Le Celle
Testo di Bruno Roba (08/2017 - Agg. 26/10/2024) - La Valle del Fiume Bidente delle Celle è delimitata a NO dal contrafforte principale che la divide dalla valle del Fiume Rabbi inizialmente costituito dalle pendici di Pian Cancelli che, dal Monte Falco, proseguono per la costa di Pian delle Fontanelle, scendono ripidamente tramite Costa Poggio Corsoio; quindi, risalgono a Poggio Bini e a Monte Ritoio. Qui il contrafforte vira bruscamente verso Est fino a Monte dell’Avòrgnolo, dove riprende l’andamento principale puntando verso Forlì per terminare alla chiesa di Collina sopra Grisignano, non prima di avere evidenziato un’ulteriore sequenza di rilievi (i Monti Guffone e della Fratta, i Poggi Penna e Montironi, i Monti Prignolaia, Altaccio, Spino, delle Forche, Martellino, Grosso, Fuso, Brucchelle e Velbe, i Colli delle Caminate e di Lardiano). Sul versante sx la chiusura della Valle delle Celle è costituita dalla dorsale di Pian dell’Olmo che dall’Avòrgnolo si stacca verso SE, separando la Valle del Fosso della Fontaccia dalla Val Bonella, dove scorrono i Fossi di Val della Noce e di Verghereto. A SE è delimitata da una dorsale inizialmente caratterizzata da uno dei tratti più impervi del versante appenninico. Alla morfologia piramidale di Poggio Martino, separata dal Monte Falco dalla sella di Pian dei Fangacci, fa seguito la geometrica sequenza di creste degli altri quattro rilievi, detti (alcuni secondo l’antico oronimo) Poggio di Zaccagnino, Poggio di Mezzo, Poggio del Palaio e Poggio delle Secchete, oggi Poggio Palaio, che si sviluppa verso Est, leggermente divaricandosi in un simil-parallelismo dallo Spartiacque Appenninico, secondo un evidente fenomeno geomorfologico di frattura e scivolamento di una colossale tratto di versante in ambiente marnoso-arenaceo, da attribuire alla storia geologica appenninica recente; lo scivolamento non ha modificato l’orientamento della giacitura stratigrafica originaria, caratterizzata dalla tipica asimmetria paesaggisticamente evidente. Mentre sul versante di Campigna la depressione conseguente al fenomeno geomorfologico ha determinato la formazione della valle progressivamente incisa dal Fosso dell’Abetìa o Abetìo e la creazione dell’habitat favorevole allo sviluppo dell’Abetìa rinomata quanto sfruttata specie tra il XV e XIX secolo, sul versante delle Celle la giacitura a reggipoggio ripete le fortissime pendenze modellate dall’erosione, con formazione di profondi fossi e canaloni fortemente accidentati, che caratterizzano i due anfiteatri montani posti a Nord di Poggio Martino, attestati sul contrafforte e intercalati dalla Costa Poggio dell’Aggio Grosso. Da Poggio Palaio la dorsale si orienta a NE e digrada con OMO MORTO e la Costa Poggio dei Ronchi fino alla sella dei Tre Faggi, come Crinale di Corniolino prima si innalza con il Monte della Maestà, poi digrada andando a concludersi presso Lago sulla confluenza del Fiume Bidente delle Celle nel Fiume Bidente di Campigna, così contribuendo alla chiusura della valle.
L’asta fluviale principale si distingue in un tratto montano costituito dal Fosso delle Celle, in base al catasto moderno dallo sviluppo ridottissimo in quanto avente origine dalla confluenza, subito a valle de La Casina, dei Fossi Guscella e dell’Asticciola, con il Guscella proveniente da Poggio Bini e l’Asticciola dal versante poco più ad Ovest. Il tratto fluviale di fondovalle è originato dalla confluenza, a Celle, tra il Fosso delle Celle e il Fosso di Pian del Grado.
Per l’inquadramento territoriale v. schede Valle del Bidente delle Celle, Fiume Bidente delle Celle e Fosso delle Celle.
La cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), da integrare per la classificazione storica del Bidente con le Bozze di mappe catastali della Foresta Casentinese e Campigna (1808-1830 – scala 1:5000) e la Carta Geometrica della Regia Foresta Casentinese (1850 – scala 1:20.000), consente di conoscere, tra l’altro, il tracciato della viabilità antica che riguardava la Valle di Campigna. Tra le altre, le c.d. vie dei legni, o Strade dette dei legni per il trasporto dei medesimi (così riportate nella Carta Geometrica) utilizzate per il trasporto del legname attraverso i valichi appenninici tosco-romagnoli fino al Porto di Dicomano o al Porto di Moscia sulla Sieve, per limitare i costi di smacchio e trasporto, o al Porto di Badia a Poppiena a Pratovecchio (cfr. M. Ducci, G. Maggi, B. Roba, 2024, cit.), proveniente dalla selva di Castagno - oggetto della prima donazione del 1380 a favore dell’Opera del Duomo di Firenze ed estesa tra Pian del Grado (Macchia dell’Opera detta le Buche del Piano del Grado), dove abitavano gli Operai e le guardie dell’Opera - o da Celle, Monte Corsoio (Pastura detta di Monte Corsojo), Pian delle Fontanelle e Poggio della Serra.
L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio da parte di gruppi nomadi di pastori-raccoglitori-cacciatori Liguri (Apuani, Frinati, Mugelli, Clausentini) giunti sino a qui dalla Provenza passando le Alpi e seguendo nei loro spostamenti la dorsale appenninica, per poi arrestarsi in Casentino e nell’alta Val Bidente, come avvalorato dal ritrovamento in Campigna nella prima metà del XIX secolo, attestato dall’archivio archeologico Gamurrini e dalle memorie del Siemoni, di una sepoltura attribuibile al III millennio a.C. ed appartenente forse ad un capo tribù o un pastore-guerriero ligure corredata da una lancia con impugnatura carbonizzata e punta in selce disposta sulla destra dello scheletro, mentre i resti evidenziano che la mano sinistra stringeva un corno di capriolo. Anche le frequentazioni etrusche si sarebbero spinte fin qui come attesterebbe il ritrovamento casuale da parte del Siemoni di una statuetta in bronzo di VII-VI secolo a.C. con elmo e cimiero, probabile raffigurazione di divinità guerriera, riportato in una celebre Guida: «[…] è degno di particolare menzione […] il ritrovamento (Campigna c.s.) di una statuetta di bronzo rappresentante un guerriero con elmo a grande cresta, oggetto preziosissimo perché sta a indicare qual fosse l’armatura particolare nella regione Casentinese […]» (C. Beni, 1881, rist. anast. 1998, pp. 11-12, cit.). Non è nota la collocazione dei reperti citati. In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane.
