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Sasso Fratino

inserita da Bruno Roba
Tipo : bosco/area naturale
Altezza mt. : 1200
Coordinate WGS84: 43 50' 41" N , 11 47' 41" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

Testo di Bruno Roba (20/06/17 – Agg. 19/03/21)

Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto appenninico spartiacque compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine; in quell’ambito si staccano due contrafforti secondari e vari crinali e controcrinali minori delimitanti le singole vallecole del bacino idrografico.

In particolare, la Valle del Fiume Bidente di Ridràcoli riguarda quel ramo intermedio del Bidente delimitato, ad Ovest, dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si distacca da Poggio Scali e che subito precipita ripidissimo disegnando la sella di Pian del Pero, serpeggiante evidenzia una sequenza di rilievi (i Poggi della Serra e Capannina, l’Altopiano di S.Paolo in Alpe, Poggio Squilla, Ronco dei Preti e Poggio Collina, per terminare con Poggio Castellina) fino a digradare presso il ponte sul Fiume Bidente di Corniolo a monte di Isola, costretto dalla confluenza del Fiume Bidente di Ridràcoli. Ad Est la valle è delimitata dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si diparte da Poggio allo Spillo (collegando Poggio della Bertesca, Croce di Romiceto, i Monti Moricciona, La Rocca, Marino, Pezzoli e Carnovaletto) per concludersi con il promontorio della Rondinaia digradando a valle di Isola costretto dalla confluenza del Fiume Bidentino o Torrente Bidente di Fiumicino nel Fiume Bidente. La Rondinaia è nota per il castello con la sua torre «[…] baluardo di antica potenza, elevato fin dai tempi romani alla difesa contro le orde barbariche che dal nord d’Europa scendevano a depredare le belle contrade d’Italia.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 274).

Il bacino idrografico, di ampiezza molto superiore rispetto alle valli collaterali e che vede il lago occupare una posizione baricentrica con l’asta principale fluvio/lacustre f.so Lama/invaso/fiume posizionata su un asse mediano Nord-Sud, mostra una morfologia molto differenziata rispetto al suo baricentro. L’area sorgentifera, con la realizzazione dell’invaso artificiale, si differenzia tra quella che lo alimenta e quella a valle della diga che alimenta direttamente il fiume. A monte l’area imbrifera si amplia estendendosi da Poggio Scali fino al Passo della Crocina mostrando, specie nella parte a ridosso delle maggiori quote dello Spartiacque Appenninico (la c.d. bastionata di Campigna-Mandrioli), fortissime pendenze modellate dall’erosione con formazione di profondi fossi e canaloni fortemente accidentati, talvolta con roccia affiorante, come le Ripe di Pian Tombesi, le Ripe della Porta, le Ripe di Scali e il Canale o Canalone del Pentolino, oltre che il distacco dello spessore detritico superficiale, con conseguente crollo dei banchi arenacei e lacerazione della copertura forestale, come la Frana Vecchia, 1950, e la Frana Nuova, 1983-1993, sempre attiva, di Sasso Fratino. Il tratto di contrafforte che, come detto, si stacca da Poggio Scali, trova una serie di picchi e rilievi tra cui emerge subito Poggio della Serra, quindi il Monte Grosso e l’Altopiano di S. Paolo in Alpe, in corrispondenza del quale comincia un’ampia rotazione, che volge al termine dopo aver superato Ronco dei Preti, quando precede una netta controcurva così riprendendo l’orientamento principale verso il suo termine. Detti rilievi costituiscono nodo montano da cui si diramano ulteriori dorsali di vario sviluppo e consistenza geomorfologica che delimitano il sistema vallivo del versante orientale del bacino idrografico di Ridràcoli.

