Poggio a Pratovecchio
Testo di Bruno Roba (29/08/2019 - Agg. 23/10/2023)
Poggio a Pratovecchio: Comune Bagno di Romagna - Pratovecchio: Comune Santa Sofia
Il Fosso delle Macine ha origine da Poggio della Serra e costituisce il tratto montano del Fosso di Campo alla Sega che ha esatta origine dalla confluenza del suo tratto montano con il Fosso di Sasso Fratino (a volte detto anch'esso Fosso delle Macine), con la sua ramificazione generata da quell’anfiteatro, tra cui il Fosso dell’Acqua Fredda o dell’Asticciola. «I torrenti principali che attraversano la Riserva sono (da Ovest a Est): Sottobacino Bidente di Ridracoli – Fosso delle Macine, che costituisce la porzione alta del F.di Campo alla Sega […] Fosso di Sasso Fratino, affluente di destra del F. d. Macine – Fosso di Campo alla Sega, derivato dalla confluenza del F. d. Macine e del F. d. Sasso Fratino […]» (A. Bottacci, 2009, p. 23, cit.). Altri affluenti provenienti dalla Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino sono il Fosso dei Praticini o dei Fraticini, posto prima della confluenza del Fosso di Sasso Fratino, e il Fosso dei Preti, delimitato in dx idrografica dalla Costa di Poggio Piano, braccio orientale dello specifico anfiteatro di Sasso Fratino che, distaccatasi dallo spartiacque appenninico ed in continuità con la dorsale della Seghettina, chiude a SE il bacino idrografico. Mentre il Fosso dei Botriali confluisce nel Fosso di Campo alla Sega sul limite del suo braccio lacustre, gli altri affluenti in sx idrografica, ovvero il Fosso della Busca, già della Basca, e il Fosso dell’Asino, ormai si gettano direttamente nel lago. La dorsale della Seghettina separa la valle del Fosso di Campo alla Sega da quella del Fosso degli Altari.
Per l’inquadramento territoriale v. schede Valle del Bidente di Ridràcoli e Fosso di Campo alla Sega.
La minore acclività di tratti del versante sx della valle, alcontrario di quella della Riserva, dei Fossi delle Macine e di Campo alla Sega, al contrario di quella della Riserva, ha consentito il diffondersi di insediamenti ed appoderamenti dediti al pascolo e al taglio del bosco, infatti il ricorrente toponimo ricorda la principale attività svolta nell’area dai secoli addietro fino alla prima metà del XX … «Ivi il Padre Apennino non corruso ma verde, mostravasi aperto e vestito con alberi sul fianco, appiè del quale una cascata di acque da sega in sega e tra i massi rompendosi lieve lieve come velo copriva un ponticello …» (P. Ferroni, Autobiografia, 1825, in: G.L. Corradi, O. Bandini, “Per quanto la veduta consenta di spaziare”. Scelta di testi dal XIV al XIX secolo, in: G.L. Corradi, O. Bandini, 1992, p.78, cit.). Gli insediamenti superstiti sono alcuni fabbricati del nucleo de La Seghettina e, fino a pochi decenni addietro, Campominacci, già Campo Minacci, Campo di Minaccio e Campo Ominacci, che giunse ad essere recuperato ed indicato come rifugio nella prima cartografia del Parco delle Foreste Casentinesi, oggi ormai abbandonato al destino di rudere, come peraltro l'Ammannatoia ed i Botriali, già Butriali. Di Pratovecchio e Poggio a Pratovecchio (posti sul crinale di Poggio della Gallona ma il primo appartenente al sistema vallivo del Fosso del Molinuzzo) e di Campo alla Sega rimangono poche pietre. Vari capanni (di alcuni rimangono resti poco consistenti) si trovavano sia sulla sella del contrafforte posta a monte dell’origine del Fosso delle Macine, l’ex rifugio di Pian del Pero, sia presso il suo corso (uno a metà circa di probabile uso forestale, uno verso il termine, forse un’antica macina, peraltro posta in un sito nel XIX secolo noto come La Macine), sia presso Campominacci e Campo alla Sega.
