Pianacci (sopra Celle)
Testo di Bruno Roba (Lug. 2017 – Agg. 1/02/19)
Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, la Valle del Fiume Bidente delle Celle riguarda il ramo occidentale del Bidente ed è delimitata: ad Ovest, da un tratto del contrafforte principale che distacca dal Monte Falco proseguendo per Pian Cancelli «[…] per la costa di Pian delle Fontanelle (m. 1520) scende rapidamente a Poggio Bini (m. 1105), attraversa Poggio Corsoio e risale a Monte Ritoio (m. 1193) […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.), vira bruscamente verso Est fino al Monte dell’Avòrgnolo, dove riprende l’andamento principale puntando verso Forlì per terminare dopo circa 55 km evidenziando presto i Monti Guffone e della Fratta. Presso l’Avòrgnolo si stacca la dorsale di Pian dell’Olmo, che disegna quell’arco di rilievi che completano la delimitazione del versante vallivo sx, costringendo il Fiume Bidente delle Celle a riunificarsi con il Bidente di Campigna presso Lago e contribuendo a generare poco più in là, sotto il borgo omonimo, il Fiume Bidente di Corniolo. Dai rilievi del contrafforte si staccano varie dorsali delimitanti valli e vallecole contributive del bacino imbrifero: a quella principale, topica, di testata del Bidente delle Celle costituita dalla Valle del Fosso delle Celle seguono in sx idrografica le Valli del Fosso dei Fondi, delle Fontacce, di Lavacchio e della Fontaccia.
Come gli altri vicini, il bacino fluviale del Bidente delle Celle mostra una morfologia nettamente differenziata: se per il versante a ridosso delle maggiori quote dello spartiacque appenninico conseguono fortissime pendenze modellate dall’erosione con formazione di canaloni fortemente accidentati, anche il versante orientale appare frastagliato mentre i versanti occidentali o prevalentemente esposti a meridione mostrano pendii più dolci a prato-pascolo, spesso su terrazzi orografici, che si alternano a tratti intensamente deformati e brecciati. In particolare, prima di rialzarsi con il M. Ritoio, il primo tratto di contrafforte fino a Poggio Bini, con la dorsale che da esso si distacca compenetrando l’alta Valle delle Celle, disegna un anfiteatro naturale che costituisce il bacino idrografico dove ha origine il Fosso delle Celle, che evidenzia pressoché tutti gli aspetti elencati.
Riguardo la toponomastica dell’asta fluviale principale si nota che, destino comune di ogni ramo bidentino di cambiare spesso identità e con differenze tra le varie cartografie, questo ramo del Bidente nel primo tratto è il Fosso delle Celle fino alla confluenza con il Fosso di Pian del Grado, presso Celle, quando diviene Fiume Bidente delle Celle, denominazione che mantiene fino allo sbocco della sua valle presso Lago, quando si riunifica con il Bidente di Campigna. Storicamente era il Fosso Bidente delle Celle, però con origine spostata poco più a monte di Celle ed attribuita alla confluenza tra il Fosso di Pian del Grado e il Fosso dell’Ortaccio. Se si analizza il catasto moderno si vede inoltre che il Fosso delle Celle avrebbe uno sviluppo ridottissimo in quanto avente origine dalla confluenza dei Fossi Guscella e dell’Asticciola, subito a valle de La Casina. In particolare, il Fosso Guscella corrisponde al ramo del Fosso delle Celle appartenente all’asta torrentizia-fluviale principale, avente specifica origine da Poggio Bini.