Dalla Valle delle Celle nel suo limite occidentale altomontano passava probabilmente una delle possibili varianti della Via Flaminia militare (o minor), fatta costruire dal Console Caio Flaminio nel 187 a.C., con lo scopo di rendere più veloce il collegamento tra Bologna e Arezzo. Si ipotizza che risalendo dal Casentino fino al Monte Falco, percorreva quella che oggi è nota come Pista del Lupo lungo la Costa di Pian Cancelli, transitava da Pian delle Fontanelle, così detta per la presenza di polle d’acqua, da Poggio Corsoio e dal Valico dei Tre Faggi, quindi discendeva verso Castel dell’Alpe, Premilcuore e Faenza per immettersi nella Via Aemilia (questo è ritenuto il più antico itinerario di valico). In alternativa da Poggio Corsoio si raggiungeva Forlì e Ravenna transitando dal crinale del contrafforte principale sul limite settentrionale della valle, con le vette emergenti dei Monte Ritoio e Guffone; questo itinerario era anche una delle Vie del Sale maggiormente utilizzate per il contrabbando. Lo stesso toponimo Campigna potrebbe avere un’origine romana, dal latino campilia (campus – ilia) ovvero un insediamento con principale funzione di approvvigionamento di una circoscrizione territoriale militare di età imperiale. In alternativa si può immaginare una derivazione da campanea = campagna piana, che rispecchia la caratteristica morfologia della zona. Sicuramente questo territorio era noto ai romani sia per le foreste, dalle quali si procuravano il legname per le necessità delle flotte di Classe, Rimini e Ravenna, sia per le sorgenti: alla fine del I secolo d.C. l’Imperatore Traiano fece costruire l’acquedotto che riforniva Ravenna.
Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Sotto il dominio dei Bizantini e degli Ostrogoti sorgono torri di altura per arrestare l’avanzata dei Longobardi in direzione Ravenna nell’alta Valle d’Arno, con scarso successo. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Dopo la morte di Carlo Magno si insediarono signorotti di origine longobarda e franca spesso apparentati con aristocratici bizantini, come nel caso dei Conti Guidi. Il loro coinvolgimento nelle lotte tra Guelfi e Ghibellini e il conseguente contrasto con la Repubblica di Firenze comportò la loro caduta e l’ascesa della dominazione fiorentina con l’espansione della Romagna toscana. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate. In questo periodo si verifica una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur mantenendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Comunque, nel Settecento, chi voleva risalire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami che venivano così descritti: per Ridràcoli «[…] composto di viottoli appena praticabili […]» per S. Paolo in Alpe «[…] largo in modo che appena si può passarvi […].» e per il Corniolo «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi in modo che appena vi può passare un pedone […]» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, citato da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna Toscana e il Casentino nei tempi granducali. Assetto paesistico-agrario, viabilità e contrabbando, in: G.L. Corradi e N. Graziani - a cura di, 1997, p. 82, cit.). Inoltre, «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, 1992, p. 32, cit.). Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo di Firenze è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.). Così, se al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e i primi decenni del XX: «La nuova strada S. Sofia – Stia, bellamente pianeggiando sotto il Corniolo, attraversa il Bidente che viene dalle Celle e poi inizia l’ascesa del monte verso Campigna poco più su dal luogo donde si diparte, a sinistra, la mulattiera che mena a S. Paolo in Alpe ove, fino al secolo XVI, era un eremo agostiniano.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 270).
Anche il Crinale di Corniolino, limite sud-orientale della Valle delle Celle, era percorso da viabilità antica di origine preromana di cui si conservano ancora notevoli tratti selciati pure proveniente da Mevaniola: si tratta dell’antica Stratam magistram, la strada maestra romagnola o Via Romagnola il cui tracciato ben infrastrutturato dal crinale discendeva alla Colla Tre Faggi per risalire verso i Monti Ritoio e Gabrendo e ridiscendere sul versante opposto verso Stia. L’inizio del tratto alto-bidentino di questo antico tracciato è facilmente individuabile presso Lago (almeno nello sviluppo posteriore alla fine del XVII sec., successivo alla rimodellazione post-lacustre conseguente all’ostruzione franosa del 1681 che effettivamente generò un lago determinando la scomparsa del podere di Fior di Lino e del Mulino Vecchio). Come documentato dal Catasto toscano la via antica attraversava il Bidente delle Celle laddove si trovano i resti del Ponte di Fiordilino (poetica denominazione ripresa dal nome del sopracitato podere) costituiti da una spalla e dall’imposto di un arco limitato a qualche concio inclinato di innesto, che si scorgono a fianco del moderno Ponte del Lago. La saggistica (AA.VV., 1982, p. 188, cit.) documenta una struttura risalente all’ampio periodo tra i secoli XV e XIX con tipologia ad arco (in questo caso non è specificato se a sesto circolare o ribassato - un utile riferimento si può trovare nel progetto del 1556 per il rifacimento ad arco a tutto sesto del vicino Ponte della Balza – cfr. Pro Loco Corniolo-Campigna - a cura di, 2004, p. 168, cit.). Tenendo conto che ancora prima dei danni del cataclisma seicentesco la tipologia era stata ricondotta a quella ormai consueta che prevedeva l’utilizzo di travi lignee e che l’ampiezza della sezione della valle in quel tratto doveva essere ben inferiore all’attuale, quanto resta visibile potrebbe essere la conseguenza di successivi rimaneggiamenti ed ulteriori resti, se sussistenti, che evidentemente dovevano interessare il versante opposto, sono stati necessariamente rimossi a seguito delle varie modifiche della viabilità che nel corso dei secoli hanno interessato la morfologia dell’argine in sx idrografica. Infatti, se nell’Archivio storico dell’antico Comune di Corniolo è documentato il rifacimento delle spalle in pietra del Ponte di Fiordilino ad opera di maestri muratori lombardi (1580-1584), coerente con una costruzione di tale tipologia, pochi anni dopo (1591) risulta un incarico per la sostituzione dell’impalcato con travi in castagno ad opera di Marco da Pellegrino (Pro Loco Corniolo-Campigna - a cura di, 2004, pp. 39, 43, cit.), con palese riferimento alla sussistenza di una struttura lignea. Qualche certezza pare fornirla il seguente resoconto che pare riferirsi al precursore del ponte della nuova strada provinciale (anch’esso ad arco a sesto ribassato in pietra), il Ponte del Lago, ventilando che alla data non esistevano strutture praticabili: «1898. Sorge il problema della disoccupazione anche al Corniolo che ora ha più di mille abitanti. Per alleviare tale disagio, si propone di avviare la costruzione della strada rotabile Corniolo-S. Sofia, la costruzione in pietra del ponte del Lago (si vede ancora una pila di questo) […].» (Pro Loco Corniolo-Campigna - a cura di, 2004, p. 142, cit.).