La prima cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto Toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), consente di conoscere il tracciato della viabilità antica che raggiungeva Ridràcoli. Attraversato il Bidente di Corniolo presso Isola, con il Ponte dell'Isola, sul luogo del ponte odierno, essa si manteneva in sx idrografica risalendo subito a mezzacosta fino a raggiungere Biserno, per quindi ridiscendere nel fondovalle del borgo, dove si concludeva con un lungo rettilineo al cui termine si trovava Il Ponte di Ridràcoli. Tale viabilità, anonima nelle mappe citate, verrà poi denominata Strada Comunale Ridràcoli-Biserno e Strada Comunale Isola-Biserno; solo in occasione dei lavori di costruzione dell’invaso quest’ultima verrà ristrutturata e ampliata diventando parte della S.P. n.112.
Vari itinerari trasversali collegavano le vallate adiacenti, principalmente dipartendosi dal baricentro militare-residenziale del Castello di Ridràcoli (nel 1216 è documentato come Castrum Ridiracoli un villaggio fortificato che, secondo la Descriptio Romandiole del 1371, raggiungeva appena 6 focularia) e dai nuclei economico e religioso del ponte e della chiesa (una villam Ridraculi cum omnibus ecclesiis è documentata già dal 1213), dialetticamente separati in base alla morfologia del luogo, determinata dalla fitta sequenza delle anse fluviali. Dal Castello partiva la Strada che dal Castello di Ridracoli conduce alla Chiesa della Casanova, risalente la Valle dei Tagli ed imperniata su Casanova dell’Alpe (su una pietra cantonale della chiesa sono ancora leggibili le distanze chilometriche – evidentemente non più valide - km 12,358 per Bagno e km 5,933 per Ridràcoli); costituiva parte della successiva Mulattiera Ridràcoli-Bagno. Dal Ponte di Ridràcoli partiva la Strada che da Ridracoli va al Poggio alla Lastra, che, superata la chiesa, risaliva la Valle del Corneta, parte della successiva e rinomata Mulattiera di Ridràcoli diretta a Santa Sofia tramite Strabatenza. Entrambe le mulattiere incrociavano sul crinale la Strada Maestra di S. Sofia o Strada che dalla Casanova va a Santa Sofia, la prima presso il Monte Moricciona, la seconda sul Passo della Colla, posto sulla Colla del Monte interposta tra i Monti Marino e La Rocca. Molto note e ancora riportate come tali nella cartografia moderna, negli anni ’50 alle estremità delle mulattiere vennero installati dei cippi stradali riportanti la rispettiva denominazione, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli; rimasero localmente in uso fin’oltre metà del XX secolo, infatti le odierne strade forestali verranno realizzate solo un ventennio dopo.
Dai piedi del centro religioso si staccava un percorso che giungeva fino alle pendici della Seghettina … «[…] praticabile solamente nella bella stagione, quando le acque del fiume erano scarse, e si snodava lungo il corso del Bidente che veniva attraversato ben 33 volte […]» (C. Bignami, 1995, p. 90, cit.). Dalla via castellana si staccava la strada comunale, sempre percorribile, che risaliva il Bidente per un lungo tratto correndo accanto all’alveo fluviale, per la parte fino alla diga oggi sostituito dalla viabilità di servizio, per il resto ormai sommerso. La via scavalcava il Fosso dei Tagli, presso lo sbocco nel Bidente, forse sul luogo oggi occupato dall’asfalto stradale, con il Ponte dei Tagli. Subito dopo la mulattiera passava sotto un arco del Mulino di Sopra costeggiandone il bottaccio. Con la costruzione della diga e con il riempimento dell’invaso, è scomparso pressoché l’intero tracciato viario e sono scomparsi mulini, insediamenti (le Celluzze – che spesso riemerge, la Forca, Lagacciolo, Verghereto), ponti e guadi che, come sopracitato, attraversavano 33 volte il Fiume della Lama o Obbediente (come era anticamente classificato), come il Ponte a Ripicchione (documentato da una mappa del 1637 allegata ad una relazione del 1710 del provveditore dell’Opera del Duomo di Firenze riproduzioni della mappa si trovano in A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, l’originale a colori, in A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.) e il Ponte alla Forca. La mulattiera, dopo il Ponte a Ripicchione abbandonava l’argine fluviale risalendo progressivamente il versante e, sorpassata la Fonte dei Bisernini, raggiungeva Lagacciolo; un bivio divideva il tratto che da Case di Sopra risaliva fino al Monte Cerviaia dalla prosecuzione della via che ridiscendeva fino a La Forca e al suo mulino, prima attraversando il fosso detto Il Fossone con una palancola lignea, in un’area ormai sommersa. La viabilità lungo il Bidente terminava con l'attraversamento tramite il Ponte