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Costa Poggio Piano

inserita da Bruno Roba
Tipo : monte
Altezza mt. : 986
Coordinate WGS84: 43 50' 34" N , 11 48' 52" E
Toponimo nell'arco di
notizie :

Testo di Bruno Roba (12/01/20 - Agg. 12/07/20)

Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto appenninico spartiacque compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine; in quell’ambito si staccano due contrafforti secondari e vari crinali e controcrinali minori delimitanti le singole vallecole del bacino idrografico.

In particolare, la Valle del Fiume Bidente di Ridràcoli riguarda quel ramo intermedio del Bidente delimitato, ad Ovest, dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si distacca da Poggio Scali e che subito precipita ripidissimo disegnando la sella di Pian del Pero, serpeggiante evidenzia una sequenza di rilievi (i Poggi della Serra e Capannina, l’Altopiano di S.Paolo in Alpe, Poggio Squilla, Ronco dei Preti e Poggio Collina, per terminare con Poggio Castellina) fino a digradare presso il ponte sul Fiume Bidente di Corniolo a monte di Isola, costretto dalla confluenza del Fiume Bidente di Ridràcoli. Ad Est la valle è delimitata dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si diparte da Poggio allo Spillo (collegando Poggio della Bertesca, Croce di Romiceto, i Monti Moricciona, La Rocca, Marino, Pezzoli e Carnovaletto) per concludersi con il promontorio della Rondinaia digradando a valle di Isola costretto dalla confluenza del Fiume Bidentino o Torrente Bidente di Fiumicino nel Fiume Bidente. La Rondinaia è nota per il castello con la sua torre «[…] baluardo di antica potenza, elevato fin dai tempi romani alla difesa contro le orde barbariche che dal nord d’Europa scendevano a depredare le belle contrade d’Italia.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 274).

Gli alti bacini idrografici bidentini mostrano in genere una morfologia nettamente differenziata dovuta alla diversa giacitura e disgregabilità dell’ambiente marnoso-arenaceo; per il versante a ridosso delle maggiori quote dello spartiacque appenninico conseguono fortissime pendenze modellate dall’erosione con formazione di canaloni fortemente accidentati, i versanti orientali appaiono solitamente frastagliati mentre i versanti prevalentemente esposti a meridione mostrano pendii più dolci a prato-pascolo, spesso su terrazzi orografici, che si alternano a tratti intensamente deformati e brecciati. In gran parte fanno parte di quelle aree montane anticamente note come alpe del Corniolo, o selva del Castagno, e selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli che, dopo la confisca del vasto feudo forestale da parte della Repubblica di Firenze a danno dei conti Guidi, tra il 1380 e il 1442, furono donate (il termine contenuto in atti è “assegnato in perpetuo”; A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 15-16, cit.) all’Opera del Duomo di Firenze la quale, per oltre quattro secoli, si riservò il prelievo del legname da costruzione e per le forniture degli arsenali di Pisa e Livorno, di quelli della Francia meridionale oltre che per l’ordine dei Cavalieri di Malta. Forniture riguardarono anche il mercato romagnolo utilizzando il Bidente per il trasporto. Nei secoli successivi, il depauperamento per i tagli, legittimi ed abusivi, anche conseguenti alla progressiva antropizzazione del territorio con incremento di appoderamenti per colture e pascoli realizzati con la pratica del ronco, portò la foresta a ridursi alle zone più impervie delle testate vallive. Fino all’ultimo dopoguerra anche i tratti più impervi del versante appenninico, spesso percorribili solo a piedi o con bestie da soma, ma ricchi di legname di pregio anche economico, furono oggetto di prelievo indiscriminato: «[…] gli impluvi esistenti, con pendenza in genere superiore al 100%, venivano spesso trasformati in veri “canali di scivolamento” di tronchi (chiamati appunto “canaiole”), con grave danno per il legname, per il suolo e per la vegetazione. Anche la riattivazione di piste forestali di alta pendenza, genera il pericolo più o meno grave d’inizio di fenomeni erosivi e di piccole frane provocate dalle acque correnti.» (P. Bronchi, 1985, p. 111, cit.). Solo con l’abbandono della montagna nel secondo dopoguerra, constatata l’impossibilità politica ed economica del sostegno di forme di agricoltura basate sull’autoconsumo, si rese possibile perseguire obiettivi di conservazione degli habitat naturali. Le aree montane dell’alta valle del Bidente e vaste aree submontane, oltre ad altre adiacenti al Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, in gran parte di proprietà demaniale, si trovano così oggi inserite nella rete Area Natura 2000 con tre siti uno dei quali, la Foresta di Campigna - Foresta la Lama - Monte Falco, è uno dei più importanti e studiati della regione, santuario della conservazione naturalistica a livello nazionale e internazionale che comprende la Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, caratterizzato dalle foreste millenarie di Faggio e Abete bianco, dai vaccinieti e praterie secondarie con relitti alpini di grande significato fitogeografico, gli unici dell'Appennino romagnolo, e da alcune specie mediterraneo-montane, alcuni dei primi e le seconde rispettivamente al limite meridionale e al limite settentrionale del loro areale distributivo, che ricoprono quasi fino in vetta il tetto della Romagna. 