Tra le righe pare di leggere che la necessità di costruire in pietra il Ponte del Lago fosse dovuta al fatto che della preesistente struttura in legno barrocciabile o carreggiabile, a due o più campate (considerata l’ampiezza della luce), ormai rimaneva solo una delle pile centrali (non è verbalizzato 'la pila' ma 'una pila') e l’antico Ponte di Fiordilino, che sorgeva accanto più robusto in quanto in pietra ed arcuato, era ormai troppo stretto rispetto alle necessità dell’impellente modernità, salvo considerare che all'epoca ormai non esistesse possibilità di attraversare il fiume se non a guado.
In effetti, poiché la disomogeneità di scala delle mappe storiche rende impossibile apprezzare minime variazioni planimetriche, non è possibile assicurare la corrispondenza tra il simbolo grafico della “pedanca” che compare in corrispondenza della mulattiera nella Carta d’Italia I.G.M. di primo impianto (1894) in scala 1:50.000 con la rappresentazione del Catasto toscano in scala 1:5.000. Rimane pertanto l’incertezza riguardo la datazione dei resti dell’imposto dell’arco sopracitati, che potrebbero essere relativi alla ricostruzione di fine ‘800, se realizzata in sostituzione e sullo stesso sito di quello antico, ma presto danneggiata a causa del terremoto del 1918 e/o abbandonata a seguito della realizzazione della rotabile e del suo nuovo ponte di poco a lato: tuttavia pare poco coerente tale spreco di risorse nell’arco di un paio di decenni tanto da ritenere gli stessi resti cinquecenteschi. A Lago coesistono comunque due strutture affiancate che attraversano il Bidente delle Celle poco prima del suo sbocco nel Bidente di Campigna: i resti del Ponte di Fiordilino in corrispondenza del tracciato antico diretto a Corniolino e il Ponte del Lago che, nella Carta d’Italia I.G.M. del 1937, compare il simbolo grafico del “ponte in muratura” a servizio del tratto della provinciale in corso di realizzazione ed ancora oggi in uso.
Oltre il ponte antico la Via Romagnola, come accennato, si inerpicava subito sull’erta rocciosa, in allineamento allo stesso, verso l’abitato di Corniolino, raggiungendolo presso la Chiesa/Hospitale di S. Maria delle Farnie ed il Castellaccio, per poi proseguire sul crinale sfruttando le gradonate di estesi affioramenti rocciosi, dove sono evidenti le tipiche alternanze di arenarie e marne formanti cornicioni sporgenti fratturati a “denti di sega”.
Un itinerario tra mezzacosta e fondovalle rappresentato nel Catasto toscano che doveva essere ritenuto di rilievo per i collegamenti, tanto da essere l’unico riportato nella citata e schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia insieme alla descritta viabilità di crinale e alla via che lo raggiugeva risalendo nella Valle di Lavacchio, seguiva inoltre l’intero corso del Bidente, attraversando tra l’altro le Ripe Toscane, classificate Geosito di rilevanza locale per affioramento molto esteso del Membro di Premilcuore della Formazione Marnoso Arenacea, di notevole valenza divulgativa in quanto attraversato da sentiero CAI, mentre alla base delle Ripe è ben esposto lo strato Contessa e pronunciati meandri incassati lungo l'alveo fluviale, dovuti ad interessanti morfologie di erosione, si succedono per circa 1 km. Le stratificazioni rocciose ancora oggi si mostrano funzionali alla percorrenza anche a seguito della “modernizzazione” del tracciato, che si voleva rendere interamente barrocciabile secondo un progetto del 1906 ma iniziato nel 1910 che, mai completato, consistette sostanzialmente nell’esecuzione del tratto Costacci-Fonte di Fossacupa-Filettino di sopra, al fine di evitare l’infossamento che scendeva a Filettino di sotto. Questo percorso all’imbocco della valle ha subito il pesante inserimento degli interventi collaterali alla realizzazione dell’invaso di Ridràcoli, tra cui le opere di captazione e adduzione idraulica, tramite la sopracitata gronda sotterranea, e di sbancamento relative all’ampia strada di servizio, al fine di mantenerla adiacente all’alveo fluviale.
Dal confronto con il Catasto toscano questo itinerario antico attraversava il Fosso di Verghereto proveniente da Corniolo un centinaio di metri più a valle di quello odierno, secondo la Carta d’Italia I.G.M. (1894-1937) con il Ponte della Balza in muratura, documentato dalla bella riproduzione del progetto del 1556 in pietra e ad arco circolare a tutto sesto (conservata all’Archivio di Stato di Firenze); seguiva quindi il tracciato della provinciale fino al sito dove sorgerà Lago, inoltrandosi poi per circa 90 m in sx del Bidente delle Celle; si può trovare corrispondenza tra la traccia antica nel tratto della rotabile di servizio fino al bivio della strada privata che risale sul versante, da seguire fino al primo tornante. Da qui si perde la traccia che proseguiva avvicinandosi al fondovalle al fine di superare un ripido versante in erosione (ma senza raggiungere il livello della rotabile di servizio), si inoltrava nella valle poi andando ad attraversare il Fosso della Fontaccia circa 50 m più a monte del ponte moderno, forse a guado ma, a seguito dell'ammodernamento stradale del 1910, con un ponte interamente in legno documentato da una foto degli scorsi anni ’80, il Ponte sul Fosso della Fontaccia (scomparso in quanto sostituito da un grosso ed improprio intubamento metallico del fosso), mentre da un precedente bivio si staccava il collegamento con il Ponte di Fiordilino. Sia il ponte sia questo tratto viario sono oggi scomparsi ma, risalendo ai ruderi del vicino fabbricato noto nel luogo come Casina, si ritrovano i resti della mulattiera e/o barrocciabile, che potrebbero corrispondere alle migliorie di inizio Novecento. Peraltro, la mulattiera rappresentata nella Carta d’Italia I.G.M. del 1937 pare corrispondere sia al tratto di strada di servizio fino al Fosso della Fontaccia sia alla posizione del ponte in legno, compreso il tratto che ancora oltrepassa sul retro il suddetto fabbricato. Proseguendo per 450 m oltre la sbarra, almeno 5-10 m sopra strada si notano correre i resti delle opere di sostegno della via antica, per alcuni tratti ancora percorribile a fatica. Nel punto di avvicinamento dei due tracciati si trova quindi un innesto precario, segnalato anche come sentiero 261 CAI, che consente così di calpestare il vecchio selciato. Percorsi 250 m si transita ai piedi di Capria di Sotto e il Ponte sul Fosso di Lavacchio, csostituito da uno (scivoloso) tavolato sostenuto da traversine in ferro in sostituzione di un precedente impalcato interamente ligneo, ha permesso di conservare l’attraversamento della profonda incisione torrentizia. Un migliaio di metri di leggera salita prospicente sul fiume porta alla zona di Filettino, toponimo (ritenuto di importazione bizantina) di un luogo che potrebbe essere ricollegato al periodo della forte contrapposizione bizantino-longobarda, da ritenersi idoneo quale piccolo presidio di controllo del transito. Per attraversare la zona occorrono circa 1,5 km mentre la via si inoltra sul versante rialzandosi quasi di 100 m rispetto all’alveo fluviale al fine di superare la profonda incisione del Fosso delle Fontacce in un sito idoneo al guado, presso il quale si trova la sempre attiva Fonte di Fossacupa, rifatta dall’A.R.F. nel 1981. Il successivo Fosso di Roncheto segna il limite oltre il quale la via, modellata sulle stratificazioni arenacee affioranti, entra nelle spettacolari Ripe Toscane, mantenendosi sempre un centinaio di metri più alta rispetto al fiume (ma l’areale geologico si innalza altrettanto), mentre l’uscita dal geosito è segnata dallo scorrimento superficiale derivante dalla Fonte del Bercio (risistemata dall’A.R.F. nel 1980), che contribuisce a mantenere attiva un’area di frana. Dopo 250 m la via attraversa il Fosso dei Fondi, poco sotto caratterizzato da una marmitta dei giganti: il Ponte sul Fosso Foscolo Fondi, lungo quasi 13 m a due campate con spalle e pila centrale in pietrame, interessante anche quale rara testimonianza di struttura originale in legno, rappresenta un tipico esempio delle tecniche costruttive codificate nel XIX secolo per i ponti barrocciabili, ovvero travi in legno di quercia su muratura in filaretto a gramignuola e impasto di calce e rena, impalcato in tavoloni di quercia con traversoni parabreccia laterali per il contenimento di un regolare strato di ghiaia, il tutto assicurato alle travi da chiodatura con cavicchi di ferro e corredato da ringhiere dette barriere alte 90 cm, costituite da traverse di castagno e colonnetti di quercia assicurati con staffe di ferro.
