Ridrācoli
Gli antichi edifici sono stati oggetto di ristrutturazione ed oggi Ridarcoli è un piccolo centro turistico, legato al Parco Nazionale ed alla imponente diga costruita nel 1982.
schede PSC Comune Bagno di R.
Documentato dal 1216 come possedimento dei conti Guidi di Modigliana, ricordata nel 1371 nella relazione del cards. Anglico che vi contava 6 focolari, stabilmente abitata fino al 1981
per approfondimenti vedi scheda su questo sito
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Testo di Bruno Roba (24/04/2023) - Nel contesto del sistema orografico del versante emiliano-romagnolo dell'Appennino Settentrionale, l’Alta Valle del Fiume Bidente nel complesso dei suoi rami di origine (delle Celle, di Campigna, di Ridràcoli, di Pietrapazza/Strabatenza), assieme alle vallate collaterali, occupa una posizione nord-orientale, in prossimità del flesso che piega a Sud in corrispondenza del rilievo del Monte Fumaiolo. L’assetto morfologico è costituito dal tratto di Spartiacque Appenninico compreso tra il Monte Falterona e il Passo dei Mandrioli da cui si stacca una sequenza di diramazioni montuose strutturate a pettine, proiettate verso l’area padana secondo linee continuate e parallele che si prolungano fino a raggiungere uno sviluppo di 50-55 km: dorsali denominate contrafforti, terminano nella parte più bassa con uno o più sproni mentre le loro zone apicali fungenti da spartiacque sono dette crinali, termine che comunemente viene esteso all’insieme di tali rilievi: «[…] il crinale appenninico […] della Romagna ha la direzione pressoché esatta da NO a SE […] hanno […] orientamento, quasi esatto, N 45° E, i contrafforti (e quindi le valli interposte) del territorio della Provincia di Forlì e del resto della Romagna.» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 9, cit.). L’area, alla testata larga circa 18 km, è nettamente delimitata da due contrafforti principali che hanno origine, ad Ovest, «[…] dal gruppo del M. Falterona e precisamente dalle pendici di Piancancelli […]» (P. Zangheri, 1961, rist.anast. 1989, p. 14, cit.) e, ad Est, da Cima del Termine; in quell’ambito si staccano due contrafforti secondari e vari crinali e controcrinali minori delimitanti le singole vallecole del bacino idrografico.
La Valle del Fiume Bidente di Ridràcoli riguarda quel ramo intermedio del Bidente delimitato, ad Ovest, dall’intero sviluppo del contrafforte secondario che si distacca da Poggio Scali e che subito precipita ripidissimo disegnando la sella di Pian del Pero, serpeggiante evidenzia una sequenza di rilievi (i Poggi della Serra e Capannina, l’Altopiano di S.Paolo in Alpe, Poggio Squilla, Ronco dei Preti e Poggio Collina, per terminare con Poggio Castellina) fino a digradare presso il ponte sul Fiume Bidente di Corniolo a monte di Isola, costretto dalla confluenza del Fiume Bidente di Ridràcoli con il Fiume Bidente di Corniolo.
Ad Est il contrafforte secondario che si diparte da Poggio allo Spillo e si conclude con il Monte Carnovaletto e la sua pendice NE del Raggio della Rondinaia protesa verso S. Sofia (collegando Poggio della Bertesca, Croce di Romiceto, i Monti Moricciona, La Rocca, Marino, Pezzoli) dal Carnovaletto si sfrangia verso NO digradando verso Isola così contribuendo a chiudere la valle, costretto dalla confluenza del Fiume Bidente di Ridràcoli nel qui costituito Fiume Bidente circa 3 km a monte di S. Sofia, che presto verrà completamente formato ricevendo il Fiume Bidentino o Torrente Bidente di Fiumicino (nell’alto corso Bidente di Strabatenza e di Pietrapazza). La Rondinaia è nota per il castello con la sua torre.
Dal tratto di contrafforte compreso tra i Monti Moricciona e La Rocca, ed in particolare all’altezza di Ripa di Ripastretta, si distacca la lunga dorsale (anticamente detta Raggio delle Putine, compresa tra le Valli dei Tagli e del Corneta) che termina con il promontorio disegnato da una pronunciata ansa del Bidente dove sorge il polo antico, religioso-residenziale, di Ridràcoli. Presso il termine del Raggio delle Putine si stacca una diramazione che, a sua volta, si dirige verso la fitta sequenza dei meandri fluviali che determina la morfologia del luogo e dialetticamente separa dal polo religioso il pronunciato promontorio dove sorge il nucleo fortificato del Castello. Qui uno sprone di 490-500 m di quota, completamente circondato da un grande meandro del fiume che scorre 60-70 m più in basso, consente strategicamente di vigilare ogni movimento all’imboccatura di una valle sempre più stretta. Nel 1216 era un piccolissimo e antico villaggio, documentato come Castrum Ridiracoli candidato a diventare luogo di controllo della riserva di caccia e pesca della dominanza fiorentina - «Magnifice vir, a questi dì passati vi scrissi chom’io avevo fatto isbandire e ghuardare il vostro fiume di Ritràgholi, perché m’avisaste volere venire in questa astate a darvi sollazzo e peschare.» - come ricorda la lettera del capitano di Bagno di Romagna indirizzata a Lorenzo de’ Medici il 23 giugno 1475, cfr.: G.L. Corradi, 2001, L’invaso di Ridracoli e l’acquedotto della Romagna, in: N. Graziani, a cura di, 2001, p. 164, cit.), facoltà che con un atto dell’11 gennaio 1363, conservato all’Archivio di Stato di Firenze, Azzo di Franceschino di Valbona già aveva concesso ai camaldolesi, fino al completo lascito ereditario del 1410. La Valle di Ridràcoli quindi rientrerà tra i beni della selva di Casentino overo di Romagna che si chiama la selva di Strabatenzoli e Radiracoli sottratti ai conti Guidi dalla Repubblica fiorentina e donati in seconda istanza nel 1442 (il termine contenuto in atti è “assegnato in perpetuo”) all’Opera del Duomo di Firenze. L’Opera per oltre quattro secoli si riservò il prelievo del legname da costruzione e per le forniture degli arsenali di Pisa e Livorno, di quelli della Francia meridionale oltre che per l’ordine dei Cavalieri di Malta: «[…] quanto allo legname di decte selve e quanto alli abeti et alberi che sono e saranno per lo adivenire in decte selve le quali si possino e debbino governare dagli operai di decta opera e tucto l’utile sia dell’Opera;[…]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 16, cit.). Nel 1645, nell’ambito delle riforme introdotte dall’Opera del Duomo nei secoli XVI e XVII, viene istituita la “bandita dei fiumi” che riconfermava il divieto di pesca, riservato per la mensa del Principe (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 39, cit.). L’Opera, con la presa in possesso delle selve, desiderando tenere sotto controllo l’aspetto insediativo e avendo constatato che, sia nei vari appezzamenti di terra lavorativa distribuiti in vari luoghi e dati in affitto o enfiteusi sia altrove, si manifestavano numerosi disboscamenti (“roncamenti”) non autorizzati, dalla fine del 1510 intervenne decidendo di congelare e confinare gli interventi fatti, stabilendo di espropriare e incorporare ogni opera e costruzione eseguita e concedere solo affitti quinquennali. Venne pertanto eseguito un inventario, detto “Libro dei livelli e regognizioni livellarie in effetti” che, dal 1545 al 1626 così costituisce l’elenco più completo ed antico disponibile.
La citazione più antica relativa a un luogo della valle risale al 6 giugno 1492, quando «[…] il Comune di Valbona ottenne dall’Opera la spiaggia delle Putine per lire 18 l’anno per arroncarvi e farla lavoriere e scompartirla ai suoi uomini.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 19, cit.). Numerose sono le citazioni di altri luoghi del periodo 1545-47, riprese dal suddetto elenco: «[…] dei livelli che l’Opera teneva in Romagna […] se ne dà ampio conto qui di seguito 1545 […] – Una maneggiata di terre cerretate nella Asticciola e confina con la Mannatoia e sono circa sei poderi in tutto some 47 e ½ staio delle quali ne tocca a Messer Hieronimo Scalco solamente some 32 e il resto a Messer Carlo Fei. […] – Una presa di terra cerretata chiamata i secondi dua poderi della Asticciola in luogo detto i Botriali e sono di misura some 29 e 1 staio […] – Una presa di terra cerretata detta le Mandriacce e Romiceto confina con i beni censuati di Valbona dell’Opera e scende giù fino alla testa del raggio di Valdora e sono some 19 e 1 staio - Una presa di terra in Valdora in luogo detto alla Pozzaccia. – Una presa di terra detti i secondi dua poderi delle Mandriacce e Romiceto e sono di misura some 32 e 2 staia […] - Una presa di terra cerretata detta i terzi dua poderi dell’Asticciola che comincia sopra la fonte dei Botriali e sale per il raggio di Campo alla Sega che mette nel Campo di Minaccio, e sono some 24 […] – Una presa di terra alla Mannatoia che sono some 15. 1546 […] - Una tenuta di terra aratia posta in luogo detto Campo i Peri di some 2 e ½ […] - Un podere di terre lavorative in parte e la maggior parte roncate e ripate con due casette in luogo detto Campo ai Peri e Cerviaja di some 30. […] - Un pezzo di terra lavorativa alle Farniole di staia 5 […] 1547 […] – Un Podere posto alle Alpigelle con terre lavorative e roncate di some 8 – Un pezzo di terra lavorativa posta al piè delle Alpigelle di some 2 […] – Un pezzo di terra ai Forconali di somme 4 – Un pezzo di terra parte roncata e parte aratia di 6 quartaiole in luogo detto Lavacchio – Due poderi con due case e due capanne con terre lavorative boscate e roncate poste nel Comune di Ridracoli alle Vergherete quali toccorno nella divisione dei beni comunali e sono circa some 100. – Un pezzo di terra lavorativa e roncata con casa posta al Pratalino di some 15. […] - Un podere con casa e terre lavorative alle Farniole e vale lire 860 di some 12. – Un podere con casa e terre lavorative pratate e roncate e macchie, posto alle Alpigelle e vale lire 800, di some 20 - Un poderetto, senza casa, di terre aratìe e siepate in luogo detto ai Tagli confina col raggio delle Putine e vale lire 400, di some 10. – Un podere con casa e terre lavorative alle Faitelle comune di Ridracoli e vale lire 444, in tutto sono some 15. […] – Una presa di terra lavorativa e roncata con casa posta al Pratalino di some 15 […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 149-153 cit.). Peraltro, una relazione del 1789 conferma quale fosse il tipo di interesse dell’Opera nel mantenimento dei poderi che … : «[…] sono situati alle falde di vasto circondario delle selve d’abeti e sembra che sieno stati fabbricati in detti luoghi per servire di custodia e per far invigilare dai contadini di detti poderi dal fuoco, al taglio insomma alla conservazione di dette selve […] non ardirei mai di far proposizione di alienarli ma di seguitare a tenerli […] come si rileva chiaramente dalla loro posizione servendo di cordone e custodia alle macchie medesime […] ma […] potrebbero allinearsi e vendersi per essere […] ridotti in tal cattivo stato dai passati affittuari […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 441, 442, cit.). Se alcuni appezzamenti vennero alienati, comunque nel 1818, all’epoca del Contratto livellario tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli, ancora risultava mantenuto il possesso dei poderi di Seghettina, il Lagacciolo, la Forca, l’Ammannatoia, Botriali, Campo Minacci, Poggio di Pratovecchio, appartenenti al Comune di Ridràcoli, Romiceto, Valdoria, la Casa Nuova, il Castelluccio e la Palestrina, appartenenti al Comune di Bagno. Nel contratto del 1840 non compare più il podere della Forca mentre risultano in rovina quelli del Castelluccio e di Poggio di Pratovecchio.