Il bacino idrografico, di ampiezza molto superiore rispetto alle valli collaterali e che vede il lago occupare una posizione baricentrica con l’asta principale fluvio/lacustre f.so Lama/invaso/fiume posizionata su un asse mediano Nord-Sud, mostra una morfologia molto differenziata rispetto al suo baricentro. L’area sorgentifera, con la realizzazione dell’invaso artificiale, si differenzia tra quella che lo alimenta e quella a valle della diga che alimenta direttamente il fiume. A monte l’area imbrifera si amplia estendendosi da Poggio Scali fino al Passo della Crocina mostrando, specie nella parte a ridosso delle maggiori quote dello spartiacque appenninico (la c.d. bastionata di Campigna-Mandrioli), fortissime pendenze modellate dall’erosione con formazione di profondi fossi e canaloni fortemente accidentati, talvolta con roccia affiorante, come le Ripe di Pian Tombesi, le Ripe della Porta, le Ripe di Scali e il Canale o Canalone del Pentolino, oltre che il distacco dello spessore detritico superficiale, con conseguente crollo dei banchi arenacei e lacerazione della copertura forestale, come la Frana Vecchia, 1950, e la Frana Nuova, 1983-1993, sempre attiva, di Sasso Fratino. Il tratto di contrafforte che, come detto, si stacca da Poggio Scali, trova una serie di picchi e rilievi tra cui emerge subito Poggio della Serra, quindi il Monte Grosso e l’Altopiano di S. Paolo in Alpe, in corrispondenza del quale comincia un’ampia rotazione, che volge al termine dopo aver superato Ronco dei Preti, quando precede una netta controcurva così riprendendo l’orientamento principale verso il suo termine. Detti rilievi costituiscono nodo montano da cui si diramano ulteriori dorsali di vario sviluppo e consistenza geomorfologica che delimitano il sistema vallivo del versante orientale del bacino idrografico di Ridràcoli.

