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Valle del Bidente di Pietrapazza

inserita da Bruno Roba
Tipo : valle
Altezza mt. : 605
Coordinate WGS84: 43 50' 23" N , 11 53' 55" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

Testo di Bruno Roba (02/2017 - Agg. 8/05/2022)

Coordinate della valle (WGS84)    

estremo NORD (Ponte Bottega) - 43° 52’ 13” N / 11° 53’ 29” E

estremo EST (M. Castelluccio) - 43° 50’ 34” N / 11° 55’ 23” E

estremo SUD (M. Cucco) - 43° 48’ 28” N / 11° 53’ 7” E

estremo OVEST (M. Moricciona) - 43° 51’ 34” N / 11° 52’ 0” E

Altitudine compresa tra m 467 e m 1394 s.l.m. Pietrapazza 605 m  

Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto di Spartiacque Appenninico compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine; in quell’ambito si staccano due contrafforti secondari e vari crinali e controcrinali minori delimitanti le singole vallecole del bacino idrografico.

In particolare, la Valle del Fiume Bidente di Pietrapazza o Bidente Piccolo «[…] la Valle del Fiume La Pietrapazza o Strabatenza o di Valbona, che va nel Fiume Bidente o sia Ronco […]», (F. Mazzuoli, Veduta dell’Appennino […], 1788, BNCF, G.F. 164, in: M. Sorelli, L. Rombai, 1992, p.50, cit. e in: N. Graziani, 2001, vol. II, p.875, cit.) riguarda il ramo più orientale del Bidente delimitato: ad Ovest, da un primo tratto del contrafforte secondario che, distaccatosi da Poggio allo Spillo, va a concludersi con il Raggio della Rondinaia; ad Est da un primo tratto del contrafforte principale che si stacca da Cima del Termine diretto verso Cesena. La sua testata si sviluppa tra il Passo della Crocina e la vetta minore di Cima del Termine, estendendosi, ad Ovest, al tratto del contrafforte secondario compreso tra Poggio allo Spillo e Poggio della Bertesca, ad Est, al tratto del contrafforte principale, le Rivolte, compreso tra Cima del Termine ed il Crinale Raggio del Finocchio; quest’ultimo, staccandosi presso la sella di Prato ai Grilli, posta prima del Poggiaccio, converge quindi verso l’Eremo Nuovo. Completa la delimitazione del sistema vallivo l’ulteriore convergenza delle dorsali che si diramano dagli opposti contrafforti. Da un versante si staccano dai Monti Moricciona e La Rocca, dall’altro versante proviene quella, rilevante, che deriva dal Monte Castelluccio e si dirige verso il Monte Casaccia terminando con il Monte Riccio (dove, strategicamente collocato, il Castrum montis Riccioli, almeno già dal 1321 sorvegliava ogni transito - ne restano vaghe tracce: «Anche sopra la via che va a Strabatenza, presso la località detta Ca’ di Veroli, ove dimora tuttora un ramo della famiglia Bardi, lassù rifugiatasi, fra i monti più alti, ai tempi delle famose contese medioevali, vedonsi i muri imponenti di un vecchio maniero, e quel luogo dicesi Montericcio»: D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 279). Qui, presso la confluenza dei Fossi di Strabatenza e Trappisa nel Bidente, a ridosso di Pian del Ponte, la Valle di Pietrapazza si restringe quasi a chiudersi creando una discontinuità con quella di Strabatenza, così rendendo possibile una specifica identità geo-morfologica. A valle dell’improvvidamente demolito ma mai idealmente rimosso villaggio di Strabatenza, pur senza soluzione di continuità morfologica, si modifica l’idronimo e il Bidente di Pietrapazza diviene di Strabatenza laddove confluisce il Fosso delle Cannetole, che ha origine dalla piega tra i Monti La Rocca e MarinoDopo il Monte Castelluccio il contrafforte prosegue secondo la linea Monti Piano e Frullo/Passo e Colle del Carnaio/Monti Aiola, Calbano, della Faggia, Valnesta, Altello, Navacchio/S. Stefano, Rivoschio, S. Matteo/Monti Cavallo, della Rovere, dei Feriti/Colli di Collinello, Madonna di Cerbiano, di Bracciano, quindi a Casa Tomba, Massa e Monticino, verso Cesena), «[…] per finire sulla via Emilia presso Diegaro.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 16, cit.) dopo circa 53 km.

Da una visione zenitale, satellitare, ma anche dalle possibili viste panoramiche, si può apprezzare come la valle appaia caratterizzata dalla relativa vicinanza dei due contrafforti e da una articolazione di crinali e controcrinali, a convergenza prevalentemente simmetrica sull’incisione dell’asta fluviale principale orientata verso Nord che determinano un aspetto di progressiva ristrettezza e profondità della valle. Successivamente i contrafforti tendono a divergere ma l’orientamento principale dell’asse fluviale (ormai Bidentino o Fiumicino) rimane inalterato verso S. Sofia. Dalla diversa giacitura e disgregabilità dell’ambiente marnoso-arenaceo, negli alti versanti conseguono sezioni vallive a V e nei fondovalle, specie dove essi si fanno più tormentati, profondi e ristretti, si formano gole, forre, financo degli orridi, con erosioni fondali a forma c.d. di battello, mentre i tratti più ripidi dei rilievi mostrano la roccia denudata: scriveva il senatore F. M. Gianni (1728-1821) protagonista delle riforme leopoldine: «[…] è notabile come in molti luoghi l’Appennino è spogliato nella faccia di solatio, e vestito nella parte di bacìo perché da bacìo non era sperabile il trarre la misera raccolta di poca sementa e perciò non è stata perseguitata la montagna con Ronchi e Licenze» (Archivio di Stato di Firenze, Carte Gianni, in M. Pinzani, Lineamenti di storia  forestale della Romagna toscana, in: N. Graziani, a cura di, 2001, vol. I, p. 137, cit.). Una notazione di un grande riformatore: «Cavalcando […] vidi […] La foresta dell’Opera sulla pendice precipitosa verso Romagna era manto a molte pieghe dell’Appennino, al lembo di quel manto apparivano le coste nude del monte […] Sugli spigoli acuti delle propaggini del monte si vedevano miseri paeselli con le chiese: San Paolo in Alpe, Casanuova, Pietrapazza, Strabatenza; impercettibili sentieri conducevano a quelli, e lì dissero le guide i pericoli del verno, la gente caduta e persa nelle nevi, […] i morti posti sui tetti per non poterli portare al cimitero, e nelle foreste i legatori del legname sepolti nelle capanne […]» (Leopoldo II di Lorena, Le memorie, 1824-1859, in G.L. Corradi, O. Bandini, “Per quanto la veduta consenta di spaziare”. Scelta di testi dal XIV al XIX secolo, in G.L. Corradi, a cura di, 1992, p.78, cit.). Conclude un eminente studioso dell’epoca: «Nella […] zona delle montagne […] è questa la zona dei pascoli e del bestiame. I boschi di quercia, castagno e faggio si van sempre più restringendo e quelli di abete sono ormai scomparsi del tutto, ridotti come sono a poche macchie nella Falterona, Camaldoli e monti della Cella.» (E. Rosetti, 1894, p. 90, cit.). Nel versante esposto a settentrione dello Spartiacque Appenninico principale (la c.d. bastionata di Campigna-Mandrioli), specie nella parte a ridosso delle maggiori quote, si manifestano invece fortissime pendenze modellate dall’erosione e dal distacco dello spessore detritico superficiale con conseguente crollo dei banchi arenacei, lacerazione della copertura forestale e formazione di profondi fossi e canaloni fortemente accidentati, talvolta con roccia affiorante, come il doppio rilievo di Poggio Rovino, con il canalone fortemente accidentato del Fosso del Rovino, che presenta quella vasta area adiacente di roccia affiorante con crollo dei banchi arenacei (cui probabilmente deve il caratteristico oronimo). Segue l’altrettanto caratteristico picco acuminato di Monte Cucco, toponimo considerato relitto linguistico dal latino cuccum, cucuzzolo, ma si pensa anche ad un‘origine onomatopeica dal latino cuculus, latino medievale cuccus, cuculo, romagnolo kòk (A. Polloni, cit.). Chiude la testata la Cima del Termine, rilievo anticamente detto Terminone, dove appunto “terminava” l’estensione della Selva di Casentino overo di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli donata (assegnata in perpetuo) tra 1380 e il 1442 dalla Repubblica Fiorentina all’Opera del Duomo di Firenze, all’epoca detto anche Le Rivolte di Bagno, infatti si “rivolgeva” bruscamente (data la morfologia improvvisamente impervia del sito) e dava inizio al tragitto in tale direzione. Al rialzarsi dei rilievi si alternano andamenti più lineari interrotti dalle selle dei Passi dei Cerrini, di Massella e dei Lupatti. Ai passi e alle incisioni dei crinali corrispondono i numerosi rami degli affluenti più montani del Bidente: oltre al Fosso del Rovino, già delle Capanne o Capannacce, con rami che si estendono anche al Passo della Crocina fino al Passo e Poggio della Bertesca, verso Est trovano origine il Fosso delle Ranocchie, lo stesso Bidente di Pietrapazza e il Fosso dei Segoni, già della Buca Prati o della Buca dei Preti, mentre i Fossi della Spiaggia o delle Spiagge e della Neve, che confluendo danno vita al Fosso della Bocca, già della Buca, hanno origine dal primo tratto del contrafforte principale tra Cima del Termine e lo stacco del Crinale del Finocchio.

Quali Geositi di rilevanza locale, a cavallo del contrafforte principale, si trova il Crinale Macchia del Cacio, Monte Castelluccio, Monte Càrpano, di grande interesse scientifico ed esponente per una notevole estensione lo spesso Strato Contessa interposto a tutta la varia stratigrafia Marnoso-arenacea e, in prossimità del fondovalle, tra l’Eremo Nuovo e Cialdella, dal ponte che attraversa il Bidente si osservano, in sponda sx, lo Slump di Susinello dell’Eremo Nuovo, affioramento di frana sottomarina e, nei pressi in sponda dx, la Colombina di Montellero, oltre a pronunciati meandri.