Come accennato, da Poggio Scali si stacca la caratteristica sella “a corda molla” di Pian del Pero che costituisce il primo tratto del contrafforte secondario fino allo snodo di Poggio della Serra. Da questo poggio si dirama un’affilata dorsale secondaria, con preciso orientamento O/E fino al Poggio di Campominacci, dividente l’ampio e assolato bacino del Fosso del Ciriegiolone da quello profondo e ristretto del Fosso delle Macine, che poi diviene di Campo alla Sega una volta raccolti i contributi giungenti dall’alto versante appenninico. Per la precisione in base all’uso locale, alla C.T.R. regionale e alle mappe dell’A.S.F.D., il Fosso delle Macine ha origine da Poggio della Serra e costituisce il tratto montano del Fosso di Campo alla Sega, già del Campo alla Sega o di Campo Minacci, che ha esatta origine dalla confluenza del suo tratto montano con il Fosso di Sasso Fratino (nelle mappe I.G.M. detto Fosso delle Macine e così pure, con ripetizione, nella C.T.R. regionale) o, nel tratto finale della Motta e nel tratto alto di Sasso Fartino (con evidente traslitterazione), come da Catasto Toscano del 1826-34, alimentato a sua volta dalla ramificazione generata dall’anfiteatro del nucleo storico della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, tra cui il Fosso dell’Acqua Fredda o dell’Asticciola o della Sega de Butteri, come da Catasto Toscano del 1826-34 «I torrenti principali che attraversano la Riserva sono (da Ovest a Est): Sottobacino Bidente di Ridracoli – Fosso delle Macine, che costituisce la porzione alta del F.di Campo alla Sega […] Fosso di Sasso Fratino, affluente di destra del F. d. Macine – Fosso di Campo alla Sega, derivato dalla confluenza del F. d. Macine e del F. d. Sasso Fratino […]» (A. Bottacci, 2009, p. 23, cit.). In una mappa dei possedimenti dell’Opera di S. Maria del Fiore (Duomo di Firenze) del 1637 il Fosso dell’Asticciola appare il più rilevante dell’area montana occidentale.

Sasso Fratino è il toponimo (catastalmente individuato) di una porzione della Foresta della Lama ricadente nel settore N di quell’area che ha costituito il nucleo originario della Riserva Naturale Integrale, inizialmente composta da 45 ettari oltre ulteriori 65 di area-tampone, per quanto attiene alla vegetazione definita foresta originaria (conservante la struttura delle associazioni vegetali risalenti alle “origini”, ovvero al tempo delle antiche civiltà mediterranee). «La zona della riserva in Comune di Bagno di Romagna, comprendente il territorio classificato in più atti dal 1959 al 1972, è senza dubbio la più interessante. Appartiene a questa zona l’anfiteatro di Sasso Fratino, che fronteggia la collina e l’antica casa di Campominacci […]. Da mille anni (forse da tremila) questa foresta appare da lontano con l’aspetto di oggi: soltanto le future generazioni sapranno nei prossimi secoli, se il nuovo microclima indotto dal bacino artificiale di Ridracoli avrà portato variazioni tali da trasformare profondamente questa preziosa testimonianza delle foreste originarie.» (P. Bronchi, 1985, pp. 66, 67, cit.). Per la precisione il sito catastale è situato su una ripida pendice posta nei pressi della confluenza tra il Fosso dell’Acqua Fredda e l’omonimo Fosso di Sasso Fratino, ad una quota compresa tra 1100-1300 metri. La morfologia dell’anfiteatro di Sasso Fratino è caratterizzata (con evidenza panoramica) dalle dorsali che lo abbracciano rispettivamente distaccandosi una da Poggio Scali con le sue Ripe verso Levante, l’altra dallo Spartiacque Appenninico all’altezza di Poggio Porcareccio, questa piegante decisa verso Settentrione fino alla Posticcia di Matteino, guidata dall’ampia curva della netta incisione valliva del Fosso della Fonte del Porcareccio, quindi, dalla biforcazione crinalizia che segue al Poggio di Sciagano (antico oronimo), digradante repentinamente trovando come toponimo identificativo il sito detto La Bruciata. È caratterizzato inoltre dalle evidenti incisioni delle due citate frane storiche: la Frana Vecchia, risalente al 1950 circa, staccatasi da quota 1350 m dalla dorsale che precipita da Poggio Scali, rimanendo esterna all’anfiteatro; la Frana Nuova, in continua evoluzione dal 1983, che interessa la parte alta del Fosso dell’Acqua Fredda trovandosi nella zona centrale dell’anfiteatro vallivo. All’interno dell’anfiteatro, che vede la presenza sporadica di relitti di grandi piante secche in piedi o giacenti e in marcescenza, nelle quote superiori domina il Faggio, scarse sono le presenze dell’Acero montano, mentre l’Abete compare a quote inferiori, con mescolanze con diverse latifoglie determinate dall’altitudine e dalla natura del suolo.