Come accennato, da Poggio Scali si stacca la caratteristica sella “a corda molla” di Pian del Pero che costituisce il primo tratto del contrafforte secondario fino allo snodo di Poggio della Serra. Da questo poggio si dirama un’affilata dorsale secondaria, con preciso orientamento O/E fino al Poggio di Campominacci, dividente l’ampio e assolato bacino del Fosso del Ciriegiolone da quello profondo e ristretto del Fosso delle Macine, che poi diviene di Campo alla Sega una volta raccolti i contributi giungenti dall’alto versante appenninico. Per la precisione in base all’uso locale, alla C.T.R. regionale e alle mappe dell’A.S.F.D., il Fosso delle Macine ha origine da Poggio della Serra e costituisce il tratto montano del Fosso di Campo alla Sega, già del Campo alla Sega o di Campo Minacci, che ha esatta origine dalla confluenza del suo tratto montano con il Fosso di Sasso Fratino (nelle mappe I.G.M. detto Fosso delle Macine e così pure, con ripetizione, nella C.T.R. regionale) o, nel tratto finale della Motta e nel tratto alto di Sasso Fartino (con evidente traslitterazione), come da Catasto Toscano del 1826-34, alimentato a sua volta dalla ramificazione generata dall’anfiteatro del nucleo storico della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, tra cui il Fosso dell’Acqua Fredda o dell’Asticciola o della Sega de Butteri, come da Catasto Toscano del 1826-34. «I torrenti principali che attraversano la Riserva sono (da Ovest a Est): Sottobacino Bidente di Ridracoli – Fosso delle Macine, che costituisce la porzione alta del F.di Campo alla Sega […] Fosso di Sasso Fratino, affluente di destra del F. d. Macine – Fosso di Campo alla Sega, derivato dalla confluenza del F. d. Macine e del F. d. Sasso Fratino – Fosso dei Preti […]» (A. Bottacci, 2009, p. 23, cit.).

Sasso Fratino è il toponimo (catastalmente individuato) di una porzione della Foresta della Lama ricadente nel settore N di quell’area che ha costituito il nucleo originario della Riserva Naturale Integrale, inizialmente composta da 45 ettari oltre ulteriori 65 di area-tampone, per quanto attiene alla vegetazione definita foresta originaria (conservante la struttura delle associazioni vegetali risalenti alle “origini”, ovvero al tempo delle antiche civiltà mediterranee). «La zona della riserva in Comune di Bagno di Romagna, comprendente il territorio classificato in più atti dal 1959 al 1972, è senza dubbio la più interessante. Appartiene a questa zona l’anfiteatro di Sasso Fratino, che fronteggia la collina e l’antica casa di Campominacci […]. Da mille anni (forse da tremila) questa foresta appare da lontano con l’aspetto di oggi: soltanto le future generazioni sapranno nei prossimi secoli, se il nuovo microclima indotto dal bacino artificiale di Ridracoli avrà portato variazioni tali da trasformare profondamente questa preziosa testimonianza delle foreste originarie.» (P. Bronchi, 1985, pp. 66, 67, cit.). La morfologia dell’anfiteatro di Sasso Fratino è caratterizzata (con evidenza panoramica) dalle dorsali che lo abbracciano rispettivamente distaccandosi una da Poggio Scali con le sue Ripe verso Levante, l’altra dallo Spartiacque Appenninico all’altezza di Poggio Porcareccio, questa piegante decisa verso Settentrione fino alla Posticcia di Matteino, guidata dall’ampia curva della netta incisione valliva del Fosso della Fonte del Porcareccio, quindi dalla biforcazione crinalizia che segue al Poggio di Sciagano (antico oronimo), digradante repentinamente trovando come toponimo identificativo il sito detto La Bruciata. Dalla biforcazione del Poggio di Sciagano si dirama la Costa Poggio Piano che delimita in dx idrografica il Fosso dei Preti e che, in continuità con la dorsale della Seghettina, chiude a SE il bacino idrografico del Fosso di Campo alla Sega.  