Dopo la confisca del vasto feudo forestale da parte della Repubblica di Firenze a danno dei conti Guidi, l'alpe del Corniolo, la selva del Castagno e la selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli tra il 1380 e il 1442 furono donate (il termine contenuto in atti è “assegnato in perpetuo”; A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 15-16, cit.) all’Opera del Duomo di Firenze che, per oltre quattro secoli si riservò il prelievo del legname da costruzione e per le forniture degli arsenali di Pisa e Livorno, di quelli della Francia meridionale oltre che per l’ordine dei Cavalieri di di Malta «Alcune antenne raggiunsero perfino il prezzo di 2000 lire […]» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 272); «[…] gli inglesi hanno pagato somme enormi alla Chiesa Cattolica, nel corso degli ultimi due anni, per l’acquisto di legname che consentisse loro di combattere le loro battaglie.» (Joseph Forsyth*, Di monte in valle: luoghi celebri del casentino, 1802, in: A. Brilli, 1993, p. 26, cit.); * nel corso della prigionia francese per attività filobritannica scrisse Remarks … during an Excursion in Italy in the Years 1802 and 1803, Londra, John Murray 1816. Forniture  riguardarono anche il mercato romagnolo utilizzando il Bidente per il trasporto. Per ricavare alberi di maestra delle maggiori dimensioni (28 m di altezza) occorrevano abeti plurisecolari di almeno 40 m. (un esempio di albero di maestra si trova a Campigna nel Viale del Granduca). Il depauperamento per i tagli, legittimi ed abusivi, anche conseguenti alla progressiva antropizzazione del territorio con incremento di appoderamenti per colture e pascoli realizzati con la pratica del ronco, portò la foresta a ridursi alle zone più impervie delle testate vallive. Dal 1838, con il passaggio alle Reali Possessioni granducali delle aree forestali finora dell’Opera (e, dal 1857 al 1900, in parte come proprietà diretta del Granduca) e grazie alla riorganizzazione tecnico-amministrativa dell’ingegnere forestale di origine boema Carlo Siemoni, poi dal 1866, a seguito della soppressione degli ordini religiosi ed il passaggio al Regio Demanio, principiarono notevoli ripensamenti gestionali (per l’importazione di massicce quantità di piantine e di sementi oggi non è possibile distinguere l’ecotipo appenninico locale dall’ecotipo continentale della Boemia, fatta eccezione per le piante di età superiore a 180 anni). Però solo a partire dal 2 marzo 1914, nuovamente accorpato e rientrato in proprietà e gestione diretta al Demanio dello Stato, il patrimonio forestale ha visto iniziare quell’opera di conservazione e di miglioramento che ha portato al conseguimento di obiettivi insperati. Con l’abbandono della montagna nel secondo dopoguerra, constatata l’impossibilità politica ed economica del sostegno di forme di agricoltura basate sull’autoconsumo, si è reso possibile il perseguimento degli obiettivi di conservazione degli habitat naturali. Così oggi, le aree montane dell’alta valle del Bidente e vaste aree submontane, oltre ad altre adiacenti al Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, in gran parte di proprietà demaniale, si trovano inserite nella rete Area Natura 2000 con tre siti per le caratteristiche di seguito riassunte: Foresta di Campigna, Foresta la Lama, Monte Falco, uno dei più importanti e studiati della regione, santuario della conservazione naturalistica a livello nazionale e internazionale che comprende la Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, caratterizzato dalle foreste millenarie di Faggio e Abete bianco, dai vaccinieti e praterie secondarie con relitti alpini di grande significato fitogeografico, gli unici dell'Appennino romagnolo, e da alcune specie mediterraneo-montane, alcuni dei primi e le seconde rispettivamente al limite meridionale e al limite settentrionale del loro areale distributivo, che ricoprono quasi fino in vetta il tetto della Romagna; Monte Gemelli, Monte Guffone e Rami del Bidente, Monte Marino che si estendono dalle parti alte dei bacini fluviali fino al corso inferiore dei tre rami ed alla loro confluenza, comprendendo il lago di Ridracoli, siti caratterizzati da boschi naturali, rimboschimenti, pascoli in generale regresso per progressivo abbandono delle pratiche zootecniche tradizionali, praterie cespugliate ed arbusteti a Ginepro per lo più derivanti dalla rinaturalizzazione di ex-coltivi ed ex-pascoli, che diventano garighe su versanti esposti, oltre a zone rupestri e plaghe rocciose; completano il quadro relativo a un territorio relativamente poco antropizzato gli ambienti fluvio-ripariali dei corsi torrentizi dei tre Bidente, dai noti aspetti geomorfologici e geotettonici, più largo “Corniolo”, più incassato “Ridracoli”, più mosso e variato “Pietrapazza”, ma in un contesto ripariale appenninico abbastanza simile, caratteristico e ben conservato. Dal 7 luglio 2017 le faggete vetuste del Parco Nazionale comprese nella Riserva Integrale di Sasso Fratino e una vasta area circostante comprendente le Riserve Biogenetiche Casentinesi e altre aree all’interno del Parco Nazionale, per un totale di circa 7.724,28 ha, fanno parte del patrimonio mondiale dell’UNESCO, andando a rappresentare uno dei più estesi complessi forestali vetusti d’Europa. Per l’Italia si tratta della prima iscrizione di un patrimonio naturale espressamente per il suo valore ecologico di rilievo globale. Approfondite indagini nell’area, che rappresenta complessivamente il sito di maggiori dimensioni tra quelli designati in Italia ed uno dei più estesi complessi forestali vetusti d’Europa, hanno portato alla scoperta di faggi vecchi di oltre 500 anni, tra i più antichi d’Europa, che fa entrare Sasso Fratino nella top ten delle foreste decidue più antiche di tutto l’Emisfero Nord. Questi faggi sono quindi coevi di Cristoforo Colombo e Leonardo da Vinci e al limite della longevità per le latifoglie decidue. Oltre al valore naturale, il faggio è una specie dall’alto valore simbolico e culturale, storicamente legata allo sviluppo dei popoli europei (l’etimologia del nome si riferisce ai frutti eduli, dal greco phagein = mangiare).

L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio. Già nel paleolitico (tra un milione e centomila anni fa) garantiva un’ampia rete di percorsi naturali che permetteva ai primi frequentatori di muoversi e di orientarsi con sicurezza senza richiedere opere artificiali. Nell’eneolitico (che perdura fino al 1900-1800 a.C.) i ritrovamenti di armi di offesa (accette, punte di freccia, martelli, asce) attestano una frequentazione a scopo di caccia o di conflitto tra popolazioni di agricoltori già insediati (tra i siti, Campigna, con ritrovamenti isolati di epoca umbro-etrusca, Rio Salso e S. Paolo in Alpe, anche con ritrovamenti di sepolture). In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur mantenendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate. Comunque, nel Settecento, chi voleva risalire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami che venivano così descritti: per Ridràcoli «[…] composto di viottoli appena praticabili […]» per S. Paolo in Alpe «[…] largo in modo che appena si può passarvi […].» e per il Corniolo «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi in modo che appena vi può passare un pedone […]» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, citato da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna Toscana e il Casentino nei tempi granducali. Assetto paesistico-agrario, viabilità e contrabbando, in: G.L. Corradi e N. Graziani - a cura di, 1997, p. 82, cit.). Inoltre, «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, 1992, p. 32, cit.). Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.).

La prima cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto Toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), consentono di conoscere, tra l’altro, il tracciato della viabilità antica che riguardava la Valle di Pietrapazza, ricordando che se per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX, il crinale che dal Passo della Crocina si svolge fino alla Rondinaia in gran parte venne fortunatamente salvaguardato dal distruttivo progetto dell’ingegnere granducale Ferroni che, tra le ipotesi di “strada dei due mari” che doveva unire la Toscana e la Romagna, indicava il tracciato montano Moggiona-Eremo di Camaldoli-Passo della Crocina-Casanova in Alpe-Santa Sofia (essendo ritenuto idrogeologicamente valido).

