Ponte dell'Abetìo
Testo inserito da Bruno Roba (12/01/24) - Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell’Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto appenninico spartiacque compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km.
La Valle del Fiume Bidente di Campigna racchiude il bacino idrografico di quel ramo intermedio del Bidente delimitato ad Ovest dal primo tratto di una dorsale caratterizzata da uno dei tratti più impervi del versante appenninico, che evidenzia una sequenza di cinque rilievi detti, alcuni secondo l’antico oronimo, Poggio Martino, Poggio di Zaccagnino, Poggio di Mezzo, Poggio del Palaio e Poggio delle Secchete, oggi Poggio Palaio, che delimitano la valle del Fosso dell’Abetìa o Abetìo. Da Poggio Palaio la dorsale digrada con la Costa Poggio dei Ronchi e prosegue come crinale di Corniolino andando a concludersi presso Lago costretta dalla confluenza del Fiume Bidente delle Celle nel Fiume Bidente di Campigna. Ad Est il bacino idrografico è delimitato da parte del contrafforte secondario che si distacca da Poggio Scali e che subito precipita ripidissimo disegnando la sella di Pian del Pero, serpeggiante evidenzia una sequenza di rilievi (i Poggi della Serra e Capannina, l’Altopiano di S.Paolo in Alpe, Poggio Squilla, Ronco dei Preti e Poggio Collina, per terminare con Poggio Castellina) fino a digradare presso il ponte sul Fiume Bidente di Corniolo a monte di Isola, costretto dalla confluenza del Fiume Bidente di Ridràcoli nel Fiume Bidente di Corniolo. Da Poggio Squilla si distacca una dorsale secondaria che, declinando a Nord, dopo il picco di Poggio Aguzzo precipita verso Corniolo con sproni puntati su Lago così completando la chiusura della valle. La sua testata sullo Spartiacque Appenninico evidenzia le Ripe di Scali, il Canale o Canalone del Pentolino, le Ripe della Porta e le Ripe di Pian Tombesi, oltre al distacco dello spessore detritico superficiale, conseguente crollo dei banchi arenacei e lacerazione della copertura forestale.
Il ramo principale del fiume genericamente noto come Bidente di Campigna, ma che cambia spesso denominazione, ha origine da Poggio Lastraiolo, alla quota di 1450-1425 m e a circa 40 m dal Rifugio CAI Città di Forlì, con ramificazioni che si spingono fino a Poggio Sodo dei Conti: tra esse una intermedia trova origine dalla Fonte al Bicchiere, documentata dalla cartografia ottocentesca ma di cui rimangono solo le acque sorgive regimentate con la realizzazione del parcheggio prossimo al rifugio. L’irruenza di questo primo tratto, detto Fiume Bidente del Corniolo, si manifesta già con la cascata Occhi Brutti all’intersezione con i tornanti della S.P.4, tra i quali riceve il contributo del Fosso dell’Abetìo prima di incassarsi e passare sotto il ponte della Mulattiera del Granduca, oltre il quale le acque sono rallentate dallo sbarramento di scavalcamento della Strada delle Cullacce, che crea un piccolo invaso. Questo tratto si sviluppa fino al sito un tempo detto I Tre Fossati, dove si verifica la contemporanea confluenza del Bidente con i Fossi della Corbaia (che nasce dal Passo della Calla) e dell’Antenna, che a sua volta ha appena raccolto le acque del Fosso delle Bruciate. Oltre I Tre Fossati viene detto Torrente Bidente, benché sia ormai prossimo a perdere le caratteristiche torrentizie, circoscrivendo con profonde incisioni i più dolci pendii delle aree poderali di Campigna e Villaneta. Il tratto definito Torrente Bidente giunge fino a Fiumari sviluppandosi nei profondi e ripetuti meandri, tipici di questi fondivalle romagnoli, e ricevendo nell’ordine, in dx idrografica i Fossi della Ghiraia, delle Ruote e di Fiumicino o di Ricopri, mentre in sx contribuiscono i Fossi di Montaccesi, di Castagnoli, della Fonte e del Forcone. A valle di Fiumari il fiume, che prosegue fino alle pendici del crinaletto di Moscoso con ripetuti meandri, assume l’idronimo Fosso del Bidente di Campigna, denominazione che (in coerenza con la particolare inversione dei ruoli - fiume > torrente > fosso - nel procedere verso valle) mantiene fino ai pressi di Corniolo quando, circa 650 m dopo l’immissione del Bidente delle Celle, nel ricevere i contributi degli appena congiuntisi Fossi di Verghereto e dell’Alpicella (che discendono dal versante di Corniolo), sotto uno strettissimo tornante stradale, le sue acque proseguono lo scorrimento come Fiume Bidente di Corniolo, senza soluzione di continuità morfologica degli alvei. Affluenti del tratto del Fosso del Bidente di Campigna a valle di Fiumari sono, in dx idrografica, i Fossi di Bagnatoio, del Fiumicino di S. Paolo (che riceve i Fossi del Perone, dell’Alberaccia e di Ristefani) e delle Farnie, sull’altro versante, i Fossi della Casaccia e della Pietra.