Pochissimo antropizzata fin da epoche remote, facente parte dalla fine del XIV sec. della “Macchia dell’Opera del Duomo”, l’impraticabilità del luogo impedì i tagli forestali già da parte delle maestranze dell’Opera e solo in rarissimi casi si trovano lettere di taglio che riguardassero tale area, peraltro riferite a concessioni per l’utilizzo di pochi alberi da parte di bigonai; in merito, p.es., si possono leggere uno di seguito all’altro, come uniti in un unico brano, alcuni passi di due documenti rispettivamente del 1701 e del 1721, quando si … «[…]ordinò che le lettere dei legni d’abeto da concedere a particolari tanto per privilegio che in pagamento, si facciano negli infrascritti luoghi per maggiore conservazione di dette selve: Agli uomini di Ridracoli: nella Seghettina, nella Fossa dei Preti, nel Poggio di Fonte Murata, acqua pendente verso il Castelluccio e Romiceto. […] // […] l’anno prossimo si potrebbero mettere nella macchia alli appresso confini, essendo tutta macchia scomoda per la trattura delle travi e lontana, con grande spesa per fare vie per la condotta. I confini: […] la Fossa dei Preti, l’Acquitrino dell’Asticciola, la motta di Sasso Fratino, la Fossa, l’Asticciola che confina con Poggio Scali quanto acqua pende verso il Campo alla Sega e Campo Minacci e sono tutti luoghi dove i conduttori non vi hanno mai tagliato per essere impraticabile per vie […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 73-74, cit.). La difficoltà di trasporto del legname per morfologia dei luoghi e/o assenza di vie di smacchio portarono nei secoli ad autorizzare la costruzione di alcuni impianti idraulici per il taglio della legna, anche a servizio dell’Opera del Duomo di Firenze, così: «[…] gli artigiani fin dal 1503 impiantavano le seghe ad acqua ed i loro banchi mobili di lavorazione a lato dei fossi dell’anfiteatro di Sasso Fratino.» (P. Bronchi, 1985, pp. 66, 67, cit.). Per le consistenti e difficilmente controllabili utilizzazioni che si verificarono nella foresta, nel 1561 venne predisposta la Riforma delle leggi sulle selve e delle cose a quelle attenenti che, tra l’altro, sanciva che «[…] le seghe ad acqua nella foresta non devono superare il numero di quattro […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 174, cit.). A dimostrare l’interesse per il legname di questi boschi fa fede una lunga relazione del 1652, presentata direttamente al granduca, contenente una molto precisa descrizione dei luoghi e della qualità delle piante presenti a fini economici; dagli interessanti riferimenti ai numerosi “vocaboli” che identificano i vari siti si riconosce come vi sia ricompresa anche l’area di Costa Poggio Piano. La relazione inizia individuando una suddivisione delle selve dell’Opera in 8 parti omogenee, tra cui si trova la descrizione della quarta, la “Fossa del Prete” e il “Poggio del Castagno” probabilmente corrispondente alla Costa (un sito del suo versante prossimo al Fosso della Bucaccia conserva il toponimo Castagno): «La quarta che contiene la Macchia di Scali, la Fossa delle Macine, il Porcareccio, la Motta, l’Hasticciuola, la Fossa del Prete, il Poggio del Castagno, e gli Altari con qualche altro vocabolo. Questa parte non ci è stata mostrata dalli uomini dell’Opera che ci guidavano e ce ne siamo avveduti dopo averla tralasciata: ma ci assicuriamo che cio hanno fatto supponendo che noi gradissimo di non impiegar tempo superfluamente in visitar luoghi dove non sono e non si spera mai che siano per essere abeti buoni per legni da galere e donde quando vene fossero non si potrebbon cavare. […] per la cagion del sito da non potersene mai cavare, come […] si disse havendone i conduttori dell’opera che fanno le travi cavate con difficoltà quelle che erano di due traini che chiamano doppie.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 269, cit.). I due ingegneri forestali boemi Seelan e Siemon (Siemoni) nella relazione del 1836-37 predisposta per il Granduca Leopoldo II al fine del recupero del patrimonio forestale, ancora segnalavano che l’area difficilmente accessibile di Sasso Fratino era ancora ricoperta di abeti bianchi di grandi dimensioni e vi era grande abbondanza di faggi più che maturi. Dal piano di assestamento del 1935 di Hofmann e Morelli risulta ancora confermata la naturalità del sito e la presenza di particelle con età superiori ai 140 anni, mentre ogni progetto di intervento, che pure vide la realizzazione a partire dagli anni 1935-38 fino ai ‘60 di strade forestali come quella delle Cullacce e del tratto Lama-Poggio della Seghettina, finalizzate anche al ricongiungimento a Quota ‘900 per l’utilizzo delle zone di foresta più impervie, non giunse a conclusione, infatti «[…] seguendo il piano di gestione della Foresta di Badia Prataglia […] si era arrivati con i tagli alle pendici settentrionali di Poggio Scali […]. Ma […] trovarsi […] a decidere, vedendoli uno per uno, della vita e della morte di alberi così straordinari. […] Nella difficile situazione, ho sentito troppo forte il richiamo alla conservazione di quell’irripetibile e straordinario patrimonio naturale […]. Ho deciso quindi “abusivamente” di non intervenire […]. Così nel 1959 […] si pervenne all’istituzione della riserva […]» (F. Clauser, 2016, pp. 52-55, cit.). L’intensa frequentazione e le molteplici utilizzazioni si sono protratte fino a tempi relativamente recenti: «nel secolo passato […] inoltre anche in questo secolo, ed in specie nell’ultimo dopoguerra, queste zone hanno subito massicce asportazioni per decine di migliaia di metri cubi di legname da opera e da combustione.» (P. Bronchi, 1985, pp. 69, 70, cit.). All’atto di prima istituzione della Riserva sono state censite 126 aie carbonili, peraltro in zone maggiormente accessibili e ormai pressoché inglobate nella vegetazione (ma documenti del 1915 fanno intuire che le stesse e i corrispondenti tagli risalgono alla seconda metà dell’Ottocento, quando tale attività raggiunse l’apice); oggi si può considerare la presenza di particelle di oltre 220 anni.