alla Forca o della Seghettina, risalente al 1843. Oltrepassato il ponte con un lungo tragitto si poteva risalire fino a S. Paolo in Alpe oppure si imboccava l’importante e sopracitata Strada che dalla Seghettina va a Stia valicante il Passo Sodo alle Calle o La Scossa. Dal questa via si staccava pure un itinerario (detto anche Via dei Fedeli) che scendeva ad attraversare il Fosso degli Altari per poi seguire il Fosso della Lama penetrando nella sua valle fino a valicare il crinale con il passo del Gioghetto, diretto all’Eremo di Camaldoli. Alla seconda metà del secolo scorso risalgono il Ponte alla Sega, ampio ponte ligneo carrabile che consente alla S.F. Lama-S. Paolo in Alpe-Corniolo di attraversare il Fosso di Campo alla Sega e il Ponte alla Macchia, un robusto ponticello ligneo con spalle in pietra che viene utilizzato anche come carrabile da piccoli mezzi agricoli per collegare la Seghettina con la strada predetta tramite la strada forestale diretta all’Ammannatoia. La valle del Fosso di Campo alla Sega era inoltre interessata da alcune c.d. vie dei legni, utilizzate per il trasporto del legame tagliato dai boschi di prelievo fino al Porto di Badia a Poppiena a Pratovecchio, attraverso i valichi appenninici tosco-romagnoli; una di queste, che probabilmente attraversava la Riserva di Sasso Fratino, era la via che dalla Lama conduceva alla Seghettina e quindi a Pian del Pero e la Calla, individuata all’inizio del XX secolo dal Direttore generale delle Foreste, al Ministero di Agricoltura, A. Sansone nella relazione sullo stato delle foreste demaniali (cit.).
In questo contesto storico-geografico, tra le alte valli bidentine quella di Ridràcoli è quella che meno ha subito il fenomeno dell’abbandono grazie alle caratteristiche ambientali e climatiche più favorevoli della sua parte meno elevata. Il borgo principale, posto nel baricentro sia geografico sia del sistema insediativo, è quello più noto e frequentato e la frazione di Biserno è quella più abitata, ma le parti delle vallecole laterali più profonde e difficilmente raggiungibili sono trascurate e molti fabbricati oggi sono in stato di abbandono o ridotti a rudere o scomparsi, con vari casi di ristrutturazione interrotta, ma non fanno eccezione neanche le valli meglio infrastrutturate che, se hanno evitato il completo abbandono dei poderi, hanno scarsamente contribuito al riutilizzo dei rispettivi insediamenti, in prevalenza abbandonati o, al più, riutilizzati a fini turistici.
La Valle Fosso di Campo alla Sega e sue diramazioni erano abitate fin dal XVI secolo nelle parti più remote e alcuni insediamenti sono rappresentati nella mappa del 1637. Essi erano collegati alla viabilità principale di crinale da itinerari trasversali. Le identificazioni toponomastiche e grafiche della cartografia antica e moderna (Catasto toscano, Carta d’Italia I.G.M., N.C.T. Nuovo Catasto Terreni, C.T.R. Carta Tecnica Regionale) riguardanti i fabbricati si possono schematizzare come di seguito elencato:
- L’Ammannatoja nel Catasto toscano, o anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937), o Ammannatoia in quella moderna, o Ammannatoia nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- I Botriali nel Catasto toscano, o i Botrini nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o i Botriali nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), o i Butriali in quella moderna, o Butriali nel N.C.T., o I Botriali nella C.T.R.;
- Campominacci nel Catasto toscano, nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna, o Campominacci nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- Campo alla Sega: anonimo nel Catasto toscano, o assente in tutta la restante cartografia antica e moderna; Campo alla Sega nella Carta Geometrica della Regia Foresta casentinese e adiacenze, l’anno 1850 (cfr. Regione Toscana – Progetto CASTORE, cit.);
- anonimo nel Catasto toscano, o la Seghettina nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna, o Seghettina nel N.C.T., o La Seghettina nella C.T.R.;
- La Seghettina nel Catasto toscano, o la Seghettina nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna, o Seghettina di Sotto nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- ex Rifugio di Pian del Pero: assente nel Catasto toscano, o C. Pian del Pero nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o assente nella restante cartografia antica e moderna; ex Rif. Pian del Pero in alcune edizioni di cartografia escursionistica;
- Poggio a Pratovecchio nel Catasto toscano, o Pratovecchio nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna con rappresentazione del simbolo dei ruderi, o Pratovecchio nel N.C.T. e nella C.T.R.