Ora la via si immerge nella parte più remota della valle dominata dalle cime appenniniche dove si insediarono il villaggio di Pian del Grado e il centro industriale/religioso di Celle giungendovi in sx idrografica dopo aver attraversato il Fosso delle Celle (ramo di origine bidentino), poco prima di dare corso al fiume, tramite il Ponte di Celle, piccola struttura barrocciabile in pietra ad arco a sesto ribassato, di cui non è nota l’epoca, che per l’inserimento nella pendice rocciosa pare non essere sostituente di precedenti strutture lignee. Il ponte si pone all’importante incrocio con l’itinerario trasversale di controcrinale Fiumicello-S.Paolo in Alpe e qui, a Celle, termina l’itinerario percorribile di fondovalle. Traccia abbandonata di una prosecuzione verso Pian del Grado si trova percorrendo (con difficoltà) lo stradello che si diparte a ridosso dei ruderi della chiesa di Celle, raggiunge il cimitero e prosegue per un centinaio di metri fino ai pressi della moderna carrabile, ipotizzando una possibile prosecuzione sullo stesso versante o semplicemente un più rapido e recente collegamento tra il villaggio e il cimitero.
Oggi il transito da Celle è permesso da una passerella pedonale interamente lignea, documentata dal simbolo della pedanca nella Carta d’Italia I.G.M. del 1937. In base alle foto d’epoca anche in passato questo Ponte delle Celle probabilmente presentava le medesime caratteristiche tecniche. In base al Catasto toscano una mulattiera discendeva da Colla Tre Faggi dividendosi nel ramo diretto a Celle e in un ramo diretto al probabile guado del Fosso di Pian del Grado in modo da consentire il collegamento barrocciabile tra Celle e l’opposto versante sfruttando l’alveo piatto del fosso ma anche per raggiungere il sito industriale dell’Opificio a forza idraulica costituito dal (ribatezzato) Molino di Sopra cui in seguito si aggiunse il Molino delle Celle. Il tracciato passava a ridosso del fabbricato molitorio (come ancora oggi si può notare) interponendosi e sovrapassando rispetto al berignale o gora di alimentazione del bottaccio (il prelievo idraulico avveniva subito dopo la confluenza del Fosso dell’Ortaccio), aspetto che pare confermato nella mappa I.G.M. di fine secolo. Nella Carta d’Italia I.G.M. del 1937 la situazione pare invece simile a quella odierna, con due fabbricati esistenti sul luogo del mulino, però in assenza del simbolo dell’opificio, e con la via che passa sul luogo della gora, andando ad attraversare i fossi più in prossimità della loro confluenza, ma sempre a guado (peraltro agevole in caso di scarsa portata idraulica per la morfologia piatta dell’alveo, oggi interrotta da briglie costituite da gabbionate lignee); le uniche strutture rappresentate in mappa sono infatti le due pedanche di Celle. In sostituzione dell’antica mulattiera che collegava con Campigna e S.Paolo in Alpe tramite il valico di Colla Tre Faggi, per impedire l'altrimenti inevitabile abbandono della valle, a metà del Novecento è stata realizzata (in parte ripercorrendola) la Pista di servizio S.P.4 del Bidente-Poderone-Pian del Grado. L’attraversamento del fosso con il Ponte sul Fosso di Pian del Grado, datato 1997 (PONTE DI 2A CATEGORIA – DM 04 MAGGIO 1990) e costituito da una robusta struttura lignea di plurime travi affiancate su parimenti robuste spalle in pietra di grosso taglio, pare un rifacimento di una struttura lignea ad una campata, forse risalente all’epoca dell’ammodernamento stradale, documentata negli Anni ’80 allo stato di rudere (AA.VV., 1982, p. 195, cit.).
In base al Catasto toscano alcuni tra gli itinerari trasversali penetravano nelle valli laterali per valicare il crinale e raggiungere la valle del Fiumicello e quindi del Rabbi, tra cui l’accennato l’itinerario trasversale di controcrinale Fiumicello-S.Paolo in Alpe, facevano capo a Celle e a La Fossa, importante insediamento di transito (documentato nella Descriptio Romandiole del 1371 come Villa Alefosse) da cui si diramava una ramificazione di vie. Raggiungere il crinale a Poggio Bini transitando da Fossa e Forni, poi Casa Torni nella valle del Fosso delle Celle, era utile per dirigersi verso lo Spartiacque Appenninico e la Toscana. La via che transitava da Foscolo entrando nella valle del Fosso del Foscolo consentiva di valicare diretti a Camporomagnolo e oltre. Da Foscolo, tramite La Traversa e la valle del Fosso dei Fondi, si valicava presso le pendici di Monte Ritoio diretti a Pian di Mezzano e Fiumicello. Un’altra via da La Fossa si fermava a Fondi, e da qui era ormai facile raggiungere Acquaviva e il Monte Ritoio. Anche Pian del Grado era collegato con il crinale a Poggio Bini transitando da Forni, poi Porcini di Sopra e Torni: nel luogo viene ricordata una Via delle Vacche che potrebbe corrispondere a detto itinerario, peraltro il versante presenta aree pascolive di recente utilizzo. Sul breve e storico tratto che sale a La Fossa si trovava Pianacci, posto su un poggetto sopra Celle ed enigmatico riguardo l’utilizzo originario (v. scheda), e una casa nuova (civico) n.73, con La Casina posta a breve distanza, presso la quale si trova l’Emergenza antropico-ambientale La Casina considerata rarità botanico/vegetazionale costituita dal relitto di un castagneto secolare. Isolata rispetto alla via che sull’altro versante scendeva da Colla Tre Faggi si trovava Fosse Cavalline, che prende il nome da un’area sita tra Celle e Coloreta . In questa valle, anziché le tipiche maestà, sono presenti due cellette, una a Pian del Grado ed una a La Fossa, cui forse si deve la toponomastica locale (insieme al probabile riferimento alle cellae di un antichissimo ed ipotizzato eremo), piccoli e caratteristici chiostri votivi che paiono unire la funzione devozionale al culto delle acque, essendo dotati di fontana con soprastante resti di mensola/acquaio a corredo dell’icona sacra. Sul tratto di contrafforte a SO di Poggio Bini, ad avvalorare la frequentazione recente, esistevano alcuni ripari; due sono ancora documentati nel Piano Strutturale del Comune di S. Sofia e presenti in una passata edizione della CTR regionale, benché non più esistenti, mentre un terzo Riparo degli Alpini perfettamente restaurato, o costruito, si trova a circa 500 m dal bivio con il sent. 261 CAI.