Pochissimo antropizzata fin da epoche remote, facente parte dalla fine del XIV sec. della “Macchia dell’Opera del Duomo”, l’impraticabilità del luogo impedì i tagli forestali già da parte delle maestranze dell’Opera e solo in rarissimi casi si trovano lettere di taglio che riguardassero tale area, peraltro riferite a concessioni per l’utilizzo di pochi alberi da parte di bigonai; in merito, p.es., si possono leggere uno di seguito all’altro, come uniti in un unico brano, alcuni passi di due documenti rispettivamente del 1701 e del 1721, quando si … «[…]ordinò che le lettere dei legni d’abeto da concedere a particolari tanto per privilegio che in pagamento, si facciano negli infrascritti luoghi per maggiore conservazione di dette selve: […] Agli uomini del Comune di Ragginopoli: nell’Asticciola, nel Sasso Fratino, in Ricopri. […] // […] l’anno prossimo si potrebbero mettere nella macchia alli appresso confini, essendo tutta macchia scomoda per la trattura delle travi e lontana, con grande spesa per fare vie per la condotta. I confini: […] la motta di Sasso Fratino, la Fossa, l’Asticciola che confina con Poggio Scali quanto acqua pende verso il Campo alla Sega e Campo Minacci e sono tutti luoghi dove i conduttori non vi hanno mai tagliato per essere impraticabile per vie […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 73-74, cit.). La difficoltà di trasporto del legname per morfologia dei luoghi e/o assenza di vie di smacchio portarono nei secoli ad autorizzare la costruzione di alcuni impianti idraulici per il taglio della legna, anche a servizio dell’Opera del Duomo di Firenze, così: « […] gli artigiani fin dal 1503 impiantavano le seghe ad acqua ed i loro banchi mobili di lavorazione a lato dei fossi dell’anfiteatro di Sasso Fratino.» (P. Bronchi, 1985, pp. 66, 67, cit.). Un impianto è documentato presso il Fosso dell’Asticciola: «Si sa che nel febbraio 1444 fu concessa una sega sul fosso di Ridracoli verso Valbona […], un’altra fu concessa nel 1482 sul fiume di Ricopri […] utile a detta selva per la località e la via inaccessibile che è a circa quattro miglia […]. Una terza ancora […] sempre sul fiume di Ridracoli nel 1484, ed una quarte nello stesso anno sul fiume di Ricopri in luogo detto i Diaccioni; una quinta nel Pianazzone nel 1490 ed una sesta nel 1503 a Mariotto di Domenico da Lonnano, con tanto di edificio, per segare legni eccetto abeti e tigli sul fiume dell’Asticciola .» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 63-64, cit.). «È rilevante che in quella zona di Sasso Fratino il Mariotto non poteva segare Abete e Tiglio, legni pregiati destinati a cottimi di allestimento del legno (“allogagioni”) per conto dell’Opera.» (P. Bronchi, 1985, p. 76, cit.). Per le consistenti e difficilmente controllabili utilizzazioni che si verificarono nella foresta, nel 1561 venne predisposta la Riforma delle leggi sulle selve e delle cose a quelle attenenti che, tra l’altro, sanciva che «[…] le seghe ad acqua nella foresta non devono superare il numero di quattro […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 174, cit.). A dimostrare l’interesse per il legname di questi boschi fa fede una lunga relazione del 1652, presentata direttamente al granduca, contenente una molto precisa descrizione dei luoghi e della qualità delle piante presenti a fini economici; dagli interessanti riferimenti ai numerosi “vocaboli” che identificano i vari siti si riconosce come vi sia ricompresa anche l’area di Sasso Fratino. La relazione inizia individuando una suddivisione delle selve dell’Opera in 8 parti omogenee, tra cui si trova la descrizione della quarta, la “Macchia di Scali”: «La quarta che contiene la Macchia di Scali, la Fossa delle Macine, il Porcareccio, la Motta, l’Hasticciuola, la Fossa del Prete, il Poggio del Castagno, e gli Altari con qualche altro vocabolo. Questa parte non ci è stata mostrata dalli uomini dell’Opera che ci guidavano e ce ne siamo avveduti dopo averla tralasciata: ma ci assicuriamo che cio hanno fatto supponendo che noi gradissimo di non impiegar tempo superfluamente in visitar luoghi dove non sono e non si spera mai che siano per essere abeti buoni per legni da galere e donde quando vene fossero non si potrebbon cavare. […] per la cagion del sito da non potersene mai cavare, come […] si disse havendone i conduttori dell’opera che fanno le travi cavate con difficoltà quelle che erano di due traini che chiamano doppie.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 269, cit.). «Evidentemente anche gli anfratti selvaggi di Sasso Fratino  erano allora frequentati come tutta la foresta; infatti la Selva di Sasso Fratino era contigua alla strada da Scali per S. Paolo in Alpe e Valbona, non lontana dai “fuochi” di Campominacci e dei Botriali ed ubicata proprio sopra il lungo Campo alla Sega: quindi questa selva non era divenuta ancora una zona marginale della Foresta, se è vero che si veniva da Lonnano, villaggio vicino a Pratovecchio, oltre che da Ridracoli, per far funzionare una sega ad acqua nella zona di Sasso Fratino. […]» (P. Bronchi, 1985, p. 77, cit.). Così avveniva ancora nel XVII sec. come dimostra l’ordine del 1701 del provveditore dell’Opera per cui: «[…] le lettere dei legni d’abeto da concedere […] si facciano negli infrascritti luoghi per maggiore conservazione di dette selve: […] Agli uomini del Comune di Ragginopoli: nell’Asticciola, nel Sasso Fratino, in Ricopri.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 73, cit.). Probabilmente quello del 1701 è il primo documento dove compare il toponimo Sasso Fratino (N.B.: Ragginopoli era un antico castello di origine longobarda adiacente Lierna, nel Comune di Poppi - rimangono ruderi già trasformati ad uso rurale). I due ingegneri forestali boemi Seelan e Siemon (Siemoni) nella relazione del 1836-37 predisposta per il Granduca Leopoldo II al fine del recupero del patrimonio forestale, ancora segnalavano che l’area difficilmente accessibile di Sasso Fratino era ancora ricoperta di abeti bianchi di grandi dimensioni e vi era grande abbondanza di faggi più che maturi. Dal piano di assestamento del 1935 di Hofmann e Morelli risulta ancora confermata la naturalità del sito e la presenza di particelle con età superiori ai 140 anni, mentre ogni progetto di intervento, che pure vide la realizzazione a partire dagli anni 1935-38 fino ai ‘60 di strade forestali come quella delle Cullacce e del tratto Lama-Poggio della Seghettina, finalizzate anche al ricongiungimento a Quota ‘900 per l’utilizzo delle zone di foresta più impervie, non giunse a conclusione, infatti «[…] seguendo il piano di gestione della Foresta di Badia Prataglia […] si era arrivati con i tagli alle pendici settentrionali di Poggio Scali […]. Ma […] trovarsi […] a decidere, vedendoli uno per uno, della vita e della morte di alberi così straordinari. […] Nella difficile situazione, ho sentito troppo forte il richiamo alla conservazione di quell’irripetibile e straordinario patrimonio naturale […]. Ho deciso quindi “abusivamente” di non intervenire […]. Così nel 1959 […] si pervenne all’istituzione della riserva […]» (F. Clauser, 2016, pp. 52-55, cit.). Luoghi ancora oggi noti come Pian di Giusto e Coste del Moroni, compresi tra i rami del Fosso di Sasso Fratino, ricordano l’intensa frequentazione e le molteplici utilizzazioni fino a tempi relativamente recenti: «nel secolo passato […] inoltre anche in questo secolo, ed in specie nell’ultimo dopoguerra, queste zone hanno subito massicce asportazioni per decine di migliaia di metri cubi di legname da opera e da combustione.» (P. Bronchi, 1985, pp. 69, 70, cit.). All’atto di prima istituzione della Riserva sono state censite 126 aie carbonili, peraltro in zone maggiormente accessibili e ormai pressoché inglobate nella vegetazione (ma documenti del 1915 fanno intuire che le stesse e i corrispondenti tagli risalgono alla seconda metà dell’Ottocento, quando tale attività raggiunse l’apice); oggi si può considerare la presenza di particelle di oltre 220 anni. Un altro luogo di moderna identificazione che ricade presso il fosso è il citato Quota 900: «[…] un luogo ben preciso, ed uno forse dei più affascinanti di tutta l’area. Un pianoro ingombro di di giganteschi faggi ed abeti, contraddistinto da un caratteristico aroma d’aglio, dato da una distesa d’aglio selvatico, solcato dai ruscelli che vi confluiscono scorrendo placidamente dopo aver perso, nella calma del ripiano, la potenza e l’energia accumulata lungo il corso a strapiombo subito a monte. A Quota 900 passa il crocevia dei sentieri principali della riserva, quello che scende in picchiata da Poggio Scali e sbuca a valle alla Fonte del Maresciallo, e quello che, solcando a mezzacosta tutto il versante tra Campigna e La Lama, va da Pian del Pero alla Bucaccia.» (A. Barghi, C. D’Amico, 2010, pp. 58a, 59a, cit.). Parte del tratto di sentiero a mezzacosta nel XIX sec. era detto Strada che da Campo Ominacci va a Stia (nel Catasto moderno S. Vic.le La Scossa-Campominacci) dopo l’attraversamento del Fosso delle Macine al suo termine, esso risaliva in sx idrografica il Fosso di Sasso Fratino fino al crocevia di Quota 900 con la S. Vic.le Pian del Pero-Seghettina.

