Croce di Pratalino
Testo di Bruno Roba (4/02/2021)
Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto appenninico spartiacque compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine; in quell’ambito si staccano due contrafforti secondari e vari crinali e controcrinali minori delimitanti le singole vallecole del bacino idrografico. In particolare, le valli del Fiume Bidente di Ridràcoli e del Fiume Bidente di Pietrapazza sono separate dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si diparte da Poggio allo Spillo (collegando Poggio della Bertesca, Croce di Romiceto e l’adiacente sella con la Maestà di Valdora, i Monti Moricciona, La Rocca, Marino, Pezzoli, Poggio Busca e Monte Carnovaletto) per concludersi con il promontorio della Rondinaia digradando a valle di Isola costretto dalla confluenza del Fiume Bidentino o Torrente Bidente di Fiumicino nel Fiume Bidente. La Rondinaia è nota per il castello con la sua torre «[…] baluardo di antica potenza, elevato fin dai tempi romani alla difesa contro le orde barbariche che dal nord d’Europa scendevano a depredare le belle contrade d’Italia.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 274).
L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio. Già nel paleolitico (tra un milione e centomila anni fa) garantiva un’ampia rete di percorsi naturali che permetteva ai primi frequentatori di muoversi e di orientarsi con sicurezza senza richiedere opere artificiali. Nell’eneolitico (che perdura fino al 1900-1800 a.C.) i ritrovamenti di armi di offesa (accette, punte di freccia, martelli, asce) attestano una frequentazione a scopo di caccia o di conflitto tra popolazioni di agricoltori già insediati (tra i siti, Campigna, con ritrovamenti isolati di epoca umbro-etrusca, Rio Salso e S. Paolo in Alpe, anche con ritrovamenti di sepolture). In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae, l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, come per l’intero Appennino, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur mantenendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate ed al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, ma p. es., nel Settecento, chi voleva salire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami che venivano così descritti: per il Corniolo «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi in modo che appena vi può passare un pedone […]», per Ridràcoli «[…] composto di viottoli appena praticabili […]» e per S. Paolo in Alpe «[…] largo in modo che appena si può passarvi […].» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, citato da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna Toscana e il Casentino nei tempi granducali. Assetto paesistico-agrario, viabilità e contrabbando, in: G.L. Corradi e N. Graziani - a cura di, 1997, p. 82, cit.). Tale descrizione era del tutto generalizzabile: «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi - a cura di, 1992, p. 32, cit.). Nel XIX secolo il panorama certamente non migliorò: «Cavalcando […] vidi […]. La foresta dell’Opera sulla pendice precipitosa verso Romagna era manto a molte pieghe dell’Appennino, al lembo di quel manto apparivano le coste nude del monte […]. Sugli spigoli acuti delle propaggini del monte si vedevano miseri paeselli con le chiese: San Paolo in Alpe, Casanuova, Pietrapazza, Strabatenza; impercettibili sentieri conducevano a quelli, e lì dissero le guide i pericoli del verno, la gente caduta e persa nelle nevi, […] i morti posti sui tetti per non poterli portare al cimitero, e nelle foreste i legatori del legname sepolti nelle capanne […]» (Leopoldo II di Lorena, Le memorie, 1824-1859, citato da: G.L. Corradi, O. Bandini, “Fin che lo sguardo consenta di spaziare”. Scelta di testi dal XIV al XIX secolo, in: G.L. Corradi - a cura di, 1992, p.78, cit.). Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo di Firenze è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.).