Per approfondimenti v. schede Valle del Bidente di Campigna e Fiume Bidente di Campigna.
L’intero sistema dei crinali, nelle varie epoche, ha avuto un ruolo cardine nella frequentazione del territorio. In epoca romana i principali assi di penetrazione si spostano sui tracciati di fondovalle, che tuttavia tendono ad impaludarsi e comunque necessitano di opere artificiali, mentre i percorsi di crinale perdono la loro funzione portante, comunque mantenendo l’utilizzo da parte delle vie militari romane, attestato da reperti. Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur mantenendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate. Comunque, nel Settecento, chi voleva risalire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami che venivano così descritti: per Ridràcoli «[…] composto di viottoli appena praticabili […]» per S. Paolo in Alpe «[…] largo in modo che appena si può passarvi […].» e per il Corniolo «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi in modo che appena vi può passare un pedone […]» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, citato da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna Toscana e il Casentino nei tempi granducali. Assetto paesistico-agrario, viabilità e contrabbando, in: G.L. Corradi e N. Graziani - a cura di, 1997, p. 82, cit.). Inoltre, «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, 1992, p. 32, cit.). Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.). Così, se al diffondersi dell’appoderamento si accompagna un fitto reticolo di mulattiere di servizio locale, per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e i primi decenni del XX: «La nuova strada S. Sofia – Stia, bellamente pianeggiando sotto il Corniolo, attraversa il Bidente che viene dalle Celle e poi inizia l’ascesa del monte verso Campigna poco più su dal luogo donde si diparte, a sinistra, la mulattiera che mena a S. Paolo in Alpe ove, fino al secolo XVI, era un eremo agostiniano.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 270).
La prima cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto Toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), da integrare per la classificazione storica del Bidente con le Bozze di mappe catastali della Foresta Casentinese e Campigna (1808-1830 – scala 1:5000) e la Pianta Geometrica della Regia Foresta Casentinese (1850 – scala 1:20.000), consente di conoscere, tra l’altro, il tracciato della viabilità antica che riguardava la Valle di Campigna.
