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Valle del Bidente di Campigna

inserita da Bruno Roba
Comune : Santa Sofia
Tipo : valle
Altezza mt. : 1075
Coordinate WGS84: 43 52' 20" N , 11 44' 47" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

Testo inserito da Bruno Roba (Gennaio 2017)

Coordinate          WGS84 

Campigna                                                   43° 52’ 20” N / 11° 44’ 47” E    

estremo NORD          (Lago)                         43° 54’ 14” N / 11° 47’ 8” E

estremo EST        (M. Grosso)                      43° 52’ 30” N / 11° 48’ 1” E

estremo SUD       (P.gio Scali)                     43° 50’ 41” N / 11° 47’ 18” E

estremo OVEST   (Sodo de Conti)                43° 52’ 34” N / 11° 42’ 56” E

Altitudine compresa tra m 520 e m 1520 s.l.m. Campigna 1075 m

Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto appenninico spartiacque compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine; in quell’ambito si staccano due contrafforti secondari e vari crinali e controcrinali minori delimitanti le singole vallecole del bacino idrografico. In quell’ambito, la Valle del Fiume Bidente di Campigna riguarda quel ramo intermedio del Bidente ed è delimitata ad Ovest dalla dorsale che staccandosi dal gruppo del Monte Falco ed inizialmente poco riconoscibile transita dalla conca dei Fangacci e si dirige verso Poggio Palaio, digrada con la Costa Poggio dei Ronchi verso i Tre Faggi, come crinale di Corniolino di tipo insediativo risale verso il Monte della Maestà trovando infatti gli insediamenti difensivi e residenziali-religioso-ospitalieri del Castellaccio e di Corniolino, quindi termina a Lago non prima di aver diviso le Valli delle Celle e di Campigna. L’altro versante è delimitato in parte dal contrafforte secondario che si distacca da Poggio Scali e che subito precipita ripidissimo disegnando la sella di Pian del Pero, serpeggiante evidenzia una sequenza di rilievi (i Poggi della Serra e Capannina, l’Altopiano di S. Paolo in Alpe, Poggio Squilla, Ronco dei Preti, i Poggi Collina e Castellina con cui termina digradando al ponte sul Fiume Bidente di Corniolo presso Isola, costretto dalla confluenza del Fiume Bidente di Ridràcoli. L’Altopiano di S. Paolo costituisce snodo con il controcrinale per Celle/Poggio Corsoio mentre da Poggio Squilla si distacca un’altra dorsale che, declinando a Nord, dopo Poggio Aguzzo precipita verso Corniolo così delimitando ad Est la valle mentre a monte l’area sorgentifera principale si estende dalle Ripe di Scali oltre il Passo della Calla fino a Poggio Martino considerata la  profonda diramazione che si insinua tra le creste di Poggio Palaio e il Monte Gabrendo.

Da una visione zenitale, satellitare, la valle appare vagamente triangolare, dai lati frastagliati e con un’ampia base impostata sullo spartiacque appenninico ed il vertice puntato su Lago, secondo l’orientamento prevalente della struttura a pettine, laddove raccoglie la confluenza del Bidente delle Celle dando poco dopo origine al Fiume Bidente di Corniolo. L’asta fluviale principale non suddivide equamente i versanti. Dalla complessa orogenesi dei rilievi, caratterizzata dalla diversa giacitura e disgregabilità dell’ambiente marnoso-arenaceo, per il versante sx sottostante il crinale del Corniolino, che mostra dorsali perpendicolari di ridotta estensione, è conseguita una presenza di pendii più dolci a prato-pascolo tra tratti intensamente deformati e brecciati: i più ripidi mostrano la roccia denudata; scriveva il senatore F. M. Gianni (1728-1821) protagonista delle riforme leopoldine: «… è notabile come in molti luoghi l’Appennino è spogliato nella faccia di solatio, e vestito nella parte di bacìo perché da bacìo non era sperabile il trarre la misera raccolta di poca sementa e perciò non è stata perseguitata la montagna con Ronchi e Licenze» (Archivio di Stato di Firenze, Carte Gianni, in M. Pinzani, 2001, vol. I, p. 137, cit.). Se nei fondovalle, specie dove essi si fanno più tormentati, profondi e ristretti, conseguono formazioni di gole, forre, financo degli orridi, con erosioni fondali a forma c.d. di battello, gli imponenti crinali secondari di Poggio Ricopri e per Celle/Poggio Corsoio, nel convergere verso l’asta fluviale principale, delimitano aree di importante contributo idrografico e mostrano una continuità morfologica con il versante esposto a settentrione dove, specie nella parte a ridosso delle maggiori quote dello spartiacque appenninico (la c.d. bastionata di Campigna-Mandrioli), si manifestano fortissime pendenze modellate dall’erosione e dal distacco dello spessore detritico superficiale con conseguente crollo dei banchi arenacei, lacerazione della copertura forestale e formazione di profondi fossi e canaloni fortemente accidentati, talvolta con roccia affiorante (Ripe di Scali, Canale del Pentolino, Ripe di Pian Tombesi); questo versante ovviamente rappresenta l’area sorgentifera principale. Una notazione di un grande riformatore: «Cavalcando […] vidi […] La foresta dell’Opera sulla pendice precipitosa verso Romagna era manto a molte pieghe dell’Appennino, al lembo di quel manto apparivano le coste nude del monte […] Sugli spigoli acuti delle propaggini del monte si vedevano miseri paeselli con le chiese: San Paolo in Alpe, Casanuova, Pietrapazza, Strabatenza; impercettibili sentieri conducevano a quelli, e lì dissero le guide i pericoli del verno, la gente caduta e persa nelle nevi, […] i morti posti sui tetti per non poterli portare al cimitero, e nelle foreste i legatori del legname sepolti nelle capanne […]» (Leopoldo II di Lorena, Le memorie, 1824-1859, in G.L. Corradi, O. Bandini, 1992, p.78, cit.). Conclude un eminente studioso dell’epoca: «Nella […] zona delle montagne […] è questa la zona dei pascoli e del bestiame. I boschi di quercia, castagno e faggio si van sempre più restringendo e quelli di abete sono ormai scomparsi del tutto, ridotti come sono a poche macchie nella Falterona, Camaldoli e monti della Cella.» (E. Rosetti, 1894, p. 90, cit.). Affioramenti di interesse stratigrafico, paragonabili a quelli degli Scalacci presso i Mandrioli, sono quelli del Geosito di rilevanza locale Monte della Maestà esposti lungo la SP 4 del Bidente, come pure i vicini affioramenti della Linea delle Mandriacce a Pian del Grado, al bivio per il Poderone sulla Colla Tre Faggi, che soprattutto evidenziano la piega a chevron (V rovesciato) delle stratificazioni, e dei Livelli guida nell’elemento del Monte Nero, affioramento caratterizzato da notevoli spessori di inusuale e diversa composizione, molto importante ai fini della classificazione stratigrafica. Sull’altro versante, in dx sia del Bidente sia del fosso omonimo, Ristefani è un Geosito di pari rilevanza formatosi per movimenti franosi di scivolamento della Formazione Marnoso-arenacea, dove un tratto di versante possiede la medesima impostazione di pendenza delle stratificazioni. L’ampio Vallone di Poggio Pian Tombesi, sulla Giogana, è un Geosito di rilevanza locale costituito da uno sdoppiamento di cresta generato da lenti e profondi movimenti franosi, dominato da un’alta parete di tre spessi banconi arenacei. Riguardo l’asta fluviale principale si nota che, destino comune di ogni ramo bidentino di cambiare spesso identità e con differenze tra le varie cartografie, questo ramo del Bidente già da monte appare suddiviso in vari tratti dalla diversa denominazione: nasce alla quota di 1425 m da Poggio Lastraiolo a circa 40 m dal Rifugio CAI Città di Forlì come Fiume Bidente del Corniolo; successivamente, a quota 825 m, dopo alcuni contributi ricevuti nel sito un tempo detto I Tre Fossati, diviene Torrente Bidente; a valle di Fiumari è il Fosso del Bidente di Campigna, denominazione che mantiene fino ai pressi di Corniolo quando, sotto un strettissimo tornante stradale, ricevuti i contributi degli appena congiuntisi Fossi di Verghereto e dell’Alpicella, in coerenza con il sovrastante borgo, avrà origine il Fiume Bidente di Corniolo (N.B.: la morfologia della confluenza di Lago non è antichissima, infatti nel 1681 una frana creò un’ostruzione che effettivamente generò un lago -che sommerse il quattrocentesco Mulino Vecchio-, poi colmato da sedimentazioni modellate dallo scorrimento delle acque). Tra gli affluenti il più rilevante è il Fosso dell’Abetìo già dell’Abetia, nel primo tratto già dei Fangacci, (che condivide con il Satanasso le maggiori quote sorgentifere, entrambe tra il M. Falco e P.gio Sodo dei Conti e prossime ai 1600 m) che presso la sua testata vede la presenza della Cascata di Campigna o Occhi Bui, Geosito di rilevanza locale osservabile dalla SP 4 del Bidente, di interesse non tanto per il dislivello ma soprattutto per gli affioramenti rocciosi che si estendono ai fianchi della vallecola ed evidenziano la resistenza all’erosione degli strati arenacei. I Fossi dell’Antenna, delle Bruciate, della Corbaia, della Ghiraia, della Ruota, della Fonte Raggio già della Fonte del Raggiomozzo, della Porta delle Cullacce, delle Cullacce, del Pentolino, di Ricopri, di Poggio Scali hanno origine dallo spartiacque appenninico, gli ultimi quattro dalla bastionata; il Ricopri e il Poggio Scali costituiscono nell’ordine le sezioni più alte del Fosso del Fiumicino, uno dei maggiori affluenti del Bidente insieme al quasi omonimo Fosso del Fiumicino di S. Paolo, che trova origine tra quelle dorsali minori che si distaccano dal contrafforte secondario, il cui sottobacino è costituito dai Fossi del Perone, dell’Alberaccia e di Ristefani. In dx idrografica affluiscono inoltre i Fossi di Bagnatoio e delle Farnie e, sull’altro versante, i Fossi di Montaccesi, di Castagnoli, della Casaccia e della Pietra. Interessante la citazione di alcuni di questi “vocaboli” nella descrizione dei confini del Contratto livellario del 1818 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli: «[…] descritte tutte le tenute […] viene composta dei seguenti terreni cioè: […] 5° Un tenimento di terre abetate, faggiate, pasturate, trafossate e ripate, di staia 200 circa coi vocaboli di Coste del Pentolino e Ripa della Docciola. 6° Un tenimento di terre macchiate, abetate, faggiate, pasturate, trafossate, di staia 200 circa col vocabolo di Culacce […]». (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 476, cit.).