Se l’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio, in epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Ancora all’inizio dell’800, per la generale mancanza di opere di regimentazione idraulica nei fondovalle e nonostante gli interventi migliorativi della seconda metà del XVIII sec., la viabilità della Romagna Toscana era costituita prevalentemente dai numerosi percorsi di costa situati lungo i crinali secondari subappenninici e dai sentieri di attraversamento congiungenti le vallate. All’interno delle foreste esistevano alcune vie dei legni ed innumerevoli erano le mulattiere usate per il trasporto delle piccole pezzature di legname. Un importante tracciato prevalentemente di crinale ancora documentato dal Catasto toscano del 1826-34, iniziava dal Ponte alla Forca, o della Seghettina, che attraversava il Torrente Bidente (prima che divenisse lago). Inizialmente era la Strada che dalla Seghettina va a Stia poi divenuta S. Vic.le Seghettina-Ridracoli, nel Catasto moderno così ancora testimoniata nonostante l’invaso. Presso la Seghettina vi era un bivio per cui il tracciato di crinale proseguiva sulla Costa Poggio Piano con la Strada del Crine del Poggio (poi divenuta S. Vic.le Pian del Pero-Seghettina) fino al Passo Sodo alle Calle o La Scossa, mentre la Strada che dalla Seghettina va a Stia prima discendeva verso il Fosso degli Altari e seguiva il Fosso delle Segarine fino alla sua area sorgentifera del Bagnatoio, qui trovando la viabilità trasversale di esbosco verso lo Spartiacque sia in direzione del Passo Sodo alle Calle sia in direzione del passo del Gioghetto tramite gli Acuti. Ulteriore viabilità storica, che nelle mappe si nota attraversare aree prive di insediamenti, vede una Strada che da Campo Ominacci va a Stia (poi S. Vic.le La Scossa-Campominacci) che, dopo l’attraversamento del Fosso delle Macine, risaliva in sx idrografica il Fosso di Sasso Fratino fino al crocevia di Quota 900 dentro Sasso Fratino con la S. Vic.le Pian del Pero-Seghettina per ricongiungersi alla Strada del Crine del Poggio sulla Costa Poggio Piano, una Via delle Mandriole e una Strada della Macchia che percorre il Poggio della Spessoleta.