Grazie alla segnalazione da parte del corpo dei Carabinieri Forestali, sulle sponde dell’invaso di Ridracoli, nei dintorni del sito dove viene posizionata la zattera di approdo del battello, è stato recentemente rinvenuto (2020) un sito con abbondanti nuclei per la produzione di lamelle, costituiti da vari strumenti lavorati, schegge di lavorazione e lamelle stesse, che può far pensare ad una strutturata stazione preistorica, databile provvisoriamente al Paleolitico finale (facies Epigravettiana) o al seguente Mesolitico, fra i 15.000 e i 12.000 anni da oggi. È pertanto da ritenere che sulle sponde dei torrenti che oggi formano il lago si siano spinti cacciatori paleolitici alla ricerca delle prede che abitavano i rilievi appenninici circostanti, quali cervi, caprioli e cinghiali, ma anche l’orso, scomparso da circa un secolo, e i castori, scomparsi nel ‘600 (M. Ducci, 2020, p.12, cit.; https://www.parcoforestecasentinesi.it/it/news/sulle-tracce-di-cacciatori-preistorici-nel-parco).
Tra il VI ed il XV secolo, a seguito della perdita dell’equilibrio territoriale romano ed al conseguente abbandono delle terre, inizialmente si assiste ad un riutilizzo delle aree più elevate e della viabilità di crinale con declassamento di quella di fondovalle. Lo stato di guerra permanente porta, per le Alpes Appenninae l’inizio di quella lunghissima epoca in cui diventeranno anche spartiacque geo-politico e, per tutta la zona appenninica, il diffondersi di una serie di strutture difensive, anche di tipo militare/religioso o militare/civile, oltre che dei primi nuclei urbani o poderali, dei mulini, degli eremi e degli hospitales. Successivamente, sul finire del periodo, si ha una rinascita delle aree di fondovalle con un recupero ed una gerarchizzazione infrastrutturale con l’individuazione delle vie Maestre, pur mantenendo grande vitalità le grandi traversate appenniniche ed i brevi percorsi di crinale. Il quadro territoriale più omogeneo conseguente al consolidarsi del nuovo assetto politico-amministrativo cinquecentesco vede gli assi viari principali, di fondovalle e transappenninici, sottoposti ad intensi interventi di costruzione o ripristino delle opere artificiali cui segue, nei secoli successivi, l’utilizzo integrale del territorio a fini agronomici alla progressiva conquista delle zone boscate. Comunque, nel Settecento, chi voleva risalire l’Appennino da S. Sofia, giunto a Isola su un’arteria selciata larga sui 2 m trovava tre rami che venivano così descritti: per Ridràcoli «[…] composto di viottoli appena praticabili […]» per S. Paolo in Alpe «[…] largo in modo che appena si può passarvi […].» e per il Corniolo «[…] è una strada molto frequentata ma in pessimo grado di modo che non vi si passa senza grave pericolo di precipizio […] larga a luoghi in modo che appena vi può passare un pedone […]» (Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, citato da: L. Rombai, M. Sorelli, La Romagna Toscana e il Casentino nei tempi granducali. Assetto paesistico-agrario, viabilità e contrabbando, in: G.L. Corradi e N. Graziani - a cura di, 1997, p. 82, cit.). Inoltre, «[…] a fine Settecento […] risalivano […] i contrafforti montuosi verso la Toscana ardue mulattiere, tutte equivalenti in un sistema viario non gerarchizzato e di semplice, sia pur malagevole, attraversamento.» (M. Sorelli, L. Rombai, Il territorio. Lineamenti di geografia fisica e umana, in: G.L. Corradi, 1992, p. 32, cit.). Un breve elenco della viabilità ritenuta probabilmente più importante nel XIX secolo all’interno dei possedimenti già dell’Opera del Duomo è contenuto nell’atto con cui Leopoldo II nel 1857 acquistò dal granducato le foreste demaniali: «[…] avendo riconosciuto […] rendersi indispensabile trattare quel possesso con modi affatto eccezionali ed incompatibili con le forme cui sono ordinariamente vincolate le Pubbliche Amministrazioni […] vendono […] la tenuta forestale denominata ‘dell’Opera’ composta […] come qui si descrive: […]. È intersecato da molti burroni, fosse e vie ed oltre quella che percorre il crine, dall’altra che conduce dal Casentino a Campigna e prosegue per Santa Sofia, dalla cosiddetta Stradella, dalla via delle Strette, dalla gran via dei legni, dalla via che da Poggio Scali scende a Santa Sofia passando per S. Paolo in Alpe, dalla via della Seghettina, dalla via della Bertesca e più altre.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 163-164, cit.).
È appurato che una via militare romana, proveniente da Arezzo, risaliva verso lo Spartiacque Appenninico transitando da Bibbiena, Freggina e il Fosso Tellito (poi di Camaldoli). «Un tracciato romano molto razionale è riconoscibile anche nel bacino dell’Archiano, per Partina, Camaldoli e la valle del Bidente, anche perché documenti dei secoli XI e XIV menzionano una “Via Romana” sul crinale a monte di Camaldoli, che sarebbe alquanto difficile da spiegare nel senso di Via Bizantina, o di via che conduce a Roma.» (A. Fatucchi, La viabilità storica, in: AA. VV., 1995, p. 27, cit.). Tra le ipotesi, la via, giunta sul versante orientale di Poggio Scali, piegava a dx discendendo lungo la sella di Pian del Pero (corrisponde al tratto in seguito noto come Via del Giogo di Scali, ricordato nell’atto leopoldino, oggi sentiero della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino vietato al transito), quindi percorreva il noto (e transitabile) contrafforte secondario verso S. Paolo in Alpe (dalla fine dell’anno Mille divenne luogo eremitico), poi si biforcava presso Poggio Squilla da un lato discendendo verso Corniolo per l’erta scorciatoia del Fosso delle Cerrete (nel XII secolo vi sorgerà il Castello di Montinalto), e dall’altro lato, nel dirigersi verso Forlì, sulle pendici di Poggio Castellina, darà luogo all’insediamento del Castello di Spugna di Sopra (Spugnae de supra e de subtus castrum: Spugna di sopra posta sotto il castello), documentato nel 1303 ma di cui non rimane traccia. Sul Passo Sodo alle Calle o La Scossa, dove pare sia stata rinvenuta qualche moneta del III secolo a.C. ed armi e Carlo Siemoni avrebbe trovato resti evidenti di massicciata romana ed una stipe votiva, converge la Strada che dalla Seghettina va a Stia e, poco distante, la Strada delle Pulci verso La Lama (così soprannominata dagli addetti al traino del legname per la noiosità del lungo tragitto in salita). Anche i percorsi transitanti da La Lama paiono far parte dell’antica Via Romana, ricordata in due carte del Regesto di Camaldoli: «L’antichità di questa via è ricordata in due carte del Regesto Camaldolese. Nella prima, del 1027, viene citata discendente dalla giogaia delle Alpi tra la Toscana e la Romagna, passando per la foresta dell’Eremo di Camaldoli […]. Nel secondo documento del 1047, che conferma tutti i beni agli eremiti di Camaldoli da parte del Vescovo Teodaldo, viene citata come via “Romana”. L’atto stabiliva i confini sul crinale di un grosso appezzamento di terra. Questo andava dal fosso chiamato Tellito, cioè quello di Camaldoli, fino alla via citata come “Romana” e il giogo che divideva la Romagna dalla Toscana. […] Di lì passo Papa Pasquale II di ritorno dalla Lombardia. […] Quel passaggio fu ricordato in una testimonianza, molti anni dopo, in un processo tra il Vescovo di Arezzo e quello di Siena celebrato tra il 1177 e il 1180. Nell’occasione fu interrogato il presbitero Homodeus, che […] disse che vide lo stesso Papa Pasquale presso Camaldoli, di ritorno dalla Lombardia […]. Questo documento conferma anche la continuità del percorso della via che […] il Papa aveva scelto, anche per rivedere i suoi luoghi natali di Galeata, ritornando dal nord Italia verso Roma. […] vidi io stesso, sotto il Giogo di Seccheta nel versante romagnolo, tra il crinale e la curva degli Acuti, la via romana che saliva verso lo spartiacque.» (G. Innocenti Ghiaccini, 2018, pp. 29-30, cit.). Il poco distante passo del Gioghetto (Gioghicciolo negli antichi documenti camaldolesi), che è raggiunto da un percorso sia di esbosco che di transumanza proveniente da La Lama (in parte scomparso o sostituito a seguito della costruzione della parte ottocentesca della Via degli Acuti), sarebbe attraversato dalla Via Romana che, dal sito dell’Eremo, scendeva a Camaldoli tramite la Via Corta, per poi percorrere la valle dell’Archiano fino a Soci e Bibbiena. Valicando il Gioghetto il ravennate Romualdo nel 1024 giunse a Campo Amabile (Camaldoli) per fondare l’Eremo (nel 1012 secondo la tradizione): «[…] per salire all’Eremo (Campo Amabile), i pellegrini romagnoli, S. Ambrogio di Milano e Leopoldo II Granduca di Toscana, percorrevano la via dei fedeli di San Romualdo che da Santa Sofia, per Ridracoli, la Seghettina e la Lama, sale al Gioghetto per ridiscendere al sottostante Eremo.» (P.L. della Bordella, 2004, p. 190, cit.) … «[…] ricordiamo, in particolare, il Gioghetto, attraverso il quale il ravennate san Romualdo scese a Campo Amabile […]» (F. Pasetto, 2008, p. 207, cit.). Della Via dei fedeli di S. Romualdo rimangono tracce o consistenti resti sul versante romagnolo a partire dalla Seghettina, quando la mulattiera scendeva a guadare prima il Fosso degli Altari poi il Fosso della Lama (dopo aver scavalcato Poggio della Cornioleta) su una pedanca documentata dalla Carta d’Italia I.G.M. del 1894, per proseguire in dx idrografica fino a La Lama; alla via va pure attribuito il tortuoso tratto finale risalente al passo nella località La Docciolina, presso La Cava dei Frati, fino al Gioghetto.
Ricordando che sia il toponimo Giogo sia i diminutivi Gioghetto, Giogarello, Gioghicciolo erano piuttosto diffusi, alcuni documenti costituirebbero ipotesi per una diversa localizzazione di un luogo della tradizione storica camaldolese. In particolare, uno schizzo planimetrico della metà del XVIII secolo, conservato nell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze e relativo ad aree controverse tra l’Opera e i Monaci di Camaldoli (riportato in: A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 31, cit. - V. anche M. Ducci, G. Maggi, 2022, cit.), contengono altre interessanti informazioni che farebbero ipotizzare un diverso itinerario, che avrebbe utilizzato come valico il Passo della Crocina (raggiunta Casanova dell’Alpe ancora oggi si estende fino al Raggio della Rondinaia, proteso verso S. Sofia), mentre sarebbe da escludere l’utilizzo della Via de Monte Acutum, documentata nel Regesto di Camaldoli già dal 1084, risalente a Cima del Termine tramite le Rivolte di Bagno, ma più funzionale al collegamento con la Badia a Pretaglia. Si legge, in una relazione del 1652 sulle selve di proprietà dell’Opera: «è la Lama in un piano a cui verso il Giogo sovrasta un altissimo monte che si dice la Penna con una spiaggia che si dice i Beventi luoghi tutti coperti per lo più di faggi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 269, cit.), e, nel Contratto livellario del 1818 tra l’Opera e il Monastero: «[…] ventiseiesimo, […] Proseguendo sempre verso levante per il crine l’Opera tiene in proprio le acque che scorrono in Romagna […] seguitando per i vocaboli d’alture del Prato di Bertone e sopra l’Eremo, si giunge al luogo detto Fonte al Sasso e percorrendo sempre l’appennino continuano a confinare i Reverendi Monaci di Camaldoli con i vocaboli di alture di Prato agli Aceri, ed altura sopra i Prati alla Penna e della Duchessa fino al Gioghetto, da questo scendendo alla fonte dei Beventi, o fonte del Gioghetto, s’incontra un termine nella strada che conduce in Romagna e seguitando la direzione di questo si sale ad un braccio dell’Appennino ove con altro termine confinano i Comunisti di Serravalle; ventisettesimo, da questo punto ossia termine i Reverendi Monaci di Camaldoli seguitando il crine dei Beventi, di Monte Cucco, dei Segoni, seguitando l’istesso crine fino alle Rivolte […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 465-466, cit.). Da tali documenti e dalla mappa citata, oltre all’identificazione del toponimo Via Bordonaia, che è attribuito ad un tratto viario di crinale tra Prato alla Penna e il Passo dei Fangacci, si trae una rappresentazione dei luoghi solo in parte diversa da quella odierna, laddove, verso Est, si rappresenta un toponimo Beventi (luogo noto, già allora, per essere ricoperto da una estesa faggeta che si estendeva fino al Monte Penna) e si ritrova il “vocabolo” Gioghetto che (corrispondendo alla citata descrizione confinaria) pare posizionato presso Poggio Tre Confini (effettivamente è un punto di valico, presso il quale si trovano antichi cippi confinari con stemma camaldolese; cfr. M. Ducci, G. Maggi, 2022, cit.); il luogo sovrasta la Fonte dei Fangacci, ivi denominata fonte del Gioghetto o dei Beventi, posta presso il Rifugio ex-CAI Onorio Mellini – Fangacci, dal 2020 gestito in esclusiva da Fitness Tuscany.