L’aspetto toponomastico dell’accostamento dei termini Sasso e Fratino, come per tutte le voci geografiche territoriali, è testimonianza esplicita dell’importanza che sito e posizione hanno esercitato nei processi di localizzazione della popolazione, laddove si trasferiscono sul territorio sentimenti, miti e leggende locali coinvolgendo direttamente lo spazio. Così i termini fisici e le voci geografiche sono in qualche modo “umanizzati” proporzionalmente alla dimensione dell’azione antropico-insediativa, cogliendo particolari aspetti, comunque legati all’orografia dei luoghi e individuando a volte caratteristiche significative di dettagli e/o di forme. Il secondo termine rappresenterebbe così una contrazione da frattino nel senso di fratto, fratturato, rotto, dirupato. Le seguenti citazioni ne sono una conferma. «La Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino sembra che debba il suo misterioso nome a una sporgenza rocciosa a forma di cappuccio di frate, individuata da qualcuno all’interno del suo territorio.» (F. Pasetto, 2008, p. 164, cit.). «L’aspetto aspro, accidentato e scosceso è l’impronta morfologica più tipica di questa porzione d’Appennino: bancate rocciose aggettanti su accumuli di ciclopici massi franati e creste affilate […] La superficie del suolo è caotica: enormi massi irregolarmente accatastati lungo il pendio, pile di strati sconnesse e chiaramente appoggiate su altre con le quali non hanno nessuna relazione stratigrafica. Questa tipica condizione del terreno, così originale e dominante, può avere suggerito il nome di Sasso Fratino: il nucleo storico della Riserva […]» (S. Olivari, Geologia e pedologia della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino in: A. Bottacci, 2009, pp. 52-53, cit). «Sasso Fratino è effettivamente un nome strano. Sul “sasso” non ci sono tante possibilità di dubbio: siamo evidentemente nel campo delle rocce, della geologia. Sul “fratino” si può essere indotti in errore. Sicuramente non c’entrano niente i frati e la religione. Piuttosto occorre restare legati al tema del sasso e cercare nel “fratino” un’aggettivazione riferibile ad un possibile stato delle rocce […]. Poco distante dall’area c’è un posto che si chiama “Fratta” ed anche questo è un luogo caratteristico geologicamente, dirupato e con frequenti crolli di blocchi […]. Poco distante dalla Fratta c’e poi un borgo chiamato Sasso … ecco dunque ricomposto il binomio […].» (A. Barghi, C. D’Amico, 2010, pp. 54a, 58a, cit.). Netti altri autori: «Deve il suo nome all’unione di due parole latine: Saxo = roccia e Frangere =rompere; che sottolineano come la morfologia di questo piccolo ma prezioso tratto di Appennino sia estremamente accidentata. […] L’area è caratterizzata infatti da forti pendenze originate dall’erosione delle marne e dal conseguente crollo dei banchi arenacei, mentre le aree relativamente pianeggianti sono estremamente ridotte in numero e superficie.» (N. Agostini, D. Alberti, eds, 2018, p. 21, cit.).