Sul contrafforte principale da Cima del Termine probabilmente già dal 1084 è documentata nel Regesto di Camaldoli la Via de Monte Acutum, come peraltro «[…] conferma un’opinione espressa nel 1935 dal Mambrini circa l’esistenza di una strada percorribile fra i boschi di quel perfetto triangolo, il Monte Acuto, costantemente rilevato nella documentazione medievale come punto di confine fra la Romània e la Tuscia […].» (C. Dolcini, Premessa, in: C. Bignami, A.Boattini, A. Rossi, a cura di, 2010, pp. 7-8, cit.). Il Mambrini fa un altro riferimento a tale strada nel trattare del Castello di Riosalso: «Il cardinale Anglico così lo descrive nel 1371: “Il castello di Riosalso è nelle Alpi in una certa valle sopra un sasso forte. Ha una rocca ed una torre fortissima ed è presso – circa un miglio – alla strada che mena in Toscana.” […] La strada qui ricordata era sul crinale del monte sopra il castello e per Nocicchio, passando a destra di Montecucco, per Badia Prataglia conduceva in Casentino. Qua e là restano gli avanzi di questa strada.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 288, cit.). Una relazione del 1652 conservata nell’Archivio dell’Opera del Duomo, che descrive la ripartizione delle aree in gestione in otto parti, è utile per ricavare un utile riferimento su tale sito: «L’ottava e ultima parte delle selve dell’Opera viene separate dalla precedente col Poggio della Bertesca e resta fra esso poggio e il Poggio delle Rivolte di Bagno ultimo termine di dette selve. » (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 263-271, cit.). In una mappa del 1637 allegata ad una relazione del 1710 del provveditore dell’Opera del Duomo di Firenze (riproduzioni della mappa si trovano in A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, a colori, in A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.) si ritrova il toponimo Rivolte (oggi sent. 201 CAI), ulteriormente specificato nel Contratto livellario stipulato nel 1818 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli: «Comunità di Bagno. Una vasta tenuta di terre nell’indicata comunità, abetata, faggiata, frascata, lavorativa, prativa, massata, trafossata come più e meglio verrà descritta in appresso sia nella qualità che nella quantità, alla quale la circonferenza confina: primo, con la Comunità di Bagno incominciando dal luogo detto le Rivolte e precisamente dal termine giurisdizionale delle Comuni di Bagno-Poppi, da questo termine calando per la scesa delle Rivolte fino al Prato ai Grilli; […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 461-463, cit.). Con il Catasto Toscano tale via diviene la Strada che da Montecarpano va alla Badia a Pretaglia. Al Giogo, come genericamente era detta la via sullo Spartiacque Appenninico, poi Via Sopra la Giogana o semplicemente la Giogana, si giungeva anche tramite il Passo della Crocina (anticamente Crocina di Bagno e Croce di Guagno o Guagnio) grazie all’antica Via Maestra che vien dall’Eremo, toponomastica della citata mappa del 1637 oltre che contenuta in una relazione del 1663 «[…] si venne per la strada del Poggio tra la Bertesca e Valdoria et il Pozzone et arrivati alla Croce di Guagnio e pigliato il Giogo tra il confino de reverendi padri di Camaldoli e l’Opera di Santa Maria del Fiore si seguitò detta giogana […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 315, cit.). Nel Catasto Toscano detta via maestra si trova per un tratto riclassificata Strada che dal Sacro Eremo va a Romiceto (oggi sent. 207 CAI), quindi era detta Strada Maestra di S. Sofia fino Casanova dell’Alpe verso Sud, e Strada che dalla Casanova va a Santa Sofia in riferimento al tratto Nord compreso tra la Ripa di Ripastretta e il Passo del Vinco: esso interessava il Monte La Rocca e raggiungeva il Passo della Colla, aggirava i Monti Pezzoli e Marino sul versante SE e scendeva a Poggio alla Lastra divenendo di fondovalle fino a S.Sofia. Dalla via maestra, al Passo della Bertesca si staccava inoltre Strada che da Camaldoli va alla Bertesca, giungente fino all’Eremo Nuovo, oggi in parte sostituita da viabilità poderale (sent. 205 CAI); quindi la Strada che dall’Eremonuovo va a Pietrapazza si ricollegava con la Strada che da Pietrapazza va a Bagno, nel versante bagnese detta Strada detta della Lastra che va a Monte Carpano, che valicava la Colla di Càrpano incrociando la citata Strada che da Montecarpano va alla Badia a Pretaglia. Questa viabilità doveva essere ritenuta di rilievo per i collegamenti tra S. Sofia e l’interno, tanto da essere l’unica riportata nella schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia insieme alla viabilità di crinale, mancando invece un tracciato di fondovalle tra Pietrapazza e Poggio alla Lastra, questo anche significando quale fosse il limite dell’area di influenza camaldolese.  

Tra il XIX secolo e la prima metà del XX si assiste alla completa ri-organizzazione della viabilità locale e di crinale, che culminerà con la classificazione delle Mulattiere colleganti anche trasversalmente le vallate collaterali, come p.es. testimoniano i cippi stradali installati negli anni ’50 all’inizio di molte di esse, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli (alcune strade forestali verranno realizzate solo al termine del ventennio successivo).

Il vecchio tracciato di fondovalle della Mulattiera de Bidente iniziava al Ponte di Cà Morelli, sul ramo fluviale di Strabatenza, in collegamento con il tracciato della Traversa di Romagna per Bagno, e correva vicino al fiume, attraversandolo spesso tramite numerosi ponti alla ricerca della situazione orografica più favorevole. A Pian del Ponte – la Bottega, c.d. «[…] per l’appalto di generi vari e di monopolio che v’era.» (G. Marcuccini, Le valli alte del Bidente: un cammino nella memoria, in: G.L. Corradi, a cura di, 1992, p. 120, cit.), dove si trova un sistema di ponti antichi e moderni (Ponte del Faggio) e due cippi segnalano l’incrocio con la Mulattiera di Ridràcoli, iniziava il tratto intermedio Ponte Bottega-Pietrapazza della mulattiera di fondovalle e una colonnina indicava la deviazione relativa al tratto Rio Salso-S. Piero in Bagno. Sulle pietre cantonali delle case era incisa la distanza in km intercorrente in direzione Pietrapazza (p.es.: a Cetoraia km 0,610 fino a Campo di Sopra e qui km 1,200 fino a Cà Micheloni). Il Ponte Bottega o di Strabatenza, in pietrame ad arco a tutto sesto, posto all’inizio della Mulattiera di Casanova (insieme alla Casina del Ponte, che ne osserva il transito, costituisce un interessante scorcio paesaggistico) si può considerare il primo sul Bidente di Pietrapazza. Il Ponte al Mulino alle Cortine, in ferro ad una campata su pile in pietrame e tavolato ligneo, collegava  le due mulattiere citate all’altezza di Cetoraia. Sotto Cà di Pasquino un malandato Ponte al Mulino delle Graticce (il terzo dei mulini dell’antico Comune di Poggio alla Lastra, dopo quello di Pontevecchio e delle Cortine), in legno ad una campata su spalle in pietrame, eseguito secondo una tecnica costruttiva che doveva essere molto comune nell’area del Bidente (tra l’altro si trova codificata in una relazione di quell’epoca del comune di Bagno di Romagna), costituita da tre tronchi poggianti su pile laterali in pietrame a secco, tavolato protetto da un manto di pietrisco e parapetto in legno, attraversa ancora il fiume percorso dalla mulattiera per Cà dei Maestri/M. Roncacci ma è ormai intransitabile. Sul Fosso di Cà dei Maestri in prossimità della confluenza nel Bidente i resti di un ponticello mostrano ancora la modesta tecnica costruttiva delle passerelle costituite da una o due travi accostate senza parapetto su spalle in pietra.

Incidendo pesantemente sull’orografia dei luoghi, alla Mulattiera del Bidente (brevi tratti si riescono ad individuare in prossimità degli insediamenti) negli anni 1965-70 si è sovrapposta quasi ovunque l’odierna strada forestale che raggiunge comodamente una Pietrapazza ormai disabitata. Qui si trova (restaurato) il piccolo Ponte delle Graticce o della Cantinaccia, alla confluenza dell’omonimo fosso nel Rio d’Olmo e prima che questo si immetta nel Bidente. Risalente al 1898 ed eseguito in pietrame presenta tipologia ad arco circolare leggermente ribassato con pavimentazione in pietra arenaria posta di taglio, prima della sua costruzione la mulattiera guadava il fosso poco più a monte inizialmente aggirando il versante sx. Il ponte costituiva snodo di collegamento con le citate Strada che da Pietrapazza va a Bagno e Strada detta della Lastra che va a Monte Carpano che, impraticabili per molti mesi dell’anno, nel 1841 vennero parzialmente abbandonate (ma da Rio d’Olmo è tuttavia ancora possibile ritrovarne lunghi tratti tra i tornanti dell’ampia strada forestale) e sostituite dai tracciati più a mezzacosta della Mulattiera Bagno-Pietrapazza-Ridracoli. Nel versante di Ridolmo se ne vedono alcuni tratti sotto la rotabile oltre al cippo stradale presso il Passo di M. Càrpano. Da Pietrapazza risaliva sostando davanti alla Maestà della Casaccia (ma da Rio d’Olmo è tuttavia ancora possibile ritrovarne lunghi tratti ormai abbandonati tra i tornanti dell’ampia strada forestale) fino a valicare la Colla di Càrpano, dove consentiva una sosta alle Case di Monte Càrpano (anticamente M. Carpi) presso una nota, ma non documentata, Osteria«Monte Carpano […] era un notevole luogo di transito: non a caso alla fine dell’Ottocento v’era un’osteria frequentata da quel piccolo mondo di mestieri e traffici col Casentino (fattori, sensali, mercanti di bestiame) e, soprattutto, con la foresta della Lama e Camaldoli per il rifornimento di legname per madiai e bigonciai, di “cime” d’abete per i coronai.» (G. Marcuccini, 1992, pp. 119, 120 cit.). Poco dopo il Ponte delle Graticce si distacca ancora inalterata (sent. 205 CAI) la citata Strada che dall’Eremonuovo va a Pietrapazza, attraversando il Rio d’Olmo su una passerella in legno e travatura in ferro (che sostituisce un ponte con una struttura principalmente in pietra ed un tratto in legno ancora documentata negli scorsi anni ’80). Essa risale sul Crinale Raggio del Finocchio sostando davanti alla Maestà del Raggio o della Cialdella o di Pietrapazza, poi ridiscende presso il Bidente fino l’Eremo Nuovo superandolo sul Ponte della Chiesina, ricostruito, dopo il quale diviene ampia pista poderale fino alla Bertesca e all’incrocio con la S.F. del Cancellino (collegante con il Passo dei Lupatti, aperto nel 1900 in occasione della costruzione della ferrovia Decauville del Cancellino, poi trasformata in strada forestale.