La viabilità più antica riguardante anche la valle delle Celle è la Via Flaminia Minor, utilizzata dalle legioni romane per valicare l’Appennino al fine di sottomettere Celti, Liguri e Galli Boj che stanziavano nella pianura padana: si ipotizza che provenendo da Montelleri, sopra Stia, transitasse dal Lago degli Idoli, dal Monte Falco e da Poggio Sodo dei Conti, quindi discendeva da quella che oggi è nota come Pista del Lupo lungo la Costa di Pian Cancelli transitando da Pian delle Fontanelle (così detta per la presenza di polle d’acqua) e da Poggio Corsoio dove trovava un bivio ancor oggi praticato: a sx si dirigeva verso Castel dell’Alpe e Faenza per immettersi nella Via Aemilia (questo è ritenuto il più antico itinerario di valico), a dx si dirigeva verso Forlì e Ravenna sia transitando dal crinale del contrafforte principale, dove passava accanto la vetta di Monte Ritoio, sia discendendo verso il percorso vallivo in direzione di Galeata (l’antica Mevaniola), toccando La Fossa, già C. la Fossa, poi rasentando Le Celle (dove incrociava il percorso di controcrinale Celle-S. Paolo in Alpe) ed attraversando le Ripe Toscane, le cui stratificazioni rocciose ancora oggi si mostrano funzionali alla percorrenza, anche grazie agli “ammodernamenti” dei primi anni del Novecento. Questo tratto, presso il quale sono sorti gli insediamenti di Torni, già C. Torni e Forni, Fossa, Porcini di Sopra già Forni, Porcini di Sotto, oltre ai citati La Casina e La Fossa, costituiva uno dei principali collegamenti con Pian del Grado, infatti sede dei funzionari, detti Operai, e delle guardie dell’Opera del Duomo, quindi “capoluogo” di una valle che ospitò insediamenti di nuclei arcaici di origine ligure e venne sicuramente percorsa anche dai Bizantini di Ravenna a scopo difensivo rispetto ai Longobardi. Parte importante della foresta che la ricopriva (estendendosi fino a Poggio della Serra), detta selva di Castagno, rientrava nella prima donazione del 1380 a favore dell’Opera fiorentina, il cui sfruttamento essa tese subito a riservarsi in modo particolare per le proprie necessità, anche perché la sua collocazione consentiva di limitare i costi di taglio, smacchio e trasporto il quale, anziché verso il porto di Pratovecchio avveniva verso quello di Dicomano sulla Sieve, raggiungendo il crinale ai prati di Sodo dei Conti.
Nella parte più remota della valle dominata dalle cime appenniniche, prima di giungere al ponte moderno con cui la Pista di servizio S.P. 4 del Bidente-Poderone-Pian del Grado attraversa il Fosso di Pian del Grado, occorre fare mente locale (con l’aiuto di una mappa accurata) per rendersi conto che ci si trova nell’area dell’oggi trascuratissimo insediamento industriale/religioso de Le Celle che, insieme al villaggio di Pian del Grado, nel massimo sviluppo demografico giunse a contare una trentina di nuclei familiari (316 abitanti nel 1896). Costituito dalla Chiesa di S. Maria alle Celle, dal Molino di Sopra, dal Molino delle Celle, dal Cimitero di Celle, e dal nucleo di Pianacci, si può estendere fino alla “casa nuova” sopra Pianacci, tutti fabbricati abbandonati da decenni e ridotti a rudere. Abbandonata la rotabile e raggiunto subito il fosso si ritrovano le infrastrutture viarie testimonianti di un fondamentale snodo di transito locale e generale costituite da un ponte in legno ad una campata che attraversa il Fosso di Pian del Grado e da un ponte in muratura di pietrame ad arco ribassato che attraversa il Fosso delle Celle: sia questo (di probabile fattura di inizio ‘900) sia quello in legno (più recente) sono sostituzioni di strutture antiche inevitabilmente preesistenti data l’importanza del tracciato, comunque rappresentati nella cartografia di impianto I.G.M. del 1937 con il simbolo grafico detto “pedanca”. Utilizzato anche per raggiungere Pian del Grado tramite La Fossa, questo tracciato dovette mantenere un rilievo superiore fino al XX sec. inoltrato se la mulattiera di fondovalle, come rappresentato già nel catasto ottocentesco e in parte corrispondente alla moderna rotabile, nella cartografia storica IGM viene rappresentata mentre, rasentato il Mulino delle Celle, attraversa il Fosso di Pian del Grado senza strutture, quindi a guado (ma permangono resti consistenti del