La prima cartografia storica, ovvero il dettagliato Catasto Toscano (1826-34 – scala 1:5000), la schematica Carta della Romagna Toscana Pontificia (1830-40 – scala 1:40.000), la nota Carta Geometrica della TOSCANA di G. Inghirami (1850 – scala 1:200.000), le prime edizioni della Carta d’Italia dell’I.G.M. (1893-94 – scala 1:50.000; 1937 – scala 1:25.000), consente di conoscere, tra l’altro, il tracciato della viabilità antica che riguardava la Valle di Ridràcoli, ricordando che se per la realizzazione delle prime grandi strade carrozzabili transappenniniche occorrerà attendere tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX, il crinale che dal Passo della Crocina si svolge fino alla Rondinaia in gran parte venne fortunatamente salvaguardato dal distruttivo progetto dell’ingegnere granducale Ferroni che, tra le ipotesi di “strada dei due mari” che doveva unire la Toscana e la Romagna, indicava il tracciato montano Moggiona-Eremo di Camaldoli-Passo della Crocina-Casanova in Alpe-Santa Sofia (essendo ritenuto idrogeologicamente valido).
Il tracciato principale della viabilità storica diretta a Ridràcoli attraversava il Bidente di Corniolo presso Isola, sul luogo dell’odierno Ponte dell’Isola, mantenendosi in sx idrografica e risalendo subito a mezzacosta fino a raggiungere Biserno, per quindi ridiscendere nel fondovalle del borgo, dove terminava con un lungo rettilineo interrotto dal Ponte di Ridràcoli. Tale viabilità, che nel 1850 era rappresentata come Strada comunitativa non rotabile (quindi solo barrocciabile), anonima nelle mappe citate, verrà poi denominata Strada Comunale Isola-Biserno e Strada Comunale Ridràcoli-Biserno; in occasione dei lavori di costruzione dell’invaso la prima verrà ristrutturata e ampliata diventando la S.P. n.112, mentre la seconda è rimasta per uso locale riutilizzata anche come percorso escursionistico. Presso il Ponte dell’Isola, si trovano Ponte di Là, prospiciente il Bidente di Corniolo e un fabbricato anonimo, raggiunto dalla pista che scende al fiume detta Via Isola-Gualchiera, adiacente ad un arcaico attraversamento fluviale pedonale del Bidente di Ridràcoli, che sull’altra sponda trovava Cosmedino; il ponticello (c.d. Ponte tra Isola e Cosmedino o Ponte a Cosmedino, rimangono resti) è sorretto da pile realizzate con tronchi di legno (quercia o castagno) terminanti a forcella per aumentare la base di appoggio del piano viario costituito da travi longitudinali e tavolato di assi (idoneo solo al transito leggero). Tecnicamente detto pedanca, questo attraversamento storico, forse affiancato anche da un guado posto a ridosso della confluenza tra il Bidente di Ridràcoli e il Bidente di Corniolo (dante inizio al Fiume Bidente), collegava il luogo, noto anche come Gualchiera, alla Strada dei Marroni che, in dx idrografica, giungeva da Bleda: la strada successivamente risaliva verso l’insediamento di Fontaccio o Fontorso e il Monte Carnovaletto per poi ridiscendere alla Rondinaia (Castrum Rondenarie, resta la torre, «[…] baluardo di antica potenza, elevato fin dai tempi romani alla difesa contro le orde barbariche che dal nord d’Europa scendevano a depredare le belle contrade d’Italia.» - D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 274, cit.). Poco più a monte è presente un altro guado carrabile prossimo al Molino della Sega, raggiungibile con deviazione dalla S.P. n.112 adiacente al fabbricato detto La Maestà o La Maestà di Cornieta, presso il quale si trova identica passerella su tronchi lignei, il c.d. Ponte al Molino della Sega o Ponte della Sega, ancora consistente ma non transitabile, che consentiva l’accesso nella Valle delle Corneta tramite la futura S.Vic.le Campitello-Farneto-Poggio dell’Ulivo. L’unico rilevante tracciato storico di viabilità secondaria sul versante in dx idrografica si distaccava da quella principale a Poggiolo, attraversava il Bidente tramite il Ponte Beppino (ricostruito, ma sempre soggetto a rischio di alluvione) all’altezza della Val Spugna diretto agli insediamenti di Spugna e alle Case Monte di Valle: da qui si diramavano la Strada delle Valli e la Strada di Ronco Vecchio, che si inoltravano nelle rispettive valli risalendo verso il crinale montano. Come accennato, da Biserno la strada provinciale ha abbandonato il tracciato storico, così interferendo con il percorso trasversale discendente al c.d. Ponte al Molino di Biserno, dove una pedanca o palancola adiacente il mulino (oggi modernamente ricostruita) ripropone il collegamento con la viabilità oltre il fiume. Poco più avanti, dove già esisteva un guado o forse altro attraversamento, il c.d. Ponte Monte di Valle consente un collegamento carrabile tra la provinciale e la strada consorziale Monte di Valle a servizio delle case omonime. La strada comunale da Biserno ancora raggiunge Canforchigi in parte come percorso turistico, qui però abbandonando il tracciato antico che scendeva direttamente ad attraversare il Fosso di Canforchisio, in base alla cartografia probabilmente a guado, luogo oggi riutilizzato dalla provinciale; dopo un’ampia curva aderente all’ansa fluviale si ritrova lo storico rettilineo finale che dal Casone porta al Palazzo Giovannetti e adiacente Oratorio della Madonna della Neve, dove si ritrova l’unico residuo di selciato che scende ripido al Ponte di Ridràcoli. Poco distante il Bidente è attraversato dal c.d. Ponte nuovo di Ridràcoli, dotato di parapetti lignei e bene inserito nel contesto con alti argini rivestiti in pietra, che consente l’accesso alla nuova area del Museo delle Acque.
Dal Ponte di Ridràcoli partiva la Strada che da Ridracoli va al Poggio alla Lastra che risaliva la Valle del Corneta quale porzione della successiva e rinomata Mulattiera di Ridràcoli, diretta a S. Sofia tramite Strabatenza. La mulattiera, rasentate le case dei poderi ecclesiastici e superata la Chiesa dei SS. Martino e Lorenzo, attraversava il Fosso Corneta con il Ponte delle Cornete: documentato quale struttura lignea dai primi anni dell’800 è stato trasformato a seguito del riutilizzo da parte della S.F. Ridràcoli-Passo del Vinco che, negli anni 1965-70, ha rettificato e reso rotabile parte della Mulattiera di Ridràcoli. Prima del ponte, un altro antico e anonimo tracciato diretto a S. Paolo in Alpe tramite la valle del Rio Bacine, divenuto Mulattiera di Ridracoli-S.Paolo in Alpe (poi detto S.Vic.le Rio Castagno-Ridracoli), di cui in passato si trovava un cippo abbattuto presso la chiesa, mantenendosi in sx idrografica e transitando dal sito del museo, poco dopo trova ancora la restaurata Maestà delle Galvane prima di raggiungere il podere Le Galvane. Un tratto viario a mezzacosta, oggi sent. 231, collegava il centro religioso con il Castello da cui partiva la Strada che dal Castello di Ridracoli conduce alla Chiesa della Casanova, costituendo prima parte della futura Mulattiera Bagno-Pietrapazza-Ridràcoli (su una pietra cantonale della chiesa di Casanova sono ancora leggibili le distanze chilometriche – evidentemente non più valide - km 12,358 per Bagno e km 5,933 per Ridràcoli). Entrambe le mulattiere incrociavano sul crinale la Strada Maestra di S. Sofia o Strada che dalla Casanova va a Santa Sofia, la prima presso il Monte Moricciona, la seconda sul Passo della Colla. Rinomate e ancora riportate come tali nella cartografia moderna, negli anni ’50 alle estremità delle mulattiere vennero installati dei cippi stradali riportanti la rispettiva denominazione, così classificandole e specificandone l’uso escluso ai veicoli; rimasero localmente in uso fin’oltre metà del XX secolo, infatti le odierne strade forestali verranno realizzate solo un ventennio dopo. Mentre parte della Mulattiera di Ridracoli è scomparsa o desueta a seguito della realizzazione della S.F. Ridràcoli-Passo del Vinco, la seconda è pressoché interamente riutilizzata dalla sentieristica CAI. Dai piedi del centro religioso si staccava un percorso che giungeva fino alle pendici della Seghettina … «[…] praticabile solamente nella bella stagione, quando le acque del fiume erano scarse, e si snodava lungo il corso del Bidente che veniva attraversato ben 33 volte […]» (C. Bignami, 1995, p. 90, cit.). Dalla citata via castellana si staccava la strada comunale, sempre percorribile, che risaliva il Bidente per un lungo tratto (fin quasi a Lagacciolo) correndo accanto all’alveo fluviale, per la parte fino alla diga oggi sostituito dalla viabilità di servizio, per il resto ormai sommerso. La via scavalcava il Fosso dei Tagli, presso lo sbocco nel Bidente, forse sul luogo oggi occupato dall’asfalto stradale, con il Ponte dei Tagli, subito dopo la mulattiera passava sotto un arco del Mulino di Sopra costeggiandone il bottaccio. Con la costruzione della diga e con il riempimento dell’invaso, è scomparso pressoché l’intero tracciato viario e sono scomparsi mulini, insediamenti (le Celluzze – che spesso riemerge, la Forca, Lagacciolo, Verghereto), ponti e guadi che, come sopracitato, attraversavano 33 volte il Fiume della Lama o Obbediente (come era anticamente classificato), come il Ponte alla Forca e il Ponte a Ripicchione, quest’ultimo comparente in una mappa dei possedimenti dell’Opera del Duomo di Firenze del 1637, nota in quanto allegata ad una relazione del 1710, documentato nell’Estimo del Comune di Ridràcoli del 1704 come Ponte Arpicchione e citato nel Contratto livellario del 1840 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli: «N. 8 - Podere di Lagacciolo […] Terreni. Un solo tenimento di terra […] riconosciuto per i vocaboli: […] Ponte Ripicchione […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 519, cit.) (riproduzioni della mappa si trovano in A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 20, cit. e, l’originale a colori, in A. Bottacci, 2009, p. 31, cit.). Il ponte, nella mappa rappresentato con profilo ad arco con spallette (tipologia possibile solo con struttura in pietra), era posto subito a valle della confluenza del Fossato del Ciregiolo (oggi Fosso del Molinuzzo) nel fiume, proprio nel luogo dove oggi sorge la diga, consentendo di risalire la riva sx del fosso verso Le Celluzze e il Molinuzzo (nella mappa compare La Poderina, posto ancora più a monte); nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894) compare il simbolo detto pedanca, corrispondente ad un ponte ligneo pedonale, non più presente nella successiva e particolareggiata mappa del 1937. Noto per la sua precarietà e pericolosità, prima di metà del secolo scorso non fu più ripristinato venendo sostituito da una teleferica rudimentale che consentiva di recarsi ai fabbricati posti oltre il fiume … «In quel punto il fiume era particolarmente ricco d’acque e per raggiungere la riva opposta i ridracolini avevano studiato un particolare marchingegno che chiamavano “la teleferica”. Salivano infatti su di un carrello portante, una specie di rudimentale funicolare composta da due fili d’acciaio […]. Situata qualche metro sopra il livello dell’acqua non era poi troppo scomoda e neanche troppo pericolosa. Vi si saliva in tre o quattro persone per volta ed era necessaria per recarsi alle Celluzze ed alle altre case poste oltre il fiume […]» (C. Bignami, 1995, pp. 91-94, cit.). La mulattiera, sorpassata la Fonte dei Bisernini, dopo Lagacciolo abbandonava l’argine fluviale, risaliva a Case di Sopra e attraversava il fosso detto Il Fossone, in un’area ormai sommersa, con una palancola lignea, nota solo per scarni ricordi letterari (cfr. C. Bignami, A. Boattini, 2022, cit.) sostituito più a monte da una moderna struttura in legno utilizzata dal sent. 237. Di seguito giungeva a La Forca, da cui con il Ponte alla Forca o della Seghettina, attraversava il Bidente: la sua struttura in base all’elenco stradale del 1939 era costituita da spallette in pietra con travi in ferro e impalcato ligneo, ma sostituiva le precedenti strutture lignee più volte rifatte: il ponte originario risale al 1843. Oltrepassato il ponte con un lungo tragitto si poteva risalire fino a S. Paolo in Alpe oppure si imboccava l’importante e sopracitata Strada che dalla Seghettina va a Stia valicante il Passo Sodo alle Calle o La Scossa. Dalla Seghettina un percorso ridiscendeva ad attraversare il Fosso della Lama, accanto alla confluenza del Fosso dei Pianelli tramite una pedanca documentata dalla Carta d’Italia I.G.M. del 1894, quindi proseguiva in dx idrografica fino a La Lama, dove giungeva attraversando il Fosso dei Forconali con un ponte documentato sia dalla Carta d'Italia del 1894 che dalla successiva del 1937, dove però risulta posto al termine della S.F. del Cancellino, nel frattempo realizzata. La Lama era collegata con lo Spartiacque Appenninico tramite le sopracitate Via degli Acuti e Strada delle Pulci, utilizzate soprattutto per l’esbosco del legname, oggetto di risistemazioni e modifiche di tracciato soprattutto in epoca ottocentesca, da parte del Siemoni, con strutture pontive da far risalire all’800 e coeve per l’identica fattura delle strutture in pietra, e in epoca moderna. Da La Forca una via, poi detta S. Vic.le del Pratolino che oggi si stacca da Cà di Sopra, raggiungeva gli insediamenti del versante del Monte Cerviaia detto La Palestrina fino al crinale.