Percorrendo oggi gli antichi itinerari, gli insediamenti di interesse storico-architettonico o di pregio storico-culturale e testimoniale, esistenti, abbandonati o scomparsi (quindi i loro siti) che si trovano collocati lungo i crinali insediativi sono prevalentemente di carattere religioso o difensivo o sono piccoli centri posti all’incrocio di percorsi di collegamento trasversale; gli insediamenti di derivazione poderale sono invece ancora raggiunti da una fitta e mai modificata ramificazione di percorsi, mulattiere, semplici sentieri (anche rimasti localmente in uso fin’oltre metà del XX secolo, come p.es. testimoniano i cippi stradali installati negli anni ’50 all’inizio di molte mulattiere, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli; alcune strade forestali verranno realizzate solo un ventennio dopo). Diversamente dalle aree collaterali, non si riscontrano nelle valli bidentine fabbricati anteriori al Quattrocento che non fossero in origine rocche, castelli o chiese, riutilizzati a scopo abitativo o rustico, o reimpieganti i materiali derivanti da quelli ed evidenzianti i superstiti conci decorati. Nell’architettura rurale persistono inoltre caratteri di derivazione toscana derivanti da abili artigiani. L’integrità tipologica dei fabbricati è stata peraltro compromessa dai frequenti terremoti che hanno sconvolto l’area fino al primo ventennio del XX secolo, ma anche dalle demolizioni volontarie o dal dissesto del territorio, così che se è più facile trovare fronti di camini decorati col giglio fiorentino o stemmi nobiliari e stipiti o architravi reimpiegati e riferibili al Cinque-Seicento, difficilmente sussistono edifici rurali anteriori al Seicento, mentre sono relativamente conservati i robusti ruderi delle principali rocche riferibili al Due-Trecento, con murature a sacco saldamente cementate, come quella di Corniolino. Gli edifici religiosi, infine, se assoggettati a restauri o totale ricostruzione eseguiti anche fino alla metà e oltre del XX secolo, hanno subito discutibili trasformazioni principalmente riferibili alla tradizione romanica o ad improbabili richiami neogotici. Nel passato anche recente l’ambiente montano veniva visto soprattutto nelle sue asperità e difficoltà ed avvertito come ostile non solo riguardo gli aspetti climatici o l’instabilità dei suoli ma anche per le potenze maligne che si riteneva si nascondessero nei luoghi più reconditi. Dovendoci vivere si operava per la santificazione del territorio con atteggiamenti devozionali nell’utilizzo delle immagini sacre che oltre che espressioni di fiducia esprimevano anche un bisogno di protezione con una componente esorcizzante. Così lungo i percorsi sorgevano manufatti (variamente classificabili a seconda della tipologia costruttiva come pilastrini, edicole, croci, tabernacoli, capitelli, cellette, maestà) la cui realizzazione, oltre che costituire punti di riferimento scandendo i tempi di percorrenza (p.es., recitando un numero prestabilito di “rosari”), rispondeva non solo all’esigenza di ricordare al passante la presenza protettiva e costante della divinità ma svolgeva anche una funzione apotropaica. Spesso recanti epigrafi con preghiere, sollecitazioni o riferimenti ad avvenimenti accaduti, oggi hanno un valore legato al loro significato documentario. Se la costruzione di manufatti di significato religioso a fianco dei sentieri affonda le radici nell’antichità, il culto sacrale della montagna e delle sue acque è stato sempre presente in tutte le società pastorali. A partire dalla fine del XIII secolo grandi croci furono erette su vari valichi alpini, ma molte tradizioni rituali giunte fino a noi si possono ritenere derivate dai culti longobardi (ben insediati anche in diverse aree appenniniche tosco-romagnole e già dai secoli VII e VIII ormai aderenti al cattolicesimo), tra cui i festeggiamenti sulle sommità delle alture e degli stessi luoghi degli antichi riti pagani, con probabile apposizione di croci, senza dimenticare gli allineamenti delle enigmatiche statue-stele conficcate nel terreno, risalenti all’Età del Rame (Eneolitico), rappresentanti immagini di entità protettrici o personaggi reali, poste con vario significato lungo grandi valli di collegamento ed in zone montane in corrispondenza di importanti vie di comunicazione preistoriche tra varie zone asiatiche, europee, l’arco alpino e, in particolare, le tipiche delle aree cerimoniali della Lunigiana, come l’allineamento che si immagina esistesse quasi 5000 anni fa, sulla sella del Monte Galletto e che non inaspettatamente ha recentemente restituito (marzo 2021) un reperto significativo (le statue-stele della Lunigiana spesso rappresentavano donne scolpite con il fine di “consolare” e “sedurre” i morti affinché non tornassero nel mondo dei vivi: la sessualità e la caccia erano infatti i due temi preponderanti dell’arte preistorica). Numerose croci di vetta furono posizionate in seguito su molte montagne delle regioni cattoliche tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del XX, in particolare in concomitanza degli Anni Santi del 1900 e del 1950. A volte la presenza di una croce su un rilievo ne ha determinato il toponimo. La proliferazione di croci di vetta continua ancora oggi.