Dopo la confisca del vasto feudo forestale da parte della Repubblica di Firenze a danno dei conti Guidi, l'alpe del Corniolo, allora chiamata anche selva del Castagno e la selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli tra il 1380 e il 1442 furono donate (il termine contenuto in atti è “assegnato in perpetuo”; A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 15-16, cit.) all’Opera del Duomo di Firenze che, per oltre quattro secoli si riservò il prelievo del legname da costruzione e per le forniture degli arsenali di Pisa e Livorno, di quelli della Francia meridionale oltre che per l’ordine dei Cavalieri di Malta « Alcune antenne raggiunsero perfino il prezzo di 2000 lire […]» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 272); «[…] gli inglesi hanno pagato somme enormi alla Chiesa Cattolica, nel corso degli ultimi due anni, per l’acquisto di legname che consentisse loro di combattere le loro battaglie.» (Joseph Forsyth*, Di monte in valle: luoghi celebri del casentino, 1802, in: A. Brilli, 1993, p. 26, cit.); * nel corso della prigionia francese per attività filobritannica scrisse Remarks … during an Excursion in Italy in the Years 1802 and 1803, Londra, John Murray 1816.  forniture riguardarono anche il mercato romagnolo utilizzando il Bidente per il trasporto. Per ricavare alberi di maestra delle maggiori dimensioni (28 m di altezza) occorrevano abeti plurisecolari di almeno 40 m. (un esempio di albero di maestra si trova a Campigna nel Viale del Granduca). Il depauperamento per i tagli, legittimi ed abusivi, anche conseguenti alla progressiva antropizzazione del territorio con incremento di appoderamenti per colture e pascoli realizzati con la pratica del ronco, portò la foresta a ridursi alle zone più impervie delle testate vallive. Dal 1838, con il passaggio alle Reali Possessioni granducali delle aree forestali finora dell’Opera (e, dal 1857 al 1900, in parte come proprietà diretta del Granduca) e grazie alla riorganizzazione tecnico-amministrativa dell’ingegnere forestale di origine boema Carlo Siemoni, poi dal 1866, a seguito della soppressione degli ordini religiosi ed il passaggio al Regio Demanio, principiarono notevoli ripensamenti gestionali (per l’importazione di massicce quantità di piantine e di sementi oggi non è possibile distinguere l’ecotipo appenninico locale dall’ecotipo continentale della Boemia, fatta eccezione per le piante di età superiore a 180 anni). Però solo a partire dal 1914, nuovamente accorpato e affidato in proprietà e gestione diretta al Demanio dello Stato, il patrimonio forestale ha visto iniziare quell’opera di conservazione e di miglioramento che ha portato al conseguimento di obiettivi insperati. Con l’abbandono della montagna nel secondo dopoguerra, constatata l’impossibilità politica ed economica del sostegno di forme di agricoltura basate sull’autoconsumo, si è reso possibile il perseguimento degli obiettivi di conservazione degli habitat naturali. Così oggi, le aree montane dell’alta valle del Bidente e vaste aree submontane, oltre ad altre adiacenti al Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, in gran parte di proprietà demaniale, si trovano inserite nella rete Area Natura 2000 con tre siti per le caratteristiche di seguito riassunte: Foresta di Campigna, Foresta la Lama, Monte Falco, uno dei più importanti e studiati della regione, santuario della conservazione naturalistica a livello nazionale e internazionale che comprende la Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, caratterizzato dalle foreste millenarie di Faggio e Abete bianco, dai vaccinieti e praterie secondarie con relitti alpini di grande significato fitogeografico, gli unici dell'Appennino romagnolo, e da alcune specie mediterraneo-montane, alcuni dei primi e le seconde rispettivamente al limite meridionale e al limite settentrionale del loro areale distributivo, che ricoprono quasi fino in vetta il tetto della Romagna; Monte Gemelli, Monte Guffone e Rami del Bidente, Monte Marino che si estendono dalle parti alte dei bacini fluviali fino al corso inferiore dei tre rami ed alla loro confluenza, comprendendo il lago di Ridracoli, siti caratterizzati da boschi naturali, rimboschimenti, pascoli in generale regresso per progressivo abbandono delle pratiche zootecniche tradizionali, praterie cespugliate ed arbusteti a Ginepro per lo più derivanti dalla rinaturalizzazione di ex-coltivi ed ex-pascoli, che diventano garighe su versanti esposti, oltre a zone rupestri e plaghe rocciose; completano il quadro relativo a un territorio relativamente poco antropizzato gli ambienti fluvio-ripariali dei corsi torrentizi dei tre Bidente, dai noti aspetti geomorfologici e geotettonici, più largo “Corniolo”, più incassato “Ridracoli”, più mosso e variato “Pietrapazza”, ma in un contesto ripariale appenninico abbastanza simile, caratteristico e ben conservato.Dal 7 luglio 2017 le faggete vetuste del Parco Nazionale comprese nella Riserva Integrale di Sasso Fratino e una vasta area circostante comprendente le Riserve Biogenetiche Casentinesi e altre aree all’interno del Parco Nazionale, per un totale di circa 7.724,28 ha, fanno parte del patrimonio mondiale dell’UNESCO, andando a rappresentare uno dei più estesi complessi forestali vetusti d’Europa. Per l’Italia si tratta della prima iscrizione di un patrimonio naturale espressamente per il suo valore ecologico di rilievo globale. Approfondite indagini nell’area, che rappresenta complessivamente il sito di maggiori dimensioni tra quelli designati in Italia ed uno dei più estesi complessi forestali vetusti d’Europa, hanno portato alla scoperta di faggi vecchi di oltre 500 anni, tra i più antichi d’Europa, che fa entrare Sasso Fratino nella top ten delle foreste decidue più antiche di tutto l’Emisfero Nord. Questi faggi sono quindi coevi di Cristoforo Colombo e Leonardo da Vinci e al limite della longevità per le latifoglie decidue. Oltre al valore naturale, il faggio è una specie dall’alto valore simbolico e culturale, storicamente legata allo sviluppo dei popoli europei (l’etimologia del nome si riferisce ai frutti eduli, dal greco phagein = mangiare).

L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio. Già nel paleolitico (tra un milione e centomila anni fa) garantiva un’ampia rete di percorsi naturali che permetteva ai primi frequentatori di muoversi e di orientarsi con sicurezza senza richiedere opere artificiali. Nell’eneolitico (che perdura fino al 1900-1800 a.C.) i ritrovamenti di armi di offesa (accette, punte di freccia, martelli, asce) attestano una frequentazione a scopo di caccia o di conflitto tra popolazioni di agricoltori già insediati (tra i siti, Campigna, con ritrovamenti isolati di epoca umbro-etrusca, Rio Salso e S. Paolo in Alpe, anche con ritrovamenti di sepolture). In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae, l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, come per l’intero Appennino, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur mantenendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate ma, p. es. nel Settecento, chi voleva salire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami, per il Corniolo, per Ridràcoli e per S. Paolo in Alpe che venivano così descritti: «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi che in modo che appena vi può passare un pedone […] composto di viottolo appena praticabili […] largo in modo che appena si può passarvi […].» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, in L. Rombai, M. Sorelli, 1997, p. 82, cit.); ancora «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, 1992, p. 32, cit.). Così, se al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e i primi decenni del XX. Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.).