Le identificazioni toponomastiche e grafiche della cartografia antica e moderna (Catasto toscano, Carta d’Italia I.G.M., N.C.T. Nuovo Catasto Terreni, C.T.R. Carta Tecnica Regionale) riguardanti i fabbricati dell’area di Ridràcoli, procedendo verso monte fino all’area direttamente scolante nell’invaso, si possono riassumere come di seguito elencato:
- Il Casone nel Catasto toscano, o il Casone nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894, 1937) e in quella moderna, o nuovamente Il Casone nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- Ridracoli nel Catasto toscano e nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o Ridràcoli nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937) e in quella moderna, o Ridracoli e Mulino nel N.C.T., o Ridracoli nella C.T.R.;
- Ridracoli nel Catasto toscano, o Castello nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894, 1937) e in quella moderna, o il Castello nel N.C.T., o Castello di Ridracoli nella C.T.R.;
- Il ponte di Ridràcoli nel Catasto toscano, anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894, 1937), o Pal.zo Giovannetti in quella moderna, Le Case e il Ponte nel N.C.T., o Le Case nella C.T.R.;
- Le Calvane nel Catasto toscano, o Calvane nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894) o Galvane nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937) e in quella moderna, o Le Galvane nel N.C.T., o Galvane nella C.T.R.;
- Il Molino nel Catasto toscano, o M.° di sopra nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894, 1937), o anonimo in quella moderna ma è sempre presente il simbolo Opificio a forza idraulica nell’I.G.M. di impianto, o anonimo nel N.C.T., o Molino di Sopra nella C.T.R.;
- Le Colluzze nel Catasto toscano, o le Celluzze nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894 e 1937) e in quella moderna, o Le Celluzze nella C.T.R.;
- Verghereto anonimo nel Catasto toscano e nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894),erroneamente detto la Casetta nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), area lacustre in tutta la cartografia moderna;
- La Casetta nel Catasto toscano, o la Casetta nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894, 1937) e in quella moderna (in quella del 1937 toponimo erroneamente posto su Verghereto), di nuovo La Casetta nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- Il Lagacciolo nel Catasto toscano, anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894, 1937), area lacustre in tutta la cartografia moderna;
- Cà di sopra nel Catasto toscano e nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o Ca di sopra nella Carta d'Italia di impianto (1937) e in quella moderna, o Cà di Sopra nel N.C.T. e nella C.T.R.;
- La Forca, anonimo nel Catasto toscano e nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894, 1937), area lacustre in tutta la cartografia moderna;
- Molino della Forca, mai rappresentato in tutta la cartografia il simbolo Opificio a forza idraulica, area lacustre in tutta la cartografia moderna;
- La Palestrina nel Catasto toscano, o Palestrina nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), non presente nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937), e in quella moderna, non presente nel N.C.T. e nella C.T.R., nel N.C.T. rimane la S. Vic.le del Pratolino che vi giungeva;
- Casamentino nel Catasto toscano, non presente nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894, 1937) e in quella moderna, rimane il simbolo del sentiero che lo raggiungeva nell’I.G.M. di impianto, non presente nel N.C.T. e nella C.T.R., nel N.C.T. rimane la S. Vic.le del Casamentino che vi giungeva;
– Le Faltelle nel Catasto toscano, anonimo nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o le Faitelle nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937) e in quella moderna, o Faitelle nel N.C.T., o Le Faitelle nella C.T.R.
– Il Pratalino nel Catasto toscano, Pratolino nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1894), o Pratalino nella Carta d’Italia I.G.M. di impianto (1937) e in quella moderna, o Pratalino nel N.C.T., o Pratalino nella C.T.R.
Come accennato, il sistema insediativo di Ridràcoli si suddivide in tre nuclei vicini, quello politico-militare del castello, quello religioso seicentesco della chiesa e quello economico-residenziale e religioso cinquecentesco (se non duecentesco) compreso tra Pian del Ponte il Campo de’ Fabbri e S. Lorenzo. Secondo la Descriptio Romandiole del 1371 il nucleo del Castrum Ridiracoli era un villaggio fortificato composto da appena 6 focularia. Nell’Archivio comunale al 1548 è documentata l’esistenza di 16 abitazioni ripartite in un numero non definibile di fabbricati distribuiti intorno alla rocca. Risale al 1777 il primo accertamento sulla consistenza delle abitazioni indistintamente dette “case”, anche ora però senza certezze sulle aderenze e quindi sul numero effettivo dei fabbricati, da cui risultano, una casa composta da 12 stanze oltre tre logge e accessori, tra cui la cisterna castellana, corrispondente con l’unica superstite nota come Casina del Castello, due case composte da due stanze, una casa da 4 stanze, una casa da una sola stanza, una capanna su due piani con stalla e loggia e una capannella di 2 stanze. L’accertamento catastale del 1829 sostanzialmente conferma le stesse consistenze che, in base alla mappa, si possono raggruppare in tre fabbricati, quello maggiore ancora esistente, uno interno alla rocca e uno posto sul principio delle mura castellane esterne, oltre la via rispetto ai resti di un ex-fienile, forse già torre di guardia dell’accesso all’area fortificata. La mappa dell'Archivio Comunale di Bagno di Romagna datata 1888-1913 (cfr. C. Bignami, a cura di, 1995, e C. Bignami, A. Boattini, 2022, cit.), riguardante l'attribuzione delle numerazione civiche, assegna i nn. 28-29-30, quando vengono censite 5 abitazioni per complessivi 16 vani abitabili. Tra proprietari ed abitanti che a vario titolo si sono succeduti venne raggiunto un totale massimo di 33 persone fino all’abbandono nel 1969-70 a seguito degli espropri conseguenti alla costruzione dell’invaso e la successiva ristrutturazione ad uso turistico-ricettivo.
Il fulcro del nucleo religioso è ovviamente la Chiesa dei SS. Martino e Lorenzo, ma storicamente Ridràcoli possedeva due chiese separate dal fiume (una villam Ridraculi cum omnibus ecclesiis - con tutte le chiese - è così documentata già dal 1213, forse in riferimento alle due chiese già presenti) infatti il titolo attuale è dovuto alla soppressione nel 1652 dell’Eremo di S. Lorenzo e alla rovina della chiesa annessa, considerato che già nel 1573 venne trovata semidistrutta da un grosso masso staccatosi dalla montagna sovrastante: «Ai tempi della visita Regazzeno (1573) la chiesa di S. Lorenzo era già diroccata causa di un grave masso che dal vertice del monte soprastante le era caduto sul tetto.» (D. Mambrini, 1935 – XIII, p. 255, cit). Non è noto il sito specifico del versante opposto dove era edificata; se fa fede la toponomastica di inizio ‘800, la Chiesa di S. Lorenzo doveva trovarsi sotto l’estrema pendice rocciosa di una delle diramazioni provenienti dal contrafforte secondario allora detta Ripa del Casone, che separava le proprietà ecclesiastiche dal Fosso di Canforchisio, come risulta dalla descrizione del quel tratto di strada verso nord che passava «[…] di contro il podere del Casone […] il Campo della Maestà, San Lorenzo e la Ripa del Casone […]» (C. Bignami, A. Boattini, 2022, p. 236, cit.). Lo stato della chiesa odierna è dovuto all’ultima riconfigurazione avvenuta tra il 1837 e il 1843 ed alla ricostruzione successiva al terremoto del 1918 ed è caratterizzato in facciata e nel pseudo-abside da loggette neo-romaniche ripartite in archetti sorretti da colonnine; in facciata la loggetta è definita da un grande pseudo-portale ad arco a tutto sesto mentre archetti pensili decorano il sotto gronda. L’adiacente canonica conserva un aspetto settecentesco, conseguente ad un restauro con le stesse periodicità della chiesa. Notizie storiche si hanno grazie ai verbali delle “visite pastorali o apostoliche”, un precisissimo excursus delle sue vicende si trova in C. Bignami, A. Boattini (2022, cit.).
