Lagacciolo
Testo di Bruno Roba (13/10/2019)
Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto appenninico spartiacque compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine; in quell’ambito si staccano due contrafforti secondari e vari crinali e controcrinali minori delimitanti le singole vallecole del bacino idrografico.
In particolare, la Valle del Fiume Bidente di Ridràcoli riguarda quel ramo intermedio del Bidente delimitato, ad Ovest, dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si distacca da Poggio Scali e che subito precipita ripidissimo disegnando la sella di Pian del Pero, serpeggiante evidenzia una sequenza di rilievi (i Poggi della Serra e Capannina, l’Altopiano di S.Paolo in Alpe, Poggio Squilla, Ronco dei Preti e Poggio Collina, per terminare con Poggio Castellina) fino a digradare presso il ponte sul Fiume Bidente di Corniolo a monte di Isola, costretto dalla confluenza del Fiume Bidente di Ridràcoli. Ad Est la valle è delimitata dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si diparte da Poggio allo Spillo (collegando Poggio della Bertesca, Croce di Romiceto, i Monti Moricciona, La Rocca, Marino, Pezzoli e Carnovaletto) per concludersi con il promontorio della Rondinaia digradando a valle di Isola costretto dalla confluenza del Fiume Bidentino o Torrente Bidente di Fiumicino nel Fiume Bidente. La Rondinaia è nota per il castello con la sua torre «[…] baluardo di antica potenza, elevato fin dai tempi romani alla difesa contro le orde barbariche che dal nord d’Europa scendevano a depredare le belle contrade d’Italia.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 274).
Il bacino idrografico, di ampiezza molto superiore rispetto alle valli collaterali e che vede il lago occupare una posizione baricentrica con l’asta principale fluvio/lacustre f.so Lama/invaso/fiume posizionata su un asse mediano Nord-Sud, mostra una morfologia molto differenziata rispetto al suo baricentro. L’area sorgentifera, con la realizzazione dell’invaso artificiale, si differenzia tra quella che lo alimenta e quella a valle della diga che alimenta direttamente il fiume. A monte l’area imbrifera si amplia estendendosi da Poggio Scali fino al Passo della Crocina mostrando, specie nella parte a ridosso delle maggiori quote dello spartiacque appenninico (la c.d. bastionata di Campigna-Mandrioli), fortissime pendenze modellate dall’erosione e dal distacco dello spessore detritico superficiale con conseguente crollo dei banchi arenacei, lacerazione della copertura forestale e formazione di profondi fossi e canaloni fortemente accidentati, talvolta con roccia affiorante (Frana Vecchia, 1950, e Frana Nuova, 1983-1993, sempre attiva, di Sasso Fratino). Il reticolo idrografico confluisce in cinque corsi d’acqua principali che costituiscono i corrispondenti bracci lacustri di cui si compone il lago. Essi sono il Fosso delle Macine, poi di Campo alla Sega, il Fosso degli Altari e il Fosso della Lama, tranne l'ultimo provenienti dal tratto di bastionata interna alla Riserva Integrale di Sasso Fratino. Quindi l’asta torrentizia costituita dalla sequenza dei Fossi del Ciriegiolone, dell’Aiaccia e del Molinuzzo, proveniente dall’anfiteatro generato dal contrafforte secondario nel distaccarsi dallo spartiacque appenninico a Poggio Scali. Infine il Fosso del Molino, che raccoglie il reticolo idrografico generato dal contrafforte distaccatosi da Poggio allo Spillo. L’invaso occupa l'antico primo tratto del Fiume Bidente compreso tra le sue origini, determinate dalla confluenza dei Fossi della Lama e del Molino, e le confluenze, rispettivamente in sx e dx idrografica, dei Fossi del Molinuzzo e dei Tagli, tra le quali si situa la diga. Il versante orientale del lago, in dx idrografica, è costituito dalle ripide pendici del Monte Cerviaia, con la sua appendice del Monte Palestrina, da cui provengono i Fossi del Fontanone, Fossone, del Casamentino e dell’Orso, oltre un fitto reticolo idrografico. Secondo la morfologia pre-lacustre, gli innumerevoli sproni del versante occidentale del Cerviaia, alternativamente contrapposti alle lunghe ed imponenti dorsali provenienti direttamente dallo spartiacque appenninico, determinarono quella che era la profonda e sinuosissima gola del primo tratto del Bidente, come si può notare dalla cartografia storica.