Le identificazioni toponomastiche e grafiche della cartografia antica e moderna (Catasto toscano, Carta d’Italia I.G.M., N.C.T. Nuovo Catasto Terreni, C.T.R. Carta Tecnica Regionale) riguardanti i fabbricati della Valle del Fosso delle Celle e dell’area di Celle si possono schematizzare come di seguito elencato:
- Le Celle nel Catasto toscano, o Celle con simbolo di Chiese ed oratori e di cimitero nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o Celle con simbolo di ruderi e di cimitero in quella moderna, o Celle con tutti i fabbricati presenti nel N.C.T., o Celle con sola cappella cimiteriale nella C.T.R.;
- Molino delle Celle nel Catasto toscano, o anonimo con simbolo di Opificio a forza idraulica (ruota dentata) nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o assente in quella moderna, o Molino di Sopra nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- Molino delle Celle: assente nel Catasto toscano, o anonimo con simbolo di Casa in muratura nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o anonimo con simbolo dei ruderi in quella moderna, o Molino delle Celle con il solo fabbricato abitativo nel N.C.T., o Molino delle Celle senza fabbricati nella C.T.R.;
- Fosse Cavalline: anonimo nel Catasto toscano e nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o assente in quella moderna, o Fosse Cavalline nel N.C.T., o Fosse Cavalline senza fabbricati nella C.T.R.;
- Pianacci nel Catasto toscano, o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o anonimo con simbolo dei ruderi in quella moderna, o Pianacci nel N.C.T., o anonimo nella C.T.R.;
- Casa nuova (civico) n.73: anonimo nel Catasto toscano e nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o assente nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o anonimo in tutta la cartografia moderna;
- La Fossa nel Catasto toscano, o C.laFossa nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o la Fossa nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937) e in quella moderna, o La Fossa nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- Fossa: anonimo nel Catasto toscano e nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o anonimo con simbolo dei ruderi in quella moderna, o anonimo nel N.C.T., o Fossa nella C.T.R.;
- Forni nel Catasto toscano, o C.Torni nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o C. Torni in quella moderna, o Torni nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- Forni nel Catasto toscano, o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o Porcini con simbolo dei ruderi in quella moderna, o Porcini di Sopra nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- Porcini di Sotto: assente nel Catasto toscano, o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o Porcini in quella moderna, o Porcini di Sotto nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- La Casina nel Catasto toscano, o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o la Casina in quella moderna e nel N.C.T., o La Casina nella C.T.R.
Accanto alla moderna rotabile, che ne ha ricoperto la gora e il bottaccio compromettendo quanto rimaneva dell’organicità industriale dell’antico sito, quando l’accesso viario si insinuava tra le strutture, si nota subito il Molino delle Celle, (ormai rudere), che con la costruzione dell’altro mulino a valle di Celle diverrà il Molino di Sopra. Documentato nel Settecento, è probabilmente più antico e la sua edificazione dovrebbe essere conseguente agli episodi di distacco della Valle delle Celle dal Comune di Corniolo, avvenuta nel Cinquecento per motivazioni economiche e fiscali che portarono a preferire la sola dipendenza diretta da Firenze (comunque pressante) e che rendeva necessaria un’attività molitoria autonoma.
Poco distante, oltre lo stretto ponticello, si erge completamente diroccata la Chiesa di S. Maria alle Celle, posta tra la confluenza tra il Fosso di Pian del Grado e il Fosso delle Celle e fronteggiante l’origine del Fiume Bidente delle Celle. Il nucleo di Celle, forse nel suo periodo migliore e incorniciato nella ristrettezza della valle, è documentato da alcune foto degli Anni ’30-’40, e suoi ruderi, flebilmente ancora rievocanti la sua essenza, però non trovano corrispondenza con la volumetria deducibile dalla planimetria catastale di inizio Ottocento, apparentemente composta dai due fabbricati della canonica e della chiesa perfettamente allineati oltre ad un probabile campanile a torre affiancato ed allineato a filo facciata, presumendo quindi una successiva e totale ricostruzione, che vedrà il disallineamento dei fabbricati e la dotazione di un campanile a vela. Nelle foto d’epoca è pure rappresentato il Molino delle Celle nella sua consistenza originaria, comprendente anche l’edificio principale scomparso, per quanto recente, così come rappresentato nel NCT e realizzato nel corso del XIX secolo (infatti è rappresentato per la prima volta nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto del 1894), dove oltre all’abitazione poteva trovarsi la macina per le farine fini. Rimane il rudere parzialmente seminterrato di una piccola struttura adiacente probabilmente contenente un ridotto apparato molitorio, considerato che il bottaccio era attiguo ad entrambi i fabbricati, forse una guadagnola che produceva farine grossolane per l’alimentazione animale. Nelle foto d’epoca si nota il bottaccio ormai inutilizzato e trasformato in un curatissimo orto.
Dopo l’abbandono negli anni ’60, entro un decennio l’intero nucleo di fabbricati diviene proprietà ex A.R.F. ma, dall’apposito elenco, solo per il Molino delle Celle risulta una consistenza di 35 mq e 210 mc suddivisi in 5 vani (coerente con la documentazione storico-fotografica), mentre riguardo Celle e il Molino di Sopra vengono indicati i soli dati catastali.