Percorrendo oggi gli antichi itinerari, gli insediamenti di interesse storico-architettonico o di pregio storico-culturale e testimoniale, esistenti, abbandonati o scomparsi (quindi i loro siti) che si trovano collocati lungo i crinali insediativi sono prevalentemente di carattere religioso o difensivo o sono piccoli centri posti all’incrocio di percorsi di collegamento trasversale; gli insediamenti di derivazione poderale sono invece ancora raggiunti da una fitta e mai modificata ramificazione di percorsi, mulattiere, semplici sentieri (anche rimasti localmente in uso fin’oltre metà del XX secolo, come p.es. testimoniano i cippi stradali installati negli anni ’50 all’inizio di molte mulattiere, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli; alcune strade forestali verranno realizzate solo un ventennio dopo). Diversamente dalle aree collaterali, non si riscontrano nelle valli bidentine fabbricati anteriori al Quattrocento che non fossero in origine rocche, castelli o chiese, riutilizzati a scopo abitativo o rustico, o reimpieganti i materiali derivanti da quelli ed evidenzianti i superstiti conci decorati. Nell’architettura rurale persistono inoltre caratteri di derivazione toscana derivanti da abili artigiani. L’integrità tipologica dei fabbricati è stata peraltro compromessa dai frequenti terremoti che hanno sconvolto l’area fino al primo ventennio del XX secolo, ma anche da spoliazioni, demolizioni volontarie o dal dissesto del territorio, così che se è possibile trovare negli edifici integri fronti di camini decorati col giglio fiorentino o stemmi nobiliari e stipiti o architravi reimpiegati e riferibili al Cinque-Seicento, difficilmente sussistono edifici rurali anteriori al Seicento, mentre sono relativamente conservati i robusti ruderi delle principali rocche riferibili al Due-Trecento, con murature a sacco saldamente cementate, come quella di Corniolino. Gli edifici religiosi, infine, se assoggettati a restauri o totale ricostruzione eseguiti anche fino alla metà e oltre del XX secolo, hanno subito discutibili trasformazioni principalmente riferibili alla tradizione romanica o ad improbabili richiami neogotici.

I principali insediamenti sono o erano: Campaccio, Campigna, Campodonatino, Campodonato, Capanna (a Castagnoli), Capanno a Ricopri, Casetta (Rifugio Ballatoio), Casa Fiume, Casa Martinaccio, Casaccia, Case di sotto, Case Fiumari (di sopra e di sotto), Casina Bianca, Casina Corniolino, Casina o Case S. Francesco, Casina Fiume, Castagnoli di Sopra o Casa Franchetto, Castagnoli di Sotto, Castellaccio di Corniolino, Cerreta, Chalet Burraia, Chiesa S. Agostino a M.° Fiumari, Corniolino, Chiesa e Hospitale di S. Maria delle Farnie, Faltroncella, Fiordilino, La Burraja, La Casina, La Grillaia, Le Balzette, Molino di Campacci, Molino di Fiumari, Montaccesi, Moscoso, Mulino Casina Bianca, Mulino di Campigna, Mulino Vecchio, Perinaia, Pian di Coltellino o Fosso del Nespolo, Poggio, Ponte Cesare, Ponte dei Ladroni o della Madonna, Ponte Giovannone, Ponte Ilario, Ponticino, Rifugio CAI Casone la Burraia, Rifugio CAI Città di Forlì, Rifugio del Sano, Rifugio di Beppe, Ristefani, Ronco del Cianco, S. Paolo in Alpe (Chiesa di S. Agostino, Cimitero, Casone S. Paolo, Oratorio di S. Paolo, Maestà di S. Paolo), Torre della Rovere (presso il Castellaccio di Corniolino), Tre Faggi, Val di Covile, Valtuieri, Villaneta.

La viabilità più antica interessante anche la valle di Campigna, di origine preromana, percorreva il citato crinale insediativo di Corniolino: ben infrastrutturata e conservante ancora notevoli tratti selciati discendeva ai Tre Faggi, dove incrociava il controcrinale per Celle-S. Paolo in Alpe (che scende da un lato verso Casina/Case S.Francesco e Castagnoli e dall’altro verso il Poderone), quindi risaliva verso il Monte Gabrendo, giungendovi dopo lunghe circonvoluzioni sfruttando le coste di Costa Poggio dei Ronchi e Omo Morto ed affrontando il crinale del Poggio delle Secchete, ma in ultimo insinuandosi tra esso e Poggio Palaio (oggi in parte corrispondente al sentiero 289 CAI; la toponomastica odierna mostra alcune differenze, v. più avanti), poi ridiscendendo sul versante opposto verso Stia: si tratta dell’antica Stratam magistram, la strada maestra romagnola o Via Romagnola che iniziava a Galeata, l’antica Mevaniola; una diramazione dai Tre Faggi proseguiva a mezza costa mantenendo la quota verso Campigna e il Passo della Calla: lunghi tratti corrono ancora sotto l’odierna provinciale e sono riutilizzati dai Sent. 259 e  247 CAI. Tra i miglioramenti infrastrutturali, dopo il 1850 il Siemoni fece realizzare il tratto di mulattiera che raggiunge la Calla transitando per gli Occhi Bui e la Croce del Piccino noto come Mulattiera del Granduca, ancor’oggi in gran parte acciottolato. Sul crinale dell’altro versante correva una via militare romana che, proveniente da Arezzo, risaliva verso il crinale transitando da Bibbiena, Freggina e il Fosso Tellito (poi di Camaldoli): giungendo sul versante orientale di Poggio Scali la via romana piegava a dx discendendo lungo la sella di Pian del Pero (corrisponde ad un tratto in seguito noto come Via del Giogo di Scali, oggi sentiero della Riserva vietato al transito), quindi percorreva il noto (e transitabile) contrafforte secondario verso S. Paolo in Alpe (di antichissima frequentazione, dalla fine dell’anno Mille disponeva del ristoro dell’eremo) per biforcarsi presso Poggio Squilla da un lato dirigendosi verso Corniolo, dal XII secolo trovando il Castello di Montinalto, e dall’altro verso Forlì, dal XIV secolo trovando il Castello di Spugna di Sopra. Il percorso antico di fondovalle da Corniolo a Campigna, superava il Bidente con il Ponte dei Ladroni o del Ladrone o della Madonna, in muratura di pietrame ad arco a sesto ribassato, risalente al 1906 e sostituente quello precedente in legno (documentato fino dal ‘600 e cosiddetto a causa di un bandito noto come il ladrone che imperversava nella zona), poi (dopo un breve tratto ancora integro e percorribile fino al moderno Ponte Ilario, datato 1969) procedeva su un tracciato forse non dissimile dall’odierna strada forestale (risalente agli anni 1966-67) raggiungendo l’edificio basso di Case Fiumari e riattraversando il Bidente a Molino Fiumari sul ponte in legno ancora esistente (su pile in pietrame, eseguito ai primi dell’800 in sostituzione di un guado posto poco più a monte rilevabile dal confronto dei catasti storici; la tecnica costruttiva utilizzata, che doveva essere molto comune nell’area del Bidente -tra l’altro si trova codificata in una relazione di quell’epoca del comune di Bagno di Romagna- vedeva tre tronchi poggianti su pile laterali in pietrame a secco, tavolato protetto da un manto di pietrisco e parapetto in legno). Se il tracciato viario di fondovalle fin qui è in gran parte modificato, poco dopo il Ponte Giovannone ed un tratto reso rotabile da soletta in calcestruzzo cessa ogni infrastruttura “moderna” e si può ritrovare l’antica mulattiera mentre  prosegue verso Campigna.

In passato, fino a diversi decenni del XX secolo, l’ambiente montano veniva visto soprattutto nelle sue asperità e difficoltà ed avvertito come ostile non solo riguardo gli aspetti climatici o l’instabilità dei suoli ma anche per le potenze maligne che si riteneva si nascondessero nei luoghi più reconditi. Dovendoci vivere si operava per la santificazione del territorio con atteggiamenti devozionali nell’utilizzo delle immagini sacre che oltre che espressioni di fiducia esprimevano anche un bisogno di protezione con una componente esorcizzante. Così lungo i percorsi sorgevano manufatti (variamente classificabili a seconda della tipologia costruttiva come pilastrini, edicole, tabernacoli, capitelli, cellette, maestà) costituiti da un pilastrino sormontato da un tabernacolo contenente un’immagine sacra la cui realizzazione, oltre che costituire punti di riferimento scandendo i tempi di percorrenza (p.es., recitando un numero prestabilito di “rosari”), rispondeva non solo all’esigenza di ricordare al passante la presenza protettiva e costante della divinità ma svolgeva anche una funzione apotropaica. Spesso recanti epigrafi con preghiere, sollecitazioni o riferimenti ad avvenimenti accaduti, oggi hanno un valore soprattutto legato al loro significato documentario. Le maestà presenti o di cui si ha notizia che si possono riferire a quest’area, tutte poste sui crinali, sono: Madonna della Foresta al Passo della Calla, Madonna del Fuoco a P.gio Scali e Maestà di S. Paolo in Alpe sull’Altopiano omonimo.