N.B.: - Dal 7 luglio 2017 le faggete vetuste del Parco Nazionale comprese nella Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino e una vasta area circostante comprendente le Riserve Biogenetiche Casentinesi e altre aree all’interno del Parco Nazionale, per un totale di circa 7.724,28 ha, fanno parte del patrimonio mondiale dell’UNESCO, andando a rappresentare uno dei più estesi complessi forestali vetusti d’Europa. Per l’Italia si tratta della prima iscrizione di un patrimonio naturale espressamente per il suo valore ecologico di rilievo globale. Approfondite indagini nell’area, che rappresenta complessivamente il sito di maggiori dimensioni tra quelli designati in Italia ed uno dei più estesi complessi forestali vetusti d’Europa, hanno portato alla scoperta di faggi vecchi di oltre 500 anni, tra i più antichi d’Europa, che fa entrare Sasso Fratino nella top ten delle foreste decidue più antiche di tutto l’Emisfero Nord. Questi faggi sono quindi coevi di Cristoforo Colombo e Leonardo da Vinci e al limite della longevità per le latifoglie decidue. Oltre al valore naturale, il faggio è una specie dall’alto valore simbolico e culturale, storicamente legata allo sviluppo dei popoli europei (l’etimologia del nome si riferisce ai frutti eduli, dal greco phagein = mangiare).