Il lungo ed articolato sviluppo della dorsale Poggio della Serra/Poggio della Gallona che delimita la valle, nell’ultimo tratto evidenzia la morfologia piramidale di Poggio della Gallona. Esso è preceduto dal picco similare di Poggio di Pratovecchio costituente la separazione morfologica dei due insediamenti di Pratovecchio e Poggio a Pratovecchio, detti anche Poggio a Pratovecchio di là e Poggio a Pratovecchio di qua. La differenziazione si manifestava non solo per toponomastica ma anche dal punto di vista amministrativo, costituendo già allora il crinale linea di confine: Pratovecchio (rappresentato solo nella cartografia del XIX secolo) in base al Catasto toscano apparteneva al Popolo di S. Paolo e ricadeva nella Comunità di S. Sofia “di S. Paolo in Alpi e Mulinuzzo”, Poggio a Pratovecchio (oggi noto come Pratovecchio e ancora rappresentato nella moderna cartografia regionale come fabbricato esistente), sempre in base al catasto ottocentesco, apparteneva al Popolo di Paganico e ricadeva nella Comunità di Bagno “della LAMA”. Detto confine oggi intercorre tra i Comuni di S. Sofia e Bagno di Romagna.
Il luogo è documentato nel 1510 in un verbale dell’Opera del Duomo di Firenze in riferimento ad una capanna eseguita abusivamente: «[…] far buon viso a cattivo gioco […] visto […] come certi uomini di Radiracoli […] sono entrati in […] luogo detto pendice del Poggio di Pratovecchio dove […] hanno roncato e disboscato da più anni […] detti operai […] quivi hanno fatto alcuna capanna et habitatione per loro uso. […] Et essendo necessario provvedere […]. Che per virtù della presente provvisione, ogni casa o capanna, dissodamento, sementa, commodo et utilità […] siano incorporati e ridotti nel dominio, proprietà, uso e possessione dell’Opera […]. Che detti poderi e ronchi si debbino terminare e confinare […]. che detti operai habbino autorità di poter locare e concedere in affitto detti poderi […] per più tempo che cinque anni per volta.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 147-148, cit.). Al 1631 risale la prima datazione del podere e quindi del fabbricato colonico, come di seguito documentato nel 1637 e dalla citata mappa dello stesso anno: «1637 – Nota dei capi dei beni che l’opera è solita tenere allivellati in Romagna e Casentino e sono notati col medesimo ordine col quale fu di essi fatta menzione nella visita generale che ne fu fatta l’anno 1631: […] Comune del Corniolo, nel Popolo della Pieve di S. Pietro al Corniolo: […] 34) Poggio di Pratovecchio, podere tenuto da Ottavio Capacci […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 408, 410, cit.). Successivamente è documentato in un verbale del 1677: «[…] li poderi di Romagna appresso notati cioè […] Poggio di Pratovecchio che tiene a linea Andrea Piero Tozzi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 329, cit.). Da una relazione del 1751 sullo stato dei poderi dell’Opera si apprende: «[…] 8) Podere di PRATOVECCHIO o POGGIO A PRATOVECCHIO tenuto in affitto da Francesco di Lazzero Checcacci. Questo è un piccolo poderetto composto anco di terre poco buone che torna nel poggio superiore al podere di Botriali molto sottoposto a venti e per ciò quella casa soffre maggior danno delle altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977 , p. 435, cit.). Nel 1789, da una relazione sui canoni da stabilirsi, risulta che i: «I soli poderi […] Poggio di Pratovecchio […] potrebbero allinearsi e vendersi […] ma sono ridotti in tal cattivo stato dai passati affittuari […] e le case e stalle e capanne si trovano in stato rovinoso perché non si hanno fatti gli annuali risarcimenti dal 1730 […] non si troverebbero oblatori in compra […]. Sono del parere […] vadino riconfermati nell’affitto […] con nuovi patti e condizioni da rimettere in buono stato case e poderi ed alla scadenza dell’affitto allora migliorati si potrà prendere la risoluzione più utile e conveniente sopra i medesimi cioè di venderli o di allivellarli o in affitti.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 441-442, cit.). Nell’Archivio dell’Opera si trova una documentazione non datata, comunque di fine ‘700, contenente una descrizione delle case rurali dei poderi di appartenenza, tra cui la «[…] Casa del podere di Poggio di Pratovecchio: […] Piano a palco – Ha l’ingresso per mezzo di una scala esterna a un lato della quale vi è una loggetta con il forno e sotto lo stabbiolo per il maiale. La prima stanza contiene il camino ed è in soffitta, da questa si passa in altra pure in soffitta.