tracciato che da Celle raggiunge il cimitero e prosegue verso Pian del Grado, ma forse realizzato a seguito della dotazione cimiteriale). Tra i due ponti posti alla confluenza tra il Fosso di Pian del Grado e il Fosso delle Celle, da cui ha origine il Fiume Bidente delle Celle, isolati e praticamente infossati si ergono i resti dell’ormai completamente diroccata Chiesa di S. Maria alle Celle. La prima documentazione della sua esistenza si ha grazie ad … «[…] un atto del 15 aprile 1270, col quale Ventura abate dell’Isola dà in locazione a Bonaventura da Sasso un podere […] nel luogo detto Celle di Solaiolo […] coll’obbligo di far celebrare ogni anno 2 Messe al mese nella chiesa delle Celle […] (Archivio di stato di Firenze, Spogli delle cartapecore di Camaldoli, v. II). […] Campigna appartiene alla parrocchia di S. Maria delle Celle. Di essa abbiamo una prima memoria nel 1223, in un atto delle cartapecore di Camaldoli, come dipendente dalla pieve di Galeata.» (D. Mambrini, 1935 - XIII, pp.268, 271, cit.), documento che consente anche di datare una “chiesa delle Celle” almeno al XIII sec., senza però poter conoscere la sua esatta datazione e collocazione: Celle di Solaiolo è il luogo un podere concesso in cambio di celebrazioni nella chiesa già esistente dal 1223. Nella zona pare vi fosse già insediato un eremo camaldolese: «CELLE AL CORNIOLO […]. La parrocchia di Santa Maria delle Celle […] prese il nome da un antico eremo, fondato in questi luoghi selvosi dai conti di Valbona e donato poi da essi nel 1091 ai Camaldolesi dell’Abbazia di Isola.» (E. Rosetti, 1894, p.194, cit.). Dalla relazione di una visita del 1677 dei funzionari dell’Opera: «[…] passando da Monte Corsoio luogo di nostro confino con lo Spedale di S. Maria Nuova scesimo abbasso sino alla Chiesa delle Celle nel qual viaggio molto disastroso per li cattivi passi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 320-321, cit.). Secondo un autore di oggi: «È ipotizzabile che in un profondo stato di povertà, qualche monaco, la cui antichissima presenza dette nome a questa plaga, le Celle, per la comoda disponibilità dei sassi del fiume, non si fosse preoccupato più di tanto di andare a costruire l’oratorio in cima ad un poggetto come tradizione avrebbe suggerito. Di laggiù dove venne costruita la Chiesa, anche il richiamo della campana doveva giungere assai attutito ai timpani dei fedeli sparsi per quelle aride piagge […]» (P.L. della Bordella, 2004, p. 46, cit.). Un altro autore riporta le descrizioni dei vari visitatori pastorali del ‘6-700, che paiono corrispondere alla situazione odierna: «La chiesa è situata in un asperrimo luogo, alla radice del sommo giogo dell’Appennino, sotto il dirupo di Galterone […] è posta tra il fiume e il fosso e da ambe le parti circondata d’abeti e in luogo orrido e di grande solitudine […]» (E. Agnoletti, 1996, p. 61, cit.).
In questo contesto storico-geografico, a differenza della parte valliva più profonda, da sempre considerata periferica e difficilmente raggiungibile quindi maggiormente segnata dall’abbandono, la Valle del Fosso delle Celle, favorita dalla felice esposizione a meridione e dalla dolce morfologia dei suoi pendii, che hanno favorito il disboscamento con trasformazione in prati-pascoli fino a ridosso del crinale, nonché dalla moderna realizzazione di un’infrastrutturazione viaria, stagionalmente è ancora utilizzata da allevamenti di bestiame allo stato brado e registra l’utilizzo dei suoi principali insediamenti a fini agricoli e/o turistici. Finora non citati, ma presenti quanto abbandonati, sono da segnalare i consistenti resti del Capanno di Porcini e del Seccatoio di Casina, che si trova all’interno dell’Emergenza antropico-ambientale La Casina costituita dal relitto di un castagneto secolare considerato rarità botanico/vegetazionale. Da ricordare che in questa valle, anziché le tipiche maestà, sono presenti due cellette (una a Pian del Grado ed una a La Fossa, cui forse si deve la toponomastica locale insieme al probabile riferimento alle cellae dell’antichissimo eremo), piccoli e caratteristici chiostri votivi che paiono unire la funzione devozionale al culto delle acque, essendo corredati di fontana con (resti di) mensola/acquaio a corredo dell’icona sacra.