Il Catasto Toscano pare rappresentare lo stato storico del nucleo religioso e del suo podere, detto Chiesa di Sotto, al massimo della sua espansione, quando giunse a comprendere tre fabbricati colonici. Inizialmente, dal 1609 è documentato un solo fabbricato, genericamente posto davanti alla chiesa, ma già prima della fine del Settecento la dotazione colonica è completata e sono documentati i due fabbricati posti anteriormente mentre il terzo risulta collocato di lato, avendo il cimitero (che era adiacente alla chiesa) posto tra mezzogiorno e ponente. Dal confronto con la mappa antica l’area di questo fabbricato e quella a mezzogiorno risultano rispettivamente riutilizzate dalla canonica e dalla chiesa nuova, mentre è scomparso il probabile fabbricato religioso antico e il suo sito è in parte riutilizzato dalla strada. La sopracitata mappa dell'Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegnava alla canonica e ai due fabbricati rispettivamente i nn. 1, 2 e 41, quando la canonica risultava composta di 11 vani, il fabbricato più vicino possedeva tre stanze, la cucina due stalletti e una cantina, quello più lontano cinque stanze oltre stalle e capanno. Il fabbricato più lontano, oggi ridotto a rudere, al principio del XX secolo era detto Capanna e veniva utilizzato come stalla in attesa del definitivo abbandono. Il fabbricato prospiciente la chiesa nel 1926 è stato ricostruito ed è tutt’oggi abitato. In base alla documentazione storico-fotografica risulta essere stato oggetto di successivi interventi di ristrutturazione, dagli scorsi Anni ’80-’90 o comunque successivamente all’epoca dell’infrastrutturazione viaria conseguente alla realizzazione dell’invaso, con aggiunta di un corpo laterale. Di lato alla piazzetta della chiesa, si trova il fabbricato abbandonato delle ex Scuole Rurali, costruito nel 1961 per trasferirvi l’attività scolastica istituita a fine ‘800, prima svolta privatamente in canonica, dal 1913 in forma pubblica senza una sede fissa e dal 1922 a Palazzo Giovannetti, dove operò fino al trasferimento. Il nucleo economico-residenziale di Ridràcoli trae le sue antiche origini da un villaggio di una dozzina di case documentate dal primo censimento del 1548 nell’area, detta Campo de' Fabbri, compresa tra il ponte e la sopracitata area ecclesiastica di S. Lorenzo, di cui forse facevano parte i fabbricati antichi del Casone. Si è successivamente sviluppato attorno alla principale infrastruttura della valle, il Ponte di Ridràcoli (toponimo del Catasto Toscano), caratteristica struttura in pietrame con profilo ad arco a sesto ribassato, risalente al 1817-19 e sostitutiva della precedente in legno su spallette in muratura secondo la classica tipologia in uso, distrutta almeno tre volte nel ‘700 e una nel 1815. Aderente ad una spalletta del ponte e pressoché contemporaneo si trova il fabbricato detto Ponte o Capoponte o C. Ponte (Casa Ponte), presente con difformità nel Catasto Toscano (pare un’aggiunta il corpo posteriore) quando nel Giornale di Campagna era descritto composto al P.T. da due stanze, al P.I° da cucina e camera; il forno (scomparso) era un corpo distaccato, risalente al 1825, posto sul retro, in fregio alla mulattiera. La sopracitata mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegnava al fabbricato il n. 39, quando risultava costituito da 8 vani. Data la posizione di passaggio almeno dal 1872 nel fabbricato venne aperta una locanda e, dall’inizio del secolo scorso, la nota Osteria del Terrore, dal soprannome del gestore; abitato fino agli Anni ’70, nel 2022 è stato terminato il restauro con suddivisione in 4 unità turistico-abitative. Dal 1789 accanto al ponte si trovava il Molino di Sotto, in base al Giornale di Campagna del 1829 composto al P.T. dalla stanza delle macine, stalla e loggetta e al P.I°, da cucina e camera. La sopracitata mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegnava al mulino il n. 42, quando il fabbricato padronale risultava composto di 4 vani a solo uso molitorio. La porzione descritta dal catasto ottocentesco è ben identificabile e distinguibile rispetto agli ampliamenti successivi, infatti corrisponde al corpo perpendicolare al fiume dove oggi si trova l’ingresso con tettoia; il bottaccio probabilmente non è stato mai realizzato e la bocca della doccia, posizionata sul lato sx, oggi è coperta da un lastricato, mentre il canale di adduzione (berignale), che si staccava dal fiume nell’area sottostante i ruderi della Capanna del podere di Chiesa di Sotto, come evidenziato dal confronto con il Catasto Toscano, è stato ricoperto dalla sede stradale. Cessata l’attività dall’alluvione del 1966, dopo un ottimo restauro che ha conservato le attrezzature molitorie, oggi è utilizzato per uso turistico-residenziale. Sul poggetto sovrastante il ponte si trovano il grande edificio di Palazzo Giovannetti - Le Case, derivante dalla ristrutturazione e ampliamento di fine Ottocento, quando viene attribuita la denominazione Il Palazzo al complesso edilizio nel Settecento detto Le Case de' Fabbri (dal toponimo antico del luogo) composto, in base al Giornale di Campagna del 1829, da una porzione colonica e una parte padronale che comprendeva al P.T. tinaia, cantina, stalla, due stanze, loggia e forno, al P.I° 5 stanze e al P.II° altre 5 stanze. La sopracitata mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegnava alle Case e al Palazzo rispettivamente i nn. 37 e 38, quando, a seguito dell’ampliamento, il fabbricato padronale risultava composto di 22 stanze. Acquistato negli anni ’80 dalla Romagna Acque-Società delle Fonti S.p.A, già ospitante un museo naturalistico, oggi viene riutilizzato a fini turistico-ristorativi. Complesse vicende lo hanno interessato, come la presenza di tre importanti ospiti commemorata dalla lapide sopra l’ingresso principale: Leopoldo II Granduca di Toscana, Aurelio Saffi e Antonio Fratti (Saffi, 1819-1890, fu mazziniano e figura del Risorgimento, Fratti, 1848-1897, fu un politico e garibaldino). Adiacente è l’Oratorio della Madonna della Neve, detto anche Oratorio sotto l'Invocazione di S. Maria della Neve mentre, più in alto, sorge una torretta. L’oratorio, di diritto privato, risale al 1705, ma l’epigrafe soprastante l’ingresso, recante il simbolo stilizzato della croce sul monte e la data 1814, fa presumere una completa ristrutturazione o ricostruzione, cui ne sarebbe succeduta un’altra negli anni successivi, conseguente ai danni del terremoto del ’18, come si deduce dalle visite pastorali degli anni ’40 e come risulta dalle modifiche planimetriche derivanti dal confronto tra catasti. Oggi è utilizzato come magazzino. Accatastata nel 1829 come colombaia ad uso dell’insediamento padronale, la torretta a metà del secolo scorso è stata adibita ad abitazione di tre stanze, una per piano, rientrando oggi nel generale riutilizzo turistico. Tra gli edifici a carattere produttivo si ricorda una Gualchiera, risalente alla prima metà del XIX sec. e collocata tra il fiume e il mulino, cui era collegata quale opificio idraulico, nel 1872 venne però ristrutturata e suddivisa in due abitazioni, certificata dall’attribuzione del n. civico 40 nella mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna. L’utilizzo è cessato nel 1922 con la demolizione da parte del Genio Militare, forse per l’ostacolo che creava al flusso fluviale: del fabbricato la cartografia non riporta alcuna traccia. Oggi inserita nel muro di sostegno del tratto di Strada comunitativa verso Il Casone, si trova la Maestà del Casone, documentata già dall’inizio del XVIII secolo quando, come sopracitato, veniva descritto un Campo della Maestà.
Il Casone, come detto forse residuo del primitivo villaggio ridracolino, è documentato 1609 quando era composto da 4 fabbricati; nel 1777 i fabbricati si erano ridotti a 3, uno dotato di sei stanze con portico e forno, l’altro di cinque stanze con forno, oltre un grande capanno di sei locali; il Giornale di Campagna del 1829 precisa la composizione dei fabbricati, una casa colonica composta al P.T. da 3 stalle, stalletto e forno, cucina e 3 stanze al P.I°, una capanna composta da 2 stanze sia al P.T. sia al P.I° ed un soppalco al P.II°, oltre ad un capanno con tre stalle ed un capanno da vigna. La sopracitata mappa dell'Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegna al Casone il n. 36, quando la casa risulta composta di 6 vani. Negli Anni ’70 risulta compresa negli elenchi ex A.R.F. come abitazione privata composta da 13 vani, richiesta in uso da privati, infatti da allora fino ad oggi viene ininterrottamente utilizzata.
Sul lato del fiume opposto rispetto al nucleo centrale, come accennato, si trova Le Galvane (toponimo diffuso con vari derivati dal latino calva, -ae, roccia, cranio liscio, e/o dal prelatino cala/gala, calava/calaba, dirupo, da cui le alternanze calbana/calvana/galvana – A. Polloni, 1966, rist. 2004, p. 60, cit.), podere documentato già dal 1548 con due case, nel corso dei secoli ridotte ad una casa con capanno che, nel 1777, risultava composta da undici stanze con forno, soppalchi e colombaia; il Giornale di Campagna del 1829 descrive una casa colonica composta al P.T. da 4 stalle, stalletto e forno, cucina e 3 stanze al P.I° e una capanna. La sopracitata mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegna alle Galvane il n. 31. Oggi ridotta a rudere, è stata abbandonata alla fine degli Anni ‘50. Negli Anni ’70 risulta compresa negli elenchi ex A.R.F. composta da 8 vani ma non utilizzata.
Come accennato, oltre il Ponte a Ripicchione, risalendo in sx il tratto finale del Fosso del Molinuzzo, (oggi braccio lacustre) si raggiungevano Le Celluzze; documentato la prima volta nel 1613 è stato abitato fino al 1972 quando è stato acquisito dal Demanio forestale, in seguito si ritrova negli elenchi dell’A.R.F. ma senza specifiche dimensionali evidentemente dovute all’abbandono, peraltro all’epoca era ormai imminente la realizzazione dell’invaso che l’avrebbe sommerso.
Seguendo i versanti fluviale e lacustre si trovano o trovavano i seguenti insediamenti, tutti tranne uno in dx idrografica.
Il Molino di Sopra o di Ridràcoli o del comune o della Teresona o dei Tagli, collocato non lontano dalla diga presso la confluenza del Fosso dei Tagli nel Bidente, documentato già a metà del ‘500, nell’estimo comunale del 1777 risulta dotato di un’abitazione di quattro stanze. Nel 1829 il Giornale di Campagna del Catasto Toscano certificava: «[…] a terreno stanza delle macine a un palmento e stalla. I piano cucina e camera […]» (C. Bignami, 1995, p. 40, cit.). Pochi anni dopo verrà privatizzato tramite asta pubblica che favorì il proprietario degli altri mulini della vallata, creando di fatto un monopolio. La sopracitata mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegna al mulino il n. 25, quando risultava dotato di tre vani abitativi ma, pochi anni dopo, verrà ampliato. L’insediamento, abbandonato negli anni 1973-74 a seguito degli espropri per la realizzazione dell’invaso, è stato recuperato ad uso della Romagna Acque-Società delle Fonti S.p.A. ma, in quanto in area con accesso limitato, è avvicinabile solo in occasione di visite guidate alle strutture della diga.
Le Vergherete o Vergherete di Sotto, toponimo dal latino classico primitivo virga = pollone (virgulto) e dal latino medievale rustico virgaretum = terra a virgulti (A.Polloni), come sopracitato nel 1547 si trova documentato tra i possedimenti dell'Opera del Duomo con due case. L’anno successivo l’estimo comunale registra 6 abitazioni ma non è noto di quanti vani fossero composte e in quante case fossero ripartite (all’epoca un’abitazione era solitamente composta di due stanze). Tale toponimo riguardava comunque un’area che si estendeva fino a Casetta e Case di Sopra, infatti inizialmente forse detta Vergherete di Sopra. Nel 1777 era documentalmente suddivisa in due proprietà composte da «[…] una casa da lavoratore di stanze 2 con soprapalchi da celo a terra e suoi resedi, con loggia, un forno, fornella[…]» e da «[…] una parte di casa di stanze due compresa la stalla[…]» (C. Bignami, 1995, p. 42, cit.). Nel 1829 il Catasto Toscano di primo impianto certificava: «[…] casa colonica, capanno ed aia. A terreno 3 stalle, 3 capannette, stalletto e forno. I piano cucina e camera […]» (C. Bignami, 1995, p. 42, cit.). La sopracitata mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegna a Vergherete i nn. 26 e 27, certificando l’esistenza di due abitazioni per i coloni e gli affittuari rispettivamente di 6 e 2 vani. Il podere venne abbandonato negli Anni ’60 a seguito degli espropri per la realizzazione dell’invaso. Acquisito dal Demanio forestale, in seguito si ritrova negli elenchi dell’A.R.F. ma senza specifiche dimensionali evidentemente dovute all’abbandono, peraltro all’epoca era ormai imminente la realizzazione dell’invaso che l’avrebbe sommerso. Da notare che poiché il livello idrico varia tra un minimo di 502,0 m e un livello di sfioro di 557,3 m, il sito del fabbricato, che in base alla mappa I.G.M. era posto a 537 m, periodicamente riemerge.