N.B.: - Dal 7 luglio 2017 le faggete vetuste del Parco Nazionale comprese nella Riserva Integrale di Sasso Fratino e una vasta area circostante comprendente le Riserve Biogenetiche Casentinesi e altre aree all’interno del Parco Nazionale, per un totale di circa 7.724,28 ha, fanno parte del patrimonio mondiale dell’UNESCO, andando a rappresentare uno dei più estesi complessi forestali vetusti d’Europa. Per l’Italia si tratta della prima iscrizione di un patrimonio naturale espressamente per il suo valore ecologico di rilievo globale. Approfondite indagini nell’area, che rappresenta complessivamente il sito di maggiori dimensioni tra quelli designati in Italia ed uno dei più estesi complessi forestali vetusti d’Europa, hanno portato alla scoperta di faggi vecchi di oltre 500 anni, tra i più antichi d’Europa, che fa entrare Sasso Fratino nella top ten delle foreste decidue più antiche di tutto l’Emisfero Nord. Questi faggi sono quindi coevi di Cristoforo Colombo e Leonardo da Vinci e al limite della longevità per le latifoglie decidue. Oltre al valore naturale, il faggio è una specie dall’alto valore simbolico e culturale, storicamente legata allo sviluppo dei popoli europei (l’etimologia del nome si riferisce ai frutti eduli, dal greco phagein = mangiare).

- La sega ad acqua venne inventata da Villard de Honnecourt nel sec. XIII e Leonardo da Vinci ne studiò il funzionamento nel 1480. Già metà del ‘400 sono documentate una sega ad acqua a Camaldoli (i monaci sono stati sempre all’avanguardia nella lavorazione del legno) e due artigiani specializzati a Papiano presso Stia (M. Massaini, 2015, cit.). Da Lonnano, altra frazione di Stia, nel 1503 tal Mariotto si recava a segare sul fiume dell’Asticciola, oggi detto dell’Acqua Fredda, affluente del Fosso di Sasso Fratino: «Si sa che nel febbraio 1444 fu concessa una sega sul fosso di Ridracoli verso Valbona […], un’altra fu concessa nel 1482 sul fiume di Ricopri […] utile a detta selva per la località e la via inaccessibile che è a circa quattro miglia […]. Una terza ancora […] sempre sul fiume di Ridracoli nel 1484, ed una quarte nello stesso anno sul fiume di Ricopri in luogo detto i Diaccioni; una quinta nel Pianazzone nel 1490 ed una sesta nel 1503 a Mariotto di Domenico da Lonnano, con tanto di edificio, per segare legni eccetto abeti e tigli sul fiume dell’Asticciola.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 63-64, cit.).

- Le posticce erano impianti di esemplari spontanei di Abete: «[…] venivano prelevati sistematicamente e ovunque, e quindi anche nelle zone più impervie, ove si riteneva di non fare danno, piantine spontanee (selvaggioni) di Abete per far piantate (posticce) nelle tagliate […]» (P. Bronchi, 1985, p. 76, cit.). «Le operazioni colturali che l’Opera fece nelle sue selve si limitarono alle “aggirate, sterpate e posticce”. Con le prime si intendeva, di solito, l’eliminazione delle piante di faggio nel bosco misto di faggio e abete dal quale si ritraeva il massimo utile, con le seconde s’indicavano le ripuliture che venivano fatte sia nelle nuove piantagioni che nel bosco naturale nel quale oltre gli arbusti e le altre erbe ritenute infestanti, veniva eliminata la rinnovazione del faggio, con le terze, infine, si indicavano le nuove piantagioni o rimboschimenti che si facevano nei luoghi più comodi o dove erano stati effettuati i tagli più consistenti.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 125, cit.).