Campigna è probabilmente documentata per la prima volta su una pergamena camaldolese del 1223, dove si attestano i diritti ivi esercitati dall’Abbazia di S. Ellero di Galeata, quando esisteva solo qualche capanna utilizzata da mandriani, pastori e legnaioli che frequentavano questo luogo, ed ormai stava divenendo centro principale di quella parte di foresta che veniva chiamata “selva di Castagno”, ricompresa all’incirca tra Pian del Grado e Poggio della Serra, oggetto della prima donazione del 1380 a favore dell’Opera del Duomo e il cui sfruttamento essa stessa tendeva a riservarsi in modo particolare per le proprie necessità, anche perché la sua collocazione consentiva di limitare i costi di taglio, smacchio e trasporto al porto di Pratovecchio, tanto da legiferare già a partire dal 1427, poi nel 1453, che «[…] nel luogo detto volgarmente piano di Campigna e sua colli, non si può dare licentia ad alcuno di tagliare […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 33, cit.), nel 1604, che «[…] loro […] non possino pascere nel piano e nei sodi di Campigna […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 18, cit.), (“loro” sta per “chiunque”) o, nel 1606 «[…] di poter pasturare liberamente […] ma di più ancora che potessero pasturare con le capre. E similmente in tutte le selve dell’Opera fuorché in Campigna e posticce e potessero servirsi di tutti i legnami selvatichi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 22, cit.). (N.B.: dalla fine del 1510 l’Opera, avendo costatato che, sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove, si manifestavano numerosi disboscamenti e roncamenti non autorizzati, intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali; i nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile). Nel 1561, con la prima organica delle disposizioni in materia forestale, tra l’altro venne ridefinita la Bandita di Campigna in Romagna e venne stabilito che costì venisse insediata una Casa di Guardia con quattro guardie armate per ogni “provincia” forestale, una delle quali era quella del “piano e sua colli” di Campigna; in particolare, nel 1655 (quando le guardie divennero sei), quella di Campigna era «[…]Giovanni di Paolo di Ugolino guardia con obbligo di abitare a Lonnano dove abita di presente.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 53, cit.). Da un bando del 1645 è possibile conoscere i confini della bandita: «Cominciando dalla Calla di Giogo cioè dove per la strada della Fossa che viene da Pratovecchio in Campigna si passa di Toscana in Romagna sul giogo appennino, qui appunto dove si dice alla Calla a giogo e scendendo per le Macchie in Romagna giù addirittura per il Fosso della Corbaia fino nel fiume di Campigna detto l’Obbediente dove si chiama ai Tre Fossati, passare detto fiume e andare a dirittura della casa del podere della Vellaneta, oggi tenuto a livello dal Signor Balì Medici e di quivi a dirittura per il confino che è a piè dei Sodi di Campigna e divide detti sodi da detto podere, arrivare fin dove il poggio dei detti sodi volta verso Montaccesi e quivi rivolgendosi sulla man sinistra camminare su per la sommità di detti sodi fino all’abetio e tirando su per la cresta del poggio lasciando nella bandita tanto quanto acqua pende verso il fiume e case di Campigna attraversando la via che si dice Romagnuola e passare il Poggio del Palaio e il Poggio di Mezzo e arrivare al Passo di Giuntino e tirare sempre su la detta cresta per il Poggio di Zaccagnino e per il Prato dei Fangacci, e arrivare di nuovo al Giogo appennino e quivi ripigliando a man sinistra per la giogana su per la Stradella tornarsene, per il Piano della Fossa di Zampone, alla Calla a Giogo che fu nominata da principio per primo confine.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 124-125, cit.). A dimostrare l’interesse per il legname di questi boschi fa fede una lunga relazione del 1652 presentata direttamente al granduca contenente una molto precisa descrizione dei luoghi e della qualità delle piante presenti a fini economici, dove si ribadisce l’importanza della bandita e da cui, oltre che una nuova descrizione dei suoi confini, si ricava un nuovo interessante elenco dei numerosi “vocaboli” che identificano i vari siti. Anzitutto Campigna è la «[…] principalissima parte di tutte le selve dell’Opera […] che a comparazione delle altre la rende per lo più quasi pianura onde si chiama l’Orto di Campigna […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 264, cit.). Seguono: la Stretta, Poggio di Zaccagnino, di Mezzo, del Pianaccio, del Palaio, del Lastraio e della Termine, la Capanna dei Moggioni, la fonte di Bernardo, il Poggio della Casa Vecchia, il Pianaccio, i Diaccioni, i Forconi, Spinacceta, Poggio e le Coste de Fangacci, Piano de Cerchiai, Capanna e il Sasso del Romito, Poggiaccio, le Coste e il Poggio e i Piani della Stradella, il Poggiolo del Ponte, le posticce del Trinchi, della Borgna e dell’Incarcatoio con l’omonima Fonte.  