Tali luoghi si sono trovati in qualche modo coinvolti dalla storia nell’evoluzione del ciclo delle acque di Ridràcoli, note e sfruttate fin dall’antichità in tutta la Romagna. Lo stesso toponimo deriverebbe dal latino Rivus Oracolum o Oraculorum per la probabile presenza presso il torrente di un piccolo tempio pagano con sibilla oracolante, ipotesi comunque verosimile e conforme alla leggenda della Sibilla appenninica delle vicine montagne marchigiane. Già nel II secolo d.C. le problematiche legate al reperimento delle risorse idriche e soprattutto alle necessità di Ravenna e del porto di Classe portarono l’Impero Romano alla realizzazione di un imponente acquedotto che sfruttava il flumen aqueductus Bidente; tracce di esso si trovano negli scritti antichi ed essenzialmente nella toponomastica locale. Dopo un lunghissimo interregno, negli anni ’30 del XX secolo le esigenze della civiltà moderna portano ad effettuare i primi studi per localizzare una diga nell’Alto Appennino forlivese e, nei primi anni ‘60, al fine di fornire risorse idriche sufficienti alle aree di Forlì e Ravenna e alla fascia costiera romagnola, viene individuata l’area a monte di Ridràcoli come idonea per l’imbrigliamento delle acque dell’alto corso del Bidente (oltre ad altre risorse idriche tramite condotte sotterranee), con conseguente realizzazione dell’opera tra il 1975 e il 1982. Oggi, come probabilmente il lago artificiale ha alterato il microclima dell’anfiteatro della Lama, portando variazioni nell’assetto vegetazionale con un diverso equilibrio a vantaggio delle specie oceaniche (faggio) in confronto a quelle continentali, così l’ambiente circostante è stato modificato da viabilità ed opere connesse alla diga e diversi edifici, acquisiti dalla Romagna Acque-Società delle Fonti S.p.A., hanno subito modifiche e/o riutilizzi a fini turistici.
È così scomparso quasi l’intero tracciato della mulattiera comunale e sono scomparsi ponti e guadi che attraversavano il Fiume Obbediente (come era anticamente classificato), come il Ponte alla Forca e il Ponte a Ripicchione, quest’ultimo comparente in una mappa del 1637 e citato nel Contratto livellario del 1840 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli relativo ad uno dei poderi scomparsi: «N. 8 - Podere di Lagacciolo […] Terreni. Un solo tenimento di terra tutta giacente in poggio ed in una pendice scoscesa inclinata sul torrente Bidente rivolta al sud est intersecata da più e diversi fossi e borri […] ed è riconosciuto per i vocaboli: Lagacciolo, Ponte Ripicchione, […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 518, 519, cit.). Il ponte era posto subito a valle della confluenza del Fossato del Ciregiolo (oggi Fosso del Molinuzzo) nel fiume, quindi proprio nel luogo dove oggi sorge la diga ma probabilmente nel XIX sec. ne rimaneva solo il toponimo, infatti non compare nel cartografia dell’epoca, a differenza del Ponte alla Forca. Ancora negli ultimi anni prima dell’innalzamento delle acque dell’invaso in quei luoghi esistevano due stradelli, uno seguiva il corso del Bidente attraversandolo ben 33 volte, ma era praticabile solo in caso di scarsità idrica, l’altro era la mulattiera comunale, larga e ben massicciata, che si distaccava dalla Mulattiera di Ridràcoli, già Strada che dal Castello di Ridracoli conduce alla Chiesa della Casanova, come dall’ottocentesco Catasto Toscano. Scavalcato con un ponte in legno il Fosso dei Tagli passava sotto un arco del mulino omonimo quindi ne costeggiava il bottaccio. Giunta all’altezza del Fosso del Molinuzzo … «In quel punto il fiume era particolarmente ricco d’acque e per raggiungere la riva opposta i ridracolini avevano studiato un particolare marchingegno che chiamavano “la teleferica”. Salivano infatti su di un carrello portante, una specie di rudimentale funicolare composta da due fili d’acciaio […]. Situata qualche metro sopra il livello dell’acqua non era poi troppo scomoda e neanche troppo pericolosa. Vi si saliva in tre o quattro persone per volta ed era necessaria per recarsi alle Celluzze ed alle altre case poste oltre il fiume […] sul