Nelle varie epoche (fino alla demanializzazione delle foreste) nel baricentro economico-religioso di Casanova dell’Alpe si incrociavano gli itinerari di collegamento con le vallate laterali, frequentati dagli operatori del settore del legname, lavoratori e commercianti. Tra essi la Mulattiera di Ridràcoli, che valicava il crinale tramite il Passo della Colla (posto nella sella tra il Monte La Rocca e il Monte Marino), che scendeva a Strabatenza e a la Bottega e la Mulattiera della Colla, che risaliva invece sul Marino da Poggio alla Lastra riunendosi a quella proveniente da Strabatenza; complessivamente le due mulattiere nel Catasto Toscano costituivano la Strada che da Ridracoli va a Poggio alla LastraDa la Bottega la Mulattiera di Casanova risaliva la valle del Trogo, mentre la Mulattiera di Pietrapazza (qui incentrata) collegava Ridràcoli con Bagno di Romagna tramite la Valle del Rio d’Olmo e il Passo di Monte Càrpano, da un lato, e la Valle del Fosso Fondo Rignone e la sella Siepe dellOrso-Paretaio, dall’altro. Questo tratto, nel Catasto Toscano detto Strada che da Siepe dell’orso va a Pietrapazza, attraversa il Bidente sul Ponte al cimitero di Pietrapazza (restaurato), documentato ponte sul fiume Bidente al fosso dell’Eremo Nuovo quindi Ponte dell’Eremo Nuovo, in muratura di pietrame ad un’arcata circolare a tutto sesto pavimentato con pietra arenaria posta di taglio, costruito nel 1895 dai Milanesi - rinomati scalpellini di Cà di Pasquino di una stirpe familiare di origine comacina localmente nota, «Vi lavorarono come muratori (lombardi, come si diceva in quel tempo) […]» D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 132, cit.) - in luogo di una struttura in legno ormai pericolante e già a fine ‘700 ridotta a «[…] una trave d’abeto coi mantingoli […]» (S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, p. 105, cit.). Intercalata alle incisioni vallive del reticolo idrografico emerge una trama di dorsali minori di vario impatto morfologico, alcune delle quali si proiettano più evidenti verso il fondovalle concentrandosi verso il sito dell’Eremo Nuovo, con pendenze mediamente ripide ma alcune non tali da impedire la percorribilità di crinale. Tra esse, nella mappa del 1637 compare il disegno approssimativo di un altro antico percorso, la Via del Rovino, direttamente collegante il fondovalle del Bidente di Pietrapazza e l’Eremo Nuovo con il Giogo: dai raffronti cartografici e morfologici essa è da collocare prevalentemente sul crinale di quella citata lunga dorsale che si distacca da Poggio Rovino, ancora oggi segnata da evidenti tracce di trascorse (o rinnovate) percorrenze. L’Eremo Nuovo era pure collegato con i poderi in dx idrografica (Poderuccio, Buca) attraversando il fiume tramite il Ponte dell’Eremo, ormai in rovina, modestamente costituito da tre travi accostate (ne resiste una) su robuste spalle in pietra, che comunque certifica una certa importanza del tracciato non servito da un semplice guado, ma il percorso, nel catasto moderno corrispondente alla S. Vic.le Campo Rosso-Eremo Nuovo, raggiungeva le Rivolte di Bagno tramite il valico di Prato ai Grilli, con discesa a Campo del Rosso. Di un ulteriore difficoltoso percorso di crinale restano tracce sulla dorsale (interessata da siti anticamente detti Poggio di Magnano, Ripabianca e Piano dei Lupatti) che si stacca dai pressi del Passo dei Lupatti e delimita il versante occidentale dal ramo iniziale del Bidente. Ulteriore dorsale con tracce di percorrenze (interessata da siti anticamente detti Segoni Legnamenti) si stacca dai pressi di Cima del Termine delimitando il versante orientale del Fosso dei Segoni andando poi a stringere sul Bidente.

Percorrendo oggi gli antichi itinerari, gli insediamenti di interesse storico-architettonico o di pregio storico-culturale e testimoniale, esistenti, abbandonati o scomparsi (quindi i loro siti) che si trovano collocati lungo i crinali insediativi sono prevalentemente di carattere religioso o difensivo o sono piccoli centri posti all’incrocio di percorsi di collegamento trasversale; gli insediamenti di derivazione poderale sono invece ancora raggiunti da una fitta e poco modificata ramificazione di percorsi, mulattiere, semplici sentieri. Diversamente dalle aree collaterali, non si riscontrano nelle valli bidentine fabbricati anteriori al Quattrocento che non fossero in origine rocche, castelli o chiese, riutilizzati a scopo abitativo o rustico, o reimpieganti i materiali derivanti da quelli ed evidenzianti i superstiti conci decorati. Nell’architettura rurale persistono inoltre caratteri di derivazione toscana derivanti da abili artigiani. L’integrità totale o tipologica dei fabbricati è stata peraltro compromessa dai frequenti terremoti che hanno sconvolto l’area fino al primo ventennio del XX secolo, ma anche dalle demolizioni volontarie o dal dissesto del territorio, così che se è più facile trovare fronti di camini decorati col giglio fiorentino o stemmi nobiliari e stipiti o architravi reimpiegati e riferibili al Cinque-Seicento, difficilmente sussistono edifici rurali anteriori al Seicento, mentre sono relativamente conservati i robusti ruderi delle principali rocche riferibili al Due-Trecento, con murature a sacco saldamente cementate, come quella di Corniolino. Gli edifici religiosi, infine, se assoggettati a restauri o totale ricostruzione eseguiti anche fino alla metà e oltre del XX secolo, hanno subito discutibili trasformazioni principalmente riferibili alla tradizione romanica o ad improbabili richiami neogotici.

I principali insediamenti sono o erano: Abetaccia, Bertesca, Buca, Cà dei Conti (Oratorio dei SS. Jacopo e Francesco), Cà del Tosco, Cà dei Maestri, Cà di Giorgio, Cà di Michelone, Cà di Pasquino, Cà di Pomo, Cà di Santoni, Campo della Sega, Campo di Sopra, Capanno della Pomina, Capanno di Ca di Michelone, Casa del Santoni, Casa di Bastiano o Poderino del Finocchio, Cà di Mengaglia, Casaccia (del Lastricheto), Casaccia (di Rio d’Olmo), Casaccia (presso Frassino), Case e Osteria di Monte Càrpano, Casetta, Casina,  Casina del Ponte, Casina del Raggio, Case di Sotto, Casone (a M. Roncacci), Castagnaccio, Cetoraio o La Cetoraria/La Cetoraja/La Celteraia, Ciardella o la Cerdella o Ciardella o Cittadella, Cortine di sopra, Cortine di sotto, Eremo Nuovo, Felcitino o Felcialino o Falcetino o Felcettino o le Felcetine, Fiurle, Fossetta, Fosso, Frassino o Fràssine, Galluzze, Graticce, I Fondi, Il Finocchio, il Pianaccio, I Piani, La Buca, La Cerreta, La Mandria Vecchia (pressi Bertesca), la Palta, La Siepe dell'orso (pressi Siepe dell’Orso), Lastricheto, le Capanne, Macchietta, Maestà Beoni a Cà di Michelone, Maestà dei Pianacci, Maestà del Felcitino, Maestà della Casaccia, Maestà del Raggio, Maestà Milanesi a Cà di Pasquino, Molinaccio, Mulino di/della/delle Cortina/Cortine, Mulino dell’Eremo Nuovo, Mulino delle Graticce, Mulino di Felcitino, Mulino di Cà del Conte, Palaine di Mezzo o Case di Sotto, Petrella, Pian del Ponte, Pietrapazza, Poderaccio, Podere, Poderino, Poderuccio, Poggiolo, Pomina, Ponte Bottega o di Strabatenza, Ponte del Faggio, Ponte delle Graticce, Ponte di Pietrapazza o dell’Eremo Nuovo, Ponte della Chiesina, Ponte dell'Eremo, Ricàvoli, Ridolmo o Casina o Cascina/Casina Biozzi, Rignone, Rio d’Olmo o Ridolmo, Ripiano, Riparo del Trogo, S. Giavolo, Siepe dell’Orso, Susinello, Trogo.

Nel passato, anche recente, l’ambiente montano veniva visto soprattutto nelle sue asperità e difficoltà ed avvertito come ostile non solo riguardo gli  aspetti climatici o l’instabilità dei suoli ma anche per le potenze maligne che si riteneva si nascondessero nei luoghi più reconditi. Dovendoci vivere si operava per la santificazione del territorio con atteggiamenti devozionali nell’utilizzo delle immagini sacre che oltre che espressioni di fiducia esprimevano anche un bisogno di protezione con una componente esorcizzante. Così lungo i percorsi sorgevano manufatti (variamente classificabili a seconda della tipologia costruttiva come pilastrini, edicole, croci, tabernacoli, capitelli, cellette, maestà) costituiti da un pilastrino sormontato da un tabernacolo contenente un’immagine sacra la cui realizzazione, oltre che costituire punti di riferimento scandendo i tempi di percorrenza (p.es., recitando un numero prestabilito di “rosari”), rispondeva non solo all’esigenza di ricordare al passante la presenza protettiva e costante della divinità ma svolgeva anche una funzione apotropaica. Spesso recanti epigrafi con preghiere, sollecitazioni o riferimenti ad avvenimenti accaduti, oggi hanno un valore soprattutto legato al loro significato documentario. Se la costruzione di manufatti di significato religioso a fianco dei sentieri affonda le radici nell’antichità, il culto sacrale della montagna e delle sue acque è stato sempre presente in tutte le società pastorali. Alla fine del XIII secolo grandi croci furono erette su vari valichi alpini, ma molte tradizioni rituali giunte fino a noi si possono ritenere derivate dai culti longobardi (ben insediati anche in diverse aree appenniniche tosco-romagnole e già dai secoli VII e VIII ormai aderenti al cattolicesimo), tra cui i festeggiamenti sulle sommità delle alture e degli stessi luoghi degli antichi riti pagani, con probabile apposizione di croci, senza dimenticare gli allineamenti delle enigmatiche statue-stele conficcate nel terreno, risalenti all’Età del Rame (Eneolitico), rappresentanti immagini di entità protettrici o personaggi reali, poste con vario significato lungo grandi valli di collegamento ed in zone montane in corrispondenza di importanti vie di comunicazione preistoriche tra varie zone asiatiche, europee, l’arco alpino e, in particolare, le tipiche delle aree cerimoniali della Lunigiana, come l’allineamento che si immagina esistesse quasi 5000 anni fa, sulla sella del Monte Galletto e che non inaspettatamente ha recentemente restituito (marzo 2021) un reperto significativo (le statue-stele della Lunigiana spesso rappresentavano donne scolpite con il fine di “consolare” e “sedurre” i morti affinché non tornassero nel mondo dei vivi: la sessualità e la caccia erano infatti i due temi preponderanti dell’arte preistorica). Numerose croci di vetta furono posizionate in seguito su molte montagne delle regioni cattoliche tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del XX, in particolare in concomitanza degli Anni Santi del 1900 e del 1950. A volte la presenza di una croce su un rilievo ne ha determinato il toponimo. La proliferazione di croci di vetta continua ancora oggi. Le maestà presenti o di cui si ha notizia in quest’area sono: Maestà dei Pianacci (sopra Cà di Pasquino, scomparsa), Maestà del Felcitino o del colera, che ricorda dove si fermò l’epidemia del XVIII secolo, Maestà della Casaccia (sotto Ridolmo), Maestà Milanesi presso Cà di Pasquino, Maestà Beoni (pressi Cà di Michelone, scomparsa), Maestà del Raggio (tra Pietrapazza e Ciardella), Maestà del Trogo.