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 448, cit.). Nel Contratto livellario stipulato nel 1818 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli si trova un’ulteriore descrizione del podere: «Comunità di Bagno […]. Tutta questa tenuta […] è composta dai seguenti terreni cioè […] 21° Podere denominato Poggio di Pratovecchio […] con casa da lavoratore composta di numero sei stanze da cielo a terra compresoci stalle e capanne, forno, tutto in cattivo stato. […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 473-474, cit.). Sciolto d’imperio il contratto del 1818 per inadempienze nell’applicazione di un rigoroso regime forestale ai possedimenti dell’Opera, nel 1840 il Granduca fece stipulare un nuovo Contratto livellario con il Monastero di Camaldoli, così si trova un’ulteriore, ed ora estremamente precisa, descrizione dei poderi da cui ormai risulta l’abbandono di Pratovecchio: «N. 7 - Podere dei Botriali, posto in comunità di Bagno e nel popolo di San Paolo in Alpe lavorato dalla famiglia colonica di Stefano Milanesi. A questo è stato recentemente riunito il piccolo podere detto Poggio di Pratovecchio per cui attualmente compongono un solo ed unico podere. Fabbricati colonici. […] La fabbrichetta già attenente al podere del Poggio di Pratovecchio situata sul vertice di un poggio di detto nome, ed in stato di assoluta rovina, si compone al terreno di tre stanze con ingresso esterno destinate per stalle e nel piano superiore con eguale numero che una cucina una ad uso di camera e l’altra capanna.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 516-517, cit.).
Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alle schede toponomastiche relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.
N.B.: - I luoghi della Valle di Campo alla Sega si sono trovati in qualche modo coinvolti dalla storia nell’evoluzione del ciclo delle acque di Ridràcoli, note e sfruttate fin dall’antichità in tutta la Romagna. Lo stesso toponimo deriverebbe dal latino Rivus Oracolum o Oraculorum per la probabile presenza presso il torrente di un piccolo tempio pagano con sibilla oracolante, ipotesi comunque verosimile e conforme alla leggenda della Sibilla appenninica delle vicine montagne marchigiane. Già nel II secolo d.C. le problematiche legate al reperimento delle risorse idriche e soprattutto alle necessità di Ravenna e del porto di Classe portarono l’Impero Romano alla realizzazione di un imponente acquedotto che sfruttava il flumen aqueductus Bidente; tracce di esso si trovano negli scritti antichi ed essenzialmente nella toponomastica locale. Dopo un lunghissimo interregno, negli anni ’30 del XX secolo le esigenze della civiltà moderna portano ad effettuare i primi studi per localizzare una diga nell’Alto Appennino forlivese e, nei primi anni ‘60, al fine di fornire risorse idriche sufficienti alle aree di Forlì e Ravenna e alla fascia costiera romagnola, viene individuata l’area a monte di Ridràcoli come idonea per l’imbrigliamento delle acque dell’alto corso del Bidente (oltre ad altre risorse idriche tramite condotte sotterranee), con conseguente realizzazione dell’opera tra il 1975 e il 1982. Oggi, come probabilmente il lago artificiale ha alterato il microclima dell’anfiteatro della Lama, portando variazioni nell’assetto vegetazionale con un diverso equilibrio a vantaggio delle specie oceaniche (faggio) in confronto a quelle continentali, così l’ambiente circostante è stato modificato da viabilità ed opere connesse alla diga e diversi edifici, acquisiti dalla Romagna Acque-Società delle Fonti S.p.A., hanno subito modifiche e/o riutilizzi a fini turistici.
- L’Opera del Duomo di Firenze, dopo la presa in possesso delle selve “di Casentino e di Romagna”, aveva costatato che sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove si manifestavano numerosi disboscamenti (roncamenti) non autorizzati. Desiderando evitare nuovi insediamenti, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. Altri elenchi e documenti utili si sono susseguiti nei secoli seguenti, fino ai contratti enfiteutici del 1818 e del 1840 con il Monastero di Camaldoli, contenenti una precisa descrizione dei confini e delle proprietà dell’Opera.
