindi una stanzetta ad uso di caciaia con ingresso a ponente lastricata alla rinfusa. Il piano superiore a cui si accede dall’aia attesa l’inclinazione del suolo si comprende di una loggetta la quale introduce nella cucina a palco corredata del camino e acquaio e questa dà ingresso ad una cameretta superiore alla caciaia a tetto ed ad altre due camere divise fra loro mediante un divisorio di tavole. La capanna a tetto ha ingresso esterno fra levante e tramontata dall’aia il cui piano è elevato di alcuni gradini. La stalla delle vaccine, la capanna, la caciaia, la cameretta e la loggia sono di recente costruzione. Separata per la parte di ponente altra fabbrichetta recentemente fabbricata la quale comprende un forno preceduto da una breve loggetta con porcile sottoposto ed il seccatoio per le castagne lastricato corredato di camino con ingresso dall’aia. E più oltre per la parte di tramontana un’antica fabbrichetta a terreno ha una stalla per le capre ed una capanna e nel piano superiore due stanze a tetto per uso parimente di capanna con ingresso dall’aia. Questo quartierino recentemente ristabilito con la ricostruzione non meno di terzo, ha pure necessità di qualche pronto restauro. Intorno vi sono l’aia ed un resede. Distanti da questi descritti fabbricati e precisamente sulla via maestra che si dirige alla Chiesa delle Celle esisteva la casa rusticale del podere denominato – Colloreta seconda – oggi riuniti a questo; due stanze in stato rovinoso che una a terreno ad uso di stalla e l’altra superiore destinata a capanna. Ed in luogo denominato - Le Caldine – altra fabbrichetta comprensiva nel suo piano terreno di una stalla per le vaccine con ingresso a levante e doppia mangiatoia e nel piano superiore una stanza già servente per abitazione ed oggi ad uso di capanna. E questa ultima descritta fabbrichetta unitamente all’altra per uso di capanna e stalla hanno bisogno di alcuni riattamenti cioè: […] 49° Podere della Colloreta prima […] con casa da lavoratore di numero sei stanze da cielo a terra, loggetta, forno, aia, orto e separata da detta casa capanna e stalla. Quest’ultima necessita di essere resarcita […]. Questo podere è composto dai seguenti terreni cioè: […] IV° un tenimento di terra (con piccola casina di più stanze che serve di capanna e stalla sotto luogo detto le Caldine) […] 50° Podere denominato Colloreta seconda […] con casa da lavoratore composta di numero sette stanze, loggia, forno in casa, stalletta, seccatoio, orto, aia, tutto questo fabbricato è in cattivo stato. […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 505-506, cit.).

N.B. - Negli scorsi anni ’70, seguito del trasferimento delle funzioni amministrative alla Regione Emilia-Romagna, gli edifici compresi nelle aree del Demanio forestale, spesso in stato precario e/o di abbandono, divennero proprietà dell’ex Azienda Regionale delle Foreste (A.R.F.); secondo una tendenza che riguardò anche altre regioni, seguì un ampio lavoro di studio e catalogazione finalizzato al recupero ed al riutilizzo per invertire la tendenza all’abbandono, per Rio Coloreta senza successo. Con successive acquisizioni il patrimonio edilizio del demanio forlivese raggiunse un totale di 492 fabbricati, di cui 356 nel Complesso Forestale Corniolo e 173 nelle Alte Valli del Bidente. Circa 1/3 del totale sono stati analizzati e schedati, di cui 30 nelle Alte Valli del Bidente (Coloreta, compreso nell’elenco, fu escluso dalla schedatura). Il materiale è stato oggetto di pubblicazione specifica.

RIFERIMENTI   

AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;

M. Foschi, P. Tamburini, (a cura di), Il patrimonio edilizio nel Demanio forestale. Analisi e criteri per il programma di recupero, Regione Emilia-Romagna A.R.F., Bologna 1979;

A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;

N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001;

A. Polloni, Toponomastica Romagnola, Olschki, Firenze 1966, rist. 2004;

M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi (a cura di), Il Parco del Crinale tra Romagna e Toscana, Alinari, Firenze 1992;

Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze

Carta dei sentieri Alpe di S. Benedetto, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2014;

Link https://servizimoka.regione.emilia-romagna.it/appFlex/sentieriweb.html.

Link http://www.igmi.org/pdf/abbreviazioni.pdf.

Link:www.imagotusciae.it.

Percorso/distanze :

La Valle delle Celle è facilmente raggiungibile dalla S.P. 4 del Bidente percorrendo circa 5 km della Pista di servizio SP 4 del Bidente-Poderone-Pian del Grado, in parte sconnessa e ripida. Dopo circa 3,5 km con alcuni stretti tornanti, superato il fabbricato di Mandriacce, si giunge ai ruderi di Coloreta di là. 

foto/descrizione :

Le foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell'autore
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001/002 – Il crinaletto che a N/E delle Mandriacce delimita la valle dell’omonimo fosso sviluppandosi verso Partinico è il migliore punto di osservazione del sito dei poderi di Coloreta, con possibilità di viste ravvicinate di Coloreta di là (2/12/16).

 

003 – Ripresa fotografica dove le ombre evidenziano l’incisione dell’affluente del Fosso di Coloreta, di là dal quale occorreva andare per raggiungere Coloreta da Celle: la vecchia mulattiera, a differenza della strada forestale, scendeva probabilmente per 15-20 m a guadare il fosso (2/12/16).

 

004 – Dal crinaletto che a N/E delle Mandriacce delimita la valle dell’omonimo fosso sviluppandosi verso Partinico si ha la vista più ravvicinata della parte dell’alto bacino delle Celle sottostante il zigzagante crinale cui appartiene Poggio Palaio che, mentre sul versante meridionale è ricoperto dalla sempreverde Abetina di Campigna, a ponente è prevalentemente ricoperto dalla faggeta. N.B.: Per la probabile maggiore precisione, la toponomastica fa prevalentemente riferimento ai contenuti della cartografia ottocentesca dove, tra l’altro, il Palaio è il rilievo adiacente e più ampio di quello indicato nella cartografia moderna, mentre per la denominazione dei due poderi di Coloreta si fa riferimento a quella in uso fino al XVII sec. quando i sopralluoghi giungevano ancora da Firenze attraverso Costa Poggio Corsoio (2/12/16).

 

005 – 006 – Dallo stesso punto di vista, panoramica estesa all’alta valle delle Celle che consente di rapportare il sito di Coloreta con i versanti meglio esposti tra La Fossa e Pian del Grado; nell’ingrandimento si scorge bene la moderna strada forestale verso Celle (2/12/16).

 

007/014 – Quello che resta del fabbricato principale di Coloreta di là (11/09/16).

 

015 – 016 – I resti di uno dei due annessi, ormai ricoperto dalla vegetazione (11/09/16).

 

017 – L’aia di Coloreta di là tra l’annesso, a sx, e l’edificio principale, a dx (11/09/16).

 

018 – 019 - Collage di schemi cartografici derivati da cartografia storica e moderna che consentono interessanti confronti con i tracciati di percorrenza antica. In particolare il secondo forse rappresenta le dimensioni degli insediamenti nella fase della loro maggiore espansione.