La viabilità più antica interessante questo territorio, di origine preromana, percorreva il crinale insediativo di Corniolino; ben infrastrutturata e conservante ancora notevoli tratti di selciato naturale, seguendo la morfologia sopra descritta, superata la sella di Tre Faggi risaliva verso il Monte Gabrendo, giungendovi o dopo una più agevole deviazione dalle Mandracce o per via più diretta sfruttando le balze di Costa Poggio dei Ronchi e Omo Morto ed in ultimo insinuandosi verso Poggio Palaio per ridiscendere verso Campigna tramite la Via del Balzo o sul versante opposto verso Stia: si tratta dell’antica Stratam magistram, la strada maestra romagnola o Via Romagnola che iniziava a Galeata, l’antica Mevaniola. L’inizio del tratto alto-bidentino di questo antico tracciato è facilmente individuabile presso Lago (almeno nello sviluppo posteriore alla fine del XVII sec., infatti la morfologia del luogo non è antichissima ma è dovuta ad una frana che nel 1681 creò un'ostruzione che effettivamente generò un lago - che sommerse il quattrocentesco Mulino Vecchio - poi colmato da sedimentazioni rimodellate dallo scorrimento delle acque). Tramite il Ponte di Fiordilino, struttura dalla poetica denominazione sul Bidente delle Celle ripresa dal nome di un adiacente fabbricato distrutto dalla frana (rimangono i resti dell’imposto dell’arco, con qualche concio inclinato di innesto, corrispondenti alla struttura del XV sec. ricordata dalla saggistica - AA.VV., 1982, p. 188, cit. - posti a fianco del ponte moderno), la via antica si inerpicava subito sull’erta rocciosa in allineamento al ponte stesso, come documentato dal Catasto toscano, ma poi deviava fino a rasentare il Bidente; quindi, proseguiva a mezzacosta verso l’abitato di Corniolino, raggiungendolo presso la Chiesa/Hospitale di S. Maria delle Farnie. Evidenti resti della muratura di sostegno di questo tratto viario si notano poco sopra la provinciale, a 200 m dal ponte di Lago. Superato Corniolino, presso un tornante della S.P. a circa 2 km da Lago, si ritrova il tracciato antico (sent. 259 CAI) che si inerpica verso il Castellaccio poi prosegue sul crinale sfruttando le gradonate di estesi affioramenti rocciosi, dove sono evidenti le tipiche alternanze di arenarie e marne formanti cornicioni sporgenti fratturati a “denti di sega”.
Presso Corniolino si innestava l’antico percorso di fondovalle da Corniolo a Campigna che scendeva al Bidente (oggi intercettata dalla S.P. del Bidente a circa 500 m da Lago, dove è stata riutilizzata come accesso di un recente insediamento) superandolo grazie al Ponte dei Ladroni o del Ladrone o della Madonna, in muratura di pietrame ad arco a sesto ribassato, risalente al 1906 e sostituente quello precedente in legno (documentato fino dal ‘600 e cosiddetto a causa di un bandito noto come il ladrone che imperversava nella zona), che però si trovava circa 80 m più a monte, come risulta dal confronto con il Catasto toscano. Il suo utilizzo cessò solo negli anni ‘60 con la costruzione della Strada Vicinale Corniolino-S. Paolo in Alpe, risalente agli anni 1966-67 e realizzata in parte come ammodernamento della mulattiera, infatti fino ad allora ancora in esercizio. L’antico tracciato, oltre che nel Catasto toscano (che pare insolitamente rappresentare anche il ponte), è rappresentato nella Carta d’Italia I.G.M. del 1937, che mostra i progressi della nuova strada provinciale del Bidente, allora giunta all’altezza di Faltroncella e del Monte della Maestà, come descritto all’epoca dal Mambrini: «La nuova strada S. Sofia – Stia, bellamente pianeggiando sotto il Corniolo, attraversa il Bidente che viene dalle Celle e poi inizia l’ascesa del monte verso Campigna poco più su dal luogo donde si diparte, a sinistra, la mulattiera che mena a S. Paolo in Alpe ove, fino al secolo XVI, era un eremo agostiniano.» (D. Mambrini, Galeata nella storia e nell’arte, Tipografia Stefano Vestrucci e Figlio, Bagno di Romagna, 1935 – XIII, p. 270). Il Ponte del Ladrone è stato segnalato dal Segretariato Regionale