suo percorso incontrava un’altra fonte detta “dei bisernini” […]. Dal Logacciolo la mulattiera ricominciava a salire abbastanza rapidamente. Incontrava una piccola croce in ferro battuto […]. Oltrepassate le Case di Sopra, un breve tratto in discesa permetteva di raggiungere la riva del Bidente che veniva attraversato grazie ad un ponticello in legno. Oltre il ponte la mulattiera correva pianeggiante verso le case della Forca, quindi incontrava un nuovo ponte, quello della Seghettina, in pietra con tre travi di ferro portanti, che permetteva nuovamente l’attraversamento del Bidente.» (C. Bignami, 1995, pp. 91-94, cit.). Superato il Ponte alla Forca, o della Seghettina, si imboccava l’importante Strada che dalla Seghettina va a Stia, attraverso il Passo Sodo alle Calle o La Scossa. Mentre a volte riemerge Le Celluzze, sul braccio lacustre del Fosso del Molinuzzo, sono del tutto sommersi sia la casa detta La Forca che il Molino della Forca, Verghereto o Vergherete e Il Lagacciolo o Lagacciole o Logacciolo, questo unico insediamento in sx idrografica. Il toponimo forca, dal latino classico furca, ae = forca, strada a bivio e forcelle montana (A. Polloni) era probabilmente dovuto o alla viabilità che, oltre il ponte omonimo, si biforcava con detto tracciato di crinale e con uno di fondovalle che poi risaliva verso l’Ammannatoia ed oltre, oppure alla biforcazione fluviale con il Fosso Campo alla Sega. La declinazione Logacciolo (diminutivo di Logo, toponimo diffuso anche come Loghetto e Logaccio, dal latino locus = luogo) ovvero con il significato di luogo brutto e piccolo, sarebbe attinente al sito particolarmente infossato (490 m) rispetto all’incombente Poggio della Gallona (844 m).
Il versante montano della Cerviaia ha consentito di dare ospitalità agli insediamenti in dx idrografica, uno riutilizzato a scopo turistico essendo più facilmente raggiungibile, altri ridotti a rudere o scomparsi. Gli insediamenti superstiti sono la settecentesca Ca di Sopra o Case di Sopra e La Casetta detta anche Cà Margheritini, il primo rifugio gestito con possibilità di ristoro, il secondo fatiscente e non utilizzato. Di Le Faitelle, già Le Faltelle, e Pratalino residuano i ruderi, mentre di Palestrina, già La Palestrina e Casamentino, rimangono poche pietre. Il Molino di Sopra o della Teresona o dei Tagli, posto presso la confluenza del Fosso dei Tagli nel Bidente, collocato non lontano dalla diga ed espropriato in conseguenza della sua costruzione, è stato recuperato ad uso della Romagna Acque-Società delle Fonti S.p.A.
Il podere di Lagacciolo si trova documentato tra i possedimenti già di proprietà dell’Opera del Duomo di Firenze in Romagna (il luogo rientrava infatti tra i beni sottratti ai conti Guidi dalla Repubblica fiorentina ed “assegnati in perpetuo” all’Opera di S. Maria del Fiore). L’Opera, avendo preso possesso delle selve “di Casentino e di Romagna” dove desiderava evitare nuovi insediamenti, aveva costatato che, sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove, si manifestavano numerosi disboscamenti e roncamenti non autorizzati. Dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. La citazione più antica relativa a questo luogo risale ad un nuovo elenco del 1637: «1637 – Nota dei capi dei beni che l’opera è solita tenere allivellati in Romagna e Casentino e sono notati col medesimo ordine col quale fu di essi fatta menzione nella visita generale che ne fu fatta l’anno 1631: […] Tutti li beni infrascritti da n. 24 a n. 40 inclusine, sono in Romagna nel Capitanato di Bagno, nel Comune di Ridracoli, nel Popolo di San Martino a Ridracoli: […] 37) Lagacciole, podere tenuto da Ottavio Capacci» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 408, 410, cit.). Successivamente compare documentato in una relazione di una visita del 1677: «Venerdì 24 ritornando alla visita per Giogo si camminò molte miglia […] e si vedde da più parte del Giogo le vaste provincie […] siccome li poderi di Romagna appresso notati cioè […] il Lagacciolo, la Forca, Poggio di Pratovecchio tiene a linea Andrea Piero