Un breve tratto di mulattiera, che ancora conserva tracce del selciato, conduce presso un piccolo promontorio che sporge sul fondovalle dove si trovano alcuni enigmatici e consistenti ruderi, ormai ricoperti di rovi e a fatica riconoscibili, di cui non è reperibile citazione alcuna nell’editoria dedicata, mentre il Catasto Toscano del 1826-34 riporta un fabbricato con il sopracitato toponimo Pianacci, circondato da un resede ovoidale che denuncia la topografia di un piccolo rilievo, raggiunto da due accessi viari. Lo stato di fatiscenza consente comunque di riconoscere alcune caratteristiche planivolumetriche singolari (peraltro apparentemente difformi dall’impronta quadrangolare con accenno di appendice del catasto antico) rappresentate dai resti di un lungo fabbricato maggiore, che una spessa parete suddivide ricavando due ambienti, uno ampio e uno ristretto, con evidenza coperto da tetto a falda unica, di cui rimangono ancora a terra tre lunghe travi, oltre ad un fabbricato minore fuori asse probabilmente coperto a capanna. (Seguire la descrizione seguente con i grafici allegati). Il lato Est è parzialmente interrato. L’accesso all’ambiente maggiore è scomparso causa i dissesti, verosimilmente era posizionato sul lato corto esposto a Sud, interamente libero come la parete Ovest, parzialmente integra fino alla gronda con un’altezza dal piano di campagna di m 2,50, priva di aperture salvo fossero posizionate sottogronda sulla parte mancante, mentre la parete Est dall’interno presenta una soluzione di continuità assimilabile ad un’apertura parzialmente tamponata a sostegno del terrapieno sul quale, in corrispondenza, la muratura risale piegando ad angolo retto, anche se con spessore più limitato: si potrebbe presupporre un accesso anche servito da una scala, con la parte interna in legno, o una trasformazione in finestra a seguito di un riempimento, poco motivabile così come non è chiara la destinazione d’uso dell’ampio locale. Il catasto moderno mostra con nettezza un’impronta quadrangolare anch’essa più larga dell’apparenza attuale (quindi assimilabile al catasto antico), con due appendici, una in corrispondenza del terrapieno quindi ad un livello di calpestio superiore, eventualmente una loggia o un cortile recintato considerati i ridotti spessori murari che, con minore profondità si appoggiava al corpo lungo, ormai trasformata in cumulo di pietrame, così formando quel corpo di fabbrica più ampio. Posta a 90° rispetto alla prima, l’altra appendice riguarda il fabbricato minore che è fuori asse rispetto al fabbricato maggiore ma allo stesso livello inferiore ed è parzialmente interrato. Le caratteristiche particolari, che farebbero propendere per una preesistenza più antica, sono la tipologia edilizia e la presenza di forti spessori murari, superiori a tutti gli altri. L’accesso è realizzato al centro della parete Ovest, previa strombatura e resti di cornice in arenaria tipici di un portale, per quanto di proporzioni ridotte, ed è preceduto da un cordonato che verosimilmente delimitava un tratto di lastricato rialzato, probabilmente coperto da una loggetta, che dava ingresso anche all’adiacente locale oltre che ad un piccolissimo stalletto. Il fabbricato minore su questo lato mostra ancora la parete fino alla gronda e, all’interno, oltre alla probabile trave di colmo della copertura a capanna, sulla parete Nord interamente libera (su cui si apre una piccola finestra fortemente strombata e una nicchia), mostra la traccia degli appoggi di un solaio verosimilmente utile per un sottotetto utilizzabile. La singolarità costruttiva corrobora l’ipotesi della preesistenza, non negata dall’accenno di appendice che si ritrova nel catasto antico: la spessa parete di ingresso (65 cm) non è incatenata (ma forse questo è solo il motivo del forte spessore) e termina con testata ben squadrata, riadattata a sostenere l’architrave della porta di ingresso del corpo del fabbricato