RIFERIMENTI

AA.VV. Le faggete vetuste del Parco Nazionale, “Crinali” – Anno XXIV n.46 – Agosto 2017, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Santa Sofia 2017;

N. Agostini, D. Alberti (eds), Le Foreste Vetuste, Patrimonio dell’Umanità nel Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Ente Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, Pratovecchio-Stia 2018;

A. Bottacci, La Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, 1959-2009, 50 anni di conservazione della biodiversità, Corpo Forestale dello Stato, Ufficio territoriale per la Biodiversità di Pratovecchio, Pratovecchio, 2009;

P. Bronchi, Alberi, boschi e foreste nella Provincia di Forlì e note di politica forestale e montana, C.C.I.A.A. di Forlì (a cura di), Nuova Cappelli, Rocca S. Casciano 1985;

F. Clauser, Romanzo Forestale. Boschi, Foreste e Forestali del mio tempo, LEF, Firenze 2016;

G.L. Corradi (a cura di), Il Parco del Crinale tra Romagna e Toscana, Alinari, Firenze 1992;

A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;

M. Gasperi, Boschi e vallate dell’Appennino Romagnolo, Il Ponte Vecchio, Cesena 2006;

N. Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001;

D. Mambrini, Galeata nella storia e nell’arte, Tipografia Stefano Vestrucci e Figlio, Bagno di Romagna, 1935 – XIII;

M. Massaini, Alto Casentino, Papiano e Urbech, la Storia, i Fatti, la Gente, AGC Edizioni, Pratovecchio Stia 2015;

M. Padula, La Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, in N. Agostini (a cura di), Il Parco del Crinale Romagnolo, Guide Verdi Maggioli, Rimini 1992;

P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, 1961, rist. anastatica Castrocaro Terme 1989;

Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze;

Carta dei sentieri, Foreste Casentinesi, Campigna – Camaldoli – Chiusi della Verna, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2012;

Link www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp;

Link:http://www.parcoforestecasentinesi.it/it/patrimonio-unesco.

Percorso/distanze :

Testo di Bruno Roba.

La Costa Poggio Piano ricade interamente all’interno della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino per cui non è comunque raggiungibile benché la morfologia dei luoghi lo consentirebbe tramite la sentieristica ancora esistente.

foto/descrizione :

Le foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell'autore
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001a/001e – Dal Monte Penna, appare gran parte della Riserva Naturale di Sasso Fratino attraversata dalla trama di dorsali che penetrano nella Vallata di Ridràcoli; tra esse si può seguire agevolmente quella comprendente la Costa Poggio Piano a partire dall’inconfondibile appezzamento triangolare dell’abetina della Posticcia di Matteino, delimitata dall’incisione del Fosso della Fonte del Porcareccio. Il leggero innevamento evidenzia il rialzamento di Poggio Piano (7/02/11 - 17/10/13).

001ea/001ed – Da Poggio Fonte Murata vedute panoramiche e ravvicinate verso la Costa Poggio Piano (12/06/20 – 19/06/20).

001f – 001g – 001h - Da Maestà di Valdora, presso Casanova dell’Alpe, altra veduta dell’intero sviluppo della dorsale dalla Seghettina alla Costa Poggio Piano fino al suo distacco dallo Spartiacque presso la Posticcia di Matteino, evidenziato dalla sella de La Scossa, con particolare del tratto più elevato (19/07/16).

001i – 001l - Da Casanova dell’Alpe il primo soleggiamento mattutino crea ombre soffuse che addolciscono la morfologia dei luoghi non impedendo il risalto della Costa Poggio Piano (5/10/16).

001m/001p - Dall’alta quota del Monte Cerviaia si ha la veduta più elevata verso l’anfiteatro di Sasso Fratino e le dorsali che lo abbracciano, compresa la Costa Poggio Piano. In ultimo, veduta con indice fotografico (28/08/18).

001q – Dal crinale tra i monti Cerviaia e Palestrina, nei pressi di Pratalino, la veduta si focalizza sull’anfiteatro di Sasso Fratino mentre la Costa Poggio Piano emerge appena oltre la sommità del Monte Palestrina (16/10/16).