Come sopra accennato, di lato ai resti della chiesa si stacca una larga pista che risale il pendio parallela al fondovalle giungendo al vecchio e grande cimitero che, benché di struttura novecentesca, è completamente abbandonato ed anch’esso in rovina (rimangono vecchie lapidi sparse mentre sorprende una recentissima e particolare inumazione). Isolata e praticamente infossata con un dislivello di cento metri rispetto al villaggio di Pian del Grado, la documentazione ricordata nelle seguenti citazioni consente di datare una “chiesa delle Celle” almeno al XIII secolo: «[…] un atto del 15 aprile 1270, col quale Ventura abate dell’Isola dà in locazione a Bonaventura da Sasso un podere […] nel luogo detto Celle di Solaiolo […] coll’obbligo di far celebrare ogni anno 2 Messe al mese nella chiesa delle Celle […]» (Archivio di stato di Firenze, Spogli delle cartapecore di Camaldoli, v. II); «La parrocchia di Santa Maria delle Celle, diocesi di Borgo San Sepolcro, contiene 250 abitanti, e prese il nome da un antico eremo, fondato in questi luoghi selvosi dai conti di Valbona e donato poi da essi nel 1091 ai Camaldolesi dell’Abbazia dell’Isola.» (E. Rosetti, 1894, rist anast. 1995, p.194, cit.); «[…] Campigna appartiene alla parrocchia di S. Maria delle Celle. Di essa abbiamo una prima memoria nel 1223, in un atto delle cartapecore di Camaldoli, come dipendente dalla pieve di Galeata.» (D. Mambrini, 1935 - XIII, pp. 268, 271, cit.). Dai documenti storici non si riesce a dedurre l’esatta datazione e collocazione sia della chiesa primitiva, già esistente nel 1223, sia del sito di Celle di Solaiolo, toponimo di un podere concesso in cambio di celebrazioni nella chiesa stessa che comunque pare da rapportare all’eremo risalente all’XI secolo, detto anche il Mille. «Le prime documentazioni relative al toponimo “Celle” sono del 1179» (https://popolidelparco.it/celle/). Dalla relazione di una visita del 1677 dei funzionari dell’Opera: «[…] passando da Monte Corsoio luogo di nostro confino con lo Spedale di S. Maria Nuova scesimo abbasso sino alla Chiesa delle Celle nel qual viaggio molto disastroso per li cattivi passi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 320-321, cit.). Secondo un autore di oggi: «È ipotizzabile che in un profondo stato di povertà, qualche monaco, la cui antichissima presenza dette nome a questa plaga, le Celle, per la comoda disponibilità dei sassi del fiume, non si fosse preoccupato più di tanto di andare a costruire l’oratorio in cima ad un poggetto come tradizione avrebbe suggerito. Di laggiù dove venne costruita la Chiesa, anche il richiamo della campana doveva giungere assai attutito ai timpani dei fedeli sparsi per quelle aride piagge […]» (P.L. della Bordella, 2004, p. 46, cit.). Un altro autore riporta le descrizioni dei vari visitatori pastorali: «La chiesa è situata in un asperrimo luogo, alla radice del sommo giogo dell’Appennino, sotto il dirupo di Galterone […] È posta tra il fiume e il fosso e da ambe le parti circondata d’abeti e in luogo orrido e di grande solitudine […]» (E. Agnoletti, 1996, p. 61, cit.). In occasione della visita pastorale del 1705 risultò avere la porta di ingresso gravemente danneggiata ed essere priva di campana, per cui si stabilì di chiedere una retribuzione al granduca; alla visita del 1720 viene riferito che i dipinti dei due altari erano una Madonna e i santi Agostino e Monica ed una Madonna del Carmelo con i santi Antonio e Chiara; con la visita del 1731 si riferisce riguardo il suono delle campane per convocare il popolo, della necessità di riparazioni che tetto e pavimento attendono da oltre dieci anni e che gli abitanti erano 214, che divennero 167 nel 1746, 195 nel 1756, 316 nel 1896. Nel 1910 risulta disporre all’altare maggiore di una tela con la Madonna di Montenero inventariata dalla Soprintendenza di Firenze in quanto ritenuta di valore, oltre ad altri oggetti sacri in argento. Nel 1933 si aggiunsero diversi arredi in legno stuccato e dorato e decorato con teste d’angelo e velluto rosso. Nel 1943 si apprende che all’interno misurava m 11,20x4,80, che era stata restaurata dopo i terremoti del 1818-19 (o ricostruita come sopra descritto), che aveva un campanile a vela con campana, una sacrestia e una canonica su due piani poste sul retro della chiesa, componendo un unico fabbricato in buono stato. Durante la guerra divenne ricovero per le truppe tedesche e per il bestiame fino ai danni subiti a seguito dei bombardamenti, per cui nel 1949 la canonica venne riparata. L’intero fabbricato risulta ancora in piedi ma inutilizzabile tra il 1966 e il principio degli anni ’80, sul finire dei quali invece risulta invece già parzialmente fatiscente, come documentano le citate foto d’epoca (cfr. E. Agnoletti, 1996, p. 66-67, cit. e Link: www.fc.camcom.it.). La Madonna di Montenero e gli altri oggetti in quegli ultimi anni erano documentati nella chiesa di Campigna, che ne aveva assunto sia le funzioni sia la denominazione (F. Faranda, 1982; E. Agnoletti, 1996), ma sul luogo, pur avendone notizia, sostengono di non averla mai vista; si rimane pertanto in attesa di scoprire la sua odierna collocazione. Interessante la descrizione che in quelle pagine tale autore fa del suo ultimo periodo: «Il complesso, visto dal sentiero proveniente dalla via Corniolo-Campigna, si presentava così: Un ponticello di legno portava sul fianco della chiesa. Questa era più breve e più bassa della canonica, che prolungava lo stabile in una unità. Sul fianco sinistro presentava una finestrina alta che doveva illuminare l’altare. La canonica presentava sul fianco tre finestrelle e due porte al piano terra, e al primo piano 5 finestre. Sul tetto due comignoli di focolari. I due edifici, uniti in fila indiana, formavano un angolo ottuso, per non esserci spazio sufficiente per una linea retta. L’acqua del fiume vi scorreva di fianco a pochi metri di distanza, per tutta la lunghezza degli edifici. Al di là dell’immobile si innalzava il monte, che li stringeva in una valletta angusta, da far pensare che nella stagione invernale la neve li potesse coprire totalmente.» (E. Agnoletti, 1996, pp. 66-67, cit.). Una più recente pubblicazione rinnova ancora il ricordo della vita di quei luoghi: «Tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento molti romagnoli si trasferirono nell’Alta Valle dell’Arno: i Casamenti, a Vitareta, i Bellini a Casina della Foresta e Terigola, i Gori alla Pantenna; e poi i Montalti, i Giovannetti, i Ringressi, i Pini, gli Amadori, gli Elviri … tutti provenienti dal popolo delle Celle. E venne anche un sacerdote, don Mario Peruzzi […] nel 1937 […]. Gli fu assegnata la chiesa di Celle […]. Partì pieno di entusiasmo, senza conoscere il posto, e la realtà lo demoralizzò: un posto isolato tra le montagne, una chiesa vicino ad un fiume dentro una stretta gola. Stette quindici giorni chiuso in canonica senza la voglia di uscire […]. Arrivò a Stia in treno, poi si incamminò a piedi verso le Celle. […]. La madre del parroco morì in pieno inverno e per la neve non fu possibile trasportare la salma al cimitero di Olmo, dove lei voleva essere seppellita e così per tre mesi la bara rimase nella cappella del cimitero delle Celle. […] Oggi la chiesa delle Celle non esiste più. Il luogo dove era situata è solo un ammasso di rovine e dove c’era l’altare c’è una grossa pianta di vetrice.» (G. Landi, P. Giabbani, 2017, pp. 172, 173, cit.).