Nel contesto morfologico del Bidente, dove la valle si restringe e si appresta ad iniziare il suo tratto più angusto, di particolare interesse è un lembo di fondovalle che strapiomba sull’ultima ansa quasi circolare del Rio d’Olmo, dove si è appena aggiunto il Graticce, in un'area dove si manifesta la presenza del forte spessore dello Strato Contessa e che mostra profondi e contorti meandri dovuti all’azione erosiva esercitata dalle confluenze torrentizie concentrate in un’area limitata su stratificazioni marnoso-arenacee variamente giacenti: mentre l’irruenza fluviale viene deviata fino ad aggirare un “protettivo” poggetto sovrastante, su quel terrazzo morfologico si adagia Pietrapazza. Ancora possedimento dei nobili di Valbona nel 1353 che, come ultimo atto nel 1430, prima della loro scomparsa dalle vicende appenniniche, pretesero dai camaldolesi la restituzione di ogni beneficio loro concesso, e subentrati temporaneamente dal 1402 i Guidi di Battifolle, con il passaggio di tutte le selve alla Repubblica Fiorentina (che dal 1442 la attribuì al Capitanato della Val di Bagno) quindi all’Opera del Duomo di Firenze, Pietrapazza acquistò importanza a svantaggio dell’Eremo Nuovo a partire dal XVII secolo essendo più accessibile ed essendo dotata del maggior numero di poderi della zona, ma anche per il progressivo abbandono da parte dei camaldolesi. Sicuramente le vicende storiche e le questioni confinarie e gestionali forestali condizionarono, qui come nella selva del Castagno e nella selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli, il reciproco operato e i rapporti tra i nuovi confinanti monastico-ecclesiali fino all’arrivo dei Lorena e poi dello Stato italiano. Per tutto il Settecento vi è attiva la Compagnia del SS. Sacramento e dal 1834 quella del Rosario. Solo nel 1841 viene predisposta una anagrafe parrocchiale a cura del parroco D. Paolo Rossi. Nel 1914 nella canonica vi abitavano il parroco D. Roberto Cenni e due suoi familiari e, dal 1921 fino ai primi anni ’60, vi fu trasferita la scuola sussidiata pluriclasse per il rifiuto del maestro di recarsi o di abitare presso la sede Cà dei Conti, probabilmente essendo ritenuto il luogo troppo disagevole. (AA.VV., 1989, p.7, cit.). Sostanzialmente le attività scolastiche e religiose cessarono negli stessi anni, comunque ad oggi (2016) fortunatamente gli edifici sono in buone condizioni e ancora saltuariamente utilizzati. L’insediamento è oggi composto dalla Chiesa di S. Eufemia alle Graticce detta di Pietrapazza e dalla Canonica, documentata già dal 1595, quando venne visitata dal vescovo di Sarsina; ulteriori notizie si susseguono dal 1625 in base alle visite pastorali, quando si apprende tra l’altro che la chiesa antica dispone di almeno due altari che si fronteggiano, di cui uno non in regola pertanto da demolire, mentre non dispone di immagini sacre. Dalla visita del 1688 si apprende che la chiesa dispone di un altare maggiore e che su un muro di sostegno posto sul retro o sotto la stessa chiesa esisteva un’apertura di accesso all’Oratorio dei Mangarini, poi Gabutti, ormai in rovina pertanto da ricostruire. Dalle visite del 1691 e del 1704 si apprende che l’altare laterale, di patronato della famiglia Mencarini, prima è dedicato a S. Elisabetta poi all’Annunciazione e che il tetto in lastre di pietra ha bisogno di continua manutenzione. Interessante è il rapporto della visita del 1705 che riferisce di una chiesa «[…] posta in una valletta stretta da altissimi e asprissimi monti, lambita o meglio corrosa dai fiumi e dai rivi discendenti dalla sommità delle alpi […] sita in esigua valle sopra un poggio circondato da ogni parte da rupi ed erte.» (E. Agnoletti, 1996, p.89, cit.), inoltre piccola e dimessa, esistente da 15 anni e frutto di una ricostruzione essendo stata distrutta la precedente da un’alluvione insieme alla casa parrocchiale, ora sostituita da una piccolissima stanza presso la chiesa. «La primitiva chiesa sorgeva sulla collinetta sovrastante. Angusta e pericolante non era capace d’accogliere tutto il popolo che v’accorreva ad ogni festività.» (G. Marcuccini, 1992, p. 120, cit.). Esistono due altari, il maggiore ed uno laterale nuovamente dedicato a S. Elisabetta. A quell’epoca a Pietrapazza vivevano 31 famiglie e 214 persone. Nel 1720 viene precisato che l’altare maggiore è dedicato alla Madonna e a S. Eufemia e che l’altro era detto Altare dell’Annunciazione ed era dedicato alla Visitazione di Maria e a S. Antonio da Padova, di patronato della famiglia Milanesi. Ora esisteva una nuova canonica, della quale non si precisa la collocazione, costruita dalla popolazione, allora 232 persone, composta da una sala, due camerette, la cucina, la cantina ed altre comodità. Nel 1761 viene descritta una chiesa lunga con ingresso sul lato destro, l’altare maggiore dedicato dalla Madonna del Rosario, battistero all’angolo sx e sacrestia decorosa sul lato sx. Sotto il pavimento vi erano sepolture recenti che dovevano essere spostate nel sagrato per ragioni igieniche. Dalle visite pastorali si apprende che a breve distanza dalla chiesa di Pietrapazza (“15 passi”) e vicino ma separato dalla nuova casa parrocchiale costruita nel 1720 (“lontano un tiro di pietra”) esisteva un Oratorio del SS. Sacramento, che veniva utilizzato quando la neve e il ghiaccio impedivano di raggiungere la chiesa: la distanza era comunque tale da consentire lo svolgimento di periodiche processioni. Dotato di un solo altare, è stato visitato l’ultima volta nel 1776; con la soppressione dell’Abbazia di S. Ellero, nel 1785, perse di interesse e non se ne sa più nulla; le suddette descrizioni portano ad ipotizzare che sia questo oratorio che la nuova canonica si trovassero sul luogo dell’insediamento odierno. Le visite successive non registrano niente di particolare fino alla notte di Natale del 1930 «[…] quando la gente, con le fiaccole in mano, attende l’arrivo del nuovo parroco […] in chiesa , angusta e dal soffitto talmente basso, da dover tagliare i ceri dell’altare se non si voleva che appiccassero il fuoco alle travature. E ivi si pigiarono 150 persone. Don Domenico capì subito che doveva costruire una nuova chiesa, in posizione migliore. […]» (E. Agnoletti, 1996, p.193, cit.). Ormai danneggiata e fatiscente a causa del forte terremoto del 1918 (che distrusse S. Sofia e non solo), ma ancora utilizzata, venne demolita solo verso la fine del 1937 e quattro mesi dopo, per Natale, il nuovo edificio, progettato da Italo Spighi e con il fattivo contributo della popolazione e dei già citati scalpellini della famiglia Milanesi, era già ultimato «[…] a poche decine di metri dalla vecchia ma in posizione più comoda, accanto alla scuola.» (AA.VV., 1989, p.46, cit.). Nell’anno seguente venne completata con campana e arredi sacri donati dalla popolazione (nella campana sono incisi i nomi delle 18 famiglie donatrici) e consacrata a luglio. Rispetto al Catasto Toscano, dove il toponimo Pietra Pazza compare accanto ad un nucleo composto da vari fabbricati di diverse dimensioni, vi sono notevoli difformità rispetto alla situazione odierna. Il semplice capanno della vecchia chiesa, come era chiamato l’edificio posto in cima alla collinetta adiacente sopra il cimitero, di cui negli scorsi anni ’80 ancora rimanevano scarsissimi resti oggi, 2016, scomparsi e/o ricoperti dalla vegetazione e che si intravede in una foto del 1938 (v. AA.VV., 1989, copertina e p.2, cit.), già pare totalmente difforme rispetto alla complessa planimetria antica. In una foto riguardante la costruzione della nuova chiesa (1937) risalente a quell’anno (v. AA.VV., 1989, p.47, cit.) si intravede anche un fabbricato posto ad Est della canonica, si legge scomparso per una frana evidentemente dopo il 1937, che era abitato dai cinque componenti della famiglia Pertutti, tutti braccianti e, nel 1915, Felice vi aprì l’Osteria Pertutti (frequentata dagli operai diretti alla Lama ed in concorrenza con l’Osteria della Vittoria, gestita nella zona già dal 1890 da Angelo Donati). Questo fabbricato pare riconoscibile nel catasto antico, accompagnato da un probabile annesso, ma oltre ad esso compare un ulteriore fabbricato che come detto, considerata la descrizione delle visite pastorali, potrebbe essere attribuito all’Oratorio del SS. Sacramento. Riassumendo si può ipotizzare vi fossero la canonica nuova, casa Pertutti e l’oratorio, rimanendo incerta la loro precisa collocazione. Della frazione fa parte anche il Cimitero, di pregio storico-architettonico, non riportato nel Catasto Toscano in quanto realizzato a seguito delle riforme napoleoniche. Già recuperato nel 1989 dalla Cooperativa culturale “Re Medello” nell’ambito dell’iniziativa Le tracce del silenzio, che dal 1988 tendeva a sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo il grave abbandono dei nuclei rurali e di tutti quei segni lasciati dall’uomo sul territorio nel corso dei secoli, è stato ulteriormente restaurato nell’ambito del “Piano di Azione Ambientale per un futuro sostenibile 2008/10” da Regione Emilia-Romagna, Provincia FC e Parco Nazionale Foreste Casentinesi (come da targhetta ivi applicata). Non lontano dal cimitero si trova il Mulino di Pietrapazza, situato in sx idrografica del Bidente poco oltre il lato Ovest del ponte. Il fabbricato, proprietà ex A.R.F., è noto anche come Molino di Cà del Conte Milanesiin considerazione che era nella esclusiva disponibilità degli abitanti di quell’insediamento, tra cui i Milanesiutilizzato già nel corso dell'Ottocento solo come abitazione è stato abbandonato nel 1950.