- La sega ad acqua venne inventata da Villard de Honnecourt nel sec. XIII e Leonardo da Vinci ne studiò il funzionamento nel 1480. Già metà del ‘400 sono documentate una sega ad acqua a Camaldoli (i monaci sono stati sempre all’avanguardia nella lavorazione del legno) e due artigiani specializzati a Papiano presso Stia (M. Massaini, 2015, cit.).

- Le posticce erano impianti di piantine spontanee di Abete: «[…] venivano prelevati sistematicamente e ovunque, e quindi anche nelle zone più impervie, ove si riteneva di non fare danno, piantine spontanee (selvaggioni) di Abete per far piantate (posticce) nelle tagliate […]» (P. Bronchi, 1985, p. 76, cit.). «Le operazioni colturali che l’Opera fece nelle sue selve si limitarono alle “aggirate, sterpate e posticce”. Con le prime si intendeva, di solito, l’eliminazione delle piante di faggio nel bosco misto di faggio e abete dal quale si ritraeva il massimo utile, con le seconde s’indicavano le ripuliture che venivano fatte sia nelle nuove piantagioni che nel bosco naturale nel quale oltre gli arbusti e le altre erbe ritenute infestanti, veniva eliminata la rinnovazione del faggio, con le terze, infine, si indicavano le nuove piantagioni o rimboschimenti che si facevano nei luoghi più comodi o dove erano stati effettuati i tagli più consistenti.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 125, cit.).

RIFERIMENTI

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N. Agostini, D. Alberti (eds), Le Foreste Vetuste, Patrimonio dell’Umanità nel Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Ente Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, Pratovecchio-Stia 2018;

O. Bandini, G. Casadei, G. Merendi, L’alto Bidente e le sue valli, Maggioli Editore, Guide Verdi, Rimini 1986;

A. Barghi, C. D’Amico, Sassofratino, Essenza della natura, Edizioni Varda, Città di Castello 2010;

A. Bottacci, La Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, 1959-2009, 50 anni di conservazione della biodiversità, Corpo Forestale dello Stato, Ufficio territoriale per la Biodiversità di Pratovecchio, Pratovecchio, 2009;

P. Bronchi, Alberi, boschi e foreste nella Provincia di Forlì e note di politica forestale e montana, C.C.I.A.A. di Forlì (a cura di), Nuova Cappelli, Rocca S. Casciano 1985;

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N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001;

D. Mambrini, Galeata nella storia e nell’arte, Tipografia Stefano Vestrucci e Figlio, Bagno di Romagna, 1935 – XIII;

M. Massaini, Alto Casentino, Papiano e Urbech, la Storia, i Fatti, la Gente, AGC Edizioni, Pratovecchio Stia 2015;

M. Padula, La Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, in N. Agostini (a cura di), Il Parco del Crinale Romagnolo, Guide Verdi Maggioli, Rimini 1992;

F. Pasetto, Itinerari Casentinesi in altura. Guida escursionistica e storica, con note di botanica di Fabio e Marina Clauser, Arti Grafiche Cianferoni, Stia 2008.

P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, 1961, rist. anastatica Castrocaro Terme 1989;

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Link  youtube.com/watch?v=_P4bmjL5zYk;

Link www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp;

Link:http://www.parcoforestecasentinesi.it/it/patrimonio-unesco.