del Ministero della cultura dell’Emilia-Romagna nel portale https://www.tourer.it/. Dopo un breve tratto ancora integro e percorribile fino al moderno Ponte Ilario, datato 1969 e privo di interesse tipologico, la mulattiera procedeva in prossimità del fiume secondo un percorso diverso dalla strada forestale (iniziata negli anni 1966-67), che risale transitando poco sotto Campacci, oggi C. Campaccio. L’antico tracciato infatti giungeva fino al sito di un altro fabbricato che, benché anonimo, era evidentemente destinato a mulino già in base all’evidente rappresentazione di inizio ‘800 del lungo berignale o gora per il prelievo dell’acqua e del bottaccio di accumulo della stessa, confermata dalla simbologia (ruota dentata) dell’Opificio a forza idraulica della Carta d’Italia I.G.M. del 1894. Nella successiva mappa del 1937 il definibile Mulino di Campacci, perse le sue funzioni originarie, è ormai rappresentato come semplice fabbricato. Oggi questa parte di tracciato è stata riutilizzata come strada di servizio per raggiungere le opere di imbrigliamento idraulico dei rami bidentini a favore dell’invaso di Ridràcoli e una moderna stazione di pompaggio ne occupa il sito. Oltrepassato Campacci, il tragitto antico riusciva a seguire ancora per poco il fiume, discostandosene prima che sprofondasse in una serie di meandri, infatti risaliva poco a monte ad attraversare il Fosso del Fiumicino di S. Paolo con una pedanca documentata nel 1937 sotto le pendici di Casa Moscoso, il definibile Ponte a Moscoso, oggi sostituito dal Ponte Cesare (1970 – di fatto un tombamento del fosso con condotte in lamiera ondulata), prima di inerpicarsi sul crinale dove sorge detto insediamento. Un itinerario si inoltrava quindi fino ad un’altra pedanca, documentata nel 1937, che attraversava il fosso sotto le pendici di Fiumari (di sopra), il c.d. Ponte a Fiumari, che oggi ricostruito (con soletta di c.a. e ringhiere in ferro poggiante sulle vecchie spalle in pietra e su pila centrale in c.a.) ancora garantisce (sent. 256 CAI) la salita a S. Paolo in Alpe tramite Campodonatino e Campodonato. La mulattiera principale proseguiva effettuanto vari saliscendi diretta prima a Fiumari (di sotto) poi al Molino de Fiumari. Presso il mulino e la moderna Chiesa di S. Agostino (costruita a seguito dell’abbandono dell’omonimo eremo di S. Paolo in Alpe), si ritrova una ricostruita pedanca lignea, il c.d. Ponte al Molino Fiumari, che da fine ’800-inizio ‘900 ha ammodernato il percorso in sostituzione di un guado adiacente, però mantenendo l’attraversamento degli insediamenti posti tra i meandri fluviali. Da documentazione fotografica degli scorsi Anni ’70, risulta che era costituito da un tavolato irregolare a vista poggiato direttamente su due soli tronchi con parapetto ricavato da rami regolarizzati; la tecnica costruttiva utilizzata, che doveva essere molto comune nell’area del Bidente (tra l’altro si trova codificata in una relazione di quell’epoca del comune di Bagno di Romagna) prevedeva tre tronchi poggianti su spalle laterali in pietrame a secco e tavolato protetto da un manto di pietrisco e parapetto in legno. Oggi la struttura lignea appare perfettamente eseguita a piano di sega e poggiante su struttura in ferro, anche se ormai ha un ruolo storico-culturale e testimoniale. La strada forestale ha ovviamente aggirato le complessità morfologiche e insediative superando il fiume con il Ponte Giovannone (dalla struttura in c.a. ingentilita da un paramento lapideo) cui fa seguito un tratto stradale reso rotabile da massicciata in calcestruzzo, che consente di iniziare agevolmente la risalita fino a Casa Fiume, oltre il quale cessa ogni infrastruttura “moderna” e si ritrova la mulattiera a volte con resti di lastricato fin quasi a Campigna, che attraversava il Fosso del Forcone con una pedanca documentata nel 1937, il c.d. Ponte al Forcone (oggi sostituito da un guado), oltre il quale il tracciato prosegue a mezzacosta toccando Castagnoli, Case di sotto (scarsi resti) e Villaneta. Sotto Castagnoli un