La Casetta, nel XVI secolo probabilmente descritto tra i fabbricati del sottostante Vergherete, trova autonomia toponomastica documentale a partire dal 1620. Risulta totalmente ricostruito nel ‘700 quando risulta composto da «[…] una casa da lavoratore di stanze 4 e suoi resedi, con forno e suoi resedi […]» (C. Bignami, 1995, p. 45, cit.). Nel 1829 il Giornale di Campagna del Catasto Toscano certificava: «[…] capanno ed aia, a terreno 3 stalle, 2 stalletti, forno, 2 stanze, 2 loggette e capanno. Casa. I piano cucina 4 stanze e capannetta […]» (C. Bignami, 1995, p. 45, cit.). Diviene noto anche come Cà Margheritini in quanto in possesso di detta famiglia per tutto l’Ottocento. La sopracitata mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegna a Casetta il n. 14, quando risulta dotato di 5 vani, ma la data del 1913 incisa nell’architrave del portale di ingresso (FF MA 1913 – Fece Fare Margheritini Antonio) ricorda ulteriori ampliamenti che consentirono di ospitare fino a tre famiglie. Il fabbricato venne abbandonato negli Anni ’60 a seguito degli espropri per la realizzazione dell’invaso ed è passato in proprietà della Romagna Acque-Società delle Fonti S.p.A. che però non ha ritenuto di provvedere al suo recupero, come per gli altri fabbricati adiacenti, lasciandolo decadere.
Il Lagacciolo o Lagacciole o Logacciolo (diminutivo di Logo, toponimo diffuso anche come Loghetto e Logaccio, dal latino locus = luogo, ovvero con il significato di luogo brutto e piccolo, sarebbe attinente al sito particolarmente infossato - 490 m - rispetto all’incombente Poggio della Gallona - 844 m) documentato già dal 1525, compare in un elenco dell'Opera del 1637: «1637 – Nota dei capi dei beni che l’opera è solita tenere allivellati in Romagna e Casentino e sono notati col medesimo ordine col quale fu di essi fatta menzione nella visita generale che ne fu fatta l’anno 1631: […] Tutti li beni infrascritti da n. 24 a n. 40 inclusine, sono in Romagna nel Capitanato di Bagno, nel Comune di Ridracoli, nel Popolo di San Martino a Ridracoli: […]37) Lagacciole, podere tenuto da Ottavio Capacci» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 408, 410, cit.). Successivamente compare documentato in una relazione del maggio 1677: «Venerdì 24 ritornando alla visita per Giogo si camminò molte miglia […] e si vedde da più parte del Giogo le vaste provincie […] siccome li poderi di Romagna appresso notati cioè […] il Lagacciolo, la Forca, Poggio di Pratovecchio tiene a linea Andrea Piero Tozzi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 325, 329, cit.). Al principio del ‘700 l’estimo comunale certifica l’esistenza di tre abitazioni non è noto se appartenenti ad un unico fabbricato. Nel 1789, da una relazione sui canoni da stabilirsi, risulta che, rientrando nella casistica sopraindicata ... «I soli poderi della Casa Nuova, macchia, Lagacciolo e Poggio Pratovecchio potrebbero allinearsi e vendersi […] ma sono ridotti in tal cattivo stato dai passati affittuari […] e le case e stalle e capanne si trovano in stato rovinoso perché non si hanno fatti gli annuali risarcimenti dal 1730 […] non si troverebbero oblatori in compra […]. Sono del parere […] vadino riconfermati nell’affitto […] con nuovi patti e condizioni da rimettere in buono stato case e poderi ed alla scadenza dell’affitto allora migliorati si potrà prendere la risoluzione più utile e conveniente sopra i medesimi cioè di venderli o di allivellarli o in affitti.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 441-442, cit.). Dal Contratto livellario del 1818, tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli si trova la prima descrizione del podere: «Comunità di Bagno […] Una vasta tenuta di terre […] descritta in appresso […]. Tutta questa tenuta […] è composta dai seguenti terreni cioè […] 16° Podere denominato il Lagacciolo, nel popolo di Ridracoli in detta Comune, con casa da lavoratore composta di tre stanze da cielo a terra, con orto, aia, forno rovinato il quale va rifatto e per questo occorre la spesa di lire quaranta. Questo podere è composto dei seguenti terreni cioè: I° un tenimento di terra lavorativa, sodiva, mozzico nata, ripata, balzata, pasturata, di staia 12 circa in lavorativa e le altre di staia 80 circa con vocaboli di terra e pastura di Lagacciolo.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 461, 463, 466, 471, 472, cit.). Sciolto d’imperio il contratto del 1818 per inadempienze nell’applicazione di un rigoroso regime forestale ai possedimenti dell’Opera, nel 1840 il Granduca fece stipulare un nuovo Contratto livellario con il Monastero di Camaldoli, così si trova un’ulteriore descrizione, ora estremamente precisa, del podere e dei fabbricati: «N. 8 - Podere di Lagacciolo […] lavorato dalla famiglia colonica di ... Casa colonica. Questa restaurata di recente ed ampliata ancora, comprende a terreno una stalla per le capre, una per le pecore, altra per il bestiame bovino ed un piccolo porcile, stanze tutte sterrate e con ingresso esterno. Il piano superiore ha una loggia sull’aia, una capanna con ingresso esterno ed un portichetto con forno contiguo per il quale si ha l’accesso saliti alcuni scalini ad una cucina intavolata ed a tetto munita del camino e dell’acquaio avente l’annesso di una camera parimente a tetto. Continui vi sono i resedi e l’aia sterrata. E quantunque di recente questa descritta fabbrichetta sia stata riattata pure occorre alcun restauro al forno e alla parete esterna di mezzogiorno. Terreni. Un solo tenimento di terra tutta giacente in poggio ed in una pendice scoscesa inclinata sul torrente Bidente rivolta al sud-est intersecata da più e diversi fossi e borri senza conosciuta denominazione e della superficiale estensione di quadrati 170 e centesimi 57 pari a staia 341 circa per le quali staia tre terra prativa e alternativamente seminativa, staia 3 e mezzo lavorativa nuda con alcuni frutti selvatici, staia 46 e mezzo terra boschiva con capitozze da frasca ed in parte seminativa a tempi nelle località meno inclinate, ed ogni resto pasture nude sterili e scoscese ed è riconosciuto per i vocaboli: Lagacciolo, Ponte Ripicchione, la Ripa dei Corvi, i Bruciati, i Ronchi Vecchi, Balzoni, Poggio della Gallona ed il Prato dei Ciliegi.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 518-519, cit.). La sopracitata mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegna a Logacciole il n. 16, quando risultava dotato di 4 vani. Il podere venne abbandonato negli Anni ’50, un ventennio prima degli espropri per la realizzazione dell’invaso. Acquisito dal Demanio forestale, in seguito si ritrova elencato in uso dell’A.R.F. ma senza specifiche dimensionali, peraltro all’epoca era ormai imminente la sommersione. Da notare che poiché il livello idrico varia come sopraddetto, il sito del fabbricato, che in base alla mappa I.G.M. era posto a 490 m, non riemerge.
Ca di Sopra, declinato anche Case a significare una pregressa plurima esistenza di fabbricati, nel XVI secolo come La Casetta veniva probabilmente descritto tra i fabbricati del sottostante Vergherete; trova autonomia documentale a partire dal 1640. Nel 1777 risultava composto da “una casa da lavoratore di stanze cinque, forno e suoi resedi, un capanno, un altro capanno di una stanza” (C. Bignami, 1995, cit.). Nel 1829 il Giornale di Campagna del Catasto Toscano certificava: «[…] capanna rovinata. Casa colonica capanno ed aia. A terreno 4 stalle, capanno, 2 stanze stalletto, loggia, forno e capannetto. I piano cucina, camera e 2 capannette […]» (C. Bignami, 1995, p. 45, cit.). La sopracitata mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegna a Cà di Sopra il n. 15, rappresentando però 3 fabbricati, prevalentemente non abitativi, infatti la dotazione di vani era sempre pari a 4. L’insediamento verrà abbandonato tra fine Anni ’50 e inizio ’60 del XX sec. ed acquisito dal Demanio forestale; in seguito si ritrova elencato in uso dell’A.R.F. ma senza specifiche dimensionali, quindi in abbandono, fino al passaggio nella disponibilità della Romagna Acque-Società delle Fonti S.p.A. L’attrattiva turistica conseguente alla rinaturalizzazione del lago e dei suoi dintorni ha consentito il restauro e la rifunzionalizzazione del fabbricato quale punto di ristoro e rifugio gestito con possibilità di pernottamento.
La citazione più antica relativa al podere della Forca risale al 1537 e si ha grazie ad un suo abitante che divenne funzionario dell’Opera «[…] si sa che i fiumi che solcavano quelle foreste, erano banditi alla pesca di qualunque genere e che un tale Pierone di Francesco Gatteschi, dal Casalino e abitante alla Forca, ovvero Rondone, in Romagna, fu fatto nell’anno 1537 “Commissario Generale di tutti i nostri soprascritti fiumi con l’auctorità circa i detti fiumi e circa i molti legnami che continuamente sono furati dalle nostre selve e che tali fiumi e legnami siano riguardati e custoditi in altra forma che per il passato sono stati.”» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 137, cit.). Compare poi in un elenco dell'Opera del 1637: «1637 – Nota dei capi dei beni che l’opera è solita tenere allivellati in Romagna e Casentino e sono notati col medesimo ordine col quale fu di essi fatta menzione nella visita generale che ne fu fatta l’anno 1631: […] Tutti li beni infrascritti da n. 24 a n. 40 inclusine, sono in Romagna nel Capitanato di Bagno, nel Comune di Ridracoli, nel Popolo di San Martino a Ridracoli: […] 38) Forca, podere tenuto da Ottavio Capacci […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 408, 410, cit.). Successivamente compare documentato nella sopracitata relazione del 24 maggio 1677. In base all’estimo comunale del 1704 si apprende che la Forca possedeva stanze, il forno e stalle. Una relazione del 1763 certifica un dissesto in corso «2. PODERACCIO E BUCA – Nella casa della Buca non v’abita alcuno […] per cui stando così succederà come la rovina della capanna del podere della Forca che è annesso al podere della Seghettina […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 439, 440, cit.). Il censimento del 1777 conferma la situazione di fatiscenza con un fabbricato ridotto ad una sola stanza. Dal Contratto livellario del 1818, tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli si trova la prima descrizione del podere ma non vengono citati i fabbricati: «Comunità di Bagno […] Una vasta tenuta di terre […] descritta in appresso […] composta dei seguenti terreni cioè […] 17° Podere denominato La Seghettina […]. Questo podere è composto dai seguenti terreni cioè: III° un tenimento di terra (che formava il podere della Forca stato riunito a questo) soda, ripata, balzata, di staia 30 circa coi nominativi di terre della Forca. […] facenti tutto un corpo di proprietà di Iacopo e Francesco Cipriani acquistato addietro dalla Comune di Bagno.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 461, 463, 466, 471, 472, cit.). Da notare che non compare mai la descrizione di un mulino, che infatti risale agli anni successivi. Nel 1829 il Catasto Toscano di primo impianto descriveva una casa composta: «[…] a terreno, stalla, loggetta e stalletta. I piano stanza con camino […]» (C. Bignami, 1995, p. 47, cit.). La sopracitata mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegna a Forca il n. 18, quando risultano presenti due fabbricati, quello abitativo evidentemente ristrutturato in quanto dotato di ben 6 vani. Ora risulta pure presente il Molino, edificato tra il 1835 e il 1837, dotato di un vano a disposizione del mugnaio, oltre il locale tecnico a due palmenti. Tuttavia, come sopraddetto, il corrispondente ed apposito simbolo dell’Opificio a forza idraulica (ruota dentata) non compare nelle edizioni storiche della Carta d’Italia I.G.M. (1894 – 1937). L’insediamento venne abbandonato nei primi Anni ’60 a seguito degli espropri per la realizzazione dell’invaso. Da notare che poiché il livello idrico varia tra un minimo di 502,0 m e un livello di sfioro di 557,3 m, il sito del fabbricato, che in base alla mappa I.G.M. era posto a 508 m, raramente riemerge.
Da qui una mulattiera, che poi diventerà S. Vic.le dal Mulino alle Faitelle congiungentesi con la sopracitata S. Vic.le del Pratolino, risale a Le Faitelle, toponimo che pare diminutivo/vezzeggiativo di Faeta, molto diffuso e derivante dal latino fagetum = selva di faggio (A.Polloni), quindi faggetella. Nel 1777 era documentalmente composta da «[…] stanze otto con soprapalchi da celo a terra, con forno e loro resedi […]» (S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, p. 182, cit.). Nel 1897 è segnalato l’ultimo proprietario ma, per trovarsi negli elenchi dell’A.R.F. senza specifiche, significa che all’epoca della schedatura il fabbricato era ancora esistente benché probabilmente ormai in abbandono. Nella moderna cartografia regionale (1995) compare ancora come fabbricato esistente, benché ormai ridotto a rudere.