- Le “vie dei legni” indicano i percorsi in cui il legname, tagliato nella foresta, tronchi interi o pezzato, dal XV° al XX° secolo veniva condotto prima per terra tramite traini di plurime pariglie di buoi o di cavalli, a valicare i crinali appenninici fino ai porti di Pratovecchio e Poppi sull’Arno, quindi per acqua, a Firenze e fino ai porti di Pisa e Livorno.
- La sega ad acqua venne inventata da Villard de Honnecourt nel sec. XIII e Leonardo da Vinci ne studiò il funzionamento nel 1480. A metà del ‘400 in Casentino sono documentate una sega ad acqua a Camaldoli (i monaci sono stati sempre all’avanguardia nella lavorazione del legno) e due artigiani specializzati a Papiano (M. Massaini, 2015, cit.) mentre, sul versante romagnolo «All’interno della foresta si costruirono direttamente e per concessione a terzi, nel corso del ‘500 e del ‘600, alcune seghe idrauliche per la lavorazione del legname sul posto e la sua preparazione al trasporto (sega del fosso del Bidente, sega del Ridracoli, dell’Asticciuola, del Ricopri). Tali seghe lavoravano al limite della legalità e, nonostante una rigida legislazione e una serie di regolamenti e di divieti per impedire tagli abusivi, per tutta l’età moderna hanno favorito la spogliazione della foresta da parte delle popolazioni confinanti.» (N. Graziani, 2001, p. 149, cit.). In particolare nel ‘6-‘700 l’Opera del Duomo di Firenze puntò al depezzamento del legname in dimensioni di più agevole trasporto con la costruzione di numerose seghe ad acqua in foresta, che però si ridussero ad una tra ‘700 e ‘800 a seguito del progressivo e totale disimpegno della stessa Opera, in attesa dei miglioramenti introdotti dal Siemoni.
- Il toponimo forca, dal latino classico furca, ae = forca, strada a bivio e forcelle montana (A. Polloni) era probabilmente dovuto o alla viabilità che, oltre il ponte omonimo, si biforcava con detto tracciato di crinale e con uno di fondovalle che poi risaliva verso l’Ammannatoia ed oltre, oppure alla biforcazione fluviale con il Fosso di Campo alla Sega.
- Negli scorsi anni ’70, a seguito del trasferimento delle funzioni amministrative alla Regione Emilia-Romagna, gli edifici compresi nelle aree del Demanio forestale, spesso in stato precario e/o di abbandono, tra cui Butriali, Campominacci, Manatoia e Seghettina, divennero proprietà dell’ex Azienda Regionale delle Foreste (A.R.F.); secondo una tendenza che riguardò anche altre regioni, seguì un ampio lavoro di studio e catalogazione finalizzato al recupero ed al riutilizzo per invertire la tendenza all’abbandono, senza successo tranne il parziale riutilizzo della Seghettina. Con successive acquisizioni il patrimonio edilizio del demanio forlivese raggiunse un totale di 492 fabbricati, di cui 356 nel Complesso Forestale Corniolo e 173 nelle Alte Valli del Bidente. Circa 1/3 del totale sono stati analizzati e schedati, di cui 30 nelle Alte Valli del Bidente. Il materiale è stato oggetto di pubblicazione specifica.
- In base alle note tecniche dell’I.G.M. se in luogo dell’anteposta l’abbreviazione “C.”, che presumibilmente compare quando si è manifestata l’esigenza di precisare la funzione abitativa, viene preferito il troncamento “Ca” deve essere scritto senza accento: se ne deduce che se compare con l’accento significa che è entrato nella consuetudine quindi nella formazione integrale del toponimo.
RIFERIMENTI
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Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze;
Parco nazionale delle foreste casentinesi. Carta dei sentieri 1:25.000, N.20, Monti editore, 2019;
Regione Toscana – Progetto CASTORE – CAtasti STorici REgionali;
URL http://www502.regione.toscana.it/searcherlite/cartografia_storica_regionale_scheda_dettaglio.jsp?imgid=11479;
URL http://www.igmi.org/pdf/abbreviazioni.pdf;
URL www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.