Percorso/distanze :

Testo di Bruno Roba.

Ricade interamente all’interno della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino per cui non sarebbe comunque raggiungibile anche se la morfologia dei luoghi lo consentisse agevolmente. È comunque ben visibile e noto a chi frequenti la S.F. S. Paolo in Alpe-La Lama, che è il luogo più agevole per osservarlo da Nord. «In pratica in un luogo come Sasso Fratino non si può, in nessun modo, entrare autonomamente e la descrizione di un itinerario al suo interno non può entrare in alcuna guida naturalistica o escursionistica.» (N. Agostini, D. Alberti, eds, 2018, p. 53, cit.). Per la descrizione del sentiero Pian del Pero-Poggio Scali, corrispondente al tratto terminale dell’antica Via di Scali, occorre pertanto rileggere la pagina di una vecchia guida: «E' l’unico sentiero che permette l’attraversamento dell’Oasi integrale di Sasso Fratino. Molto ripido, a forte dislivello, non è segnalato ed è del tutto sconsigliato d’inverno dato il forte innevamento che lo nasconde completamente. In caso si perda l’orientamento, dado che sia a destra che a sinistra del sentiero vi sono scarpate e rive scoscese, è consigliabile tornare indietro seguendo le proprie tracce sulla neve. Dal rifugio si scende alla sella omonima poi si inizia a salire a ridosso del costone su di un sentierino poco visibile e ricoperto di foglie, per poi deviare decisamente a destra (20 min.) e in corrispondenza di un canaletto di scolo ripiegare a sinistra a riportarsi sul costone precedente che si risale con alcuni ripidi tornanti. Si ripiega ancora a destra per un lungo tratto per poi risalire il pendio, avendo alla propria destra una scoscesa scarpata, con una serie di innumerevoli tornantini (qui compaiono frequenti segni di vernice bianca sbiadita) che riportano il sentiero, con un largo semicerchio, sul costone che unisce Pian del Pero a Poggio Scali (1 ora) da cui si può intravvedere in mezzo ai rami il Lago di Ridracoli. Qui il sentiero si ripiana un attimo per riprendere a salire in diagonale sotto il costone e portarsi rapidamente al crinale (1 ora e 20 min.) sulla strada della Giogana. (Sent. Segnalato, N° 1). Si prende a destra dove in alto e completamente spoglio dagli alberi è posto il cocuzzolo di Poggio Scali (1 ora e 25 min.).» (cfr.: O. Bandini, G. Casadei. G. Merendi, 1986, pp. 129-130, cit.)

foto/descrizione :

Le foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell'autore
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001a – 001aa - Nell’ambito dell’ampia vista dell’intero spartiacque appenninico che si può avere dal Monte Piano, oltre il contrafforte secondario che divide le valli del Bidente di Ridràcoli e di Pietrapazza (si scorge Casanova dell’Alpe) si riesce a individuare il catino vallivo del Fosso di Sasso Fratino sulla sx di Poggio Scali e, grazie all’innevamento, le incisioni di Frana Nuova e Frana Vecchia (1/01/12).

 

001b – 001c – Da Maestà di Valdora, sul contrafforte a N di Casanova dell’Alpe, l’evidenza di Frana Nuova, a sx, e Frana Vecchia, a dx, consente di localizzare con precisione il sito di Sasso Fratino (19/07/16).

 

001d – 001e – 001f – Da Casanova dell’Alpe il soleggiamento mattutino illumina il sito e crea ombre utili ad evidenziarne la morfologia (5/10/16).

 

001g/001s – Percorrendo il crinale tra i monti Cerviaia e Palestrina, nei pressi di Pratalino, la posizione frontale consente di localizzare il sito di Sasso Fratino che occupa il versante a dx dell’anfiteatro vallivo, ricompreso tra le due frane (19/07/16 – 16/10/16).

 

002a/002g – Discendendo sul versante meridionale del M. Palestrina che guarda sul Lago di Ridràcoli, da una quota inferiore l’anfiteatro vallivo di Sasso Fratino si avvicina amplificandone l’ampiezza mentre compaio anche ulteriori aspetti del fondovalle del Fosso di Campo alla Sega fino allo sbocco nell’invaso (16/10/16).