maggiore; essa si appoggia alla muratura di sostegno del terrapieno che, piegando a squadra, va anche a costituire la parete Sud dello stesso fabbricato minore, mentre la parete Est presenta un interramento decrescente. Evidentemente questo fabbricato (fase 2) è stato addossato a preesistenze murarie (fase 1) mentre il fabbricato maggiore (fase 3) ne avrebbe intaccato la spessa parete presso la sua testata per appoggiarvi l’architrave della porta: l’omogeneità delle tessiture murarie coinvolte complica l’analisi temporale salvo presupporre una successione ravvicinata delle fasi costruttive. Un’ultima fase 4 avrebbe riguardato l’appoggio delle eventuali tettoie o piccoli ambienti del livello superiore. Destinazioni d’uso primitive: sia il sito sia i fabbricati non evidenziano alcune delle caratteristiche tipiche degli insediamenti colonici (fatti salvi i riutilizzi succedutisi nel tempo); le particolarità di quello minore farebbero propendere per un uso abitativo, per quanto sacrificato, anche del sottotetto, le particolarità del maggiore non paiono del tutto coerenti con il ricovero di animali anche per la presunta assenza di finestre. Con forte immaginazione, optando per la funzione religiosa, la cronostoria potrebbe essere: 1) predisposizione del sito con scavo e costruzione del muro di sostegno; 2) costruzione del piccolo eremo (cella) dotato di una stanza 3x3 con soffitta “abitabile” addossato al muro di sostegno; 3) costruzione del fabbricato maggiore suddiviso in un ambiente minore con accesso adiacente e indipendente, quindi a servizio dell’eremo (una cella o piccola canonica), e un ambiente maggiore con accesso indipendente dalla parete corta lato Sud, da destinare alle funzioni religiose cui potevano partecipare i fedeli senza entrare in contatto diretto con la parte eremitica. Sicuramente è tutto azzardato ma intriga ipotizzare che si tratti delle strutture della chiesa più antica (Chiesa vecchia di Celle ??), che corrisponderebbe alla tradizione abbandonata cui accenna P. della Bordella nella citazione sopra riportata, abbandono avvenuto prima del XVII secolo a seguito di un trasferimento funzionale più a valle, con la costruzione della nuova Chiesa di S. Maria alle Celle, che peraltro presenta un impianto planivolumetrico tipologicamente non antichissimo. Si denota che il catasto antico non correda del simbolo crociato né l’edificio di Pianacci né la Chiesa di S. Maria alle Celle, la quale risulta non conservare alcuna traccia di antiche preesistenze (AA. VV., 1982, cit.), come se si trattasse, come detto, di una costruzione ex-novo, lasciando aperta ogni ipotesi. Se i documenti storici non precisano la collocazione del sopracitato sito di Celle di Solaiolo relazionato alla chiesa del 1223 ed eventualmente all’eremo del 1091, cui con l'atto del 1270 sarebbe stato dato riconoscimento giuridico, giova a riguardo segnalare l’assonanza toponomastica con Solarolo (Sularòl o Slarôl, cittadina sul Senio in prov. di Ravenna), che trovasi anche come Solariolo e in Castrum Solaroli, e derivazione da Solariolum: «[…] un bel diffusissimo diminutivo medievale […] di solarium (sole) = casa con solario, solaio a terrazzo, villa rustica aperta al sole.» (A. Polloni, 1966-2004, p. 297, cit.). Nella scelta della denominazione pare infatti coerente leggere una volontà specifica nell’evidenziare le caratteristiche di un circoscritto e particolare soleggiamento del sito eremitico, in contrasto con le circostanti profondità vallive, individuabili anche nella morfologia di Pianacci piuttosto che nei luoghi più elevati e meglio esposti della valle, dove il diffuso e scontato soleggiamento poteva non costituire motivo ispirante. Si potrebbe diversamente ipotizzare la preesistenza di una struttura di sorveglianza, anch’essa coerente con un sito leggermente sopraelevato lungo un itinerario obbligato. A corredo v. pianta quotata di quanto oggi rilevabile e assonometria ricostruttiva.