Testo di Bruno Roba - Raggiunto Campominacci, percorrendo circa 3,9 km della rotabile S.F. S. Paolo in Alpe-La Lama, chiusa da una sbarra presso S. Paolo, e poco dopo uno strettissimo tornante, imboccando un’ampia pista sotto strada (asportato il segnavia segnaletico) che in 100 m conduce al fabbricato, si può raggiungere Poggio a Pratovecchio raggiungendo tramite il sentiero di crinale per Poggio della Gallona, in tutto circa 5,6 km dalla sbarra. Il tracciato è riportato nella cartografia sentieristica.
Le foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell'autore.
001a – 001b – 001c - Dal Monte Penna, veduta panoramica sulla Valle di Ridràcoli, dove il contrafforte costituisce testata da cui si staccano le dorsali che delimitano il sistema vallivo afferente all’invaso; nell’ultimo particolare si evidenzia il tratto finale compreso da i Poggi di Pratovecchio e della Gallona (7/02/11 – 13/01/16).
001d – 001e – 001f - Dal varco del Canale del Pentolino, presso Poggio Scali, sono possibili queste uniche vedute dalla Giogana della dorsale da Poggio della Serra a Poggio della Gallona, laddove la contrazione prospettica ne evidenzia la complessità morfologica; nel particolare finale il tratto tra i Poggi di Pratovecchio e della Gallona (20/08/19).
001g/001o – Dai pressi di S. Paolo in Alpe, vedute della parte della valle del Rio Fossati che in fondo appare chiusa dalla dorsale di Poggio della Gallona dove spiccano i prati di Pratovecchio (25/04/18 - 24/10/18 – 21/11/18).
001p/001t - Da Poggio Capannina, vedute del sistema vallivo delimitato in dx idrografica dalla lunga ed arcuata dorsale Poggio della Serra/Poggio della Gallona con particolari dell’ultimo tratto Poggio di Pratovecchio/Poggio della Gallona (2/06/18).
001u – 001v – 001z - Dalla S.Vic.le S. Paolo in Alpe-La Lama, vedute del tratto finale della dorsale di Poggio della Gallona dove spiccano i prati di Pratovecchio (31/03/12 - 15/06/12).
002a/002g – Dal Crinale della Vacca, vedute del tratto finale della dorsale tra i Poggi della Gallona e di Pratovecchio (10/12/15 – 19/07/18).
002h/002n – Dai pressi delle Pozzacchere, vedute del sito di Pratovecchio con indicazione dei resti dei due insediamenti, separati dal Poggio omonimo (27/04/12).
002o – 002p – Dal crinale della Seghettina, vedute dell’impervio versante orientale della dorsale di Poggio della Gallona (17/11/11).
002q – Schema da cartografia moderna della vallata dei Fossi delle Macine e di Campo alla Sega e loro affluenti, con gli insediamenti esistenti o scomparsi in evidenza.
002r – 002s - Schema da mappa catastale della prima metà dell’Ottocento, evidenziante il sistema insediativo, con utilizzo della toponomastica originale, integrata a fini orientativi con utilizzo di grassetto nero, e confronto schematico tra cartografia antica e moderna da cui si rilevano le modifiche planimetriche e alla viabilità intercorse nel secolo frapposto.
002t - Schema da cartografia della prima metà del ‘900, prima della realizzazione della viabilità moderna.
003a/003h – Il sentiero di crinale verso Poggio della Gallona conserva resti di sistemazioni ormai in abbandono, segno di frequentazioni moderne e controllate, offrendo scorci panoramici con aspetti caratteristici riguardo l’assetto geomorfologico; in alcune vedute si nota l’incrocio con l’antico percorso trasversale collegante gli opposti versanti vallivi (15/06/12 - 18/12/16).
003i – Veduta panoramica da Sud del sito di Pratovecchio/Poggio a Pratovecchio (15/06/12).
003l – 003m – 003n - Vedute da Sud e da Nord delle praterie di Pratovecchio/Poggio a Pratovecchio (15/06/12).
003o/003z – Il sito e i resti di Pratovecchio (15/06/12 - 18/12/16).
004a – Da Pratovecchio veduta del Poggio di Pratovecchio (15/06/12).
004b/004f - Il sito e i resti di Poggio a Pratovecchio (15/06/12).
004g – 004h – Da Poggio a Pratovecchio vedute verso il lago (15/06/12).