N.B. - Informazioni preziose riguardo luoghi e fabbricati si hanno grazie ai rapporti delle visite pastorali o apostoliche. La visita, che veniva effettuata dal vescovo o suo rappresentante, era una prassi della Chiesa antica e medievale riportata in auge dal Concilio di Trento che ne stabilì la cadenza annuale o biennale, che tuttavia fu raramente rispettata. La definizione di apostolica può essere impropria in quanto derivante dalla peculiarità di sede papale della diocesi di Roma, alla cui organizzazione era predisposta una specifica Congregazione della visita apostolica. Scopo della visita pastorale è quello di ispezione e di rilievo di eventuali abusi. I verbali delle visite, cui era chiamata a partecipare anche la popolazione e che avvenivano secondo specifiche modalità di preparazione e svolgimento che prevedevano l'esame dei luoghi sacri, degli oggetti e degli arredi destinati al culto (vasi, arredi, reliquie, altari), sono conservati negli archivi diocesani; da essi derivano documentate informazioni spesso fondamentali per conoscere l’esistenza nell’antichità degli edifici sacri, per assegnare una datazione certa alle diverse fasi delle loro strutture oltre che per averne una descrizione a volte abbastanza accurata.

- L’Appennino romagnolo era caratterizzato fino a metà del XX secolo (superata in qualche caso per un paio di decenni) da una capillare e diffusa presenza di mulini ad acqua, secondo un sistema socio-economico legato ai mulini e, da secoli, radicato nel territorio del Capitanato della Val di Bagno. Intorno al Cinquecento ognuno dei 12 comuni del Capitanato disponeva di almeno un mulino comunitativo la cui conduzione veniva annualmente sottoposta a gara pubblica a favore del migliore offerente. Nell’alta valle del Bidente di Pietrapazza il Comune di Poggio alla Lastra possedeva tre mulini, il Mulino di Pontevecchio, il Mulino delle Cortine e il Mulino delle Graticce; a quell’epoca nell’area si registrano assegnazioni per 230 bolognini. La manutenzione poteva essere a carico del comune o del mugnaio. Alla fine del Settecento l’attività riformatrice leopoldina eliminò il regime di monopolio comunitativo introducendo la possibilità per i privati di costruire altri mulini in concorrenza produttiva, cui seguì un progressivo disinteresse comunale con riduzione dell’affitto annuale dei mulini pubblici fino alla loro privatizzazione. Nell’Ottocento, con la diffusione dell’agricoltura fino alle più profonde aree di montagna, vi fu ovunque una notevole proliferazione di opifici tanto che, ai primi decenni del Novecento, si potevano contare undici mulini dislocati lungo il Bidente di Pietrapazza e i suoi affluenti. Dagli anni ’30, la crisi del sistema socio-economico agro-forestale ebbe come conseguenza l’esodo dai poderi e il progressivo abbandono dell’attività molitoria e delle relative costruzioni.

- «La parola bidente, due denti, sta ad indicare lo strumento agricolo a forma di zappa con due denti; ma anche l’animale, di solito pecora, che è alla seconda dentizione, cioè di due anni: generalmente esso veniva ucciso nei sacrifici più comuni dei romani (latino, bidens, bidentis). L’attribuzione di questo termine all’alto corso del fiume risulta però problematica. Alle ipotesi più conosciute si può, con più attendibilità, aggiungere quella che vede la parola bidente derivare dalla caduta della vocale iniziale di obbediente, come risulta chiaramente dai documenti relativi alla Romagna Toscana dei secoli XVI-XVII, dove l’alto corso del fiume viene detto per l’appunto “Obbediente”.» (AA. VV., 1984, pp. 27, 28, cit.).   Ma è «Seducente riportare gli idronomi Bedesis, Bidens […] Bedes ad alterazione dell’età volg. di una radice celtica, bedo/bede/bidi = canale, biàlera dei mulini […]» (A. Polloni, 1966-2004, p. 42, cit.).

- Pietrapazza: «1595 – Mons. Peruzzi l’8 agosto […] andò alla chiesa di S. Eufemia delle Graticce, detta di Prete pazzo (Pietrapazza).» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 299, cit.).«La muntâgna la è bëla da vdē. […] La montagna è bella solo a vedersi, detta un proverbio romagnolo […], mentre è brutta per chi la vive e chi la pratica, testimoniano tanti toponimi peggiorativi […] Brutta perché è povera […] Tanto povera da tenere lontani perfino i ministri della Chiesa, come narra la storia del toponimo Pietrapazza […] derivato da Prete Pazzo […]» (E. Casali, 2001, p. 405, cit.). Ma anche «[…] come l’ital. strapazzo e pazzo < [= deriva da, ndr] lat. patiens, (anche, sterile, aspra non buona).» (A. Polloni, 1966-2004, p. 235, cit.).

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Percorso/distanze :

Testo di Bruno Roba - Se Pietrapazza è facilmente raggiungibile dalla S.F. Poggio alla Lastra-Pietrapazza, sterrata transitabile di circa 10 km, per inoltrarsi all’interno è però interessante raggiungere la valle anche tramite la sentieristica crinalizia attraversando i valichi montani e ricalcando tragitti di antica percorrenza. Il cimitero, il ponte ed il mulino si trovano ad ovest della chiesa percorsi 150-200 m del Sent. 221 CAI.

foto/descrizione :

Le foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell'autore
Nota - Per visualizzare le foto nel loro formato originale salvarle sul proprio computer, oppure se il browser lo consente tasto destro sulla foto e Apri immagine in un'altra scheda

001a - Schema del Sistema orografico delle Valli del Bidente, racchiuso tra due lunghi contrafforti principali e suddiviso da brevi contrafforti secondari (segnalati da asterisco giallo).

 

001b – Schema delle cinque Valli del Bidente; in evidenza la delimitazione dei crinali ed il reticolo idrografico.

 

001c – Schema identificativo toponomastico essenziale del reticolo idrografico e degli insediamenti della Valle del Bidente di Pietrapazza.

 

001d – Mappa schematica insediativa dedotta da cartografia storica riproducente l’infrastrutturazione viaria della Valle del Bidente a Nord di Pietrapazza ancora costituita sostanzialmente dal tracciato delle antiche mulattiere.

001e - Schema cartografico da mappa del XIX sec. che, nella sua essenzialità, evidenziava esclusivamente i tracciati viari di crinale che da S.Sofia raggiungevano lo Spartiacque Appenninico, il tracciato di fondovalle S.Sofia-Poggio alla Lastra che poi si riconnetteva al tracciato di crinale ed il tracciato trasversale che collegava i Passi della Bertesca e di Monte Càrpano transitando da Pietrapazza. La toponomastica riprende, anche nella grafica, quella originale; integrazioni in neretto a fini orientativi.

001f – Schema del sistema viario storico principale al XIX secolo, che nella prima metà del XX secolo venne integrato con il sistema delle mulattiere, su base cartografica dei primi decenni del XX secolo, prima della realizzazione dell’invaso di Ridràcoli e della viabilità provinciale interna.  

002a –Dalla Burraia, tra la fitta sequenza di crinali anche in occasione delle brume mattutine si possono riconoscere quelli noti; in particolare davanti allo sky-line dei Monti Còmero e Fumaiolo si individua bene il caratteristico profilo dei Monti “gemelli” Castelluccio e Càrpano, sul contrafforte che delimita la valle ad Est (22/12/11).

 

002b – Dal Monte Piano mentre in lontananza si ha una delle più ampie viste possibili dell’intero spartiacque appenninico, in particolare si fronteggia la sequenza di due dorsali che delimitano la Valle di Pietrapazza: in 2° p. il contrafforte che si stacca da Poggio allo Spillo e in 1° p. il crinale che si distacca dal Monte Castelluccio (1/01/12).

 

002c – 002d – 002e – Dal Crinale o Raggio del Finocchio, che staccandosi dal contrafforte principale tra Cima del Termine e il Poggiaccio si proietta nella Valle di Pietrapazza, si ha la vista più frontale e ravvicinata della testata della valle, con le emergenze di Monte Cucco e Poggio Rovino (12/07/16).

 

002f – 002g – 002h – 002i – Dal belvedere del Monte Càrpano il panorama, che abbraccia gran parte dello spartiacque appenninico mentre scompare verso SE, esalta la centralità del complesso morfologico di Cima del Termine anche nel dividere i due differenti complessi vallivi del Savio e del Bidente tramite il contrafforte principale che vi si distacca proiettandosi verso l’osservatore (3/10/11 - 27/11/11 – 1/01/12).