Fatti pochi passi, risalendo in direzione La Fossa lungo un canalone causato dal dilavamento dell’antica sede viaria, oggi sent. 261 CAI, si trova il catastalmente anonimo fabbricato definibile “casa nuova”, o “casa nuova n.73” in quanto oggi corrispondente al civico n.73 della S.Vic.le Fossa-Foscolo, infatti posto tra Pianacci e La Fossa. Fatiscente ma non pericolante, nella struttura attuale appare edificio novecentesco realizzato in sostituzione o ampliamento del fabbricato più piccolo già presente nel Catasto Toscano del 1826-34, ma di cui non si riconoscono le parti originarie. La dotazione di un ampia area disboscata (il ronco) è testimoniata dalla presenza di una fitta quanto circoscritta abetina restaurativa che rende il sito facilmente individuabile da viste panoramiche.
Per approfondimenti si rimanda alle schede toponomastiche Valle del Bidente delle Celle e/o relative a rilievi, acque e insediamenti citati.
N.B. - La visita apostolica o pastorale, che veniva effettuata dal vescovo o suo rappresentante, era una prassi della Chiesa antica e medievale riportata in auge dal Concilio di Trento, che ne stabilì la cadenza annuale o biennale, raramente rispettata. La definizione di apostolica può essere impropria in quanto derivante dalla peculiarità di sede papale della diocesi di Roma, alla cui organizzazione era predisposta una specifica Congregazione della visita apostolica. Scopo della visita pastorale è quello di ispezione e di rilievo di eventuali abusi. I verbali delle visite, cui era chiamata a partecipare anche la popolazione e che avvenivano secondo specifiche modalità di preparazione e svolgimento che prevedevano l'esame dei luoghi sacri, degli oggetti e degli arredi destinati al culto (vasi, arredi, reliquie, altari), sono conservati negli archivi diocesani; da essi derivano documentate informazioni spesso fondamentali per conoscere l’esistenza nell’antichità degli edifici sacri, per assegnare una datazione certa alle diverse fasi delle loro strutture oltre che per averne una descrizione a volte abbastanza accurata.
- In base alle note tecniche dell’I.G.M. se in luogo dell’anteposta l’abbreviazione “C.”, che presumibilmente compare quando si è manifestata l’esigenza di precisare la funzione abitativa, viene preferito il troncamento “Ca” deve essere scritto senza accento: se ne deduce che se compare con l’accento significa che è entrato nella consuetudine quindi nella formazione integrale del toponimo.
RIFERIMENTI
AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;
AA. VV., Indagine sulle caratteristiche ambientali suscettibili di valorizzazione turistico-culturale delle vallate forlivesi. Repertorio, C.C.I.A.A. Forlì, 1982;
E. Agnoletti, Viaggio per le valli bidentine, Tipografia Poggiali, Rufina 1996;
S. Bassi, N. Agostini, A Piedi nel Parco, Escursioni nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, ComunicAzione, Forlì 2010;
P.L. della Bordella, Pane asciutto e polenta rossa, Arti Grafiche Cianferoni, Stia 2004;
G.L. Corradi (a cura di), Il Parco del Crinale tra Romagna e Toscana, Alinari, Firenze 1992;
A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;
N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001;
D. Mambrini, Galeata nella storia e nell’arte, Tipografia Stefano Vestrucci e figlio, Bagno di Romagna 1935 - XIII;
A. Polloni, Toponomastica Romagnola, Olschki, Firenze 1966, rist. 2004;
E. Rosetti, La Romagna. Geografia e Storia, Hoepli, Milano 1894;
P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anastatica Castrocaro Terme 1989;
Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze
Carta dei sentieri Alpe di S. Benedetto, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2014;
Link https://servizimoka.regione.emilia-romagna.it/appFlex/sentieriweb.html.