Tozzi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977 , pp. 325, 329, cit.). Nel 1789, da una relazione sui canoni da stabilirsi, risulta che i: «I soli poderi della Casa Nuova, macchia, Lagacciolo e Poggio Pratovecchio potrebbero allinearsi e vendersi […] ma sono ridotti in tal cattivo stato dai passati affittuari […] e le case e stalle e capanne si trovano in stato rovinoso perché non si hanno fatti gli annuali risarcimenti dal 1730 […] non si troverebbero oblatori in compra […]. Sono del parere […] vadino riconfermati nell’affitto […] con nuovi patti e condizioni da rimettere in buono stato case e poderi ed alla scadenza dell’affitto allora migliorati si potrà prendere la risoluzione più utile e conveniente sopra i medesimi cioè di venderli o di allivellarli o in affitti.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 441-442, cit.). Dal Contratto livellario del 1818, tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli si trova la prima descrizione del podere: «Comunità di Bagno […] Una vasta tenuta di terre […] descritta in appresso […]. Tutta questa tenuta […] è composta dai seguenti terreni cioè […] 16° Podere denominato il Lagacciolo, nel popolo di Ridracoli in detta Comune, con casa da lavoratore composta di tre stanze da cielo a terra, con orto, aia, forno rovinato il quale va rifatto e per questo occorre la spesa di lire quaranta. Questo podere è composto dei seguenti terreni cioè: I° un tenimento di terra lavorativa, sodiva, mozzico nata, ripata, balzata, pasturata, di staia 12 circa in lavorativa e le altre di staia 80 circa con vocaboli di terra e pastura di Lagacciolo.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 461, 463, 466, 471, 472, cit.). Sciolto d’imperio il contratto del 1818 per inadempienze nell’applicazione di un rigoroso regime forestale ai possedimenti dell’Opera, nel 1840 il Granduca fece stipulare un nuovo Contratto livellario con il Monastero di Camaldoli, così si trova un’ulteriore descrizione, ora estremamente precisa, del podere e dei fabbricati: «N. 8 - Podere di Lagacciolo […] lavorato dalla famiglia colonica di ... Casa colonica. Questa restaurata di recente ed ampliata ancora, comprende a terreno una stalla per le capre, una per le pecore, altra per il bestiame bovino ed un piccolo porcile, stanze tutte sterrate e con ingresso esterno. Il piano superiore ha una loggia sull’aia, una capanna con ingresso esterno ed un portichetto con forno contiguo per il quale si ha l’accesso saliti alcuni scalini ad una cucina intavolata ed a tetto munita del camino e dell’acquaio avente l’annesso di una camera parimente a tetto. Continui vi sono i resedi e l’aia sterrata. E quantunque di recente questa descritta fabbrichetta sia stata riattata pure occorre alcun restauro al forno e alla parete esterna di mezzogiorno. Terreni. Un solo tenimento di terra tutta giacente in poggio ed in una pendice scoscesa inclinata sul torrente Bidente rivolta al sud-est intersecata da più e diversi fossi e borri senza conosciuta denominazione e della superficiale estensione di quadrati 170 e centesimi 57 pari a staia 341 circa per le quali staia tre terra prativa e alternativamente seminativa, staia 3 e mezzo lavorativa nuda con alcuni frutti selvatici, staia 46 e mezzo terra boschiva con capitozze da frasca ed in parte seminativa a tempi nelle località meno inclinate, ed ogni resto pasture nude sterili e scoscese ed è riconosciuto per i vocaboli: Lagacciolo, Ponte Ripicchione, la Ripa dei Corvi, i Bruciati, i Ronchi Vecchi, Balzoni, Poggio della Gallona ed il Prato dei Ciliegi.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 518-519, cit.). Il podere venne abbandonato negli Anni ’50 poco prima degli espropri per la realizzazione dell’invaso. Da notare che poiché il livello dell’invaso varia tra un minimo di 502,0 m e un livello di sfioro di 557,3 m, il sito del fabbricato, che in base alla mappa I.G.M. era posto a 490 m, non può riemergere.
Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alla scheda toponomastica Valle del Bidente di Ridràcoli e/o relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.