001r/001v – Dal medio versante meridionale del M. Palestrina che guarda sul Lago di Ridràcoli le vedute si estendono alla testata del Fosso delle Macine, sotto la sella “a corda molla” di Pian del Pero, ed all’intera valle del Fosso di Campo alla Sega con le dorsali che guidano i suoi affluenti, tra cui l’intera dorsale che dal suo distacco dallo Spartiacque Appenninico si rialza con la Costa Poggio Piano per digradare ripida fino a Poggio Seghettina (16/10/16)

002a/002d – L’ampio pendio denudato e in erosione corrispondente al sito dell’insediamento di Palestrina (ne rimane un ammasso di pietrame) consente la vista da bassa quota dell’intera Riserva di Sasso Fratino nella sua eccezionale alternanza di profonde incisioni vallive e scoscese dorsali che dallo Spartiacque si spingono fino al fondovalle: in quella che raggiunge il sito della Seghettina si evidenzia la Costa Poggio Piano (16/10/16).

002e – Schema da cartografia moderna incentrata sulla dorsale dove si evidenzia la Costa Poggio Piano, con l’indicazione della viabilità antica che la percorreva, differenziata nei tratti cartografati come esistenti e quelli presumibilmente scomparsi.

002f – Particolare della Carta della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino (A. Bottacci, 2009, p. 27, cit.) relativo al bacino del Bidente di Ridràcoli.

002g – 002h - Mappe schematiche dedotte da cartografia storica di inizio del XIX sec. di inizio XX sec. evidenziante reticolo idrografico, infrastrutture e insediamenti. La toponomastica riprende anche nella scrittura quella originale.

002i – 002l - Da Poggio della Gallona si vede il profilo dell’intera dorsale che dalla Seghettina sale verso lo Spartiacque e dietro il sito di Costa Poggio Piano emerge il picco di Poggio Cornacchia (15/06/12).

002m/002u – Dalla S.F. S.Paolo in Alpe-La Lama, oltrepassato Poggio della Cornioleta ed entrati nella valle del Fosso degli Altari, si aprono scorci verso la Costa Poggio Piano; si notano la frattura di roccia e il Poggio Piano riconoscibili nelle vedute panoramiche (17/11/11).

003a – 003b – 003c – Laddove la S.F. S.Paolo in Alpe-La Lama attraversa il Fosso della Bucaccia si nota il sito di Castagno, sul versante sud-orientale della Costa Poggio Piano, ingresso della Riserva di Sasso Fratino che risale sulla Costa medesima (17/11/11).

003d/003h – Aspetti della Costa Poggio Piano visibili dalla S.F. S.Paolo in Alpe-La Lama fino al tornante che la aggira interrompendo la continuità con la dorsale della Seghettina e dell’antica viabilità di crinale, la Strada del Crine del Poggio (18/08/11 - 17/11/11).

003i – 003l – Vedute della Costa Poggio Piano dal crinale della Seghettina (17/11/11).

003m/003q - Vedute della Costa Poggio Piano dal bordo dell’anfiteatro di Sasso Fratino, confine della Riserva, mentre curva distaccandosi dallo Spartiacque con la dorsale dove si trova la Costa Poggio Piano, che si scorge grazie alla vestizione invernale della faggeta (26/11/19).

003r/003u – Il tratto di crinale dell’antica Strada del Crine del Poggio, ancora inalterato ma catastalmente divenuto S. Vic.le La Scossa-Campomincci, è interrotto bruscamente, sul confine della Riserva, dalle particolari opere di sostegno (prive di protezione) della moderna Strada Forestale che proviene dal passo La Scossa (26/11/19).

 

004a/004f – Dal sito della Posticcia di Matteino la Strada del Crine del Poggio diveniva di mezzacosta e, per la parte non riutilizzata della S.F. (dove si riconosce parte della vecchia massicciata), raggiunge ancora oggi La Scossa con un tracciato più basso che guada il Fosso della Fonte del Porcareccio (26/11/19).

004g – 004h – Il doppio innesto della Strada del Crine del Poggio e della moderna S.F. sulla Giogana al passo La Scossa (26/11/19 – 11/12/19).

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