 

002h/002r – L’ampio pendio denudato e in erosione corrispondente al sito dell’insediamento di Palestrina (ne rimane un ammasso di pietrame) consente la vista frontale dell’intera Riserva, nella sua eccezionale alternanza di profonde incisioni vallive e scoscese dorsali, tra cui l’anfiteatro del Fosso di Sasso Fratino con le sue peculiarità (16/10/16).

 

002s – Dall’alta quota del Monte Cerviaia la veduta riesce a spingersi all’interno dell’anfiteatro di Sasso Fratino ed a localizzare alcuni suoi luoghi, di cui all’indice fotografico. Il fondovalle è nascosto dalla vegetazione (28/08/18).

002t – Dalla S.F. S. Paolo in Alpe-La Lama a monte di Campominacci alla comodità del punto di osservazione corrisponde una vista fuori asse dell’anfiteatro vallivo mentre il sito specifico di Sasso Fratino rimane coperto dalla dorsale che discende da Poggio Scali (5/05/17).

 

002u – 002v - 002z – Tra Campominacci e Campo alla Sega un’altra ampia cresta spoglia di vegetazione consente una ulteriore e diversa visuale dal basso e in asse al vertice vallivo di Sasso Fratino (5/05/17).

 

003a – 003b – Solo occasionalmente dal Monte Penna si riesce ad individuare la netta incisone di Frana Nuova che evidenzia il ripido profilo di Sasso Fratino (26/01/12).

 

003c – 003d – Vista panoramica e ravvicinata dal sito di Pratovecchio sulla dorsale di Poggio della Gallona (15/06/12).

 

003e – 003f - 003g – Dalla S.F. S. Paolo in Alpe-La Lama nei pressi di Ponte alla Sega, tra la vegetazione appare frontalmente il sito di Sasso Fratino compreso tra le due frane (17/06/13).

 

004a – 004b – 004c - Nell’ordine: la Carta della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino e particolare indicizzato della stessa con posizionamento approssimativo del toponimo in base alla carta catastale redatta da Seeland e Siemon “FORESTA DELL’OPERA DI S. M. DEL FIORE DI FIRENZE”, entrambe contenute nel testo di A. Bottacci (cit.), di cui di seguito si riporta un particolare neografico (nel confronto tra mappe antiche e moderne da notare la permanenza della contorta sentieristica).

004d - Particolare di una mappa del 1637 relativa alla ramificazione del Fosso di Sasso Fratino, più evidente di quella del Fosso delle Macine, dove l’intero tratto principale è detto Fosso dell’Asticciola e compaiono un Fosso della Motta, che nel XIX sec. riguarderà il tratto finale, e un Fondo alla Macine, che pare riguardare l’area di possibile insediamento della sega ad acqua cinquecentesca (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, a colori, A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.).

004e - Mappa schematica dedotta da cartografia storica catastale di inizio XIX sec. evidenziante reticolo idrografico, infrastrutture e insediamenti; gli idronimi della zona di Sasso Fratino appaiono diversamente dislocati e con traslitterazioni, comunque utili per confermare gli utilizzi dell’area; si nota la Strada che da Campo Ominacci va a Stia risalente a lato del corso del Fosso della Motta (oggi di Sasso Fratino) fino al sito dell’odierna Quota 900 quando diviene di mezzacosta per dirigersi verso La Posticcia e il Passo Sodo alle Calle/La Scossa. La toponomastica riprende anche nella scrittura quella originale.

004f/004s – Vedute del tratto di crinale che delimita superiormente Sasso Fratino posto a monte della Posticcia di Matteino e del versante interno dell'anfiteatro dal confine della Riserva (26/11/19).

004t – Collage di elaborazioni di foto di P. Bronchi (1985, p. 73, cit.) relative a vedute verso l’alto e verso il basso di Frana Nuova, origine del Fosso dell’Acqua Fredda, o dell’Asticciola, nei cui pressi nel 1503 si trovava una sega ad acqua.

004u – Elaborazione di fotogramma relativo al sito di Quota 900 tratto dal cortometraggio: Le meravigliose foreste vetuste di Sasso Fratino e del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, di Marco Civinelli, premiato come Miglior Cortometraggio Italiano al Festival Cinematografico delle Foreste di Bergamo (Novembre 2019), prodotto e coordinato dall’Ente Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi con la collaborazione del Reparto Biodiversità dei Carabinieri Forestali di Pratovecchio (youtube.com/watch?v=_P4bmjL5zYk).

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