N.B.: Negli scorsi anni ’70, a seguito del trasferimento delle funzioni amministrative alla Regione Emilia-Romagna, gli edifici compresi nelle aree del Demanio forestale, spesso in stato precario e/o di abbandono, tra cui Faitelle, Pratalino, Vergherete, Lagacciolo e Case di Sopra, divennero proprietà dell’ex Azienda Regionale delle Foreste (A.R.F.); secondo una tendenza che riguardò anche altre regioni, seguì un ampio lavoro di studio e catalogazione finalizzato al recupero ed al riutilizzo per invertire la tendenza all’abbandono, senza successo. Con successive acquisizioni il patrimonio edilizio del demanio forlivese raggiunse un totale di 492 fabbricati, di cui 356 nel Complesso Forestale Corniolo e 173 nelle Alte Valli del Bidente. Circa 1/3 del totale sono stati analizzati e schedati, di cui 30 nelle Alte Valli del Bidente. Il materiale è stato oggetto di pubblicazione specifica.
RIFERIMENTI
AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;
C. Bignami (a cura di), Il popolo di Ridracoli, Nuova Grafica, Santa Sofia 1995;
A. Bottacci, La Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, 1959-2009, 50 anni di conservazione della biodiversità, Corpo Forestale dello Stato, Ufficio territoriale per la Biodiversità di Pratovecchio, Pratovecchio, 2009;
F. Faranda (a cura di), L’Alto Bidente. Oggetti e immagini di storia contadina, Edizioni Alfa, Bologna 1983, (catalogo dell’omonima mostra organizzata dalla Soprintendenza competente a Santa Sofia nel 1983);
M. Foschi, P. Tamburini, (a cura di), Il patrimonio edilizio nel Demanio forestale. Analisi e criteri per il programma di recupero, Regione Emilia-Romagna A.R.F., Bologna 1979;
A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;
M. Gasperi, Boschi e vallate dell’Appennino Romagnolo, Il Ponte Vecchio, Cesena 2006;
N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001;
D. Mambrini, Galeata nella storia e nell’arte, Tipografia Stefano Vestrucci e Figlio, Bagno di Romagna, 1935 – XIII;
A. Polloni, Toponomastica Romagnola, Olschki, Firenze 1966, rist. 2004;
P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anast. Castrocaro Terme 1989;
Comune di Bagno di Romagna, PSC 2004, Insediamenti ed edifici del territorio rurale, 2004, Schede n. 237;
Bagno di Romagna, Carta dei sentieri, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2008;
Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze;
Link www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.
Testo di Bruno Roba
Si può osservare facilmente il sito di Lagacciolo dalla diga e procedendo sul sentiero 239, prima e dopo l’attraversamento del Fosso del Fontanone.
Le foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell'autore
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001/004 – Dalla vetta Monte Penna, veduta panoramica sulla Valle di Ridràcoli e particolareggiata sul lago dove si notano anche le anse corrispondenti al sito di Lagacciolo (26/01/12 - 17/10/13 – 13/01/16).
005 - 006 - Dalla SP 124 Badia Prataglia-Sacro Eremo pressi M. Penna, altra veduta ravvicinata delle anse lacustri (8/09/11).
007 – 008 – 009 – Dal varco del Canale del Pentolino, sulla Giogana presso Poggio Scali, vedute del braccio lacustre del Molinuzzo (2/09/11 –11/12/14).
010 - Schema da cartografia moderna con gli insediamenti esistenti o scomparsi in evidenza.
011 – Mappa schematica dedotta da cartografia storica di inizio XX sec. evidenziante reticolo idrografico, infrastrutture e insediamenti, oltre che la superficie del futuro invaso; la toponomastica riprende anche nella scrittura quella originale. Nota: nella mappa originale a quota inferiore rispetto a La Casetta era presente un altro fabbricato oggi scomparso, inoltre il toponimo era erroneamente trascritto accanto al fabbricato di Verghereto.
012 – 013 - Mappa schematica dedotta da cartografia storica di inizio XIX sec. evidenziante reticolo idrografico, infrastrutture e insediamenti (la toponomastica riprende anche nella scrittura quella originale) e schemi degli insediamenti del bacino idrografico del tratto del Bidente divenuto lago.
014 – Particolare della mappa del 1637 con il Ponte a Ripicchione, posto subito a valle della confluenza del Fossato del Ciregiolo (oggi Fosso del Molinuzzo) nel fiume, quindi proprio nel luogo dove oggi sorge la diga (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, a colori, A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.).
015 –Veduta dalla diga; in lontananza il sito di Lagacciolo (7/10/17).
016 – 017 - Veduta del sito di Lagacciolo dall’area di sosta e dalla calata di Vergherete (8/09/11 - 7/10/17).
018/022 - Vedute del sito di Lagacciolo dal sentiero 239 e nei pressi dello sbocco del Fosso del Fontanone (8/09/11).