Gli edifici di Campigna si trovano così documentati già nella sopracitata relazione del 1652, che è anche utile per l’identificazione di Poggio Zaccagnino: «Nella maggiore a più bella […] verso il fondo  vi sono […] la fonte di Bernardo e il Poggio della Casa Vecchia. Sopra la casa moderna e sopra i sodi evvi […]. D’attorno alla sega e d’attorno ai prati da casa un’altra posticcia. […] Appartenenti a Campigna restano le sue pendici e le macchie circumvicine escluse dalla bandita. Queste son parte a ponente cioè il Poggio di Zaccagnino quanto acqua pende verso le Celle con la Grifoglieta e parte a tramontana cioè prima il Poggio di Mezzo quanto acqua pende verso le Caldine […]. Segue pure a tramontana il Poggio del Palaio quanto acqua pende fuori della bandita […]. Appresso al detto Palaio quanto acqua pende a tramontana di là dal Poggio della Termine segue la Seccheta […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 265, 267 cit.) (N.B.: a differenza della cartografia odierna, dove viene indicato come Palaio il poggio più orientale mentre gli altri compaiono anonimi, presso il Nàrodni Archiv Praha sono conservate carte del 1850 della Regia Foresta Casentinese dove codesto è il Poggio delle Secchete -vi nasce l’omonimo fosso- il Palaio è il rilievo centrale più ampio, il poggio di Mezzo è verso Poggio Martino. Nei documenti conservati presso l’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze viene descritto inoltre il Poggio di Zaccagnino, più irregolare e posto tra Poggio Martino e Poggio di Mezzo). Dalla relazione del 1652 si apprende così dell’esistenza in Campigna di un vecchio edificio, Casa Vecchia, posto non lontano da una nota fonte ed evidentemente a disposizione dell’Opera, sostituito in quegli anni dalla nuova casa, casa moderna. Dal verbale di un’ispezione del 1663 (detta“visita”) si apprende dell’esistenza di una cappella «[…] detta macchia è quella che è sopra la cappella di Campigna […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 309, cit.). Nel verbale di un’altra ispezione del 1677 si trovano ulteriori informazioni su una casa colonica e la cappella: «Relazione della gita e visita generale fatta dall’Ill.mo Sig.re Alessandro Segni Operaio […] arrivammo dopo aver […] scollinato il Giogo in Campigna luogo del dominio dell’Opera dove è una casa ad uso di contadino nella quale vi restano riservate due stanze ad effetto di dare qualche comodità ai Ministri dell’Opera; in detta casa vi sono due famiglie che tengono a soccio diversi nostri bestiami […]. In detto luogo di Campigna vi è una cappella da celebrarci la messa con tutti li paramenti sacerdotali et altro che vi bisogna. Non molto lontano di lì ancora si trova uno strumento idrolico di una sega la quale in tempo che ci è acqua a sufficienza sega i panconcelli che d’ordinario qua si vendono» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 320, cit.). Riguardo lo stesso sopralluogo anche il cancelliere scrisse un verbale che contiene alcune precisazioni in merito alla casa e all’esistenza di una sega ad acqua: «[…] casa la quale ha in se le stanze riservate per servizio dei ministri dell’Opera e vi sono alcune masserizie et arredi che si tengono serrati nelle stanze. Abita di presente in detta casa di Campigna Agnolo di Becco Lippi nella parte confinante con la via maestra e di sotto vi sta Piero di Rocco e sono socci e casieri dell’Opera […]. Si riconobbe l’edificio della sega a acqua trovando essere in buon grado e parve dover far reflessione se si deva aggiungere altra simile sega o quivi sotto o altrove come parrà meglio giacché questa pare lavori poco e non faccia tanti panconcelli quanti potrebbe esitare.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 327, cit.). Nel 1688 si ha notizia di una “visita pastorale” da cui si apprende che la “cappella” citata nel 1663 è l’Oratorio della SS. Concezione di Maria Vergine dipendente dalla parrocchia di S. Maria delle Celle e da una successiva visita del 1720 si apprende che all’unico altare si trovava un dipinto con l’Immacolata e i santi Carlo, Lorenzo, Francesco e Orsola, che misurava canne 4x2 (ovvero m 9,20x4,60), che aveva tre finestre in facciata di cui una ovale sopra la porta e due ai lati e che disponeva della campana. Da una relazione del 1751 sullo stato dei poderi dell’Opera si apprende: «[…] 22) CAMPIGNA: fu trovato che questo podere va sempre più dilatandosi poiché dal guardia che non vi tiene più il contadino come stavavi nell’antico […] tralascia di seminare […] ed in questa deve lavorare e zappare le terre sode e prative smembrando in questa maniera le vaste praterie che essere solevano in Campigna. […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977 , p. 439, cit.). Nel 1789, da una relazione sui canoni da stabilirsi, risulta che essendo il podere di Campigna situato all’interno della selva deve essere ripreso in amministrazione dell’Opera e: «[…] vanno messi e semente e coltivazione migliore quelle terre, va restaurato il mulino, va messa una cascina di mucche specialmente nel podere di Campigna per cavarne un evidente profitto di quelle praterie […] potendovi tenere vacche domestiche con levare le vacche selvatiche […] per conservare […] le posticcie d’abeti […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 443, cit.). Nel 1794 vennero effettuati interventi di ampliamento e miglioramento della casa poderale dove era ricavato l’appartamento riservato ai funzionari dell’Opera, come è attestato dall’architrave presente nella sala ristorante dell’Hotel Granduca, recante l’incisione OPA 1794. Dalle istruzioni per una perizia conferita nel 1832, si apprende che occorre verificare opere eseguite o da eseguire a carico del Monastero di Camaldoli in base a concessione enfiteutica, ed in particolare «[…] la nuova casa costruita per servire all’abitazione del Ministro e delle guardie […] se i lavori suddivisati fossero di assoluta necessità […] se la Cappella di Campigna minacci rovina e se sia attualmente inservibile, e […] le cause per le quali si trovi in tale stato, e qualora ne credesse necessaria la ricostruzione […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 459-460, cit.). Nel Contratto livellario del 1818, tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli si trova una descrizione dei fabbricati del podere: «[…] descritte tutte le tenute […] viene composta dei seguenti terreni cioè: […] 47° Un podere denominato Campigna […] con casa da lavoratore composta di numero undici stanze da cielo a terra. Fra queste ve ne sono anche alcune che servono per uso delle guardie e di più unito a questa casa vi è un quartierino da padroni di quattro stanze cioè salotto con camino e tre stanze; con capanna separata e stalla e con altra stanza ancor’essa distante dalla detta casa che serve ad uso del burro col loggetto ed alla casa, forno, aia, orto. Tutto questo fabbricato merita di essere resarcimento […]. A poca distanza dalla casa vi esiste una chiesina di una sola stanza in stato mediocre. L’ufficiatura spettava all’Opera di S. Maria del Fiore oggi ai nuovi livellari. Parimenti vi esiste un molino ad un solo palmento senza margone ossia bottaccio, e solo prende le acque dal fosso di Campigna, con macina.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 476, 480-481, cit.). Il riferimento del 1818 alla capanna separata con stalla e altra stanza per la lavorazione del latte è da collegare alla prescrizione del 1789 di costruire una “cascina per mucche”, che comportò l’edificazione del fabbricato noto come la cascina e con l’inizio dell’attività casearia curata dal conduttore del podere, allora era Bartolommeo Ringressi, con annesse rivendita e ristorazione. In merito si trova un riferimento grazie alle memorie di un viaggiatore dell’epoca: «Proseguii la camminata sul crinale del monte, o giogo, […]. Seguii un percorso serpentino lungo questa maestosa cordigliera per un certo tempo e quindi discesi a Campigna […]. Questa fattoria, che funge da posto di ristoro, ed è l’unica dimora del circondario, si trova in deliziosa posizione su di una valletta protetta, circondata da verdi pascoli e rinfrescata da un limpido rivo. I monti hanno sagome maestose e son rivestiti di boschi di faggi e di abeti di grandi dimensioni. Qui è stata istituita una fabbrica casearia dall’Opera del Duomo. I torrenti mi consentirono di consumare un ottimo pasto a base di trote e di granchi d’acqua dolce; il caseificio mi rifornì di burro fresco e di eccellente latte cagliato, mentre i boschi m’offrirono per dessert un bel piatto  di fragole selvatiche. Dopo pranzo continuai a salire per un bosco di abeti giganteschi, alcuni dei quali misuravano sedici braccia fiorentine di circonferenza.» (Sir Richard Colt Hoare*, Da Arezzo al Monte Falterona attraverso il Casentino, 1791, in: A. Brilli, 1993, pp. 19-20, cit.); * banchiere inglese appassionato di antichità pubblicò A Classical Tour through Italy and Sicily, Londra, Mawman 1815, contenente il resoconto del soggiorno toscano del 1791. Il fabbricato caseario, successivamente modernizzato, è da individuare nell’edificio con alloggi per il personale di vigilanza del C.F.S. situato oltre il palazzo granducale. La gestione Siemoni, a partire dal 1838, riguardò anche importanti interventi edilizi. Il fabbricato poderale venne parzialmente rialzato di un piano così realizzando il casino di caccia granducale di aspetto imponente ma comunque più modesto dell’attuale: come dimostrano le foto d’epoca, tra cui una foto Alinari dell’inizio del XX secolo (in: G.L. Corradi, 1992, p. 147, cit.) assumerà l’aspetto dell’attuale struttura alberghiera solo in seguito, con la parificazione del rialzamento e la realizzazione dei grandi abbaini/mansarda. Nel 1846 venne ricostruita la cappella, come testimoniato pochi anni dopo nell’atto di acquisto del 1857 delle foreste demaniali da parte di Leopoldo II: «Inoltre contiene due poderi quello di Villaneta con casa e servizi colonici e quello di Campigna capo luogo della foresta romagnola ove sono, oltre le case d’azienda, una cappella pubblica modernamente ricostruita.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.). Quasi cento anni dopo quella cappella, adibita a deposito di munizioni dall’esercito occupante tedesco, fu fatta saltare in aria dallo stesso in ritirata; l’odierna (e sproporzionata) Chiesa già di S. Maria Assunta, dopo il 1966 divenuta di S. Maria alle Celle, denominazione che ricorda l’antica e comune curatìa con la valle adiacente conseguente al subentro come sede parrocchiale, è dovuta alla riedificazione voluta nel 1952-53 dall’amministrazione forestale; nella chiesa negli scorsi anni ’80 era documentata la presenza della pala con la Madonna di Montenero, inventariata dalla Soprintendenza di Firenze in quanto ritenuta di valore, proveniente dalla chiesa alle Celle insieme a qualche altro antico oggetto (F. Faranda, 1982. E. Agnoletti, 1996). In attesa di scoprire la sua odierna collocazione, la chiesa si presenta piuttosto spoglia e comunque priva di tale opera d’arte, e sul luogo, pur avendone notizia, sostengono di non averla mai vista.

N.B.: Informazioni preziose riguardo luoghi e fabbricati si hanno grazie ai rapporti della Descriptio provinciae Romandiole e delle visite pastorali o apostoliche.

- La Descriptio è un rapporto geografico-statistico-censuario redatto dal legato pontificio cardinale Anglic de Grimoard (fratello di Urbano V) per l’area della Romandiola durante il periodo della Cattività avignonese (trasferimento del papato da Roma ad Avignone, 1305-1377). Grimoard aveva sostituito il cardinale Egidio de Albornoz (1310-1367) che era stato inviato da Innocenzo III con le truppe spagnole per ridurre i poteri giurisdizionali locali, vescovili, monastici, abbaziali e feudali, all’ubbidienza ed al fine di creare un nuovo sistema amministrativo e tributario. L’Albornoz, da un lato si trova di fronte ad una progressiva espansione militare e diplomatica nelle zone montane della Repubblica fiorentina che, più che all’unità politico-amministrativa della Provincia Florentina in partibus Romandiola demandata a capitanati, podesterie e vicariati retti da funzionari fiorentini, puntava soprattutto a un controllo territoriale per garantirsi il transito commerciale su un’area di confine già scarsamente integrata al resto della Toscana e insofferente rispetto alle pressioni esterne, tendendo semmai ad accentuarne i caratteri di zona-cuscinetto, cui era funzionale l’assenza di infrastrutture viarie specie nell’area romagnola; dall’altro lato assiste ad un progressivo indebolimento dello Stato Pontificio a causa dei conflitti e dei particolarismi locali, suddiviso in diocesi “romagnole” di diversa appartenenza areale, che disegna un territorio ben lontano da essere considerato organicamente unitario in senso storico-politico-amministrativo (“sogno” che peraltro non realizzeranno compiutamente nemmeno i Medici con l’istituzione nel 1542 della Provincia della Romagna fiorentina o i Lorena). Ne conseguì l’istituzione delle nuove divisioni dei Vicariati ecclesiastici, posti sotto il diretto controllo avignonese, che tuttavia non risposero al disagio della popolazione, comunque ancora priva di un centro di potere unitario cui fare riferimento. La descrizione dei luoghi contenuta nel rapporto dell’Anglic, che è pertanto inevitabilmente (ma approssimativamente) unitaria dal solo punto di vista geografico, è invece minuziosa riguardo i tributi cui era soggetta la popolazione. In tale documento si trova, tra l’altro, la classificazione degli insediamenti in ordine di importanza, tra cui i castra e le villae, distinti soprattutto in base alla presenza o meno di opere difensive, che vengono presi in considerazione solo se presenti i focularia, ovvero soggetti con capacità contributiva (di solito nuclei familiari non definiti per numero di componenti; ad aliquota fissa, il tributo della fumantaria era indipendente dal reddito e dai possedimenti). In particolare, nelle vallate del Montone, del Rabbi e del Bidente furono costituiti i Vicariati rurali delle Fiumane.