Testo di Bruno Roba
La Valle delle Celle è facilmente raggiungibile dalla S.P. 4 del Bidente percorrendo circa 5 km della Pista di servizio SP 4 del Bidente-Poderone-Pian del Grado, in parte sconnessa e ripida. Dai pressi del Molino di Celle o Molino di Sopra uno stradello (Sent. 261 CAI) conduce rapidamente a Celle attraversando i due corsi d’acqua tramite i due ponti. Da Celle si percorrono circa 160 m risalendo di circa 30 m di dislivello per raggiungere Pianacci.
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001a/001d – Dal crinale di Partinico (che costeggia il Geosito delle Mandriacce) si abbraccia la valle del Fosso Bidente delle Celle distinguendo bene il nucleo de La Fossa sotto cui una circoscritta abetina lascia intravedere l’edificio di “casa nuova sopra Pianacci”, posto lungo la mulattiera che risale da Celle. Rispetto a La Fossa, Pianacci dista 350 m con un dislivello di 70 m, mentre Celle dista quasi 500 m (dislivello 100 m), rimanendo entrambi i siti nascosti alla vista (2/12/16).
001e – 001f – Dall’estremo del crinale del Corniolino, pressi de I Tre Faggi, si abbraccia l’alto bacino idrografico dove hanno origine i Fossi delle Celle e di Pian del Grado che, confluendo a Celle, daranno origine al Fiume Bidente. Il parzialmente spoglio “crinaletto di Pian del Grado” che si distacca dal contrafforte principale separa le incisioni dei rami alti dei suddetti Fossi e, mentre La Fossa riflette la luce solare, la dorsale di Partinico nasconde la profondità valliva che ospita Celle e insediamenti vicini (30/11/16).
001g – 001h – 001i – Dal Sentiero degli Alpini (SA 301 CAI) a SO di P.gio Bini, si abbraccia il versante vallivo dai pressi dell’origine del F.so Bidente, prima che diventi fiume, potendo avere una diversa contestualizzazione del sito di Celle, pur rimanendo totalmente nascosto nelle profondità che lo ospitano. In 1° p., Porcini di sotto (16/04/16).
001l/001p - La Chiesa di S. Maria alle Celle si raggiunge abbandonando la rotabile di Pian del Grado presso il Molino delle Celle, poi detto di Sopra, attraversando un ponte in legno; il successivo ponte in pietra consente di recarsi a Pianacci (la mulattiera prosegue per La Fossa, transitando davanti alla “casa nuova”) (11/09/16 – 2/12/16 – 6/12/16).
001q –Il bacino idrografico del Fosso delle Celle; elaborazione da cartografia moderna integrata con localizzazione di luoghi di antica datazione; qui l’idronimo è assegnato all’intero corso del fosso.
001r – Schema di mappa risalente ai primi decenni del XX sec. da cui si nota la fitta rete di mulattiere corrispondente ad una intensa frequentazione della valle.
001s - Elaborazione da cartografia di inizio Ottocento con rappresentazione dell’assetto insediativo ed infrastrutturale: i fabbricati ancora utilizzati sono quelli raggiunti dalle moderne piste poderali mentre tratti superstiti della viabilità antica consentono i collegamenti sentieristici e di raggiungere i fabbricati abbandonati. La scrittura della toponomastica riprende quella originale; il F.so delle Celle, Fossa e il nucleo antico di “casa nuova” compaiono anonimi.
001t - Mappa schematica dell’area di Celle.
002a/002d – Superato il ponte in pietra in direzione La Fossa poco dopo si trovano consistenti ruderi di un fabbricato, posto su un poggetto, ben visibili in inverno quando i rovi si riducono. Subito si nota il lato Ovest, in gran parte integro nella sua altezza di m 2,50 fino alla gronda, privo di aperture (11/09/16 – 6/12/16).
002e/002l – Oltre tale parete regna il dissesto, che comunque consente di individuare un grande ambiente coperto da una falda unica di cui rimangono tre travi portanti (6/12/16 – 12/07/17).