 

003a – 003b – 003c – 003d - Dal Poggiaccio si ha una vista laterale della testata della valle, in particolare sulla sequenza Monte Cucco-Poggio Rovino-Passo della Crocina-Poggio allo Spillo, e una vista più frontale del contrafforte secondario da Poggio allo Spillo fino ai Monti La Rocca e Marino. Anche dalla Colla dei Ripiani alle pendici del Monte Castelluccio, si ha una similare vista frontale ma alla scenografia si aggiungono (in 1° p.) la dorsale del Monte Càrpano con l’incisione del Fosso del Lastricheto e il profilo lontano della Giogana. Da una quota più elevata sul Castelluccio spicca l’incisione del Lastricheto fin quasi il suo termine (3/10/11 – 18/10/11 – 1/01/12).

 

003e – 003f – 003g - Dal Monte Piano e dalla sella del contrafforte alla testata del Rio Salso si nota l’ultimo tratto della dorsale che congiunge il Monte Castelluccio al Monte Casaccia (al centro delle foto) e poi digrada verso il fondovalle del Bidente, così costituendo elemento geomorfologico che consente di collocare una separazione tra le valli di Pietrapazza e di Strabatenza. Il fabbricato è Valcitura (1/01/12).

 

004a – 004b – 004c – Dal tratto del contrafforte secondario compreso tra la sella del Paretaio e Monte Moricciona si distaccano diverse dorsali proiettate verso il fondovalle e convergenti verso il suo sbocco: ponendosi sul contrafforte stesso, presso Casanova dell’Alpe o percorrendo la Mulattiera di Casanova il panorama offre allo sguardo, oltre l’incisione dei Fossi del Trogo, Fiurle e Palaino suoi affluenti, l’intero sviluppo della dorsale che si dirama presso il Paretaio alle spalle di Siepe dell’Orso e che presenta al suo centro il Monte Roncacci (non particolarmente emergente, nella 1^ foto si può individuare al centro in allineamento prospettico con il M. Carpano), mentre dalla mulattiera se ne vede la parte terminale. Spostandosi su detto crinale del Roncacci, oltre l’incisione dei Fossi dei Poderini e del Vallone, si vede il rigoglioso versante settentrionale di quella dorsale proiettata su Pietrapazza che sull’altro lato ospita, tra vaste aree denudate ed erose (le “biancane”), gli insediamenti di Abetaccia, Rignone e Casetta. Nel fondovalle si scorge il tratto della rotabile dopo Cà di Pasquino su cui incombe la dorsale del Monte Càrpano (27/06/12 – 5/10/16 - 12/10/16).

 

004d – Tra la fitta vegetazione arborea di Cima del Termine si apre uno scorcio sulla Valle di Pietrapazza ed oltre, coronata dalla parte terminale del contrafforte secondario con i Monti Marino e Pezzoli fino a Poggio Busca, che precede e nasconde il Carnovaletto. In 1° p. sulla dx tra i rami si scorge uno dei liscioni nudi del Monte Càrpano che guida lo sguardo sul sito di Pietrapazza; più oltre l’effetto prospettico deforma il crinale con i Monti Casaccia e Riccio che delimita lo sbocco della valle a Pian del Ponte (al centro della foto) (3/10/11).

 

004e – Un altro scorcio verso Nord si apre tra la vegetazione del citato Raggio del Finocchio che consente di notare la sezione a “V” della Valle del Bidente poco oltre Pietrapazza con gli insediamenti di Cà dei Conti e Cà di Pasquino (1/09/16).

 

004f – 004g – Dal versante sx del fondovalle, prima di oltrepassare il Bidente sul Ponte Bottega e giungere a Pian del Ponte, si transita dal Molino delle Cortine e dai prati-pascoli di Pomina fronteggiando l’opposto crinale con il Monte Casaccia che consente di localizzare una cesura con la valle di Strabatenza (12/10/16).

 

005a – 005b – 005c – 005d - Il moderno Ponte del Faggio, fitonimo dovuto alla singolare presenza per il luogo di un esemplare arboreo di quella specie, è da considerare l’ultimo della Valle del Bidente di Strabatenza, mentre presso il Ponte Bottega, sorvegliato dalla Casina del Ponte, per essere all’incrocio con la Mulattiera di Ridràcoli (ancora) sussistono due cippi stradali con le antiche denominazioni Mulattiera del Bidente e Mulattiera di Casanova (12/10/16).

 

005e – 005f – 005g – 005h – L’unico tratto ben conservato della Mulattiera del Bidente si trova presso Cetoraio, forse perché adiacente ad un edificio ancora utilizzato ed ottimamente restaurato che ancora conserva la distanza km 0,610 fino a Campo di Sopra, ma se si cerca la sua prosecuzione nell’altra direzione si rimane presto delusi (29/10/16).

 

006 – Presso Campo di Sopra la muraglia di un terrazzamento ancora resiste all’abbandono segnalando il tracciato della mulattiera (29/10/16).

 

007a – 007b – Da Frassine verso Pietrapazza la boscaglia non ha ricoperto del tutto l’antica sede viaria ma è scomparsa qualsiasi traccia di innesto sulla rotabile (4/11/16).

 

008a – 008b – 008c – 008d – La Mulattiera del Bidente, proseguendo verso Pietrapazza, si inerpicava a mezzacosta per risalire una affilata cresta sul cui bordo sorse Cà di Michelone, che veniva aggirata dalla via; per quanto ben disegnato nella cartografia moderna, mentre parte del tracciato è ancora conservato l’innesto sulla rotabile va cercato con attenzione (Coordinate WGS84: 43° 51’ 14” N / 11° 53’ 59” E) (4/11/16).

 

008e – 008f – La Maestà del Felcitino o del colera, che ricorda dove si fermò l’epidemia del XVIII secolo, forse ancora nel sito di origine presso il Bidente (Coordinate WGS84: 43° 50’ 56” N / 11° 53’ 51” E) si riesce a trovare subito sotto la rotabile grazie a un piccolo segnale (Coordinate WGS84: 43° 50’ 55” N / 11° 53’ 52” E). Posta sotto Cà di Pasquino lungo la rotabile, anche la Maestà Milanesi dovrebbe trovarsi nel sito originario considerato che qui vi è sostanziale corrispondenza con l’antica mulattiera (12/08/16).

 

008g/008m – Il ponte sul Bidente sotto Cà di Pasquino, pur essendo completamente abbandonato e pericolante, mostra ancora le codificate caratteristiche costruttive di una struttura in legno su spalle in pietra poggianti su un tratto dell’alveo particolarmente idoneo (12/08/16 – 5/10/16).

 

008n – 008o – 008p – 008q - Il ponte sotto Cà di Pasquino recava alla mulattiera per Cà dei Maestri e il Monte Roncacci, che superava il Fosso di Cà dei Maestri su un ponticello costituito da una sola trave senza parapetto poggiata su spalle in pietra, praticamente un passaggio per equilibristi da utilizzare in caso di piena che, pur “piegata e spezzata”, ancora si trova in loco ormai rientrando tra i tanti “reperti archeologici” dell’area destinati alla consunzione, come il tratto superiore della stessa mulattiera di cui all’ultima foto (5/10/16 – 4/11/16).

 

009a – 009b – 009c – 009d – Sprofondato nel fondovalle, l’insediamento di Pietrapazza del XX secolo evidenzia comunque una posizione baricentrica nell’assetto geomorfologico circostante (18/10/11 – 17/09/12 – 12/07/16).

 

009e – 009f - Dal Crinale o Raggio del Finocchio, vedute della valle che oltre Pietrapazza si restringe sovrastata dal Crinale delle Graticce (19/04/18).

009g/009l – Dal Crinale delle Graticce a monte del Pianaccio, panoramica e vedute che evidenziano la perfetta morfologia piramidale del picco di Pietrapazza, con particolare della chiesa (23/03/22).

010a – L’approssimarsi alla meta giungendo a Pietrapazza, tramite la Mulattiera di Pietrapazza da Casanova dell’Alpe via Paretaio, rassicurava il viandante grazie all’emergenza della Chiesa di S. Eufemia, ma ricostruita nel fondovalle solo dai primi decenni del secolo scorso (18/10/11).

 

010b/010o – La Chiesa di S. Eufemia alle Graticce detta di Pietrapazza e la Canonica sono gli unici edifici rimasti in quanto conservati e saltuariamente utilizzati; la fine opera di uno scalpellino artista probabilmente è stata rimossa (18/10/11 - 9/05/13 –12/07/16 - 12/08/16 - 26/08/16).

 

010p – 010q – 010r - Tra gli edifici scomparsi rientra il c.d. “capanno della vecchia Chiesa”, che si trovava in cima al poggetto adiacente quella nuova e che si raggiungeva tramite una rampa costruita integrando l’inclinazione naturale della stratificazione arenacea emergente con un bordo in grossi blocchi lapidei ed una massicciata di riempimento, elementi questi asportati dal dilavamento o volontariamente. Il capanno è documentato con la citata didascalia grazie ad una foto del 1938 (v. AA.VV., 1989, copertina e p.2, cit.) dove si intravede in alto con la nuova chiesa in primo piano, da cui il particolare neografico. Sul luogo della vecchia chiesa è documentata anche la presenza di un Oratorio dei Mangarini, poi Gabutti.

 

010s – 010t - Un altro edificio scomparso (si legge in seguito ad una frana) è documentato in un’altra foto del 1937 (da cui il particolare neografico) con la didascalia “osteria di Felice Pertutti” (v. AA.VV., 1989, p. 47, cit.) ricavata nel fabbricato posto oltre la canonica ed abitato dalla famiglia dell’oste. Osservando l’originale di tale ripresa fotografica si comprende che è stata effettuata dall’ampia rampa che saliva alla vecchia chiesa ancora integra, infatti si vede bene in 1° p. sulla dx il suo bordo in grossi blocchi lapidei e sulla sx la lastra di roccia inclinata; la rampa si interrompe con uno sbalzo davanti allo scavo della nuova chiesa, che già presenta le mura di fondazione, oltre cui si ergono i fabbricati riportati anche nella neografia. Dal confronto tra la planimetria catastale del 1826-34, la situazione odierna e la foto originale pare di poter individuare gli edifici del catasto antico come dal successivo schema di mappa.