Il sito di Palestrina, raggiunto dalla sopracitata S. Vic.le del Pratolino, è situato su un terrazzo morfologico del versante occidentale del Monte Palestrina prospiciente il lago. La toponomastica deriva dal greco palàistra, da palàiein = lottare, termine oggi utilizzato anche per definire un sito idoneo per praticare l’arrampicata alpinistica, presso gli antichi greci e romani luogo, specialmente all’aperto, destinato agli esercizi ginnici: tali caratteristiche geomorfologiche sono evidenziate dal versante orientale del monte, dove affiorano le stratificazioni orientate a “reggipoggio” tipiche della giacitura marnoso-arenacea. Compare con due abitazioni (non è noto se accorpate in un unico fabbricato) nel primo estimo del Comune di Ridràcoli del 1548 e in un elenco dell’Opera del 1637: «1637 – Nota dei capi dei beni che l’opera è solita tenere allivellati in Romagna e Casentino e sono notati col medesimo ordine col quale fu di essi fatta menzione nella visita generale che ne fu fatta l’anno 1631: […] 40) Felcetino e Fossette terre tenute da redi di Antonio di Santino detto il Cordovano. L’anno 1636 il Felcetino fu distinto e separato dalle Fossette perché quello fu unito al Podere del Castelluccio e queste furono unite al podere della Palestrina […] 46) Palestrina, podere tenuto da Romolo Marianini […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 410-411, cit.). Da una relazione del 1652 emerge che «La terza parte delle selve dell’Opera succede sotto Campigna a levante e contiene […] Palestrina […]. In questi luoghi abbiamo trovato molti grossissimi e altri altra volta osservati e segnati per alberi di Galeazza e galeoni sino nel 1634 e vi si vede ancora qualche antenna di trinchetto con molte abetelle vegnenti benissimo. Ma perché questi luoghi sono stati sempre stimati così aspri e dirupati che non sia da sperare addirizzarvi strade per cavarne legni tondi, l’opera se n’è servita per legni quadri […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 263, 267, 268, cit.). Successivamente compare documentato in una relazione del 1677: «[…] siccome li poderi di Romagna appresso notati cioè […] la Palestrina che tiene a fitto Benedetto Gressi […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 329, cit.). Da un decreto del 1727 si apprende che, a seguito di disdetta, è stato pubblicato il bando per affittare alcuni poderi: «Esposti di nuovo all’incanto […] restò affittato quello di Valdoria e ronche a Simone di Matteo Conti […] e fu confermato Francesco Rossi […] nel fitto del Podere Romiceto e nel fitto del Podere della Palestrina […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 345, cit.). In base ad un censimento del 1777 Palestrina contava 5 stanze. Nel 1789, da una relazione sui canoni da stabilirsi, risulta che anche: «I poderi […] Palestrina […] sono situati alle falde di vasto circondario delle selve d’abeti e sembra che sieno stati fabbricati in detti luoghi per servire di custodia e per far invigilare dai contadini di detti poderi […] non ardirei mai di far proposizione di alienarli ma […] come si rileva chiaramente dalla loro posizione servendo di cordone e custodia alle macchie medesime […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 441, 442, cit.). Nell’Archivio dell’Opera si trova una documentazione non datata, comunque di fine ‘700, contenente una descrizione delle case rurali dei poderi di appartenenza, tra cui la «[…] Casa del podere della Palestrina: Piano a terreno – Contiene una stalla per le vacche ed altra stalla per le pecore. Piano a palco – Si entra in una loggetta chiusa che serve da telaio di faccia alla quale è il forno, da questa loggetta si passa a una stanza soffittata con il camino.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 447-448, cit.). Nel Contratto livellario stipulato nel 1818 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli si trova un’ulteriore descrizione dei fabbricati: «Tutta questa tenuta […] è composta dai seguenti terreni cioè […] 15° Podere denominato della Palestrina […] con casa da lavoratore composta di poche stanze tutte in pessimo stato e minacciano rovina.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, p. 471, cit.). Sciolto d’imperio il contratto del 1818 per inadempienze nell’applicazione di un rigoroso regime forestale ai possedimenti dell’Opera, nel 1840 il Granduca fece stipulare un nuovo Contratto livellario con il Monastero di Camaldoli, così si trova un’ulteriore, ed ora estremamente precisa, descrizione del podere e dei fabbricati: «N. 10 - Podere di Palestrina […] lavorato dalla famiglia colonica di Agostino Rossi. Casetta colonica. Questa situata sulla vetta di un poggio il quale tiene le stessa denominazione, si compone nel suo piano terreno di un porcile sottoposto al forno e di due stalle con ingresso esterno che una per le vaccine e per le pecore l’altra. Il piano superiore ha una loggetta ove corrisponde la bocchetta del forno e questo lateralmente dà accesso alla cucina corredata di camino e dell’acquaio la quale ha contigua una cameretta a tetto. Lo stato nel quale si ritrova questa fabbrichetta è rovinoso eccettuata l’indicata loggetta, forno e stalletto sottoposto per cui occorre ricostruire tale stanza di nuovo. Separata vi esiste una piccola loggia essa pure in cattivo stato ed intorno vi sono l’aia sterrata e i resedi ed un piccolo orticello cinto da infrascata. Terreni. Di un solo tenimento si compone questo podere tutto giacente in poggio nella massima parte costituito in balzo, scosceso, intersecato dal Fosso del Ciliegio, dall’altro delle Bruciatelle e da altri minori borratelli, viottoli e stradelle. È questo conosciuto per i vocaboli di: Palestrina, Campo ai Ciliegi, le Bruciatelle, le Busche, Canapaio, il Ripone, la Macchia della Colla, i Fossetti e la Bruciata; ha una geometrica estensione di quadrati 126 e centesimi 50 corrispondenti a staia 250 delle quali per staia 10 terra lavorativa nuda con frutti selvatici, staia 161 bosco con capitozze di cerro, faggio e carpano ed ogni rimanente di pasture nude sterili e sassose.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 521, 522, cit.). A fine ‘800 il podere risulta di proprietà privata e la casa ancora abitata, così fino al 1923 causa il definitivo abbandono. La sopracitata mappa dell’Archivio Comunale di Bagno di Romagna assegna a Palestrina il n. 19, quando risultavano 4 vani. Oggi rimangono scarsissimi resti corrispondenti al perimetro murario in conseguenza del collassamento strutturale.
Casamentino, come sopracitato raggiunto da una deviazione della S. Vic.le del Pratolino detta S. Vic.le del Casamentino, in origine probabile fabbricato di servizio, si trova documentato solo quando viene trascritto nell’estimo comunale di Ridràcoli del 1704 e nel 1728 quando viene ristrutturato a fini abitativi. Il censimento del 1777 informa che l’abitazione è composta da due stanze. Il luogo è citato sia nel Contratto livellario stipulato nel 1818 tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli: «Comunità di Bagno […] Una vasta tenuta di terre […] descritta in appresso […] alla quale per la circonferenza confina: […] diciannovesimo, Eredi Rossi, oggi fratelli Agnoletti, confinano dal lasciato punto principiando dal salire il crinale del poggio del Casamentino seguitando fino a mezza ripa e fosso della fonte andando al crinale di Poggio Piano; ventesimo, fiume di Ridracoli confina dal lasciato punto fino ad altro detto la Forca[…]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 461-465, cit.), sia nel contratto del 1840, quando il fabbricato risulta abbandonato da pochi anni (1836) e, tra l’altro, si descrivono con precisione i confini del Podere di Palestrina, di proprietà dell’Opera: «N. 10 - Podere di Palestrina […]. Terreni. Di un solo tenimento si compone questo podere tutto giacente in poggio […]. Vi confina […] 8° Giovannetti Michele, 9° detto mediante un fossatello, 10° detto mediante una strada che dalla Palestrina conduce a casamento, […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 498, 521, 522, cit.). Se nel Catasto Toscano del 1826-34 compare un insediamento composto da un edificio colonico ed un annesso, già nella Carta d’Italia I.G.M. di primo impianto (1894), in scala 1:50.000, il fabbricato è infatti del tutto assente. Oggi rimangono scarsi resti dell’annesso mentre il fabbricato principale è del tutto scomparso.
La sopracitata S. Vic.le del Pratolino termina a Pratalino che, sebbene situato nel crinale della sella tra i Monti Cerviaia e Palestrina, nel Catasto toscano è mappato nella sezione di Ridracoli lungo la Strada che dal Pontino va alla Casanova. Questa via, superata la chiesa e il cimitero di Casanova dell’Alpe, aggirava in alto la gola del Fosso Rogheta (occorre immaginarsi la continuità del versante del Monte Moricciona prima del taglio della sterrata) quindi raggiungeva il crinale del Monte Cerviaia all’altezza della Maestà della Chiesaccia (presente nella Carta d’Italia I.G.M. del 1894, dove un parziale restauro ha eliminato le tracce dell’incisione precedente M.M. 1919 ed è stata posta un’icona con targhetta MADONNA GRECA VENERATA A RAVENNA datata agosto 2004). Presso la grande Croce di Pratalino (in legno con grande basamento lapideo monoblocco, forato al centro per la sede crucifera, che è stato posizionato accanto in occasione dell’ottimo restauro curato, come da targa, dall’Associazione Nazionale Alpini, GRUPPO ALTO BIDENTE “Capitano DINO BERTINI”), si imboccava la discesa verso Ridràcoli mentre la via di crinale proseguiva passando per luoghi detti la Chiesaccia o vestigie della Chiesa Vecchia (S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, pp. 100-106 cit.).
Come sopracitato, si trova documentato tra i possedimenti già di proprietà dell’Opera del Duomo di Firenze. La custodia delle selve all'epoca venne affidata alle Guardie dell’Opera. Nel 1655 la foresta venne suddivisa in sei parti assegnate ad altrettante guardie, una delle quali, estesa da Poggio Fonte Murata alle Rivolte di Bagno e comprendente la Valdoria e la Bertesca, venne affidata a Iacomino di Giovanni dal Pratalino, con obbligo di dimora entro 3-4 miglia dall’area da sorvegliare, benché egli ormai abitasse in Casentino, a Romena, dove aveva un podere (A. Gabbrielli, E. Settesoldi). Egli stesso già nel 1631 risultava tenutario di un appezzamento nel Comune di Ridracoli: «Sodaccia, terra smacchiata da Iacomino di Giovanni dal Pratalino.» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 408, 411, cit.). Dalla descrizione dei confini contenuta nel Contratto livellario del 1818, tra l’Opera e il Monastero di Camaldoli si trova un’informazione sulla proprietà all’epoca del podere: «Comunità di Bagno […] Una vasta tenuta di terre […] descritta in appresso […] alla quale per la circonferenza confina: […] tredicesimo, Pier Maria Milanesi confina cominciando dalla detta Chiesaccia per la via di casa di Romolo fino al crinale delle Poggiarine confine col podere di Pratalino; […]» (A. Gabbrielli, E. Settesoldi, 1977, pp. 461, 463, 464, cit.). Nel 1777 risulta l’esistenza di una grande casa suddivisa e usata autonomamente da vari fratelli eredi: «[…] una parte di casa con stanze due, con soprapalco da celo a terra, con entrata fatta a portico, scala comune […] e stalletto sotto detta scala detto portico […] con l’entrata della stalla sotto lo stanziolo […] e i suoi resedi […] e metà della capannella annessa alla casa […]. una parte di casa con due stanze […] una mezza capannella […] un forno con loggia accanto e i suoi resedi […]. una parte di casa unita con stanziolo, con stalletta sotto, con un pezzo di detta stalla nella loggia del forno con scala e portico […] un forno con loggia davanti e suoi resedi […]. una casa di stanze quattro, con portico fornello e scala, con un capanno e loro resedi […] un capannello con suoi resedi […].» (S. Fabiani, G. Marcuccini, W. Rossi Vannini, 1987, p. 190, cit.). Risulta abbandonato nel 1961. Per trovarsi negli elenchi dell’A.R.F. con le specifiche di essere in uso della stessa Azienda, e di avere una dimensione di 48 mq, 240 mc e vani 1, con l’esistenza di una scheda del degrado, significa che all’epoca della schedatura almeno una parte del fabbricato era ancora esistente benché degradata. Nella moderna cartografia regionale (1995) compare ancora come fabbricato esistente, benché ormai ridotto a rudere.