002m – Una trave ancora mantiene l’orientamento originario indirizzando la visuale verso oriente (6/12/16).
002n/002u – Spostandosi sul lato E dall’alto del terrapieno, dove probabilmente si trovava un cortile recintato o una loggia (v. 4 in successiva pianta), si notano (sempre più compromessi dai crolli che si succedono a distanza di pochi mesi) l’ambiente più piccolo allineato a quello maggiore, collegato da una finestra a filo tetto, cui si accede da una porta sul lato opposto, e il fabbricato minore probabilmente coperto a capanna e dotato di solaio intermedio (6/12/16 – 12/07/17).
002ua/002z – Liberando dai rovi il lato N si riconosce una zona di ingresso principale, delimitata da cordolo e probabilmente lastricata e coperta da una loggetta, con piccolissimo stalletto (ingresso cm 60x60) (6/12/16 – 12/07/17).
003a – Pianta quotata in base a quanto rilevabile dallo stato di dissesto, differenziata secondo il tentativo di lettura delle fasi costruttive. L’impianto planimetrico appare molto regolare, infatti le diagonali dell’ambiente maggiore (1) sembrano risultare identiche e pari a circa m 8,80; verosimilmente l’ingresso (A) si trovava nella parete Sud, scomparsa, essendone prive le altre. Il locale (2) ha (aveva) una finestra a filo tetto che si affaccia nel locale 1 e mostra ancora l’ingresso indipendente, con architrave sostenuto dalla testata muraria (C), disimpegnato dalla (probabile) loggetta lastricata (6), che disimpegna anche l’accesso all’ambiente (3) e allo stalletto (5). Le quote di pavimento rilevate in 2 e 3, paiono rialzate rispetto a quelle ipotizzabili in 1. Il confronto con il Nuovo Catasto fa presumere l’esistenza di un’ulteriore appendice sul lato Est.
003b/003e – L’ambiente maggiore (1) presenta un’altezza interna in gronda di m 1,80 contro una esterna di m 2,50, in parte dovuta ai dislivelli del pendio e in parte all’accumulo dei detriti. Mentre la parete esterna presenta una tessitura muraria del tutto omogenea, sul lato Est seminterrato appare una netta soluzione di continuità della tessitura muraria, evidente a tutta altezza in corrispondenza di un tratto murario eretto a squadra sul terrapieno, che prefigura un assetto precedente diverso e poco comprensibile, con probabile apertura (B) poi colmata con tamponatura muraria e possibile realizzazione di finestra o passaggio con scala, in considerazione che la falda unica consentiva su tale lato una discreta altezza, in base ai resti presenti pari a m 3,00, cui va aggiunta la quota colmata dai detriti (11/09/16 – 12/07/17).
003f – 003g – 003h - L’ambiente (2) ormai particolarmente dissestato, mentre ha perso parte della parete con la finestra a filo tetto che si affacciava sull’ambiente 1, mantiene ancora la parete di ingresso con architrave di porta poggiante sulla testata di uno spesso tratto murario (C), di identica tessitura, totalmente disancorata e solo aderente alle murature adiacenti. Resiste anche un cardine (12/07/17).
003i/003n – L’ingresso all’ambiente 2 visto dal lato opposto dove si evidenziano i particolari costruttivi con l’inserzione dell’architrave nella muratura spessa e a grossi conci regolari, di identica fattura su entrambi i lati del vano porta (12/07/17).
003o/003v – Il fabbricato minore (3), visto dall’interno e dall’alto, evidenzia le tracce del solaio del sottotetto, posto subito sopra il portalino di ingresso che, alto 1,60, lasciava un ulteriore m di altezza in gronda per il sottotetto, liberandone almeno m 1,60 al colmo, se con copertura a capanna mediana, o superiore se con capanna sfalsata o falda unica. Tali tipologie sono poco coerenti con un utilizzo non abitativo (6/12/16 – 12/07/17).
003z – Assonometria ipotetica ricostruttiva del fabbricato, rappresentato privo della copertura nella porzione con tetto a falda unica.