Su un rilievo situato sul lato opposto del fiume, nel raggio di 300 m da Celle, si trovano i riconoscibili ruderi di Fosse Cavalline, un fabbricato i cui elementi tipologici riconoscibili non farebbero escludere anche un utilizzo abitativo, come confermerebbe la presenza negli elenchi delle proprietà ex A.R.F. con il toponimo Fossa Cavallina, benché senza caratteristiche dimensionali, segno comunque di un abbandono prossimo all’acquisizione pubblica. Il fabbricato è rappresentato nei catasti storico e moderno con una planimetria rettangolare ed una piccola appendice, mentre nella C.T.R. compare solamente il punto di quota 807,2 significante che il cartografo ha comunque rilevato un’emergenza. Il luogo confinava con i beni posseduti dall’Opera del Duomo di Firenze in Romagna, per cui si trova citato nei contratti stipulati nel XIX sec. con il Monastero di Camaldoli, ed in particolare il Fosso delle Cavalline o Cavallino, da cui è probabilmente derivato il toponimo del podere. Nel contratto del 1818 si trova la prima citazione di un confine sul fosso delle Cavalline (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 475, cit.), ripetuta nel contratto 1840 nella parte riguardante la descrizione del podere di Coloreta: «N. 1: Podere di Colloreta […] I terreni che compongono questo podere consistono in un vasto tenimento di terre tutte giacenti in poggio […]; i confini: al Fosso Cavallino […]. Ed a questo descritto tenimento vi confina a 1° incominciando dalla parte di tramontana e nella parte inferiore il torrente Bidente, 2° dirigendosi verso mezzogiorno Fosso Cavallino e seguendo la medesima direzione, 3° la Chiesa delle Celle volgendosi quindi verso ponente ed in più lati e dirigendosi fino all’incontro del Fosso Cavallino, 4° Chiesa suddetta, 5° detto fosso Cavallino […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 506-507, cit.). Dalla lettura della descrizione completa dei confini pare di comprendere che il podere di Fosse Cavalline era di proprietà di Fabbri eredi di Giovan Filippo e che si estendeva tra il fosso citato e il Bidente.
Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alla scheda toponomastica Valle del Bidente delle Celle e/o relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.
N.B.: - Dopo la confisca del vasto feudo forestale da parte della Repubblica di Firenze a danno dei conti Guidi, l’alpe del Corniolo, la selva del Castagno e la selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli tra il 1380 e il 1442 furono donate (il termine contenuto in atti è “assegnato in perpetuo”; A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 15-16, cit.) all’Opera del Duomo di Firenze in Romagna che, per oltre quattro secoli si riservò il prelievo del legname da costruzione e per le forniture degli arsenali di Pisa e Livorno, di quelli della Francia meridionale oltre che per l’ordine dei Cavalieri di Malta. Dopo la presa in possesso l’Opera aveva costatato che sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove si manifestavano numerosi disboscamenti (roncamenti) non autorizzati. Desiderando evitare nuovi insediamenti, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. Altri elenchi e documenti utili si sono susseguiti nei secoli seguenti, fino ai contratti enfiteutici del 1818 e del 1840 con il Monastero di Camaldoli, contenenti una precisa descrizione dei confini e delle proprietà dell’Opera.
- La visita apostolica o pastorale, che veniva effettuata dal vescovo o suo rappresentante, era una prassi della Chiesa antica e medievale riportata in auge dal Concilio di Trento che ne stabilì la cadenza annuale o biennale, che tuttavia fu raramente rispettata. La definizione di apostolica può essere impropria in quanto derivante dalla peculiarità di sede papale della diocesi di Roma, alla cui organizzazione era predisposta una specifica Congregazione della visita apostolica. Scopo della visita pastorale è quello di ispezione e di rilievo di eventuali abusi. I verbali delle visite, cui era chiamata a partecipare anche la popolazione e che avvenivano secondo specifiche modalità di preparazione e svolgimento che prevedevano l'esame dei luoghi sacri, degli oggetti e degli arredi destinati al culto (vasi, arredi, reliquie, altari), sono conservati negli archivi diocesani; da essi derivano documentate informazioni spesso fondamentali per conoscere l’esistenza nell’antichità degli edifici sacri, per assegnare una datazione certa alle diverse fasi delle loro strutture oltre che per averne una descrizione a volte abbastanza accurata.
- Le “vie dei legni” indicano i percorsi in cui il legname, tagliato nella foresta, tronchi interi o pezzato, dal XV° al XIX° secolo veniva condotto prima per terra tramite traini di plurime pariglie di buoi o di cavalli, a valicare i crinali appenninici fino ai porti di Pratovecchio e Poppi sull’Arno, quindi fluitato per acqua, a Firenze e fino ai porti di Pisa e Livorno. Per approfondimenti, v. M. Ducci, G. Maggi, B. Roba, 2024, cit.
- La pedanca o pedancola è una passerella in legno posta ad attraversare un corso d’acqua. L’adozione del termine da parte dell’Istituto Geografico Militare (I.G.M) per indicare il simbolo tecnico cartografico (⤚⤙), corrispondente ai ponti pedonali, è dovuta alla coincidenza tra il luogo di fondazione dell’Istituto, avvenuta a Torino nel 1861, e l’utilizzo di tale denominazione nel dialetto piemontese.