- La visita apostolica o pastorale, che veniva effettuata dal vescovo o suo rappresentante, era una prassi della Chiesa antica e medievale riportata in auge dal Concilio di Trento che ne stabilì la cadenza annuale o biennale, che tuttavia fu raramente rispettata. La definizione di apostolica può essere impropria in quanto derivante dalla peculiarità di sede papale della diocesi di Roma, alla cui organizzazione era predisposta una specifica Congregazione della visita apostolica. Scopo della visita pastorale è quello di ispezione e di rilievo di eventuali abusi. I verbali delle visite, cui era chiamata a partecipare anche la popolazione e che avvenivano secondo specifiche modalità di preparazione e svolgimento che prevedevano l'esame dei luoghi sacri, degli oggetti e degli arredi destinati al culto (vasi, arredi, reliquie, altari), sono conservati negli archivi diocesani; da essi derivano documentate informazioni spesso fondamentali per conoscere l’esistenza nell’antichità degli edifici sacri, per assegnare una datazione certa alle diverse fasi delle loro strutture oltre che per averne una descrizione a volte abbastanza accurata.

- Il toponimo “bidente”: «[…] due denti, sta ad indicare lo strumento agricolo a forma di zappa con due denti; ma anche l’animale, di solito pecora, che è alla seconda dentizione, cioè di due anni: generalmente esso veniva ucciso nei sacrifici più comuni dei romani (latino, bidens, bidentis). L’attribuzione di questo termine all’alto corso del fiume risulta però problematica. Alle ipotesi più conosciute si può, con più attendibilità, aggiungere quella che vede la parola bidente derivare dalla caduta della vocale iniziale di obbediente, come risulta chiaramente dai documenti relativi alla Romagna Toscana dei secoli XVI-XVII, dove l’alto corso del fiume viene detto per l’appunto “Obbediente”» (AA. VV., 1984, pp. 27, 28, cit.). Ma è «Seducente riportare gli idronomi Bedesis, BidensBedes ad alterazione dell’età volg. di una radice celtica, bedo/bede/bidi = canale, biàlera dei mulini … » (A. Polloni, 1966-2004, p. 42, cit.). Riguardo Campigna, come “campagna pianeggiante”, può derivare «[…] dal lat. campinea, campinia (REW, 1563) […] REW = W. MEYER-LüBKE, Romanisches Ethymolog. Wörterbuch, Heidelberg, 1935 (3ª ed.)» (A. Polloni, 1966-2004, pp. 63, 64, XV, cit.) o, ricordando il materiale occorrente sia per i cantieri dell’acquedotto realizzato nel I sec. d.C. per rifornire Ravenna sia per la cantieristica navale a servizio della flotta romana di stanza nell’Adriatico, sempre dal latino: «[…] campilia, derivato in-ilia, neutro plurale con valore collettivo da campus, che starebbe ad indicare un originario insediamento comunitario, tipo una circoscrizione territoriale militare risalente, probabilmente, al periodo romano-imperiale […]. Per questo è ritenuto che nella selva di Campigna vi si insediasse un campus (non un castrum), di legionari romani lì distaccato per l’approvvigionamento del legname […]» (P.L. della Bordella, 2004, p. 56, cit.).

- «Il singolare toponimo Occhi Brutti potrebbe aver tratto origine dai cosiddetti occhi di marezzo, conseguenza di anomalie di accrescimento del legno, capaci di indurre profonde alterazioni nelle proprietà tecniche dei legnami da opera e da costruzione. Brutti, starebbe appunto per cattivi, non buoni.» (G. Chiari, 2014, p. 67, cit.).

RIFERIMENTI   

AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;

AA. VV., Il luogo e la continuità. I percorsi, i nuclei, le case sparse nella Vallata del Bidente, Catalogo della mostra, C.C.I.A.A. Forlì, Amm. Prov. Forlì, E.P.T. Forlì, 1984;

AA.VV., Indagine sulle caratteristiche ambientali suscettibili di valorizzazione turistico-culturale delle vallate forlivesi. Repertorio, C.C.I.A.A. Forlì, 1982;

AA.VV., Le faggete vetuste del Parco Nazionale, “Crinali” – Anno XXIV n.46, Agosto 2017, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Santa Sofia 2017;

E. Agnoletti, Viaggio per le valli bidentine, Tipografia Poggiali, Rufina 1996;

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Link:www.imagotusciae.it;

Link:http://www.parcoforestecasentinesi.it/it/patrimonio-unesco.

Percorso/distanze :

Testo di Bruno Roba - La Valle di Campigna è facilmente raggiungibile dalla S.P. 4 del Bidente però è interessante percorrerne la sentieristica, ricalcando tragitti di antica percorrenza.

foto/descrizione :

Le foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell'autore

001a – 001b - Schema del Sistema orografico delle Valli del Bidente, racchiuso tra due lunghi contrafforti principali e suddiviso da brevi contrafforti secondari (segnalati da asterisco giallo). Nel secondo schema, un’ottimale rappresentazione da cartografia del 1850.

 

001c – Schema delle cinque Valli del Bidente; in evidenza la delimitazione dei crinali ed il reticolo idrografico.

 

001d – Schema identificativo toponomastico essenziale del reticolo idrografico e degli insediamenti della Valle del Bidente di Campigna.

 

002a – Dal Monte Piano si può avere una delle più ampie viste dell’intero spartiacque appenninico posto alla testata delle valli del Bidente (1/01/12).

 

002b – 002c – Dal Monte Falco si ha una buona visione dall’alto del tratto del complesso di dorsali che delimitano la Valle del Bidente di Campigna prima staccandosi da Poggio Scali poi piegando da Poggio Squilla verso Lago ( appare Corniolo), dove converge pure il crinale del Corniolino, che si nota meno mentre spunta da sotto il verdeggiante manto delle creste di Poggio Palaio (22/12/11).

 

002d - 002e - 002f – Da Poggio Scali si ha una visione più definita del sistema di dorsali che abbracciano la Valle di Campigna, delimitandola, agevolata dall’innevamento che evidenzia le creste. Dal Canalone del Pentolino (terza foto) si vede bene la sella di Pian del Pero che si distacca da Poggio Scali e la sequenza dei rilievi su cui si incardina il contrafforte secondario (Poggi della Serra, Capannina e Squilla) (5/02/11 - 11/12/14).

 

002g – 002h – 002i - La zigzagante sequenza morfologica delle creste di Poggio delle Secchete/Poggio Palaio/Poggio di Mezzo, come si notano dalla Burraia, separa nettamente i bacini idrografici dei Bidenti delle Celle e di Campigna. Similare morfologia si ritrova nelle creste di Poggio della Serra/Poggio Capannina, poste sulla separazione tra il bacino idrografico di Campigna e di Ridràcoli (scorcio da Poggio Sodo dei Conti). Esse, mentre evidenziano differenti caratteristiche vegetazionali (copertura boschiva qui ad abetina lì a faggeta) nella morfologia asimmetrica mostrano similari giaciture a “franapoggio” degli strati, forse dovute a dislocazioni recenti lungo fratture sub verticali ipotizzabili anche per il Monte Penna. N.B.: A differenza della cartografia odierna, dove viene indicato come Palaio il poggio più orientale, nella foto il primo a dx, mentre gli altri compaiono anonimi, presso il Nàrodni Archiv Praha sono conservate carte del 1850 della Regia Foresta Casentinese dove codesto è il Poggio delle Secchete (vi nasce l’omonimo fosso), il Palaio è quello centrale più ampio, il Poggio di Mezzo è sulla sx. Nei documenti conservati presso l’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze viene descritto inoltre il Poggio di Zaccagnino, più irregolare e posto tra i Poggi Martino e di Mezzo. (21/12/11).