 

011a/011m – Il cimitero, che non compare nella mappa antica in quanto conseguente alle riforme sanitarie napoleoniche, è stato ottimamente restaurato nel 2012-13; le foto sono sia precedenti sia successive al restauro (18/10/11 - 9/05/13 – 9/05/16).

 

012a/012p – Le lapidi antiche sono state restaurate e/o ricollocate nell’ambito del restauro del cimitero (9/05/13).

 

013a/013e – Il piazzale con il sagrato antistante il nucleo di Pietrapazza si affaccia sull’ansa quasi circolare del Rio d’Olmo, dove si è appena aggiunto il Graticce, che mostra profondi e contorti meandri dovuti all’azione erosiva esercitata dalle confluenze torrentizie concentrate in un’area limitata su stratificazioni marnoso-arenacee di varia giacenza (18/10/11 - 12/08/16).

 

014a/014l – Poco oltre dette tortuose anse il Rio d’Olmo confluisce nel Bidente che brevemente assume un andamento più rettilineo in uno scenario comunque suggestivo per le corrugazioni stratiformi del largo alveo cui contribuisce la presenza del ponte in pietra di fine ‘800 (18/10/11 - 9/05/13).

 

015a – Accanto al ponte la vegetazione cerca di occultare la presenza dei resti del Mulino Milanesi (17/02/16).

 

016a – 016b – 016c – Sul lato opposto rispetto a Pietrapazza un altro suggestivo ma più piccolo ponte della stessa epoca supera il Fosso delle Graticce poco prima della confluenza nel Rio d’Olmo. Due foto sono di poco successive al restauro (03/10/12 – 12/07/16).

 

017a – 017b – 017c – Risalendo il Bidente, all’altezza di Campo alla Sega l’alveo assume una caratteristica sezione che pare lo scafo di un’imbarcazione, infatti detto “a battello”; le altre foto riguardano successivi tratti verso Pietrapazza (1/09/16).

 

017d/017g – L’alveo del Fosso di Rio d’Olmo a monte del Ponte delle Graticce mostra stratificazioni più sottili e frammentate; nei pressi è superato da una passerella in legno e travatura in ferro (ormai precaria, 2016) che sostituisce un ponte con una struttura che appare principalmente in pietra ed un tratto in legno ancora documentata negli scorsi anni ’80, come da neografia pittorica (3/10/12 – 12/7/16).

 

017h/017n – Il ponte sul Rio d’Olmo permette di collegare Pietrapazza con la Ciardella e l’Eremo Nuovo tramite una mulattiera realizzata sfruttando le stratificazioni dell’affilata cresta del Raggio del Finocchio, dove si può sostare dinanzi alla Maestà del Raggio, che voltando le spalle a Pietrapazza come in un selfie consente di abbracciare entrambe in un unico sguardo (18/10/11 - 12/08/16).

 

017o/017r – Nel fondovalle prima dell’Eremo Nuovo il Bidente viene superato dal Ponte della Chiesina, in legno ad una campata su pile in pietrame ed eseguito secondo la consolidata tecnica costruttiva (3/10/12).

 

018a/018e – Dal sito dell’Eremo Nuovo, ovvio baricentro e crocevia dell’area, mentre una pista risale verso la Bertesca si notano i ruderi del primitivo Eremo/Poderuccio dinanzi i quali passa l’antico tracciato che scendeva al fiume, dove si trovano notevoli resti del Ponte dell’Eremo, per risalire verso le Rivolte di Bagno e proseguire transitando da Campo del Rosso. Dal Crinale o Raggio del Finocchio si domina la valle mentre il Bidente si insinua verso le imponenti vette del Monte Cucco e di Poggio Rovino indicando la direzione per giungere al Ponte dell’Eremo tramite la deviazione che discende verso il fiume transitando davanti ai ruderi del primitivo Eremo, oggi più noti come Poderuccio. Lo schema di mappa dedotto da cartografia del 1937 evidenzia le emergenze dell’area (24/08/11 - 3/10/12 – 1/09/16 - 12/07/16).

 

018g/018m – Un’evidente traccia in pochi minuti scende verso il Bidente ma non è il caso di attraversarlo sul Ponte dell’Eremo, infatti delle tre travi affiancate che probabilmente lo componevano apparentemente ne resiste ancora una, mentre non mostrano particolare usura le forti spalle in pietra. Volendo proseguire verso Prato ai Grilli, al guado si può trovare forte afflusso idrico (19/02/17).

 

018n – 018o – 018p – A monte del ponte il Bidente ha un naturale spazio dove allargarsi in caso di piena (cassa di espansione !!!), apparendo più quieto (19/02/17).

 

019a/019g - Oltre l’Eremo Nuovo un antico percorso detto Via di Rovino risaliva fondovalle (pare di scorgerne evidenti tracce - foto c) verso lo spartiacque appenninico in adiacenza all’omonimo fosso (foto b), proseguendo si trova il Fosso delle Ranocchie con in 1° p. il Bidente (foto d-e) poi si vede lo stesso Bidente proseguire il corso verso la sua origine mentre si accentua il dislivello rispetto al Fosso dei Segoni (foto f-g) (19/02/17).

019h/019p – Un altro antico percorso dall’Eremo (v. pista della foto 018a) si dirigeva verso il Passo della Crocina (già Crocina di Bagno o Croce di Guagno) ricongiungendosi con la Via Maestra che vien dall’Eremo attraverso il crinale della Bertesca: tale toponomastica (v. anche foto 019a/019g) si ritrova nei documenti conservati nell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze e in una mappa del 1637 (v. particolari a-h) allegata ad una relazione del 1710 del provveditore dell’Opera (riproduzioni integrali della mappa si trovano in A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, a colori, in A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.).

 

020a/020g – La Mulattiera di Casanova ancora ha un capo presso il già visto Ponte Bottega, come indicato da cippo stradale, supera il Fosso di Palaino con un ponticello e transita da Pomina, Cà di Pomo e il Molino delle Cortine (dove eventualmente un altro ponte in origine dalla stessa consolidata tecnica costruttiva integrata da travi in ferro consente di ritornare sull’altro versante), quindi decisamente risale tagliando stratificazioni in forte erosione che pregiudicano il transito, sosta davanti alla Maestà del Trogo, per giungere a Casanova dove un altro cippo stradale avvisa dell’altro capo (12/10/16 – 27/09/16 - 29/10/16)

 

020h/020p – A Casanova dell’Alpe si trova anche un capo della Mulattiera di Pietrapazza, come indicato da un altro cippo stradale; sul cantone facciale della chiesa si legge inoltre l’incisione km 12 … (,358) relativa alla distanza da Bagno di Romagna. Il tracciato, oggi modificato dalla moderna rotabile, correva sul crinale verso Croce di Romiceto prima del quale la traccia residua sosta dinanzi alla Maestà di Valdora. Alla sella del Paretaio, anch’essa profondamente scavata da un tratto di rotabile, decisamente la mulattiera ritrova il vecchio tracciato entrando nella Valle di Pietrapazza e toccando Siepe dell’Orso, Abetaccia, Rignone, Casetta e giungendo a Pietrapazza, come già visto nella foto 10a, dove i due ponti sul Bidente e sul Fosso delle Graticce, di cui alle foto delle serie 14 e 16, consentono di risalire sul versante opposto, sostando dinanzi alla Maestà della Casaccia per interrompersi poco dopo Rio d’Olmo (quello più antico) da cui si inerpicava puntando verso la vetta del Càrpano fino a quota 975 m dove guadava il Fosso della Capra voltando verso SE fino alla Colla di Càrpano e, raggiunto il cippo stradale che segnala l’altro capo, ridiscendeva verso Bagno (27/11/11 – 19/07/16 - 12/08/16).

 

020r – Schema cartografico dell’area tra Pietrapazza e il Monte Càrpano dove è riportata la viabilità storica principale e sono evidenziate la Strada che da Pietrapazza va a Bagno, la Strada detta della Lastra che va a Monte Carpano e la Mulattiera Bagno-Pietrapazza-Ridràcoli.

 

021a/021f – Il tratto del contrafforte principale fino al Monte Piano visto da varie angolazioni. Di seguito: il Monte Càrpano visto dalla sua Colla, i Monti Castelluccio e Piano visti dal Monte Penna come emergono oltre il crinale della Bertesca; i Monti Càrpano, Castelluccio e Piano prospetticamente sovrapposti con la dorsale fino al Monte Cocleto in un difficoltoso scorcio visuale tra gli alberi di Cima del Termine, così come il successivo particolare del liscione nudo del Càrpano; dalla vetta del Castelluccio scorcio del suo liscione nudo; infine dai pressi del bivio tra la S.F. del Cancellino con la rotabile per la Bertesca scorcio delle dorsali di Càrpano e Castelluccio con i liscioni nudi di cui alle precedenti foto (7/02/11 – 3/10/11 - 27/11/11 – 17/09/12).

 

021g/021m – Dal tratto più elevato del contrafforte principale si staccano due imponenti dorsali che attraversano la valle piegandosi a convergere verso Pietrapazza, una dal Càrpano e una da Cima del Termine, che dividono i corsi del Bidente e del Rio d’Olmo, così come si vedono dalla Mulattiera di Pietrapazza presso Rignone. La dorsale che si stacca tra Cima del Termine e il Poggiaccio si può identificare come il Crinale o Raggio del Finocchio; la vista della 021h è dalla rotabile Nocicchio-Pietrapazza (9/05/13 – 12/07/16).

 

021n – 021o – 021p – Dal Crinale del Finocchio e dal Poggiaccio, scorci sulla parte più elevata della Valle del Bidente dall’Eremo Nuovo a Poggio Rovino attraversata dalle antiche Via del Rovino e Via Maestra che vien dall’Eremo di cui alle precedenti 19f-19g (9/05/13 – 12/07/16 – 12/08/16).

 

021q – 021r – I daini sono rimasti gli unici frequentatori dei prati della Bertesca (17/09/12).

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