- L’Appennino romagnolo era caratterizzato fino a metà del XX secolo (superata in qualche caso per un paio di decenni) da una capillare e diffusa presenza di mulini idraulici, secondo un sistema socio-economico legato ai mulini e, da secoli, radicato nel territorio. Ad esempio, nel Capitanato della Val di Bagno intorno al Cinquecento ognuno dei 12 comuni (Bagno, Careste, Castel Benedetto, Facciano, Montegranelli, Poggio alla Lastra, Ridràcoli, Riopetroso, Rondinaia, San Piero, Selvapiana, Valbona) disponeva di almeno un mulino comunitativo la cui conduzione veniva annualmente sottoposta a gara pubblica a favore del migliore offerente; a quell’epoca nell’area si registrano assegnazioni per 230 bolognini. La manutenzione poteva essere a carico del comune o del mugnaio. Alla fine del Settecento l’attività riformatrice leopoldina eliminò il regime di monopolio comunitativo introducendo la possibilità per i privati di costruire altri mulini in concorrenza produttiva, cui seguì un progressivo disinteresse comunale con riduzione dell’affitto annuale dei mulini pubblici fino alla loro privatizzazione. Nell’Ottocento, con la diffusione dell’agricoltura fino alle più profonde aree di montagna, vi fu ovunque una notevole proliferazione di opifici. La Valle delle Celle già dal Cinquecento si distaccò dal Comune di Corniolo, preferendo dipendere direttamente da Firenze; pertanto, la comunità locale faceva capo al Molino delle Celle, che pare già esistente, comunque documentato nel Settecento. Nell’Ottocento fu impiantato il nuovo Molino delle Celle che usurpò il nome all’altro più antico, di conseguenza venendo detto Molino di Sopra, ma dagli Anni ’30 del Novecento la crisi del sistema socio-economico agro-forestale ebbe come conseguenza l’esodo dai poderi e il progressivo abbandono dell’attività molitoria, che qui incise totalmente, mentre le relative costruzioni hanno avuto un riutilizzo colonico fin verso gli Anni ’70, come documentato dal censimento dell’ex A.R.F. (v. nota seguente). Tra gli Opifici a forza idraulica (def. I.G.M.) posti sul Bidente delle Celle oltre ai citati è da ricordare il Molino del Fornello, documentato solo nel XIX secolo.
- Negli scorsi anni ’70, seguito del trasferimento delle funzioni amministrative alla Regione Emilia-Romagna, gli edifici compresi nelle aree del Demanio forestale, spesso in stato precario e/o di abbandono, tra cui Fossa Cavallina, Molino delle Celle, Celle e Molino di Sopra, divennero proprietà dell’ex Azienda Regionale delle Foreste (A.R.F.); secondo una tendenza che riguardò anche altre regioni, seguì un ampio lavoro di studio e catalogazione finalizzato al recupero ed al riutilizzo per invertire la tendenza all’abbandono. Con successive acquisizioni il patrimonio edilizio del demanio forlivese raggiunse un totale di 492 fabbricati, di cui 356 nel Complesso Forestale Corniolo e 173 nelle Alte Valli del Bidente. Circa 1/3 del totale sono stati analizzati e schedati, di cui 30 nelle Alte Valli del Bidente. Il materiale è stato oggetto di pubblicazione specifica.
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Testo di Bruno Roba - Celle è comodamente raggiungibile tramite la Pista di servizio SP 4 del Bidente-Poderone-Pian del Grado, circa 6 km, in parte sconnessa e ripida, con innesto dalla S.P. 4 del Bidente.
Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.
00A – Ubicazione dell’alta Valle del Fosso delle Celle e di Celle nell’ambito dei bacini idrografici dell’Alta Valle del Bidente.
00a1/00a4 – Dal Sentiero degli Alpini (SA 301 CAI) sul crinale del contrafforte, panoramica della valle del Fosso delle Celle, con indice fotografico e vedute ravvicinate del fondovalle dove si trova Celle (16/04/16).
00b1/00b5 – Dal Crinale di Partinico, che si diparte dai pressi delle Mandriacce, dove si nota La Fossa e la sottostante casa nuova, ma anche da questo punto di vista rimangono nascosti il poggetto di Pianacci e il fondovalle di Celle, posti sullo stesso allineamento (2/12/16).
00c1 – Schema da cartografia moderna del bacino idrografico della Valle del Fosso delle Celle e dell’area di Celle.
00c2 - Mappa schematica dell’area di Celle.
00c3 – 00c4 - Schema da mappa catastale della prima metà dell’Ottocento, evidenziante il sistema insediativo, con utilizzo della toponomastica originale, integrata a fini orientativi con utilizzo di grassetto nero, e confronto schematico tra cartografia antica e moderna da cui si rilevano le modifiche planimetriche e alla viabilità intercorse nel periodo frapposto, in particolare si nota la nuova strada realizzata sul luogo del berignale e del bottaccio del mulino e la nuova attribuzione del toponimo.
00c5 - Schema cartografico da mappa del XIX sec. che, nella sua essenzialità, riguardo la viabilità principale evidenziava esclusivamente i tracciati viari che da S.Sofia raggiungevano lo Spartiacque Appenninico, mantenendosi prossimi al fondovalle fino a Corniolo, poi risalendo sui crinali, nella valle giungendo fino a poco oltre Celle ma non a Pian del Grado.
00c6 – Mappa schematica dedotta da cartografia storica di inizio XX sec. evidenziante reticolo viario e idrografico precedente al completamento della viabilità provinciale.
00d1/00d9 – Dalla pista diretta a Pian del Grado, giunti nel fondovalle si notano solo i ruderi del Mulino di Sopra, già delle Celle, ma anche da qui Celle rimane occultato dalla vegetazione e anche il bivio è poco riconoscibile e non segnalato. Un breve tratto di pista conduce al ponticello in legno sul Fosso di Pian del Grado, consentendo di scorgere i resti del nucleo topico (11/09/16 - 2/12/16 - 6/12/16).
00d10 – 00d11 – 00d12 – Vedute della piazzetta/sagrato della chiesa nonché luogo di transito si un importante itinerario che risale la valle fino al crinale (11/09/16 - 6/12/16 - 15/12/16).
00e1/00e7 – Vedute perimetrali dei resti del grande fabbricato composto dalla chiesa con retrostante canonica su due piani (11/09/16 - 6/12/16).
00f1/00f14 – Particolari dei resti destinati al totale cedimento nonostante l'incatenamento (11/09/16 - 6/12/16).
00g1/00g4 – Elaborazioni pittoriche da foto degli Anni ’30-’40, quando il nucleo era pienamente utilizzato, e degli Anni ’60 e ’80 che mostrano la progressiva fatiscenza dopo l’abbandono. Da notare nella prima foto il fabbricato residenziale del Mulino delle Celle, oggi scomparso, e il bottaccio trasformato in curatissimo campicello, con il piccolo fabbricato in origine forse una guadagnola che ancora oggi resiste, benché fatiscente.
00h1 – 00h2 – Di fronte alla chiesa nasce il Bidente dall’unione dei Fossi delle Celle e di Pian del Grado e rimangono i resti del Mulino delle Celle (2/12/16).
00i1/00i20 – Di lato al fabbricato di Celle si stacca una pista che conduce ai resti del cimitero, anch’esso abbandonato, tranne una recentissima e particolare inumazione (2/12/16 - 6/12/16).
00l1 – 00l2 – La pista che dalla piazzetta di Celle risale nella valle giunge al Ponte di Celle sul Fosso delle Celle (11/09/16).
00l3 – Più a monte, il Fosso di Pian del Grado è scavalcato da un robusto ponte che pare datato al 1997 e pare un rifacimento di una struttura lignea risalente all’epoca della costruzione della pista (Anni ’50) documentata negli Anni ’80 allo stato di rudere (2/12/16).