Se per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX, il crinale che dal Passo della Crocina si svolge fino alla Rondinaia (in parte anticamente detto Strada che dal Sacroeremo va a Romiceto) - fino alla costruzione dell’odierna strada sterrata (1959-69, inizialmente con deviazione dalla S.F. del Cancellino al Paretaio, poi collegata alla S.F. Grigiole-Poggio alla Lastra) - in gran parte venne fortunatamente salvaguardato dal distruttivo progetto dell’ingegnere granducale Ferroni che, tra le ipotesi di “strada dei due mari” che doveva unire la Toscana e la Romagna, indicava il tracciato montano Moggiona-Eremo di Camaldoli-Passo della Crocina-Casanova in Alpe-Santa Sofia (essendo ritenuto idrogeologicamente valido). Nelle varie epoche (fino alla demanializzazione delle foreste) detto crinale era frequentato dagli operatori del settore del legname, lavoratori e commercianti ed incrociava altri itinerari di collegamento alle vallate laterali, in particolare nel baricentro economico-religioso di Casanova dell’Alpe. Tra essi la Mulattiera Ridràcoli-Bagno (su una pietra cantonale della chiesa sono ancora leggibili le distanze chilometriche – evidentemente non più valide - km 12,358 per Bagno e km 5,933 per Ridràcoli) che era una deviazione della Mulattiera di Ridràcoli diretta a Santa Sofia tramite Strabatenza, dove a la Bottega un tratto risaliva la valle del Trogo, e la Mulattiera di Pietrapazza, che collegava anch’essa Bagno di Romagna con Ridràcoli. Quest’ultima, seguito l’itinerario Colla di Càrpano, Rio d’Olmo, Pietrapazza, Siepe dell’Orso, da Croce di Romiceto diveniva anche Strada Maestra di S. Sofia lungo la quale sorge la Maestà di Valdora: «[…] rimpilata di recente.» (S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, p. 97, cit.). Un tratto dell’antica via ancora si ritrova presso la maestà in corrispondenza della sella formata con il Poggio alla Croce, come era noto tale rilievo nel XIX secolo, così risultante sia da cartografia dell’epoca sia dal Contratto livellario del 1840, stipulato tra l’Opera del Duomo di Firenze e il Monastero di Camaldoli,: «N° 11 - Podere di Valdoria […]. Terreni. Un vasto tenimento di terre […] conosciuto per i seguenti vocaboli: […] il Poggio alla Croce […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 522-523, cit.). Superata la chiesa e il cimitero una deviazione aggirava in alto la gola del Fosso Rogheta (occorre immaginarsi la continuità del versante del Monte Moricciona prima del taglio della sterrata) e, come Strada che dal Pontino va alla Casanova, raggiungeva il crinale del Monte Cerviaia all’altezza della Maestà della Chiesaccia: già presente nella mappa I.G.M. del 1894, è stata oggetto di un moderno restauro che ha eliminato le tracce dell’incisione precedente 'M.M. 1919” (cfr.: S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, cit.); il restauro ha visto l’inserimento di una facciatina di mattoni rifiniti in modo da simulare un bugnato liscio che, benché ben riconoscibile e differenziato dal pilastrino (di fattura precedente), non pare conservare alcuna memoria dello stato originario della nicchia; inoltre è stata posta un’icona con targhetta “MADONNA GRECA VENERATA A RAVENNA”, datata agosto 2004, così dimenticando l’antico toponimo. A breve distanza, la grande Croce di Pratalino, già presente nella mappa I.G.M. del 1894, in legno con l’antico e grande basamento lapideo monoblocco, forato al centro per la sede crucifera, che è stato posizionato accanto in occasione dell’ottimo restauro filologico curato, come da targa, dall’Associazione Nazionale Alpini, GRUPPO ALTO BIDENTE “Capitano DINO BERTINI”. Forse non casualmente, è posizionata nella selletta dove si imboccava la discesa della Strada che dal Castello di Ridracoli conduce alla Chiesa della Casanova, poi Mulattiera Ridràcoli-Bagno (oggi sent. 231), mentre la via di crinale raggiungeva Pratalino passando per luoghi detti la Chiesaccia o vestigie della Chiesa Vecchia (cfr.: S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, cit.). Altre mulattiere permettevano i collegamenti con il fondovalle ed i vari insediamenti. Negli anni ’50 alle estremità delle mulattiere vennero installati i cippi stradali riportanti la rispettiva denominazione, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli. A seguito dell’infrastrutturazione viaria del XX secolo venne realizzata una carrareccia che dal Podere Romiceto raggiungeva Valdora (come ad agevolare il suo contemporaneo abbandono), riutilizzando parti della via proveniente da Romiceto e dell’antica Strada che va alla Casanova, e che da qui pure discendeva nel fondovalle seguendo in dx idrografica il Fosso dei Bruciaticci fino al guado del Fosso Rogheta presso Il Castelluccio, quindi risaliva nell’area degli insediamenti (La Casina e Cà di Rombolo) probabilmente fino a Il Casone.
Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alla scheda toponomastica Valle del Bidente di Ridràcoli e/o relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.
RIFERIMENTI
AA. VV., Dentro il territorio. Atlante delle vallate forlivesi, C.C.I.A.A. Forlì, 1989;
C. Bignami (a cura di), Il popolo di Casanova dell’Alpe, Nuova Grafica, Santa Sofia 1994;
S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, I sentieri dei passi perduti. Territorio e mulattiere tra alta Val Savio e alta Val Bidente nel Comune di Bagno di
Romagna. Storia e Guida, Coop. Culturale “Re Medello”, C.M. dell’Appennino Cesenate, S. Piero in Bagno 1987;
G.L. Corradi (a cura di), Il Parco del Crinale tra Romagna e Toscana, Alinari, Firenze 1992;
G.L. Corradi e N. Graziani (a cura di), Il bosco e lo schioppo. Vicende di una terra di confine tra Romagna e Toscana, Le Lettere, Firenze 1997;
A. Gabbrielli, E. Settesoldi, La Storia della Foresta Casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV° al XIX°, Min. Agr. For., Roma 1977;
M. Gasperi, Boschi e vallate dell’Appennino Romagnolo, Il Ponte Vecchio, Cesena 2006;
N, Graziani (a cura di), Romagna toscana, Storia e civiltà di una terra di confine, Le Lettere, Firenze 2001;
D. Mambrini, Galeata nella storia e nell’arte, Tipografia Stefano Vestrucci e Figlio, Bagno di Romagna, 1935 – XIII;
P. Zangheri, La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì, Forlì 1961, rist. anast. Castrocaro Terme 1989;
Bagno di Romagna, Carta dei sentieri, Istituto Geografico Adriatico, Longiano 2008;
Carta Escursionistica scala 1:25.000, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, S.E.L.C.A., Firenze
Link www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp;
Link www.statuestele.org.
Testo di Bruno Roba
La Croce di Pratalino è è facilmente raggiungibile dalla S.F. Grigiole-Casanova dell’Alpe-Poggio alla Lastra imboccando, all’altezza del Monte Moricciona (pressi Casanova dell’Alpe), la rotabile sbarrata e sentiero 235 CAI, m 260. Si raggiunge anche tramite la S.F. Ridracoli-Passo del Vinco.
Le foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell'autore.
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00a1/00a6 – Dal Monte Penna, panoramiche sulle valli del Bidente di Ridràcoli e del Fosso Rogheta, con particolari del tratto di crinale tra i monti Moricciona e Cerviaia dove si trovano Casanova dell’Alpe, la Maestà della Chiesaccia e la Croce di Pratalino; l’innevamento evidenzia la viabilità, tra cui il tracciato (appena distinguibile) dell’antica Strada che dal Pontino va alla Casanova, presso cui si trovano la maestà (al bivio) e la croce (7/02/11 - 26/01/12 – 16/01/16).
00b1 - Schema cartografico del bacino idrografico del Fosso Rogheta.
00b2 - Schema da mappa dei primi decenni dell’Ottocento evidenziante il sistema insediativo-infrastrutturale ed idrografico, con utilizzo della toponomastica originale, integrata a fini orientativi con i principali rilievi (identificati da utilizzo di grassetto nero), da cui si rileva la viabilità convergente su Casanova dell’Alpe.
00b3 – 00b4 – Schemi molto differenti per scala di rappresentazione: la prima da mappa del 1894, immediatamente precedente la costruzione della ferrovia Decauville destinata all’esbosco del legname, la seconda del 1937, dove compare già realizzata la Strada del Cancellino in sostituzione della ferrovia e la simbologia (4 puntini) dei fabbricati ridotti a rudere. La toponomastica riprende quella originale; già nella mappa ottocentesca compaiono i simboli grafici (una croce) della Maestà della Chiesaccia e della Croce di Pratalino, utili per una datazione.
00c1/00c6 – Vedute della Croce di Pratalino; l'ottimo restauro filologico ha salvaguardato l'antico monoblocco basamentale, non più idoneo, esponendolo di lato, così evidenziando la novità dell'installazione (19/07/16 – 28/08/18).