 

002l – Dal Monte Gabrendo, vista della prateria della Burraia posta a cavallo del tratto di spartiacque appenninico da cui ha origine il Fiume Bidente del Corniolo, di fatto il ramo originario del Bidente di Campigna (21/06/11).

 

003a – Dall’alta Valle del Ciriegiolone, pressi le Pozzàcchere, oltre il profilo del contrafforte secondario compreso tra Poggio Scali e Monte Grosso, si vede emergere l’intero tratto di dorsale spartiacque fortemente corrugata che delimita la Valle di Campigna (27/04/12).

 

003b – 003c – 003d – Dal Monte Palestrina, viste ravvicinate del tratto iniziale del contrafforte secondario Poggio Scali-Pian del Pero-Poggio della Serra, con particolare della c.d. “Frana Vecchia” (risalente al 1950, delimita da NO il sito di Sasso Fratino che darà il nome all’intera Riserva) (16/10/16).

 

003e – 003f – 003g – Dai pressi di Poggio della Serra e dal poggio stesso, si hanno le viste frontali più prossime al tratto di “bastionata” compreso tra Poggio Scali e le Ripe di Pian Tombesi; nelle prime due foto, particolari delle Ripe di Scali, con la caratteristica morfologia a “V”, e del Canalone del Pentolino (16/11/16).

 

003h/003n – Dal versante meridionale della dorsale Poggio Capannina-Poggio Ricopri la vista sulla “”bastionata” si estende fino al suo discendere verso il Passo della Calla oltre il quale emergono i Monti Gabrendo e Falco; nelle ultime foto si può distinguere l’incisione del Fosso dell’Abetìo delimitata da Poggio Palaio ed individuare Campigna grazie al riflesso della neve sul tetto dell’Hotel Granduca (16/11/16).

 

004a – 004b – 004c - Dalla SP 4 del Bidente, panoramica in cui si notano i rilievi che delimitano la valle, attraversata dalla dorsale che da Poggio Capannina scende a Fiumari; di seguito due viste ravvicinate dell’incisione valliva percorsa dal Fosso di Ricopri, poi del Fiumicino, stretta tra la caratteristica cresta di cui alle foto precedenti e la dorsale spartiacque, con le forti pendenze delle Ripe di Scali incise tra gli altri dal Canalone del Pentolino e dal Fosso di Poggio Scali che alimentano il Ricopri (26/03/12).

 

004d - Dal Passo della Calla la S.P. n.94 del Castagno consente di raggiungere la S.F. di Giogo di Castagno, tagliata sotto Pian delle Fontanelle, dalla quale si aprono alcuni scorci panoramici verso Nord tra cui questo dove si nota il crinale del Corniolino che la prospettiva accentua nel suo digradare ricco di creste appuntite. Nell’ultima punta si scorge appena il Castellaccio e, nella valle, il borgo di Corniolo (14/04/16).

 

004e – Dal Sentiero degli Alpini, presso il Monte dell’Avòrgnolo, vista panoramica dove la copertura nuvolosa evita il controluce consentendo di osservare, benché offuscati, i rilievi che delimitano e attraversano longitudinalmente la Valle di Campigna. La diversa prospettiva di ripresa del crinale del Corniolino rispetto alla foto precedente dà una ben diversa impressione della sua morfologia. Nel fondovalle si nota l’incisione della strada forestale per S. Paolo in Alpe che poi scompare nella valle del Fosso Fiumicino di S. Paolo (23/11/16).

 

004f – 004g – 004h – Quasi sullo stesso asse della foto precedente ma da una quota inferiore, infatti dal crinale del Corniolino, si ha una visione più ravvicinata del medesimo brano di valle, dove le ombre evidenziano la morfologia dei rilievi. Spostando il punto di vista sulla S.P. 4 presso l’innesto del sentiero per il crinale il differente cono visivo riesce ad evidenziare il contrasto con l’apparente regolarità del profilo della dorsale spartiacque (30/11/16).

 

004i – Risalire dalla mulattiera tra  e S. Paolo in Alpe è utile anche per apprezzare questa vista panoramica della dorsale Poggio Capannina-Poggio Ricopri-Fiumari che attraversa longitudinalmente la Valle del Bidente (18/11/15).

 

004l – Fotomontaggio panoramico da riprese effettuate dal versante a Nord di Lago con “target” la “bocca” della Valle di Campigna, stretta tra gli ultimi sproni della dorsale di Poggio Aguzzo e del crinale di Corniolino (10/12/16).

 

004m – 004n - Dalla mulattiera che risale la valle del Fosso di Lavacchio, la sequenza di creste evidenzia e confronta due “topos”: Poggio Aguzzo e Castellaccio di Corniolino (8/12/16 – 10/12/16).

 

004o – 004p – Altre due viste di Poggio Aguzzo, la prima dalla strada che da Corniolo raggiunge il Passo della Braccina mentre la croce risplende nel contesto dell’arcuata dorsale che nel digradare delimita anche la stretta valle del Fosso delle Cerrete, la seconda dalla mulattiera di Lavacchio (23/11/16 – 10/12/16).

004q – 004r – 004s – Altre tre viste del crinale del Corniolino e del Castellaccio dalla mulattiera di Lavacchio (8/12/16).

 

004t – 004u - Dal Sentiero degli Alpini non lontano dal Passo della Braccina si apre un vasto panorama da cui si nota la differenza geo-morfologica tra i due versanti dell’asse fluviale Bidente delle Celle-Bidente di Corniolo ed il ruolo di Lago come baricentro laddove si aggiunge la convergenza del Bidente di Campigna, che però prosegue ancora la sua corsa fino a Corniolo. Nella prima foto sulla sx si vede la parte alta del borgo di Corniolo e sulla dx due bianchi edifici di Lago meglio visibili nella seconda foto (26/11/16).

 

005a - 005b – Il Bidente di Campigna in alta quota gode del contributo primario del Fosso dell’Abetìo il cui bacino idrografico gode di caratteristiche geo-morfologiche inconfondibili specie se osservate da viste aeree come questa contenuta in un manifesto del Parco delle Foreste Casentinesi esposto presso il Centro Visite di Campigna. Tale bacino idrografico faceva integralmente parte dell’antica “Bandita di Campigna”, ricostruita nel 2° schema di mappa in base alle descrizioni documentarie.

 

005c – 005d – Un tornante della SP 4 del Bidente a monte di Campigna attraversa il Fosso dell’Abetìo presso la Cascata di Campigna o Occhi Bui, geosito classificato di rilevanza locale soprattutto per gli affioramenti rocciosi che si estendono ai fianchi della vallecola ed evidenziano la resistenza all’erosione degli strati arenacei (15/11/16 – 30/11/16).

 

005e/005h - Il Bidente di Campigna in base alla C.T.R. regionale nasce presso il Rifugio CAI Città di Forlì alla Burraia come Fiume Bidente del Corniolo e come tale giunge a Campigna interrotto da una pescaia e attraversato dall’antica Mulattiera del Granduca tramite un rinnovato ponticello in legno (9/09/11).

 

005i/005r – Oggi Campigna conserva alcune tracce dell’insediamento ottocentesco, come il “casino di caccia” granducale (v. neografia da una foto di inizio Novecento), rialzato e arricchito nel XX secolo da grandi abbaini e parzialmente trasformato in struttura alberghiera, ed il Viale del Granduca, dove si trova un “toppo” di abete posto in sostituzione di un esemplare ormai marcito di albero di maestra di galeazza di 28 m ricavato da pianta di 109 anni di 37 m di altezza e 116 cm di diametro, abbattuta nel 1984 (foto dell’esemplare originario e descrizione si trovano in M. Padula, 1988, p.26, cit.). Risalgono ad epoca moderna (anni ’30-’50) o successive radicali trasformazioni gli altri edifici, compresa la chiesa, e la Strada delle Cullacce, dal 2012-13 attrezzata con pannelli a rilievo e cartellini nell’ambito del progetto del Parco delle Foreste Casentinesi Alberi che toccano il cielo (11/08/11 - 17/08/11 – 5/07/13 – 22/07/13 - 3/09/16).

 

005s – Schemi di mappa dal Catasto Toscano 1826-34 con sovrapposizione dello stato di fatto attuale. Dal confronto tra le descrizioni contenute nei documenti conservati nell’Archivio dell’Opera di S. Maria del Fiore e i pochi edifici rappresentati nel catasto del XIX sec. è interessante rilevare le differenze dimensionali dell’edificio religioso e appare scontata la localizzazione dell’edificio detto la cascina, mentre è noto che il grande edificio granducale è il prodotto di innumerevoli trasformazioni di un fabbricato in origine ad uso colonico, poi progressivamente ampliato e modernizzato per ospitare la casa di guardia e i locali per i funzionari di stato, fino divenire il casino di caccia.