ponte (non documentato) di cui rimane una spalla in pietra consentiva l’attraversamento del Bidente presso lo sbocco del Fosso della Ruota, il c.d. Ponte alla Ruota, così agevolando trasversalmente il collegamento con la Costa Poggio Termini e la mulattiera che valica la Costa Poggio del Ballatoio fino a Val di Covile attraversando il Fosso del Fiumicino o di Ricopri (anche qui nel 1937 appare documentato un guado) dove oggi si trova una moderna passerella, il c.d. Ponte al Covile. Infine, Campigna era collegata con il Passo della Calla tramite uno degli importanti tracciati utilizzati nei secoli per l’esbosco del legname, le c.d. vie dei legni, attraverso i valichi appenninici tosco-romagnoli fino al Porto di Badia a Poppiena a Pratovecchio, individuati all’inizio del XX secolo dal Direttore generale delle Foreste, al Ministero di Agricoltura, A. Sansone nella relazione sullo stato delle foreste demaniali (cit.), già descritti dai documenti dell’Opera del Duomo raccolti da Gabbrielli e Settesoldi (cit.). Questo tratto è stato risistemato e lastricato nel XIX secolo nell’ambito delle migliorie di epoca granducale, anche per raggiungere più agevolmente il nuovo Casino di caccia, oggi Albergo Granduca, cosicché la rinomata “antica mulattiera granducale” può essere denominata Mulattiera del Granduca (247 CAI) e, per attinenza, Ponte del Granduca il ponte stradale in legno (oggi passerella pedonale) posto alla sua estremità (dietro il piccolo invaso adiacente all’inizio della Strada delle Cullacce), così documentato con apposita simbologia dalla Carta d’Italia I.G.M. del 1894 assieme all’adiacente e identica struttura, posta sull’antico Fosso del Balzo (oggi intubato, si adotta tale idronimo in quanto scorre nel versante percorso dall’antica Via del Balzo), per attinenza il c.d. Ponte del Balzo, in corrispondenza dell’odierna area sosta per camper.
Tra i ponti moderni o sostitutivi di strutture antiche posti sugli affluenti del Bidente sono da ricordare il Ponticino della Stretta, passerella lignea posta all’inizio del Fosso dell’Abetìo sul Sentiero Natura n.1 (Campigna – L’abete bianco e le abetine), seguendo i quali si raggiunge il Ponte degli Orti, passerella sostitutiva di un ponte risalente al 1250 (come da tabella), di cui rimangono gli appoggi costituiti da ciclopici massi, tra i quali scorrevano acque a volte impetuose. La provinciale attraversa quindi detto fosso con un ponte in pietra risalente all’inizio del XX secolo, il c.d. Ponte dell’Abetìo. Un ponte sul Bidente documentato come pedanca dalla Carta d’Italia I.G.M. del 1894 si trova sotto Campigna nel sito evocativamente detto Il Porticciolo nella cartografia ottocentesca, il c.d. Ponte al Porticciolo, fronteggiante I Tre Fossati e ancor oggi raggiunto con un buon tracciato viario (sent. 243 CAI). È un luogo dove si può ipotizzare fosse dislocata la sega idraulica dopo lo spostamento di quella documentata nel 1677 e posta non lontano dalla cappella, da localizzare quindi nei pressi dello sbarramento e all’inizio della nota Strada delle Cullacce. Lungo questa strada, realizzata intorno alla metà del XX secolo sulla traccia di un sentiero documentato dalla Carta d’Italia I.G.M. del 1937 (una probabile pista di esbosco), si trovano tre interessanti strutture in pietra conformate ad arco a tutto sesto (ma in effetti si tratta di strutture addossate al versante e al profondo tombino di cattura delle acque), il c.d. duplice Ponte alla Madonnina, due strutture adiacenti su due rami convergenti del Fosso della Corbaia due strutture adiacenti su due rami convergenti del Fosso della Corbaia presso una recente risistemazione del 2013 a cura del C.F.S. di un’installazione sorgiva e votiva forse risalente al 1938 (la seconda cifra della data sotto incisa non è leggibile) e all’epoca della costruzione della strada, la Fonte alla Madonnina, ricavata negli anfratti rocciosi dell’alveo del fosso, il c.d. Ponte della Ruota, su un ramo dell’omonimo fosso e il Ponte del Raggio, su un ramo del Fosso della Fonte del Raggio.