Per approfondimenti si rimanda alle schede toponomastiche relative ad acque, rilievi e insediamenti citati.
N.B.: Informazioni preziose riguardo luoghi e fabbricati si hanno grazie ai rapporti della Descriptio provinciae Romandiole e delle visite pastorali o apostoliche.
- La Descriptio è un rapporto geografico-statistico-censuario redatto dal legato pontificio cardinale Anglic de Grimoard (fratello di Urbano V) per l’area della Romandiola durante il periodo della “Cattività avignonese” (trasferimento del papato da Roma ad Avignone, 1305-1377). Se la descrizione dei luoghi ivi contenuta è approssimativa dal punto di vista geografico, è invece minuziosa riguardo i tributi cui era soggetta la popolazione. In tale documento si trova, tra l’altro, la classificazione degli insediamenti in ordine di importanza, tra cui i castra e le villae, distinti soprattutto in base alla presenza o meno di opere difensive, che vengono presi in considerazione solo se presenti i focularia, ovvero soggetti con capacità contributiva (di solito nuclei familiari non definiti per numero di componenti; ad aliquota fissa, il tributo della fumantaria era indipendente dal reddito e dai possedimenti). In particolare, nelle vallate del Montone, del Rabbi e del Bidente furono costituiti i Vicariati rurali delle Fiumane.
- La visita apostolica o pastorale, che veniva effettuata dal vescovo o suo rappresentante, era una prassi della Chiesa antica e medievale riportata in auge dal Concilio di Trento che ne stabilì la cadenza annuale o biennale, che tuttavia fu raramente rispettata. La definizione di apostolica può essere impropria in quanto derivante dalla peculiarità di sede papale della diocesi di Roma, alla cui organizzazione era predisposta una specifica Congregazione della visita apostolica. Scopo della visita pastorale è quello di ispezione e di rilievo di eventuali abusi. I verbali delle visite, cui era chiamata a partecipare anche la popolazione e che avvenivano secondo specifiche modalità di preparazione e svolgimento che prevedevano l'esame dei luoghi sacri, degli oggetti e degli arredi destinati al culto (vasi, arredi, reliquie, altari), sono conservati negli archivi diocesani; da essi derivano documentate informazioni spesso fondamentali per conoscere l’esistenza nell’antichità degli edifici sacri, per assegnare una datazione certa alle diverse fasi delle loro strutture oltre che per averne una descrizione a volte abbastanza accurata.
- A partire dal XII secolo, con la nascita dei comuni nascono gli archivi comunali, che poi si sviluppano nelle istituzioni signorili e successivamente confluiscono negli attuali Archivi di Stato; nel Granducato di Toscana il Cinquecento fu epoca di trasformazione del regime archivistico alla quale, tra l’altro, risale la fondazione medicea degli Archivi generali dei Contratti. Le ricerche archivistiche hanno consentito agli studiosi di reperire documentazione sui poderi dell’area in alcuni casi risalente fino alla metà del XVI secolo.
- L'Appennino romagnolo era caratterizzato fino a metà del XX secolo (superata in qualche caso per un paio di decenni) da una capillare e diffusa presenza di mulini ad acqua, secondo un sistema socio-economico legato ai mulini e, da secoli, radicato nel territorio del Capitanato della Val di Bagno. Intorno al Cinquecento ognuno dei 12 comuni del Capitanato (Bagno, Careste, Castel Benedetto, Facciano, Montegranelli, Poggio alla Lastra, Ridràcoli, Riopetroso, Rondinaia, San Piero, Selvapiana, Valbona) disponeva di almeno un mulino comunitativo la cui conduzione veniva annualmente sottoposta a gara pubblica a favore del migliore offerente; a quell’epoca nell’area si registrano assegnazioni per 230 bolognini. La manutenzione poteva essere a carico del comune o del mugnaio. Alla fine del Settecento l’attività riformatrice leopoldina eliminò il regime di monopolio comunitativo introducendo la possibilità per i privati di costruire altri mulini in concorrenza produttiva, cui seguì un progressivo disinteresse comunale con riduzione dell’affitto annuale dei mulini pubblici fino alla loro privatizzazione. Nell’Ottocento, con la diffusione dell’agricoltura fino alle più profonde aree di montagna, vi fu ovunque una notevole proliferazione di opifici tanto che, ai primi decenni del Novecento, si potevano contare 8 mulini dislocati nella valle del Bidente di Ridràcoli. Dagli anni ’30, la crisi del sistema socio-economico agro-forestale ebbe come conseguenza l’esodo dai poderi e il progressivo abbandono dell’attività molitoria e delle relative costruzioni. Gli Opifici a forza idraulica (def. I.G.M.) posti sul Bidente di Ridràcoli o i suoi affluenti oggi noti sono: il Molino di Sotto o di Ridràcoli o del comune, il Molino di Sopra o della Teresona o dei Tagli, il Molino di Biserno, il Mulino della Forca, il Molino della Sega, il Molino di Spugna, il Molinuzzo o Mulinuzzo, posto sull’omonimo fosso, il Molino di Carpanone o del Carpanone o di Carpinone, posto sul Fosso di Romiceto presso la confluenza con il Fosso del Molino.
- Negli scorsi Anni ’70, a seguito del trasferimento delle funzioni amministrative alla Regione Emilia-Romagna, gli edifici compresi nelle aree del Demanio forestale, spesso in stato precario e/o di abbandono, tra cui Case di Sopra, Casone, Lagacciolo, Le Celluzze, Galvane, Pratalino e Vergherete divennero proprietà dell’ex Azienda Regionale delle Foreste (A.R.F.); secondo una tendenza che riguardò anche altre regioni, seguì un ampio lavoro di studio e catalogazione finalizzato al recupero ed al riutilizzo per invertire la tendenza all’abbandono, senza successo tranne il riutilizzo di Case di Sopra e Casone. Con successive acquisizioni il patrimonio edilizio del demanio forlivese raggiunse un totale di 492 fabbricati, di cui 356 nel Complesso Forestale Corniolo e 173 nelle Alte Valli del Bidente. Circa 1/3 del totale sono stati analizzati e schedati, di cui 30 nelle Alte Valli del Bidente. Il materiale è stato oggetto di pubblicazione specifica.
- In base alle note tecniche dell’I.G.M. se in luogo dell’anteposta l’abbreviazione “C.”, che presumibilmente compare quando si è manifestata l’esigenza di precisare la funzione abitativa, viene preferito il troncamento “Ca” deve essere scritto senza accento: se ne deduce che se compare con l’accento significa che è entrato nella consuetudine quindi nella formazione integrale del toponimo.
RIFERIMENTI
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Link www.parcoforestecasentinesi.it/it/news/sulle-tracce-di-cacciatori-preistorici-nel-parco.
Raggiungibile da Santa Sofia percorrendo la ex statale per passo Calla, oggi S.P. 4 del Bidente, poi deviazione a sinistra segnalata da cui inizia la S.P. 112 Isola-Biserno-Ridràcoli lunga km 8,7.
Le seguenti foto sono state scattate da Bruno Roba, che ha anche inserito i testi, e qui riprodotte su autorizzazione dell’autore.
00A – Ubicazione dell’Area di Ridràcoli nell’ambito dei bacini idrografici dell’Alta Valle del Bidente.
00a1 – 00a2 – 00a3 – Dal Monte Penna, vedute della valle e del lago di Ridràcoli (26/01/12 - 13/01/16).
00b1/00b5 – Da Poggio Fonte Murata, vedute del lago di Ridràcoli (12/06/20 – 31/03/21).
00c1 – 00c2 – 00c3 – Nelle vedute dal contrafforte secondario in corrispondenza di Poggio Collina la morfologia dei rilievi che convergono verso il fondovalle di Ridràcoli appare esaltata dal cromatismo ambientale di fine inverno; lo scorcio ravvicinato riguarda la cresta dove sorge il castello (28/03/18).
00d1 – 00d2 – 00d3 – Dalla mulattiera che da Lavacchio scende a Ridràcoli, vedute del centro di Ridràcoli (19/07/18).
00e1 – 00e2 – Riproduzioni pittoriche di foto d'epoca. Particolarmente interessante la prima, probabilmente risalente agli Anni ’50, prima dell’inizio della costruzione dell’invaso e della viabilità moderna, quando le case erano ancora abitate ed era ancora utilizzato il Molino di Sotto, di cui si nota il berignale di presa idraulica e lo scarico nel Bidente; si nota inoltre il tracciato della Mulattiera di Ridràcoli che dal ponte, risalito il poggio e superata la chiesa, attraversa il Fosso Corneta su un ponticello. La seconda risale agli Anni ’70-’80, quando i lavori stradali sono in ultimazione, Chiesa di Sotto è fatiscente e Chiesa di Sopra non è stato ancora ampliato.
00f1/00f5 – Dalla S.P., vedute della Valle di Ridràcoli verso monte nel tratto dove si allarga dopo Biserno: in lontananza si scorge il borgo di Ridràcoli con uno scorcio di Palazzo Giovannetti e l’adiacente piccola abetina che risale il pendio (21/04/18).
00g1 – Schema da cartografia moderna con gli insediamenti esistenti o scomparsi in evidenza.
00g2 – Mappa schematica dedotta da cartografia storica di inizio XX sec. evidenziante reticolo idrografico, infrastrutture e insediamenti, oltre che la superficie del futuro invaso; la toponomastica riprende anche nella scrittura quella originale.
00g3 - Mappa schematica dedotta da cartografia storica di inizio XIX sec. evidenziante reticolo idrografico, infrastrutture e insediamenti (la toponomastica riprende anche nella scrittura quella originale).
00g4/00g7 - Confronto tra cartografia storica e moderna dell’area centrale di Ridràcoli, con sovrapposizione, e dell’area del castello, con confronto tra cartografia antica e moderna da cui si rilevano le modifiche planimetriche e alla viabilità intercorse nel secolo frapposto, infine particolari planimetrici storici dei fabbricati dell'area.
00h1 - Riproduzione da foto risalente agli Anni ’70-’80 con effetto pittorico ad olio, soggetto: il ponte e Palazzo Giovannetti.
00h2/00h5 – Vedute di Palazzo Giovannetti completate con foto dal PS comunale (23/09/16 – 28/03/22).
00h6 – – 00h7 – 00h8 - Foto dal PS comunale e riproduzioni pittoriche della torretta di Ridràcoli e di particolare da foto d’epoca relativa alla tipologia di torretta da vigna (di Civitella, nel caso rappresentato).
00h9 - L’Oratorio della Madonna della Neve (21/05/11).
00h10/00h13 – Vedute del ponte e del Mulino di Sotto, con riproduzione pittorica di particolare da foto d’epoca (1939) del mulino prima del restauro (21/05/11 - 23/09/16 - 28/03/22).
00h14/00h20 - La Chiesa dei SS. Martino e Lorenzo con particolari e riproduzioni pittoriche dell’interno e di foto d’epoca (anni ’30) dove si vede la Mulattiera di Ridracoli ancora integra (23/09/16).
00h21/00h25 - La scuola, la Casa e la Capanna del podere di Chiesa di Sotto, con riproduzione pittorica di particolare da foto d’epoca di quest’ultima (21/05/11 - 23/09/16 – 21/04/18).
00h26 – 00h27 – 00h28 – Vedute delle opere moderne del borgo: Idro-Museo delle Acque e il ponte che, nell’elegante sagomatura della soletta in c.a. secondo la distribuzione delle sollecitazioni di flessione e taglio, mima il profilo ad arco a sesto ribassato del vicino ponte antico (21/05/11).
00h29/00h58 – Vedute dell’area del Castello, con riproduzioni pittoriche di foto d’epoca (23/09/16 – 21/04/18).