006a/006g – Se proseguendo oltre il Viale del Granduca si trova il sentiero 259 CAI corrispondente alla vecchia mulattiera di mezzacosta che ai Tre Faggi si collegava a quella di crinale, prima il sentiero 243 CAI fino a Villaneta poi il 249 corrispondono alla mulattiera che scende al fondovalle in direzione Lago. A Villaneta è interessante compiere una deviazione di 600 m mantenendo il sentiero 243 per raggiungere il Bidente appena divenuto Torrente dopo la confluenza dei Fossi dell’Antenna, delle Bruciate e della Corbaia. Suggestivo anche per la presenza dei secolari Abetoni di Villaneta (specie Abies alba, Abete bianco), uno di dimensioni eccezionali, e dell’Abetone del Porticcolo presso il ponticello in legno sul torrente, il luogo si trova a 300 m dai Tre Fossati, sito della sopracitata confluenza annoverato come origine del fiume l’Obbediente, toponimi questi in uso ancora nel XIX sec. (6/04/16).

 

006h – 006i – Ripreso il sentiero 249 CAI, presso Case di sotto si trovano notevoli resti della mulattiera diretta verso il fondovalle (6/04/16).

 

007a/007f – La mulattiera raggiunge il fondovalle presso il Molino Fiumari, dove il torrente disegna ristrette circonvoluzioni all’interno delle quali si trova l’antico insediamento molitorio e, su un pianoro sopraelevato forse in parte artificiale, il moderno insediamento religioso di S. Agostino sorto in sostituzione di quello omonimo di S. Paolo in Alpe notoriamente distrutto per gli eventi bellici. Qui è interessante raggiungere il largo alveo fluviale che mostra le stratificazioni arenacee di vario spessore e orientamento modellate dall’erosione idrica (6/04/16).

 

007g – 007h – 007i – Perse a Molino Fiumari le tracce della mulattiera, la moderna rotabile risale fino a Case Fiumari per ridiscendere verso Balzette mentre il Bidente, da qui classificato “fosso”, sprofonda: dalla strada e dai rilievi sopra Case Fiumari si può apprezzare la morfologia di questo brano di valle (26/03/12 - 18/11/15).

 

007l – La S.P. 4 del Bidente offre molti spunti panoramici sulla Valle del Bidente di Campigna, come questo ravvicinato verso il suo sbocco dove compaiono Corniolino e Corniolo mentre, in basso, il bianco/rosso di due edifici consente di localizzare Lago (27/09/16).

 

007m/007s – Prima che la rotabile per Fiumari si innesti sulla S.P., fermandosi presso il moderno Ponte Ilario (1969) si può ritrovare e agevolmente percorrere un tratto superstite dell’antica mulattiera di fondovalle che attraversa il Bidente sul Ponte dei Ladroni o del Ladrone o della Madonna, in muratura di pietrame ad arco a sesto ribassato, risalente al 1906 e sostituente quello precedente in legno posto però più a valle, documentato fino dal ‘600 e cosiddetto a causa di un bandito noto come il ladrone che imperversava nella zona. La S.P. e i moderni insediamenti hanno cancellato le ulteriori tracce del tracciato mentre si conserva il tratto che risale verso Corniolino attraversando la strada all’altezza dell’imbocco del sentiero 259 CAI (16/10/16 – 15/11/16 - 26/03/12).

 

007t – 007u – Dal versante a Nord di Lago si può apprezzare la morfologia dello sbocco (o “bocca”) della Valle del Bidente di Campigna (8/12/16).

 

008a – 008b - Il tracciato dell’antico itinerario sul crinale insediativo di Corniolino aveva inizio appena superato il Bidente delle Celle a Lago, simboleggiato dai resti del ponte dalla poetica denominazione Fiordilino (per foto, v. toponimo Valle del Bidente delle Celle), dove si inerpicava subito sull’erta rocciosa senza deviazioni in allineamento al ponte stesso, come documentato dal Catasto Toscano del 1826-34, ma poi deviava fino a rasentare il Bidente quindi risaliva proseguendo a mezzacosta verso l’abitato di Corniolino, raggiungendolo presso la Chiesa/Hospitale di S. Maria delle Farnie. Il tracciato che attraversa Corniolino abbastanza fedelmente a quello antico si ritrova sulla S.P. a circa 2 km da Lago quando (c.f.r. sent. 259 CAI) risale deciso verso il crinale ed il Castellaccio in un tratto caratterizzato da un esteso affioramento roccioso dove sono evidenti le tipiche alternanze di arenarie e marne formanti cornicioni sporgenti fratturati a “denti di sega”. Nella 2a foto si può notare come il dilavamento, in assenza di manutenzione, ha “canalizzato” la mulattiera. N.B.: Il tratto di sentiero 259 CAI che si imbocca a circa 500 m da Lago corrisponde alla mulattiera che da Corniolino scendeva al Bidente di Campigna, oggi intercettata dalla S.P. del Bidente, attraversandolo sul Ponte dei Ladroni (30/11/16).

 

008c – Se i viandanti potevano evitare la risalita al Castellaccio, erano invece obbligati al transito (ed alla gabella) sotto la scomparsa Torre della Rovere, posta presso mulattiera “ad un tiro di balestra”, quindi alla base o sulle pendici del poggetto opposto. Il “viadotto” che si scorge per la regolarità strutturale e la limitata usura pare opera non antichissima, forse realizzata utilizzando proprio il pietrame della torre, di cui non si rinviene alcuna traccia (30/11/16).

 

008d/008h – Vari scorci della mulattiera sul crinale del Corniolino, prima che raggiunga il Monte della Maestà poi in prossimità dello stesso quando attraversa un rimboschimento, infine presso i Tre Faggi con vista verso le dorsali di Costa Poggio dei Ronchi (fortemente segnata dalla carreggiata stradale) e di Omo Morto, dove la mulattiera si inerpica per raggiungere Poggio Palaio e il valico presso il Monte Gabrendo (11/09/16 - 30/11/16).

 

009a/009g - Un altro antico percorso che collegava Romagna e Toscana proveniva dalla Giogana percorrendo il contrafforte secondario che si stacca a Poggio Scali evidenziando la sella di Pian del Pero (nella 1a foto dal Crinale della Vacca, tra il verde della pineta al centro, i ruderi di Ridondone). Oggi la normale percorribilità di questo tratto non è consentita per la presenza della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino quindi si interrompe ma non prima di aver intravisto con binocoli o zoom quanto resta del Rifugio di Pian del Pero, posto una cinquantina di metri oltre il confine tabellato (16/11/16 – 18/12/16 – 22/12/16).

 

009h/009n – Posto all’incrocio tra l’itinerario di crinale e con quello di controcrinale per Celle-Poggio Corsoio, l’Altopiano di S.Paolo in Alpe, nonostante sia uno dei più alti insediamenti silvo-pastorali d’alta quota della montagna forlivese con le conseguenti problematiche climatiche e di vivibilità, appare un luogo di rilassante serenità; qui si incontra la Maestà di S. Paolo, probabilmente sorta sul luogo dell’antica Chiesa od Oratorio di S. Paolo in Alpe, da cui deriva il nome del luogo, che fronteggiava il Casone e di cui rimanevano alcune strutture fino alla completa demolizione negli anni ’80 da parte della A.R.F. mentre il cimitero è stato egregiamente restaurato. Anche per l’Eremo di S. Agostino ci sono buone prospettive essendo stato perfezionato l’acquisto da parte del Parco delle Foreste Casentinesi (il 16/12/16) che ne ha progettato il restauro dei ruderi con parziale recupero ad uso socio-religioso (26/03/12).

 

009o/009r – L’itinerario di controcrinale per Celle-Poggio Corsoio si immerge nella valle del Bidente ma, prima di rasentare Campigna per risalire il versante a Castagnoli, superato il Cimitero di S. Paolo in Alpe attraversa una ripida parete rocciosa dove le stratificazioni marnoso-arenacee si offrirono come gradonata naturale ad uso della mulattiera, oggi in stato precario per assenza di manutenzione. Nelle prime due riprese si vedono i ruderi di Campodonato, che la mulattiera si appresta a rasentare, e la dorsale Poggio Capannina-Poggio Ricopri-Fiumari dalla quale sono state effettuate le altre due riprese che consentono una visione frontale della parete rocciosa segnata dalla stessa mulattiera accanto alla corrugazione del Fosso dell’Alberaccia e alla sella di S. Paolo in Alpe dove si possono scorgere il Cimitero in alto a dx e Campodonato in basso a sx (18/11/15 – 16/11/16).

 

009s/009v – Anche il versante meridionale della dorsale Poggio Capannina-Poggio Ricopri-Fiumari è percorso da una mulattiera a tratti ancora ben strutturata dove, oltre agli aspetti geomorfologici, si può apprezzare l’estro artistico del costruttore di questo Riparo di Poggio Capannina (WGS84 43° 51’ 46” N / 11° 46’ 54” E) (16/11/16).