Per approfondimenti ambientali e storici si rimanda alle schede toponomastiche relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.
N.B.: - Dopo la confisca del vasto feudo forestale da parte della Repubblica di Firenze a danno dei conti Guidi, l’alpe del Corniolo, la selva del Castagno e la selva di Casentino ovvero di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli tra il 1380 e il 1442 furono donate (il termine contenuto in atti è “assegnato in perpetuo”; A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 15-16, cit.) all’Opera del Duomo di Firenze in Romagna che, per oltre quattro secoli si riservò il prelievo del legname da costruzione e per le forniture degli arsenali di Pisa e Livorno, di quelli della Francia meridionale oltre che per l’ordine dei Cavalieri di Malta. Dopo la presa in possesso l’Opera aveva costatato che sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove si manifestavano numerosi disboscamenti (roncamenti) non autorizzati. Desiderando evitare nuovi insediamenti, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. I nuovi confinamenti vennero raccolti nel “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile. Altri elenchi e documenti utili si sono susseguiti nei secoli seguenti, fino ai contratti enfiteutici del 1818 e del 1840 con il Monastero di Camaldoli, contenenti una precisa descrizione dei confini e delle proprietà dell’Opera.
- La pedanca o pedancola è una passerella in legno posta ad attraversare un corso d’acqua. L’adozione del termine da parte dell’Istituto Geografico Militare (I.G.M) per indicare il simbolo tecnico cartografico (>-<), corrispondente ai ponti pedonali, è dovuta alla coincidenza tra il luogo di fondazione dell’Istituto, avvenuta a Torino nel 1861, e l’utilizzo di tale denominazione nel dialetto piemontese.
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URL https://www.tourer.it/;
URL www.mokagis.it/html/applicazioni_mappe.asp.
Testo di Bruno Roba - Il Ponte dell'Abetìo si trova al km 26+500 circa della S.P. 4, a monte di Campigna.
Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.
00a1 – 00a2 – 00a3 – Da S. Paolo in Alpe l’approssimarsi dell’inverno riveste il paesaggio evidenziando la contropendenza del bacino del Fosso dell’Abetìo e la sua confluenza nel Bidente, presso Campigna; i siti dei c.d. ponti dell’Abetìo, del Granduca e del Balzo, essendo quasio adiacenti, rientrano dove cerchiato (21/11/18).
00a4 – Elaborazione ispirata a manifesto esposto in bacheca a Campigna con vista aerea degli stessi luoghi delle vedute precedenti.
00b1 – 00b2 – Da Poggio Capannina, altra veduta dove si riconoscono gli stessi luoghi ma con minore evidenza (2/06/18).
00c1 – Mappa schematica dei ponti sul Bidente di Campigna e suoi affluenti principali: 1: Ponte del Ladrone - 2: Ponte Ilario – 3: Ponte a Moscoso oggi Ponte Cesare – 4: Ponte a Fiumari – 5: Ponte al Molino Fiumari – 6: Ponte Giovannone – 7: Ponte al Forcone – 8: Ponte alla Ruota – 9: Ponte al Covile – 10: Ponticino della Stretta – 11: Ponte degli Orti – 12: Ponte dell’Abetìo – 13: Ponte del Granduca – 14: Ponte del Balzo – 15: Ponte al Porticciolo - 16: Ponte alla Madonnina – 17: Ponte della Ruota – 18: Ponte del Raggio. In gran parte sarebbero anonimi, per essi si suggerisce il toponimo (in corsivo).
00c2 - Confronto schematico tra cartografia antica e moderna da cui si rilevano le modifiche intercorse nel periodo frapposto.
00c3 - Mappa schematica ispirata a cartografia storica di inizio XX sec. evidenziante reticolo idrografico, infrastrutture e insediamenti prima del completamento della Strada Provinciale del Bidente. La toponomastica riprende quella originale.
00d1 – 00d2 – Vedute del c.d. Ponte dell’Abetìo (27/06/18).